Tomo V

Anni di Christo 1340 - della Religione 954

1 - [V, p. 521] Finalmente in quest'Anno del Signore 1340 le cose di Bologna, che erano così sconvolte, col favore della divina gratia, e per la incomparabile moderatione di Tadeo Pepoli, che n'era il Signore, si ridussero al sommo d'una felicissima quiete; attesochè egli magnanimamente rinonciando la Signoria, che poco leggittimamente gli era stata dal Popolo conferita, nelle mani di Beltramino Paravicini Vesc. di Como, e Nuncio del Papa, gli fu poi incontanente da questo, per parte del Pontefice, dato il titolo di Vicario Pontificio nella medesima Città; e suo Contado, con obligo di dovere pagare ogn'Anno alla camera Apostolica, un Censo d'otto mila Scudi d'oro. Così per la virtù d'un così gran Cittadino, riacquistò Bologna, quando meno se lo pensava, la perduta Pace, et egli non perdè, anzi maggiormente si stabilì nella Signoria della sua cara Patria, quale poi resse, e governò per fin ch'ei visse con somma prudenza, giustitia, e pace. Tanto scrive il nostro Ghirardazzi nel Tomo 2 dell'Historia di Bologna a car. 156.

2 - Alboachemo Re di Marocco, quale dicessimo haver ricevuta nell'Anno scorso una Rotta notabile nelle Spagne da Alfonso XI di Castiglia, volendo farne in quest'Anno un'asprissima vendetta, fece per tanto nello stesso Regno ritorno con un Esercito di 600 mila Fanti, e 60 mila Cavalli, dandosi a credere di potere con una così smisurata, e numerosa Armata, distruggere, non solo i Regni delle Spagne, ma di vantaggio ancora tutti gli altri dell'Europa: ma rimase ben presto, col divino aiuto, e non senza manifesto Miracolo, deluso nel suo vano, e suberbo pensiero; attesochè essendosi, doppo varj raggiri, alla perfine affrontato con l'Armata Reale d'Alfonso, di lunghissima mano alla sua inferiore di numero, su le ripe del fiume Salo, e venute ambe l'Armate al fatto d'Armi, fu così grande la rotta, che diedero i Christiani a que' perfidi Saracini, che 200 mila, o come altri vogliono, 450 furono quelli, che restarono morti nel Campo, [V, p. 522] non essendo periti de' Christiani fuori che 20 soli; cosa in vero per ogni lato maravigliosa, anzi pure miracolosa. Così scrive il Mariana, uno de' più celebri, e veridici Scrittori dell'Historie di Spagna.

3 - Tomaso Errera, et altri Scrittori più classici dell'Ordine nostro, stimano, che il B. Enrico d'Urimaria imponesse glorioso termine, e fine alla sua santa vita in quest'Anno di Christo 1340 quali furono altresì da noi seguiti nelle nostre Centurie Agostiniane quando tessessimo un brieve Elogio delle sue sante, e dotte operationi, e precisamente nel capitolo 76 della seconda Centuria a car. 210 la ragione poi più principale, che a ciò credere indusse i nostri Autori, fu, perché di questo Servo di Dio da quest'Anno 1340 a basso, o poco, o nulla più di lui si tratta nelle nostre antiche Historie, e ne' Registri dell'Ordine, che però gli è necessario, che noi quivi diamo un brieve Compendio della Vita santissima di questo gran Servo del Signore.

Vita mirabie, e Virtù rare del Beato Enrico d'Urimaria.

4 - Quanto più chira, cospicua, et illustre rimase nella memoria de' posteri la fama della Santità, e Dottrina di questo glorioso Beato, tanto maggiormente oscura, e quasi totalmente incognita restò la notitia della sua Patria, e Parenti, imperciochè se bene in generale si sa, che egli fu di natione Alemanno, perochè sovente degli Autori viene chiamato il B. Enrico d'Alemagna, e fu fors'anche della Provincia di Sassonia, come pare che stimi l'Errera, nulladimeno non si può sapere in qual Patria precisamente egli nascesse; attesochè quantunque per ordinario venghi chiamato Enrico d'Urimaria, nulladimeno non siamo certi se questo fosse il nome della Patria, o del di lui Casato.

5 - Comunque sia, questo è fuori di dubbio, che essendosi egli fatto Religioso del nostro Sagro Ordine nel più bel fiore della sua adolescenza, e fatta in quello la solenne Professione, come fosse di buon'ingegno conosciuto, fu poi subito dalla Religione applicato allo studio delle Scienze più gravi, per un intiero triennio, in uno Studio della sua Provincia, come in que' tempi felici in tutto l'Ordine regolarmente osservasi. Nel termine poi del sudetto tempo, come fosse conosciuto dagli Esaminatori della sua Provincia habile a far passaggio dallo studio delle Filosofiche Scienze, a quello più grave della Sagra Teologia, gli è da Credere, che in qualche altro Convento facesse un altro corso nello studio di quella divina Facoltà.

6 - E perché in questi tempi li Studenti dell'Ordine, doppo haver studiato per un quinquennio intiero ne' Studi delle proprie Provincie, se bramavano poi di passare ne' Studj generali dell'Ordine, non solo a proseguire lo studio del rimanente della Teologia, ma anche poi per insegnarla ad altri in qualità di Lettore, doppo havere acquistato il grado di Baccilliere, era necessario, che si presentassero in un Capitolo Generale, per dovere essere esaminati, non solo dal Generale, ma etiamdio da tutti li Deffinitori del sudetto Capitolo; ci diamo perciò probabilmente a credere, che altrettanto facesse il B. Enrico, doppo ch'egli hebbe compito il quinquennio sudetto de' suoi primi studj nella sua Provincia. E se io fossi richiesto in qual Capitolo Generale egli fosse esaminato, io con molta probabilità risponderei, che fosse per aventura quello, che celebrato fu nella famosa Città di Ratisbona nell'Anno di nostra salute 1290 in cui sappiamo di [V, p. 523] certo (e lo riferisce egli medesimo nella sua brieve Cronica Agostiniana) che si trovò presente, e vidde alcuni Miracoli operati dalla Divina Bontà, per i meriti del B. Generale di quel tempo, che era il B. Clemente da Osimo; in questo Capitolo dunque, essendo stato egli esaminato, et approvato per ottimo, fu egli perciò mandato, come piace ad alcuni, a proseguire i suoi studj Teologici nel famosissimo Studio di Parigi.

7 - E perché il buon'Enrico sapeva, che per arricchire l'intelletto, così dell'humane, come delle divine Scienze, non vi era mezzo migliore, più certo, e sicuro del Santo Timore, et Amore di Dio, perciò egli fondando sopra questi due sicurissimi poli tutta la machina del suo studio, quindi non è poi maraviglia, se nello spatio di poco tempo divenne uno de' maggiori Letterati della Religione, come altresì nella Santità della vita, fece al pari dello Studio un maraviglioso avanzamento. E per tornare allo Studio, ritroviamo, che nell'Anno di Christo 1300 essendosi celebrato un Capitolo Generale in Napoli, fu egli da quello mandato a leggere il Maestro delle Sentenze in Parigi; essendosi ivi trovato presente anch'egli, ove fu, come stimiamo, di nuovo esaminato. Parimente nell'Anno 1318 essendosi altresì celebrato un altro Capitolo Generale in Rimini sotto il Generalato del famoso Alessandro da S. Elpidio, fu egli il B. Enrico, che nel detto Capitolo pur anche presente si ritrovò, destinato per uno degli Esaminatori de' Studenti della sua Natione Alemanna: dal che si vede in quanta stima fosse apresso de' Superiori maggiori, e di tutta la Religione, non tanto per la sua alta Dottrina, e Sapere, quanto per la sua rara Santità.

8 - Condecorato poscia del titolo di Maestro, che in que' tempi felici non si costumava di conferire, fuori che a Soggetti di consumatissimo sapere, fece nella Germania ritorno, ove esercitò per qualche tempo l'ufficio honorevolissimo di Reggente in alcuni Studj, così della sua, come d'altre Provincie ancora: e ciò diciamo, perché Felice Milensio nel suo Alfabeto Germanico Agostiniano, testifica d'haver letta, in un Codice antico del Convento nobilissimo di Praga, una memoria, dalla quale si cava, che il B. Enrico nostro fu Reggente di quello Studio, e che anche fu Provinciale di Sassonia. E ben felici si riputavano que' Religiosi, li quali sotto un Reggente così Dotto, e così Santo studiavano; imperciochè nello stesso tempo havevano un'ottima occasione di divenire anch'essi ben presto, e Dotti, e Santi; Dotti, perché egli usava ogni diligenza, e chiarezza possibile nell'insegnarli, e non permetteva mai, che perdessero il tempo, e che stassero otiosi, et usava poi con essi tanta carità, et amore, che anche li più infingardi si affaticavano più che potevano per darli gusto; attesochè molto si affligeva egli il Santo Maestro, quando scorgeva, che li suoi Scolari non facevano quel profitto, che haverebbe egli bramato, per maggior gloria di Dio, e beneficio della Religione. E se bene egli era oltremodo Dotto, nulladimeno, etiamdio fuori dell'ufficio di Reggente, studiava ogni giorno anche nella più decrepita età, con tanta applicatione, che attesta il B. Giordano di Sassonia, che molto ben lo conobbe, e fu fors'anche suo Scolare, che studiava egli più nella sua vecchiaia, che forse non faceva qual si voglia Lettore di primo tempo. Io dissi poi, che havevano occasione di divenire Santi, per il vivo esempio, che in esso lui havevano di tutte le più rare virtù, delle quali fra poco, ampiamente parlaremo.

9 - E non solo riuscì un'insigne Teologo, ma di vantaggio ancora divenne celeberrimo Predicatore, di sorte tale, che un altro simile non hebbe forse nel suo tempo tutta la Germania, che però non si può credere quanto fosse grande il profitto et il frutto, [V, p. 524] che egli faceva nell'Anime peccatrici; attesochè predicava egli con tanto spirito, e fervore, e con tanta carità, et amore, che ben'era di sasso quel cuore, che non si spezzava, e non si ammolliva a i colpi d'un così zelante Predicatore. E se bene, come disse l'Apostolo, Litera occidit, Spiritus autem vivificat; nulladimeno chi legge i suoi nobili Sermoni, che egli scrisse de' Santi, si sente intenerire per il fervore della carità, che fiammeggia in que' caratteri tutto che muti. Ma che maraviglia, che con le parole sul Pergamo facesse negli Uditori tanta commotione, se solamente nel vederlo tal'hora così modesto, e ben composto, così nel volto, come nel rimanente del suo corpo, destava ne' riguardanti la compuntione?

10 - Ma passiamo hoggimai a riferire i frutti più saporiti dell'Albero pretioso della sua Santità, e per camminare con ordine regolato cominciaremo dalla radice di tutte le virtù, cioè dalla santa Humiltà, della quale fu questo Servo di Dio così tenero amante, che quantunque egli fosse un Maestro così insigne nelle Scolastiche Dottrine, e nella Santa Predicatione, come habbiamo poco dianzi venduto, nulladimeno si riputava egli il più debole Soggetto della Religione, e faceva molta stima d'ogn'uno, benchè fosse ad esso lui di lunga mano in qual si sia cosa inferiore. E racconta il B. Giordano sopracitato, che se bene haveva un Religioso deputato dalla Religione, perché lo servisse, nulladimeno bene, e sovente non si sdegnava l'humile Enrico, di servire in molte cose il medesimo Servente.

11 - Et abbenchè fosse stato nello studio occupato, nulladimeno si applicava altresì di tal sorte alla santa Oratione, che tutto quel tempo, che gli avanzava al sudetto studio, et all'altre necessario funtioni, tutto lo spendeva, e di giorno, e di notte nell'Oratione. Et in ciò fare era tanto puntuale, che né meno quando viaggiava, e quando per infino mangiava, non cessava già mai d'orare, invitando ben'e spesso quelli, che vedeva disoccupati ad orare con esso lui, e specialmente a recitare l'Officio de' poveri Defonti, de' quali fu oltremodo divotissimo, che però recitava il detto Officio per essi, due, o tre volte il giorno per lo meno. Nel Choro poi, nel quale mai mancava, recitava l'Officio Divino con tanta divotione, et attentione, che si come con quella recava gran maraviglia, e stupore a tutti li Religiosi, così questi col vivo esempio d'un così Santo Maestro, procuravano di fare lo stesso.

12 - Ma che diremo della divotione, e del serafico fervore, col quale egli si preparava per celebrare la Santa Messa, e L'Angelico spirito poi il quale la celebrava? Il B. Giordano, quando parla di questo importantissimo particolare, pare che non sappia trovare parole per ispiegarlo, dice però, che celebrava la sudetta Messa con tanta aplicatione di spirito, e con tanta divotione, massime quando entrava nel sagro Canone, in cui registrati si leggono i più reconditi Misteri di quel sagrosanto Sagrificio, che non un'Huomo, ma un Serafino pareva: imperciochè vedevasi il di lui volto infiammato di celeste amore, ed egli tutto assorto, e rapito in Dio, non faceva altro, che piangere, e sospirare; laonde, chi ascoltava la sua Santa Messa, si sentiva crepare il cuore per la compuntione. Et a questo proposito riferisce il B. Giordano, che una volta trovandosi presente alla sua Messa un Giovine scapestrato, e disonesto, e vedendo questi la gran divotione, e fervore di spirito, col quale la celebrava quel Santo Religioso, si sentì di tal sorte commovere a penitenza, che si risolse di abbandonare il Mondo, e farsi Religioso nella medesima Religione di quell'Huomo Santo: laonde prostratosi ai suoi piedi, doppo la Messa, lo pregò a volerlo ricevere nel suo Ordine; ed egli con molta carità lo mandò ad un Monistero, ove era il Provinciale, [V, p. 525] acciò da quello fosse consolato nella sua richiesta, come bramava.

13 - Da quanto habbiamo fin qui detto puole ciascheduno comprendere quanto fosse grande, e smisurato l'amore, e la carità, che questo Beato Religioso portava al Benedetto Iddio, che però non sarà difficile il dare a divedere la grandezza altresì di quello, che al suo Prossimo portò; attesochè, oltre il zelo grande, con cui, come Maestro insegnava a' Scolari, e come Predicatore erudiva i Popoli, che l'ascoltavano, non mancava poi egli così nel Monistero, come fuori, di far conoscere, e provare a qual si voglia sorte di persone, et in qual si voglia occasione la sua gran carità, e ferventissimo amore, nel che fare mirabile specialmente si rese con i poveri Infermi: attesochè, come nota il sudetto Giordano, subito, che egli haveva celebrata la S. Messa, andava di primo tratto a visitare gl'Infermi, se ve n'erano nel Monistero, quali con parole dolci, e soavi consolava, e confortava, esortandoli a sopportare con molta patienza le infermità, che il Signor Dio, per beneficio dell'Anime loro, gli haveva mandate; per le quali non solo non havevano alcuna occasione di contristarsi, anzi che dovevano rendere molte gratie a S.D.M. per il favore, che fatto gli haveva: attesochè, come disse l'Apostolo, Virtus in Infirmitate perficitur; come volesse dire, che si come l'Oro nel fuoco si affina, così la Virtù de' Servi di Dio nel fuoco de' travagli, e dell'infermità, perfettamente si purga, e si raffina; ed era tanto caritativo il buon'Enrico con i sudetti Infermi, che se tal'hora vedeva qualcheduno d'essi, che si rendesse difficile per la soverchia nasuea di prendere i Cibi, e le Medicine, egli medesimo, per darli animo, e coraggio li faceva la credenza mangiando, e bevendo di quelle, ed in tal maniera poi faceva, che anch'eglino le prendessero.

14 - E qui non posso di meno di non riferire un caso molto esemplare, il quale grandemente esprime l'ardentissima carità di questo Servo di Dio verso del Prossimo, massime infermo. Stava di stanza nello stesso Monistero, ove egli dimorava, un Religioso, il quale essendo tutto ricoperto d'una minuta scabietta, la quale a gli occhi degli altri sembrava una contagiosa lepra, laonde, come se veramente fosse stato Leproso, così era da tutti gli altri Frati fuggita, et abborrita la pratica di quello, onde quel povero Religioso viveva in gran travaglio, et affanno: per la qual cosa il B. Enrico, mosso di lui a pietà, come era molto intendente della Medicina, tiratolo da parte, con molta diligenza l'esaminò sopra gli effetti, e gli accidenti del suo malore; a cui havendo pienamente sodisfatto l'infermo Religioso, conobbe il Servo di Dio, che quel suo male non era di lepra; laonde cominciò con esso lui a praticare con molta famigliarità, e ciò che maggiormente rilieva, volle che mangiasse vicino a lui nel suo proprio piatto, e che altresì bevesse nel suo proprio bicchiere. La qual cosa veduta da' Padri del Convento, come havevano in gran credito, e portavano gran riverenza all'Huomo di Dio, così deponendo ogni sospetto, tornarono a praticare, e conversare col detto Religioso.

15 - E perché egli non era uno di quelli, de' quali disse il nostro Redentore, che dicunt, et non faciunt; perciò quella patienza, alla quale esortava egli di primo tratto gl'infermi, che visitava, la praticava egli in se stesso, quando era infermo con tanta puntualità, che faceva inarcare le ciglia a chiunque lo visitava; imperciochè quantunque fosse fieramente dal male tormentato, nulladimeno stava egli con una faccia così ridente, che pareva, che non havesse alcun male, ma che più tosto godesse qualche delitioso contento: per la qual cosa restava ogn'uno in sommo grado edificato della di lui incomparabile patienza, e della gran conformità, che haveva con il divino volere; [V, p. 526] laonde tutti si partivano compunti, et emendati.

16 - Fu gran divoto della Passione di Nostro Signore, in corrispondenza della quale pativa poi egli con così lieta fronte qual si voglia male, o travaglio, che Sua Divina Maestà si degnava di mandarli per farlo partecipe del suo pretioso Calice. Fu altresì divotissimo di Maria sempre Vergine, alla protettione della quale continuamente raccomandavasi, e se bene era parimente divoto di tutti i Santi del Paradiso, nulladimeno con speciale divotione honorava, e riveriva la gloriosa Vergine, e Martire S. Catterina gloriosa Protettrice de' nostri Studj Agostiniani. E ben diede a conoscere questa sua gran divotione speciale verso la detta Santa, all'hora che compose, e divolgò quel bellissimo Libro de' Sermoni de' Santi, di tutto l'Anno, nel quale si vede, che la dove egli degli altri Santi fece due, o tre Sermoni, di questa Santa Martire poi ne fece dieci.

17 - Ma questa sua così particolare divotione dimostrava verso la sudetta Vergine benedetta, li fu abbondevolmente contracambiata da essa con molte gratie, e favori, che li fece ottenere dal Signore in varj tempi, et occasioni; e fra gli altri uno quivi mi giova di narrare, che fu in vero singolarissimo. Eravi nella Provincia nostra di Sassonia un Monistero vicino alla Città di Graveronde, nella Chiesa del cui Convento v'era una Capella, od Altare, in cui si conservava, con molta riverenza, un'osso picciolo di Santa Catterina, il quale, già molto tempo prima, soleva stillare hora latte, hora Oglio, et hora pretioso liquore; ma erano già passati molti Anni, che non haveva prodotta la sudetta miracolosa maraviglia. Hora essendo una talvolta andato il B. Enrico nel mentovato Convento, e volendo celebrare la S. Messa nell'Altare della sua grande Avocata, con la sudetta Reliquia esposta, ecco, che mentre stava il Santo Sacerdote nel maggior colmo della sua fervorosa divotione, cominciò quell'Osso benedetto a stillare, come già fatto haveva ne' tempi antichi, uno de' sopradetti pretiosi liquori; con il quale Miracolo volle dimostrare, che il B. Enrico era suo caro, et amato Capellano. E da questo nobile prodigio devono imparare tutti li Reggenti, e Studenti dell'Ordine, a proseguire generosamente nella divotione di questa loro gran Protettrice, attesochè possono stare certi, e sicuri, che sì come il B. Enrico, che ne fu così svisceratamente divoto, ottenne per mezzo suo, dal Datore d'ogni bene, gratie così singolari, e segnalate; così essi otteranno, per mezzo della medesima, quanto sapranno bramare, e massime l'acquisto delle virtù, se ne saranno veri divoti, come fu questo glorioso Beato.

18 - Ma tempo è hormai, che ci aviciniamo al racconto di quanto gli avenne poco avanti, che egli terminasse il beato corso di sua santissima vita. Era egli il Beato Enrico arrivato all'Anno settantesimo terzo, e forse più di sua età, quando il benignissimo Iddio, per sua somma misericordia, si compiacque di visitarlo con una gravissima infirmità di renella nelle reni, e di calcoli ne'fianchi, e di pietra nella vessica; non tanto per finire per aventura di purgare qualche reliquia di peccati, quanto per ricolmarli maggiormente l'Anima di meriti, e di virtù. E quantunque fosse quasi del continuo fieramente cruciato da que' tormentosi dolori, nulladimeno, tanto è lontano, che egli già mai si lamentasse, o si dolesse, che anzi rendeva continue gratie al Signore, che degnato si fosse d'honorarlo con il favore del suo paterno castigo; laonde mi persuado, che sovente dicesse col Re Profeta: Virga tua, et Baculus tuus ipsa me consolata sunt. E non ostante, che per li sudetti dolori fosse necessitato di stare ben'e spesso nel letto; nulladimeno non tralascio già mai ogni [V, p. 527] giorno lo studio della Sagra Scrittura, né le sue consuete orationi, e gli altri suoi cotidiani esercitij spirituali, come né tampoco tralasciò d'accudire a' publici interessi della Religione; anzi che quanto più si sentiva stringere dalle sue pennose infirmità, tanto più si studiava egli di velocemente correre alla maniera d'un generoso Cavallo, nel beato camino della santa perfettione.

19 - Due Mesi poi avanti il suo felice passaggio, volle parimente Iddio visitarlo di nuovo con una pennosa Paralisia nella lingua, a segno tale, che o non poteva parlare di sorte alcuna, o se pure alcuna parola proferiva, ciò faceva con tanta imperfettione, che difficilmente intendere si poteva; laonde visitandolo in questo stato il suo P. Provinciale, e grandemente compatendolo, per consolarlo li disse: "Padre Maestro voi nell'eloquenza havete mai sempre di lunga mano superati tutti li più eccellenti Oratori, e Predicatori di queste nostre parti, hora non puol'essere, che qualche volta non habbiate sentito, e fors'anche ammesso qualche solletico di vana compiacenza; hora Nostro Signore per farvi finire di purgare questo poco di fumo in questo Mondo, v'ha perciò mandato hora questo poco di male nella lingua". Alle quali sensatissime parole, essendo stato molto attento il Santo Vecchio, il tutto poi, e con parole imperfette, e con i cenni del capo, e delle mani, e con un diluvio di lagrime, humilmente confirmò.

20 - Avicinandosi finalmente l'hora estrema della sua santa morte, divennero le sue guancie, benchè smodatamente estenuate, e smagrite, così per quella longa infirmità di due Anni, come per longhe sue penitenze, digiuni, et astinenze, così vaghe, e colorite d'un colore, che pareva di Rose vermiglie, come se fosse stato un giovinetto di 18 o 20 Anni; il qual colore vermiglio ben chiaramente dimostrava lo splendore della purissima Anima sua: la qual cosa, come fu molto bene osservata da un valente Maestro dell'Ordine de' Minori, il quale doveva recitare l'Oratione funebre nelle di lui Esequie, così si compiacque di manifestarla al Popolo, che numeroso si ritrovò presente a quella pietosa funtione. Ecco le di lui formali parole, come le riferisce il nostro B. Giordano: "Nos visitavimus eum in lecto, et eum vidimus sicut unum Angelum Dei: et Genae eius rubore quodam Roseo perfundebantur, qui fulgorem eius mentis indicabat". Quando poi finalmente stava già per spirare nelle mani di Dio la Santa Anima sua, e volendoli il Provinciale dare l'Assolutione generale, e la Benedittione Pontificia con alcune Gratie, et Indulgenze, che impetrate haveva dal Sommo Pontefice, li Religiosi genuflessi recitarono divotamente la Confessione generale, et il Santo Vecchio con gran spirito, e divotione riceve la sudetta Assolutione, e Benedittione, e poscia essendosi stato nello stesso punto miracolosamente restituito da Dio l'uso, et officio libero della lingua, fissando gli occhi nel Cielo, con ben chiare parole disse: "In manus tuas, Deus Pater commendo Spiritum meum. In manus tuas, Deus Fili commendo Spiritum meum. In manus tuas, Deus Spiritus Sancte commendo Spiritum meum". E ciò detto placidamente, a guisa d'uno, che quietamente dormisse, rese la felicissima Anima sua nelle mani delle tre Divine Persone, alle quali con tanta fede raccomandata l'haveva.

21 - Essendo poi stato portato il di lui Santo Cadavere con ogni più solenne pompa nella Chiesa, e concorrendo in copia grande il Popolo a vedere, et a riverire, ed honorare il Venerando Corpo di quel Santo Religioso, et a baciare altresì le di lui sagratissime mani, avenne, che fra gli altri si accostò parimente al sagro Feretro una Venerabile Religiosa dell'Ordine nostro, la quale per lo spatio di molti Anni era stata travagliata da un continuo dolore di capo, accompagnato da una tormentosa [V, p. 528] vertigine; laonde tutta confidata nella Divina Misericordia, e nella Santità del Beato Defonto, con la sua mano toccò la di lui Santa Faccia, e poi con la medesima maneggiò il proprio capo, e faccia, et in un momento, per i meriti del B. Enrico, scorrendoli per la stessa faccia un pretioso sudore, restò perfettamente libera, e sana da que' suoi antichi, e molesti malori. Altri molti Miracoli, e Gratie, fece Iddio benedetto, per l'intercessione di questo suo gran Servo, a prò, e beneficio de' suoi divoti, come riferisce il Ven. P.F. Alfonso d'Orosco nella sua Cronica Agostiniana, de' quali non fecero particolar memoria gli antichi Scrittori dell'Ordine.

22 - E perché habbiamo fin qui riferita con qualche esatezza la santa Vita, e gloriose Virtù di questo gran Servo di Dio, stimiamo altresì essere nostro debito di quivi produrre le Opere più gravi, che egli, come Maestro dottissimo, in vita sua scrisse, e divolgò; le quali ancora furono registrate dal B. Giordano di Sassonia (il quale, come habbiamo più volte replicato, fu suo contemporaneo, e più volte lo vidde, lo conobbe e praticò) nel cap. 22 del secondo Libro delle Vite de' Frati, e queste sono le seguenti, cioè: Un Volume sopra l'Etica d'Aristotile. Un Libro molto dotto di Sermoni de' Santi di tutto l'Anno, il quale fu dato alle Stampe da Mattia Hirshbergh Baccilliere de' sagri Canoni nella Città d'Hagenau nell'Alsatia l'Anno 1513 il cui titolo è questo: Opus Sermonum exactissimorum de Sanctis per excellentem, ac vere Seraphicum Doctorem Sacrae Theologiae Professorem Henricum de Urimaria Augustinianum. Una Lettura sopra il Capitolo Cum Marthae etc. de celebratione Missarum. Un Libro de perfectione Hominis. Un altro de Exemptione. Due Quolibeti di questioni disputate in Parigi. Un altro Volume di Sermoni, e Trattati Predicabili. Molt'altre Opere commemora, oltre di queste, il Panfilo nella sua Cronica Agostiniana, quali si possono vedere in quella da' curiosi a car. 41.

23 - E per non tralasciare alcuna cosa, che di questo Beato dir si possa, concludiamo, in fine, che di questo grand'Huomo hanno scritto, e trattato con somma lode moltissimi Autori, così nostri, come esteri: de' nostri in primo luogo ne scrisse con molta esatezza il sopramentovato B. Giordano di Sassonia in varj Capitoli del libro 2 delle sue Vite de' Frati, e precisamente nel quarto, nell'undecimo, nel duodecimo, nel terzodecimo, nel decim'ottavo, nel decimonono, nel vigesimosecondo, e nel vigesimosettimo. Il Coriolano nella sua Cronica. Giacomo Filippo da Bergamo nel Supplemento delle Croniche del Mondo. Alfonso d'Orosco, e Gioseffo Panfilo Vescovo di Segni, nelle loro Croniche Agostiniane. Il Card. Seriprando ne' Commentarj dell'Ordine. Nicola Crusenio nel suo Monastico. Giovanni Marquez nell'Origine de' Frati Eremitani. Andrea Gelsomini Vescovo d'Ascoli in Puglia nel suo Tesoro della Divotione di Maria sempre Vergine. Tomaso Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto, e tutti gli altri passim. Degli esteri poi, Giovanni Tritemio ne' suoi Scrittori Illustri. Raffaelle Volaterano nella sua Antropologia. Antonio Possevino nel suo Apparato Sagro. Roberto Card. Bellarmino nel Catalogo de' Scrittori Ecclesiastici, e molti altri di minor conto, quali per brevità si tralasciano.

24 - Scrive altresì Giovanni Pitseo Scrittore cattolico, e pio, Inglese, nel Catalogo, che egli compose de' Scrittori Illustri di quella nobilissima Natione nell'Età decimasesta a car. 441 che intorno a questo tempo cessò di vivere fra mortali un gran Maestro, e Dottore di nostra Sagra Religione nel Convento d'Hunctintonia, il quale [V, p. 529] chimavasi F. Rugiero Glacton, o Glaston: e soggiunge, che essendosi fatto Religioso nell'accennato Convento in età assai matura, nulladimeno, come forse nel Secolo haveva atteso allo Studio, in brieve tempo fece un progresso così grande, doppo che fu Religioso, nella Sagra Teologia, che fece risuonare grandemente la sua fama dentro, e fuori del Regno per ogni lato; laonde non solo fu Dottore, e Maestro della famosa Accademia di Cantabrigia, ma di vantaggio ancora, come testifica il citato Pitseo, scrisse alcune Opere con stile modesto, e grave: e fu molto versato nelle Lettere humane, e ciò, che maggiormente rilieva, per testimonio del medesimo Autore, fu non meno Santo, che Dotto, che però fu grandemente stimato da' Buoni, e specialmente fu in gran pregio, e stima appresso di Roberto Vescovo Sarisburiense, Prelato, il quale, come era di ottimi, e santi costumi, così sopra d'ogni altro suo pari stimava, et amava gli Huomini Santi, e Dotti. Fu Provinciale dell'Inghilterra, e finalmente fatto vecchio terminò santamente la vita nel suo Monistero. Trattano di questo Religioso, oltre il Pitseo, alcuni nostri Autori, e specialmente il Panfilo a car. 59 e l'Errera nel Tomo 2 dell'Alfabeto Agostiniano a car. 347. Vero è, che il Panfilo stima, che morisse nell'Anno del 1366 noi però ci diamo a credere, che si debba dare maggior fede al Pitseo, come Scrittore nationale dello stesso Regno d'Inghilterra.

25 - Il sopracitato Pitseo fa mentione altresì nel sudetto suo Catalogo de' Scrittori Illustri dell'Inghilterra d'un altro famoso Maestro di quella nostra Provincia, figlio del Convento di Nortamptona, per nome F. Galfrido Gransfeldio, il quale fu Dottore dell'Universita di Cantabrigia, e diede alla luce alcune Opere molto dotte. Soggiunge l'Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto a carte 294 che essendo poscia passato questo valente Maestro in Roma, fu molto caro ivi, e molto famigliare d'un Cardinale, che era Vescovo Tusculano, da cui anche fu molto favorito. Aggiunge poi, che fu creato Vescovo da Papa Benedetto XII il quale lo mandò in Inghilterra (forse Suffraganeo di qualche Vescovo grande di quel Regno) ove finalmente in quest'Anno del 1340 essendosi ritirato nel Monistero di sua Professione, terminò con molto esempio la vita.

26 - Fioriva pur anche in questo medesimo tempo un altro famoso Soggetto della medesima Provincia d'Inghilterra, chiamato F. Roberto Elifat, il quale havendo studiato in Parigi sotto l'acutissimo Gregorio da Rimini nostro, divenne poi anch'egli un dottissimo Maestro, e fra l'altre Opere, che diede alla luce, fu un nobilissimo Volume, che compose sopra il primo delle Sentenze, quale fu molto stimato dalla Republica Letteraria, e questo si conserva nella nostra Libraria del gran Convento di Parigi. Dice l'Errera nel Tomo 2 dell'Alfabeto a carte 337 che alcuni lo fanno Francescano, ma certo per errore. Aggiunge di vantaggio il Pitseo nel suo Catalogo de' Scrittori dell'Inghilterra a carte 443 haver lasciato scritto alcuni Autori, che il detto Roberto fosse finlmente creato Arcivescovo Armacano; del che rimangane la fede appresso di quelli.

27 - E già, che siamo entrati a favellare degli Huomini Illustri di nostra Religione Inglesi, un altro quivi pure produrre ne dobbiamo per nome Odoardo, il quale dal nostro Crusenio viene chiamato Inglese, et essendo Capellano di Lodovico di Baviera Imperatore, fu da esso mandato in quest'Anno suo Legato alli due Re di Francia, e d'Inghilterra, affinchè per sua parte procurasse di mettere pace fra quelle due Corone: così scrive Tomaso Vualsingamo citato dal sudetto Crusenio nel suo Monastico Agostiniano, e dall'Errera nel Tomo primo del suo Alfabetto a carte 214.

28 - [V, p. 530] Dobbiamo parimente far quivi honorata memoria di due Nobili Alunni del nostro insigne Monistero di S. Spirito di Firenze, l'uno chiamato F. Agostino, e l'altro Angelo: fa poi di mestieri, che ambi fossero molto celebri nella dottrina, e nel sapere, attesochè così l'uno, come l'altro, fu honorato da que' Padri antichi con Sepolcro particolare, e sopravi un'Epitaffio, cosa molto insolita, massime in que' tempi più semplici de' nostri; dal che chiaramente si deduce, che fossero molto eccellenti, come habbiamo detto di sopra, nella Dottrina, altrimente non si sarebbe stato fatto un tale honore. Diamo hora l'Epitaffio del primo, come produce l'Errera: Augustinus Ego fueram, Florentia mater / Est mihi, sed Theologia Sacra sub ordine fecit/ Professorem olim Augustini. En marmore claudor. Non produciamo l'Epitaffio del secondo, perché il sudetto Autore non lo produce.

29 - Ritroviamo ancora, che in questo medesimo Anno del 1340 D. Giovanni Emanuelle stretto parente di D. Alfonso XI Re di Castiglia gran Benefettattore dell'Ordine nostro, con un suo Privilegio, concesse alcune Gratie al Monistero di S. Maria in Porto nella Terra nobile di Salmerone; per il quale parimente costa, che nello stesso tempo fece dono d'alcune pretiose cose allo stesso Convento. E queste gratie non ha dubbio, che furono fatte da questo Principe al sudetto Monistero per far cosa grata ad Egidio Martinez suo gran favorito, il quale era stato fondatore di quel Convento, come nel suo luogo vedessimo. Vedasi l'Errera nel Tomo 2 dell'Alfabeto a carte 416 ove cita il mentovato Privilegio, e dice, che fu dato in Siviglia a 15 d'Ottobre di quest'Anno presente.

30 - Dobbiamo quivi avertire, che il Monistero di Graveronde nella Provincia di Sassonia, di cui habbiamo fatta mentione più sopra nella Vita del B. Enrico d'Urimaria sotto il num. 17 era assai più antico di quest'Anno; attesochè l'Osso di S. Catterina, il quale nella Chiesa di quello si conservava, erano molti Anni, che non stillava alcun Liquore, come già haveva fatto ne' tempi più antichi, e cominciò poi a stillarne di nuovo alcuni Anni prima, che terminasse di vivere il sudetto Beato, et in conseguenza prima di quest'Anno. Quando poi fosse fondato, e chi ne fosse il Fondatore, è totalmente incerto.

31 - Lo stesso avertimento dobbiamo fare intorno all'antichità degli altri due Monisteri da noi poco dianzi mentovati, cioè d'Hunctindonia, e di Nortamptona, ambi della Provincia d'Inghilterra, li quali, se bene è certissimo, che furono più antichi di questo tempo, nulladimeno non potiamo né meno di essi assegnare il vero, e certo tempo della loro Fondatione, come né tampoco ridire sapiamo da chi fossero fondati: questo ben si certamente ci persuadiamo, che fossero molto antichi, e che fors'anche fossero in piedi prima della grand'Unione generale.

32 - Lo stesso parimente dobbiamo concludere dell'insigne Monistero, che già havessimo poco tratto fuori della nobilissima Città d'Augusta, il quale, benchè sapiamo essere stato più antico di quest'Anno presente del 1340 nulladimeno ci è totalmente ignota l'origine, e principio di quello. Solo dunque sapiamo, che in quest'Anno fu arrichito con molti Beni, e Facoltà da Uldarico III Conte Moringense, et Ilfugiense: tanto per appunto riferisce Vuolfango Lacio lib. 7 de Migrationibus gentium Cent. 10 a car. 66 e 415 e lo stesso del detto Autore riferiscono il Romano, il Crusenio, e l'Errera.

33 - Sotto l'Anno 1330 doppo havere registrata la Fondatione dell'insigne Monistero di S. Catterina al Monte di S. Gaio di Monache Agostiniane fuori di Firenze, e di quello delle Convertite dentro della Città, pure di nostre Monache, ambi fondati dal nostro B. Simone da Cassia; dassimo poi sotto il numero 35 per maggior sodisfattione de' Lettori un succinto Catalogo di altri undici Monisteri di nostre Religiose esistenti fino al giorno d'hoggi dentro, e fuori della sudetta Città. Uno poi di questi fu il Venerabile Monistero di S. Maria in Portico, due miglia fuori della Porta di S. Pietro Gattolino, quale dicessimo essere stato fondato in quest'Anno. Per intelligenza dunque gli è da sapersi, che una certa Donna chiamata Benvenuta, già figlia di Duccio, e Moglie di Francesco Morelli, essendo rimasta Vedova, e bramando di spendere le sue Entrate, e Facoltà in Opere pie, sul principio di quest'Anno nel giorno 25 di Gennaio, ispirata da Dio, deliberò di fondare un Monistero di Monache Agostiniane fuori dell'accennata Porta di S. Pietro Gattolino nel Commune di S. Lucia a Massa, in un luogo chiamato il Portico, due miglia distante dalla Città; il che pose ben presto in esecutione, e lo riempì di buone, e perfette Religiose: si è poi sempre conservato fino ai nostri tempi nella primiera perfettione, e fervore di spirito, laonde è sempre stato tenuto in molta veneratione dalla Città: è consagrato alla dedicatione di S. Maria della Neve, ed è ripieno della prima Nobiltà di Firenze: si chiama poi Santa Maria in Portico, sì perché quel luogo con nome tale anticamente chiamavasi; e sì anche per essere il detto Monistero vicino ad un famoso Macello, chiamato il Portico; e con questo daremo fine al presente Anno.