Tomo V

Anni di Cristo 1311 - della Religione 925

1 - [V, p. 320] Prima di ogn’altra cosa dobbiamo per ogni ragione riferire, come in quest’anno del Signore 1311, il Sommo Pontefice Clemente V celebrò un Concilio Generale nella Città di Vienna in Savoia, nel qual Concilio vi si ritrovarono, oltre il Pontefice, tre Teste Coronate, cioè li Re di Francia, d’Inghilterra e d’Aragona; vi si trovarono a altresì due Patriarchi Orientali, cioè l’Alessandrino, e l’Antiocheno, e circa 114 Vescovi, come scrivono alcuni, o pure 300 come ad altri piace, e fra questi ve ne furono alcuni de’ nostri, e massime quelli di là da’ Monti, specialmente il nostro famoso Egidio, che era in questo tempo Arcivescovo di Bourges nello stesso Regno di Francia. V’intervennero ancora li Generali degli Ordini, e specialmente il nostro, che era Maestro Giacomo da Orto, il quale fu invitato dal Papa, con una sua Bolla particolare, al Concilio, come testifica Severino Binio nel Tomo 4 de’ Concilij parte prima a carte 776.

2 In questo Concilio poi tre importantissimi affari si trattarono, l’uno fu la ricuperatione della Terra Santa; il secondo, l’estintione dell’Ordine de’ Cavalieri Templarj, li quali havevano dato, come si disse, e come si provò con infiniti testimonj in reprobo senso, con scandolo indicibile di tutta la Christianità; il terzo poi, la Riforma degli Ecclesiastici non solo, ma etiamdio di tutto il Popolo Christiano. Furono anche condannati come Eretici, li Beguardi e le Beguine, li quali tutti sotto apparenza di Religione, commettevano mille sceleraggini, massime in materia di senso, e con esso fu anche condannato un certo Dulcino con tutti i suoi seguaci, li quali fra gli altri loro Ereticali disordini, havevano questo, di tenere in commune tutte le Donne. Fu determinato altresì, che si dovessero istituire in tutte le Università del Christianesimo publici Lettori, li quali insegnassero la lingua Ebraica, Arabica e Caldaica, e ciò a fine, che li Missionarj Apostolici, imparandole, potessero più francamente attendere alla Conversione di que’ Popoli, che parlano in dette lingue. Fu anche stabilito, che si dovesse tenere per Eretico chiunque pertinacemente credesse, e dicesse non essere l’Anima ragionevole et intellettiva vera forma sostantiale per se stessa del Corpo humano. Si fecero altresì le dottissime Clementine, le quali accrebbero, e resero più famoso e cospicuo il sesto de’ Decretali, nelle quali seriamente si decretò, e si dispose il modo di riformare il Clero et il Christianesimo; non vi mancano però Scrittori, li quali asseriscono, non so poi con qual fondamento, che il motivo principale, che hebbe il Papa di celebrare questo Concilio, fosse per distuggere et estinguere, come habbiamo detto di sopra, l’Ordine de’ Templarj, così istigato da Filippo Re di Francia.

3 - Entrò parimente in Italia verso il Mese di Ottobre per le Alpi Cottie, hoggi dette volgarmente del Monsini, [V, p. 321] e venne per Torino a Milano, per ivi ricevere la Corona di ferro Enrico VII Imperatore, che si conserva in Monza per lo Regno de’ Longobardi. Venne poi questo Principe in Italia con pretesto di estinguere le Fattioni, che erano nella Lombardia e nella Toscana, ma in effetto poi si conobbe, che venne per fomentarle, e per mettere sossopra tutta l’Italia, il che certamente haverebbe fatto, se il pietoso Iddio prestamente non lo levava dal Mondo, come nel suo tempo, a Dio piacendo, scriveremo.

4 - Habbiamo in quest’anno la morte del nostro Generale Maestro Giacomo da Orto, più sopra mentovato, per quanto scrive Nicola Crusenio nel suo Monastico Agostistiniano a car. 146 non si sa però nè il tempo, né il luogo in cui successe la di lui morte; e se bene il P. Errera si persuade, che non potesse morire, se non verso il fine dell’anno, essendochè fu invitato al Concilio dal Papa (la prima sessione del quale si celebrò circa la Festa di S. Luca) la qual ragione non convince, attesochè l’invito fu fatto molti Mesi prima, anzi quasi un’anno intiero, come scrive il Vadingo, nel quale intervallo puotè morire; communque sia il di lui Successore non fu eletto prima dell’anno seguente del 1312.

5 - E se bene il P. Errera sudetto registra la morte del B. Antonio detto da Monticiano sotto l’anno del Signore 1330 nulladimeno, essendo antica traditione della mentovata Terra, che terminasse il corso di sua santa vita poco tempo prima del B. Pietro Fiorentino detto da Camerata, il quale passò da questa vita temporale all’eterna l’anno del 1312 come vuole il Panfilo, o pure nel 1313 come piace al Crusenio; per la qual cosa noi habbiamo deliberato di registrare la di lui Vita e Morte in quest’anno del 1311 per essere il più vicino a quello, in cui si stima essere morto il Beato Pietro sudetto.

 

Vita, Morte, e Miracoli del Beato Antonio detto da Monticiano.

6 - Se bene il B. Antonio viene communemente chiamato da Monticiano, non nacque però nella detta Terra, ma così si chiama, perché in quella morì, et in essa si conserva il suo Beato Corpo. La sua Patria dunque fu la nobilissima Città di Siena, e fu degno rampollo dell’antichissima non meno, che Illustrissima Casa Patricj, la quale pur anche fino al giorno d’hoggi conserva più che mai il suo antico splendore; e quantunque non si sappia di certo in qual’anno precisamente egli nascesse, si sa nulladimeno, che nel più bel fiore della sua giovinezza, allettato dalla Santità di molti Servi di Dio dell’Ordine nostro (li quali in quel tempo maravigliosamente fiorivano nel Monistero di S. Agostino della sua Patria, e ne’ sagri Eremi vicini di Lecceto e di S. Leonardo, e massime da quella del B. Agostino Novello, si dispose per tanto a prendere, come fece, l’Habito Santo di nostra Eremitana Religione.

7 - Havendo dunque finito l’anno della sua Approbatione, fatta la sua solenne Professione, se bene non si sa in quali Monisteri di quella nobile Provincia egli stantiasse per tutto il corso di sua vita, e specialmente nella gioventù prchè li nostri antichi poco, o nulla ne parlano, nulladimeno potiamo ragionevolmente presumere, che da giovinetto, o nella sua Patria, o nel sagro Eremo di Lecceto, egli fosse applicato da’ Superiori allo Studio delle Sagre Lettere, e che dopoi, conforme l’uso della Religione, fosse mandato di stanza, hora in questo, [V, p. 322] ed hora in quel Convento della sua Provincia per dare esempio della sua gran Santità a’ Religiosi di quello; già che in vero fu sempre un specchio d’ogni più religiosa virtù a chiunque in esso attentamente mirava.

8 - E’ fama altresì, che fosse anche Superiore in alcuni Monisteri della detta Provincia; anzi per quanto si può raccogliere da una Scrittura, che si conserva nel Convento sopramentovato di Monteciano, fatta nell’anno 1292 e rogato da Meto Mantello Notaio della detta terra, pare che in detto tempo, egli fosse o Vicario, o per lo meno Sottopriore, perochè in essa vien nominato per tale nella detta Scrittura un F. Antonio da Siena in questa forma: Cunctis pateat, etc. quod Religiosus vir Frater Antonius de Senis de Ordine Eremitarum S. Augustini, vicem Prioris gerens, in loco, sive in Conventu dictorum Fratrum de Monteciano, etc. e se bene quest’argomento demonstrativamente non convince la realtà del fatto, nulladimeno ha molto del probabile, mentre del contrario non costi.

9 - Essendo poi passato a stantiare in altri Monisteri, occorse doppo alcuni anni, che havendo intesa grandemente commendare la gran Santità del Beato Pietro Fiorentino, il quale con licenza de’ Superiori erasi ritirato alcun tempo prima in un’antico Romitorio posseduto dalla Religione, poco distante da Monteciano, chiamato di Camerata, ove facendo asprissima penitenza, era tenuto in gran veneratione, non solo da’ Popoli circonvicini, ma etiamdio da tutta la Toscana; li venne dunque gran desiderio di andarlo a visitare, per vedere un’huomo di tanta fama, e per impetrare da esso qualche buon documento, per più facilmente giungere all’auge della religiosa Perfettione. Così dunque inviatosi verso quella volta con la licenza de’ Superiori, ma prima di giungere al detto luogo di Camerata, si sentì sopragiunto da un grave malore; nulla però d’animo perdendosi, supplicò la Divina Bontà di poter giungere al sudetto Convento di Camerata, e Nostro Signore si compiacque di esaudirlo; cosi dunque arrivato, alla maniera del buon Antonio d’Egitto, visitò, e caramente abbracciò, se non il Beato Paolo, almeno il Beato Pietro sudetto; da cui essendo stato ricevuto con gran carità et amore, stettero poi, come ragionevolmente io credo, per qualche tempo insieme, passando il giorno e la notte in continue orationi e colloqui spirituali.

10 - Alla perfine poi volendo ritornare il B. Antonio alla sua stanza, si licentiò dal B. Pietro, il quale lo volle accompagnare per qualche tratto; ma essendo poi arrivati entrambi ad un luogo chiamato il Sasso della Croce, dal quale si scuopre la Terra di Monteciano, è traditione della medesima Terra, che all’hora il B. Pietro la benedisse, e poi ancora benedicesse pure B. Antonio, e poi da esso licentiatosi, nel medesimo tempo ponesse il B. Pietro un piede ignudo sopra il detto sasso, et in quello, quasi in tenera cera, vi lasciasse impresso il vestigio. Giunto finalmente nel Convento di Monteciano il B. Agostino, e sentendosi più che mai aggravato dal male, che soprapreso l’haveva nel venire a Camerata, e conoscendo perciò essere giunta l’hora del suo felice passaggio all’altra Vita, laonde havendo presi con gran devotione i Santi Sacramenti della Chiesa, tutto rassegnato nel divino volere, anzi tutto lieto, per la buona coscienza della sua santa vita passata, carico di meriti infiniti, e ricco di tutte le Virtù più cospicue, e specialmente della santa Virginità, qual sempre intatta conservò, rese l’Anima nelle mani del suo Creatore; e fu nello stesso punto veduta l’Anima sua portare dagli Angeli in Cielo da un buon’huomo di quella Terra, chiamato Maggiolo, il quale appunto fu uno de’ Testimonj nominati nella Scrittura più sopra citata, in tempo, che era Vicepriore, [V, p. 323] e la medesima Visione vide ancora la di lui Moglie.

11 - Essendosi sparsa la fama della morte del Servo di Dio, fu così grande il concorso della divota gente, non solo di quel Castello, ma etiamdio di tutti i Luoghi circonvicini, che non se li puotè dare Sepoltura, ma bisognò tenerlo in Chiesa per due giorni e due notti intieri per sodisfare alla divotione di tanta gente concorsa, la quale non si satiava di vederlo, procurando ogn’uno d’implorare il di lui potente patrocinio nelle sue necessità appresso Dio; et è da credere, che molti ne restassero consolati. Mentre poi stava ivi nella Chiesa insepolto, si videro due Miracoli di gran rilievo, quali si leggono in una Leggenda vecchia della sua Vita, la quale si conserva nel Monistero sudetto di Monteciano; l’uno fu, che essendo state accese quattro Torcie intorno il Feretro, ove giaceva il Beato, et havendo sempre arso, per tutto il tempo di sopra accennato, in cui ivi stette, essendo poi stato seppellito, furono pesate le dette Torcie, e si trovò, che in tanto tempo, non erano calate né pure una mezza oncia. Il secondo poi fu, che mentre stava nella detta Chiesa insepolto, vedendo una Donna concorrere tanta gente, e non credendo ella, che quel Religioso Defonto meritasse una tanta veneratione, fu veduto quel Beato Cadavere tramandare gran quantità di sudore, laonde ella pentita della sua incredulità, concorse con gli altri a riverirlo et honorarlo.

12 - Passati dunque li sudetti due giorni, e notti, li fu data Sepoltura nel Cemeterio, come in que’ tempi si costumava, a canto però della Chiesa sotto le grondaie della medesima; ma il Signor Dio, che non voleva, che quel Santo Corpo stasse in un luogo così humile, permise, che in quello stesso, ove era tumulato, si cominciasse a sentire una gran fragranza di odore, e che anche ivi nascessero senza essere seminati, alcuni Gigli bianchi; le quali cose prodigiose, furono poi cagione, che indi a due anni fosse cavato da quel luogo, quel Santo Corpo, il quale fu ritrovato bello, bianco et intiero,come se fosse stato pure all’hora seppellito; laonde fu con grande allegrezza portato in Chiesa, e fu posto sopra di un’Altare a tale effetto eretto nel canto dell’Epistola dell’Altar Maggiore,ove stette per alcun tempo; hora però si riverisse in un altro Altare erettoli dalla Campagnia del B. Antonio istesso, dalla parte dell’Evangelio dello stesso Altare maggiore con l’Immagine sopra il medesimo Altare, che rapresenta il transito del Beato, fatta dall’accennato Pittore Rutilio Manetti da Siena. Giace poi il Santo Corpo in una Cassa posta nel concavo del muro, la quale si apre con due Chiavi, una delle quali tiene il P. Priore del Convento, e l’altra il Camerlengo della sudetta Compagnia, con gran gelosia, e custodia.

13 - E già, che habbaiamo favellato di questa Compagnia del B. Antonio, fa di mestieri, che andiamo hora investigando in qual tempo fosse istituita la detta Compagnia, e quando cominciasse a prendere il titolo del nostro Beato. Il P. Bacciliere Gio. Battista Pizzichini, figlio del detto Convento, Religioso molto versato nell’antiche Scritture di quella sua Casa, in una Relatione, che mi tramise nell’anno1651, porta per opinione, che forse prima della morte del B. Antonio, vi fosse in quel Monistero una Compagnia di Battuti dedicata a S. Antonio Abbate, che però dice, conservavasi nel vechhio Oratorio l’Immagine dipinta di S. Antonio Abbate. Havendo poi mutato luogo, e trasferito l’Oratorio nel Capitolo del Monistero, dice il sudetto Pizzichini, che in questo nuovo Oratorio, fece la detta Compagnia dipingere sopra l’Altare l’Immagine della B. Vergine, col suo Bambino in braccio, e da una parte il Padre S. Agostino, e dall’altra il B. Antonio [V, p. 324] sotto i piedi del quale vi si leggono queste parole: S. Antonius de Monteciano Anno Domini MCCCCXXII. Deo gratias.

14 - Soggiunge poi il sudetto Autore nella sua Relatione, che non fu questa la prima volta, che la sudetta Compagnia prese per suo Protettore il B. Antonio, imperciochè testifica di haver letta una Scrittura autentica fra l’altre del Monistero, rogata da Ser Stefano Nerj da Sughereto, fatta nella Curia Episcopale di Volterra l’anno 1379 nella quale il Vicario di Monsig. Simone Vescovo di Volterra libera dalla quarta Canonica portione d’un Legato pio lasciato Societati Battentium S. Antonij de Monteciano praedicto, etc. Dal qual modo di parlare io ne cavo con evidenza, che né meno nel vecchio Oratorio, era titolare della detta Compagnia S. Antonio Abbate, ma ben sì il nostro Beato, altrimente l’haverebbe chiamato col titolo di Abbate il sudetto Notaio, come d’ordinario si constuma; ne cavo in oltre, che in que’ tempi antichi chiamavasi il B. Antonio assolutamente col titolo di Santo, già che non solo nel nuovo Oratorio si chiama con nome tale, ma etiamdio nelle publiche Scritture provasi di vantaggio questa verità; attesochè se S. Antonio Abbate fosse stato suo antico Protettore, l’haverebbe la detta Compagnia fatto dipingere nel nuovo Oratorio insieme col B. Antonio, per non perdere, altrimente facendo, il Patrocinio di un Santo così grande.

15 - Si che da quando fin qui habbiamo detto per relatione del P. Pizzichini, chiaramente si deduce, che questo Beato Servo di Dio fin dal tempo della sua Santa Morte, e molto maggiormente doppo, che per il prodigio dell’odore, e poi de’ Gigli nati sopra il detto Tumulo, fu dal Cemeterio nelle Chiesa trasferito il di lui Beato Corpo, sempre fino a questo tempo ha goduto il pubblico Culto; et ogn’anno sempre si è celebrata la di lui Festa nell’ultima Domenica di Aprile, o perché forse morisse il Beato nell’ultima Domenica del detto Mese, o pure forse anche, perché in simil giorno fosse fatta la di lui solenne Traslatione accennata, nella Chiesa, che di S. Pietro si chiama nella Festa del quale Apostolo, si mosta  il suo Santo Corpo intiero e bello; come pur anche si fa nel sudetto giorno della sua Festa, nel quale viene honorato con Antifona, Hinno et Oratione particolare del seguente tenore: Alme Confessor supplices Antoni / Laudes, et preces humiles, canentes / Tuum ante Corpus humiles astantes / Adiuva illos. / Suscipe preces huius tuae Plebis, / Et Iesum Christum supplica pro eis, / Ut eos servet, simul et defendat / Ab omni malo. / Qui te locavit hic miraculose, / Ut apud ipsum esses intercessor, / Sic esto Custos huius tui Castri / Montis Ciani. / Simul cum patre celebri Augustino / Iungito tecum illum Nicolaum, / Qui Tolentini semper est defensor, / Nos custodire. / Tecum Coniunge omnes Caeli Cives / Prophetas, Vates, Martires, Antoni, / Omnes Doctores, Sanctos Eremitas / Supplicent tecum. / Virgines quoque, ut Virgo permansisti, / Duc in favorem tuae Sanctae Catervae / Sic ante Christum pro nobis orantes / Dicite omnes. / Gloria Patri, Gentoque semper / Quique procedit Dus ex utroque / Trinitas Sancta respice dicentes / Hunc sacrum Hymnum.  Amen. / Ora pro nobis B. Antoni. Ut digni, etc. / Antiphona. / Almum diem recolimus celebritate annua Antonij, / Quem credimus intronizatum gloria, qui nobis velut / cupimus patrocinetur. Grandia patravit, ut iam vidimus, / patrat nunc, et Miracula, suis mente supplicibus / praebendo mira munera. Alleluia. / [V, p. 325] Oremus. / Deus cuius Maiestatem per universum Mundum Creaturae Tuae / Undique mirabilem potestantur, largire supplicibus tuis, / ut meritis, et intercessione Beatissimi Antonij Confessoris tui / de praesenti miseria ad aeternae Beatitudinis gaudia feliciter transeamus. / Per Christum, etc.

16 - Nel fine della Vita di questo Beato, mi giova di soggiungere, a maggior gloria di Dio, et honore del suo gran servo Antonio, ciò che nel fine della sua Relatione, più volte mentovata, conclude il Pizzichini, et è, che 40 anni prima, che egli mi mandasse la detta Relatione, cioè nell’anno 1611 essendo egli Religioso giovinetto, havendo osservato, che un Venerando vecchio di 90 anni, e più, chiamato Antonio Costantini naturale della detta Terra di Monteciano, huomo molto da bene, e gran divoto del B. Antonio, ogni giorno veniva nella nostra Chiesa, e stava una buon’hora orando dall’Altare del Beato; un giorno curiosamente l’interrogò nell’uscire, che faceva della Chiesa, qual beneficio particolare, conosceva egli, che facesse il Beato Antonio alla loro Patria commune di Monteciano, a cui il buon Vecchio rispose: Sappiate figliuol mio, che da’ nostri antichi Avoli, e Padri, io intesi da giovinetto, e l’ho poi toccato con mano nel lungo corso della mia decrepita età, che il nostro Beato Antonio fra l’altre molte gratie, che ha impetrate da Sua Divina Maestà, per beneficio di questa sua divota Terra, tre sono, altrettanto singolari, quanto continue; la prima è, che niun vero, e naturale della nostra Terra si riduce mai a tanta miseria, che habbi necessità di mendicare, come né meno alcuno si arricchisse di sorte, che habbi da tripudiare, come dir si suole, laonde ciascheduno nato nella detta Terra, può dire, che il Signor Iddio gli habbi concessa la gratia, che chiedeva il Savio, cioè di non essere astretto per la povertà a mendicare, ma di haver solo ciò, che basta per il necessario sostentamento della vita.

17 - La seconda gratia ottenuta dal nostro beato, è, che mai per causa di grandine non patisse la nostra Terra carestia di sorte alcuna. La terza finalmente, che da tempo immemorabile non si sa, che alcun vero Montecianese sia mai stato giustitiato, né tampoco morto in guerra, cosa in vero molto singolare. E soggiunge il Pizzichini, che nell’ultime turbolenze, che si videro nell’Italia, e precisamente nella Toscana, negli anni 1643 e 1644, con tutto che molti da Monteciano andassero alla guerra in servigio del Serenissimo gran Duca loro Signore, niuno vi restò morto, anzi tutti felicemente ritornarono alla Patria, la qual cosa non avvenne a gli altri de’ Paesi circonvicini, ed anche lontani, che pure andarono alla guerra.

18 - Don Gonzalo Ruiz Notaio maggiore di Castiglia, Aio dell’Infanta Beatrice figlia della Regina di Castiglia Donna Maria, già Moglie del Re Don Sancio il Bravo, gran divoto e benefattore liberalissimo dell’Ordine nostro, e specialmente del Monistero di S. Stefano fuori della Città di Toledo su la ripa del famoso Tago, fondato in un luogo detto la Solaniglia, havendo più volte considerato, che li Padri del detto Convento grandemente pativano, per l’aria poco sana di quel luogo, mosso di loro a pietà, supplicò la sudetta Regina D. Maria, a volere restar servita di concederli alcune Case, che ella possedeva dentro di quella Reggia Città, acciò li sudetti PP. si potessero in quelle trasferire, et ivi fondare un nuovo Monistero; e la detta Regina volendo compiacere questo divotissimo Cavaliere, si fece un libero dono delle dette Case, e li diede ampla facoltà di fondare l’accennato Convento per l’Ordine di S. Agostino, o pure un’Ospitale, overo altro Edificio Spirituale. [V, p. 326] Il Privilegio di questa gratia, fu dato in Vigliadolid a’ 30 di Decembre nell’Era 1349, cioè in quest’anno del 1311, e lo produce l’Errera nell’Historia del Convento di S. Agostino di Salamanca a carte 187 et è questo, che siegue fedelmente tradotto dall’Idioma Spagnuolo nel nostro d’Italia.

19 – Sappino quanti questa Carta vedranno, come Io Donna Maria, per la gratia di Dio Regina di Castiglia, di Leone, e Signora di Molina, concedo a voi D. Gonzalo Ruiz Notaio Maggiore di Castiglia, e Aio dell’Infanta Beatrice mia figlia, le Case, che io possiedo in Toledo nella strada di S. Martino, le quali furono di D. Federico, acciò facciate in esse un Convento dell’Ordine di S. Agostino, o pure un’Ospitale per i Poveri, o altro luogo Pio a vostro piacere, e ve le concedo libere, con la loro entrata, et uscita, e con tutte le sue appartenenze, in guisa tale, che non vi sia per me, né per altri a nome mio alcuna giuridittione, ma che siano vostre libere per farvi qual si voglia delle cose dette di sopra, e di questa gratia ho comandato, che vi si dia questa mia carta sigillata col mio Sigillo di cera pendente. Data in Vagliadolid alli 30 Decembre nell’Era 1349. Io Egidio Gonzalez la feci scrivere per comandamento della Regina, etc.

20 - Questo Principe poi nell’anno seguente donò le dette Case alli Padri sudetti del Convento di S. Stefano, li quali con la facoltà necessaria del Sommo Pontefice, vi si trasferirono, e diedero principio alla nuova Fondatione di un altro Monistero, come in quel tempo ampiamente vedremo, a Dio piacendo, con produrre la Bolla del Pontefice Clemente V.

21 - In quest’anno medesimo essendo vacata la Chiesa Cattedrale della Città di Castro nel Patrimonio di San Pietro, per la morte di Giacomo Vescovo di quella, fu creato in sua vece Vescovo della medesima Città F. Gregorio Bonfigli da Siena dell’Ordine nostro Eremitano dal Sommo Pontefice Clemente V. La Bolla della detta creatione si conserva nel Regesto Vaticano, et è per appunto l’Epistola 411, foglio 98, anno 6, tanto scrivono l’Errera nostro nel Tomo primo dell’Alfabeto Agostiniano a carte 293 e l’Abbate Ughelli nel Tomo primo in Ecclesia Castrensi colon. 619.

22 - Essendo parimente vacato il Vescovato di Città Nuova in Istria, fu dallo stesso Clemente V honorata la Religione di quella Chiesa nella persona di un suo Religioso per nome Pietro, la di cui Patria, Cognome, Provincia, convento, e Qualità, non l’habbiamo potuto rinvenire. Di questo F. Pietro non ne fa mentione l’Errera, perché non vide il quinto Tomo dell’Italia Sagra del sudetto Ughelli, il quale in esso lo registra fra li Prelati dell’accennata Città Nuova. La Bolla pure di questo Vescovo si conserva nel Vaticano Regesto, et è l’Epistola 980, foglio 167. Vedi l’Ughelli nell’accennato Tomo 5 alla colonna 222 nel fine.

23 – Dovendosi in quest’anno Coronare l’Imperatore Enrico VII nella Città di Monza, con la Corona di Ferro per lo Regno de’ Longobardi, furono invitati dall’Imperatore sudetto per assistere a quella maestosa funtione, non solo tutti i Principi, et altri Nobili Signori dell’Italia, ma etiamdio tutti li Prelati della Lombardia in particolare; e fra questi vi andò il nostro B. Teobaldo Vescovo di Verona, più volte da noi mentovato negli anni scorsi; tanto riferiscono Girolamo della Corte nelle sue Historie di Verona, et il nostro Errera nel Tomo 2 dell’Alfabeto Agostiniano a carte 436.

24 – E già, che abbiamo fatta mentione dell’Imperatore Enrico sudetto, fa di mestieri, che quivi riferiamo una giusta Sentenza, che egli diede per castigo di Giovanni d’Austria già Duca di Svevia, [V, p. 327] il quale, come già scrivessimo sotto l’anno 1308 crudelmente uccise Alberto d’Austria Imperatore suo Zio. Devesi dunque sapere, che questo mal consigliato Principe havendo commesso un così gran Patricidio, andò scorrendo per varie parti dell’Europa tutto ripieno di spavento, e di terrore, ma non trovando sicuro scampo in alcun luogo, finalmente prese consiglio di portarsi a piedi del Sommo Pontefice, per ottenere da esso perdono et aiuto; ma il Santo Padre, considerando, che Giovanni haveva ucciso un’Imperatore, stimò cosa conveniente il mandarlo per la penitenza al Successore del morto Principe, et egli subito ubbidiente venne in Italia, e portatosi alla Corte di Enrico, humilmente genuflesso a piedi di quella Cesarea Maestà, le chiese del suo gran fallo il perdono, e prontissimo si mostrò a farne la dovuta penitenza. Enrico dunque mosso a pietà di quel povero Signore, vedendo massime la di lui grande humiltà, altra penitenza non le volle dare fuori che questa, che andasse a Pisa, e nel Convento de’ nostri Padri prendesse l’Habito nostro Agostiniano, il che poi fece incontanente, et in quello perserverò fino al fine di sua vita con raro esempio di buon Religioso, come nel suo tempo col divino aiuto vedremo. Vedasi fra tanto Enea Silvio nell’Historia di Boemia, il Bzovio sotto il 1307 e l’Errera nel Tomo primo dell’Alfabeto Agost. a car. 461.

25 - Havendo la Città di Foligno per amore, et honore del nostro P. S. Agostino, donate a nostri Padri fin dell’anno 1308 alcune Terre, quali nell’Istromento della Donatione, chiama il Notaio Matorotia, et Carbonarias veteres, li sudetti Padri, qual se ne fosse la cagione, non ne presero il possesso per mezzo del loro Priore, salvo solo, che in quest’anno del 1311 alli 27 di Agosto; così nota il diligente Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a carte 255.

26 - Essendo già stato estinto nel Convento di Vienna di Francia, celebrato in questo e nell’anno seguente, l’Ordine de’ Cavalieri Templarj, il quale fra gli altri Conventi, o Commende, che nella Francia haveva, un’assai nobile ne possedeva nella Città di Bourges, di cui era Arcivescovo il nostro insigne Dottore il Beato Egidio Colonna, il quale bramando d’introdurre nella detta Città li nostri Padri, li quali stavano fuori in un’Eremo vicino (et haveva intorno a 100 anni d’antichità, questi alcuna cosa scrivessimo sotto l’anno di Christo 1228 nel Tomo 4 al numero 41) e vedendo una così bella, et opportuna occasione, supplicò la Maestà del Re Filippo, che si ritrovava presente nel detto Concilio, e del quale era stato già Maestro, a volerli far gratia di concedere quella Commenda, o Convento alli sudetti suoi Padri, acciò potessero entrare nella Città, et in quello fondarne uno di loro Religione; la qual gratia essendoli stata volontieri concessa dal Re sudetto, ottenne poi anche la facoltà necessaria di fare la detta Traslatione dal Sommo Pontefice Clemente V, tanto per appunto riferisce Giovanni Chenù nel Libro, che fa degli Arcivescovati et Episcopati della Francia, citato anche dall’Errera nel Tomo primo dell’Alfabeto Agostiniano a car. 122.

27 - Testifica parimente quest’ultimo Autore nel secondo Tomo dell’Alfabeto Agostiniano a carte 376 d’haver letto nell’Archivio nostro del Convento di S. Agostino di Roma, un’Istromento autentico, nel quale Maffeo Vescovo di Terni, dona a’ nostri Padri del Convento di S. Pietro della detta sua Città, la Chiesa di S. Bartolomeo Dursangnano, posta e situata in un luogo deserto della sua Diocesi, poco lungi della Città, affinchè ivi si potessero ritirare que’ Religiosi del detto Ordine, li quali fossero bramosi di più stretta osservanza; e ciò dice di fare: Maxime praecibus et gratia Fratris Simonis [V, p. 328] Rainalducij de Tuderto in ipso Ordine Lectoris, et  Amici nostri Charissimi. Era questi il Beato Simone da Todi dottissimo Lettore, e gran Predicatore della parola di Dio, il quale appunto predicando qui nella nostra Chiesa di Giacomo di Bologna l’anno 1322 alli 20 di Aprile santamente morì, havendo pochi giorni avanti predetta al Popolo la sua Beata Morte. Nel suo tempo, col divino beneplacito, ampiamente scriveremo i Miracoli grandi, che Nostro Signore operò per i meriti di questo suo gran Servo, doppo il suo felice passaggio al Paradiso, con altre cose molto importanti, e degne da sapersi.

28 - Siamo similmente certi, che in questo tempo la nostra Religione haveva un Monistero dentro della nobilissima Terra di Norsia, perochè nella Chiesa del detto Convento vi era una Compagnia di Huomini, e Donne divote, alla quale già in quest’anno concesse molte Gratie, e Privilegi il Generale F. Giacomo da Orti, quali si conservano nel detto Monistero; e la Carta della detta Concessione fu data nello stesso luogo a’ 25 di Giugno. Forse li nostri Padri doppo la grand’Unione, come altrove dicessimo, lasciati alcuni piccioli Eremitorj, che havevano fuori nel distretto di Norsia, entrarono dentro la Terra a fondare questo di cui hora habbiamo fatta mentione.