Tomo V

Anni di Christo 1343 - della Religione 957

1 - [V, p. 538] Havendo, Lodovico di Baviera procurato per mezzo de' suoi Ambasciatori, d'ottenere dal nuovo Pontefice l'Assolutione delle Censure Ecclesiastiche, con le quali era stato giustamente legato dalli due Pontefici già defonti, Giovanni, e Benedetto; pronto si dimostrò il Santo Pastore a compiacerlo, pur che egli havesse deposto l'imperio; che non havendo egli volsuto in nissun conto fare, rimase, come prima, Scommunicato, e maledetto. Bzovio, Rainaldi, Tritemio, et altri.

2 - [V, p. 539] Essendo rimasta la Religione nell'Anno scorso del 1342 senza il suo Capo Generale, per essere stato il Beato Guglielmo da Cremona creato Vescovo di Novarra, si celebrò per tanto il Capitolo Generale nel Monistero insigne di S. Marco di Milano per creare il nuovo Capo, et in effetto nel primo giorno di Maggio, in cui cadde la Solennissima Festa dell'Ascensione di Nostro Signore, fu da'Padri Capitolari eletto Generale di tutto l'Ordine, il non meno Santo, che Dotto Maestro F. Dionigio da Modena, il quale haveva forse governata la Religione in qualità di Vicario Generale Apostolico dal tempo dell'assuntione del Generale Guglielmo al Vescovato di Novarra. Così scrive Gioseffo Panfilo nella sua Cronica Agostiniana a carte 53.

3 - In questo Capitolo furono fatti alcuni Decreti, o Statuti per il buon governo dell'Ordine, e fra gli altri mi giova di notarne uno, che mi sembra molto bizzarro; e fu, che in verun Convento non potessero stare più Maestri, eccettuati solamente li Conventi di Parigi, e di Lione in Francia, e di Ossonio, e di Cantabriga nell'Inghilterra, per essere questi Monisteri solenni di studio, ne' quali erano mandati da tutte le Provincie dell'Ordine valenti Baccillieri a leggere i quattro Libri del Maestro delle Sentenze: e così poi compita la detta Lettura ricevevano la Laurea Magistrale, se però venivano approvati dal P. Generale, e da' PP. Deffinitori ne' Capitoli Generali. Di questo Decreto ne fa mentione il P. Errera nel Tomo primo dell'Alfabeto in Conventu Cantabrigiae a carte 168.

4 - E qui non potiamo di meno di non soggiungere, che in questo Capitolo non solo si ritrovo presente, forse come Deffinitore, il B. F. Giordano di Sassonia; ma di vantaggio ancora ritroviamo, che egli fu mandato in Avignone a portare gli Atti dello stesso Capitolo al Sommo Pontefice, acciò fossero dalla Santità Sua confirmati. E di questa verità ne rende chiara testimonianza lo stesso Giordano nel Cap. 14 del lib. 2 delle Vite de' Frati, il quale di più anche dice, che havendo egli presentati li sudetti Atti, e Statuti al Santo Padre, egli approvò, e lodò, così l'elettione del Generale, come gli Atti, e Statuti metovati, ma non li confirmò; e di tale cosa io ne restai, dice Giordano, molto lieto, et allegro; attesochè se gli havesse confirmati con la pienezza della sua Apostolica Autorità, non gli havrebbe mai più potuto mutare, occorrendo, la Religione, senza l'Autorità dello stesso Pontefice, o d'altri suoi Successori, essendo ciò specialmente vietato da' Sagri Canoni: Extra de Confirmatione, Venerabiles, et Cap. cum accessissent, et Extra, de Constitutione Cap. cum M. Ferrariensis, etc. . E da qui manifestamente si convince, che questo Servo di Dio era in questo tempo huomo di matura, e provetta età; perochè non haverebbero il Generale, et i Padri del capitolo già mai eletto un Religioso giovine a fare una funtione cotanto grave, et importante; laonde improbabile si rende l'opinione di quegli Autori, li quali asseriscono, che questo Beato sopravivesse fino all'Anno del Signore 1410.

5 - Sono di parere alcuni gravi Autori dell'Ordine nostro, e specialmente il Panfilo, il Crusenio, e l'Errera, che in quest'Anno medesimo terminassero con una morte gloriosa, il beato corso delle loro santissime Vite, due gran Servi di Dio di nostro sagro Istituto, l'uno figlio, et alunno della Provincia di Siena, e l'altro di questa nostra di Romagna; il primo hebbe nome Pietro, e fu Sanese, ma perché per la maggior parte di sua vita habitò nel solitario, e divoto Eremo di Rosia, perciò da molti ancora viene dal detto luogo denominato; e perché quasi continuamente piangeva, si acquistò per tanto il nome autonomastico di Piangente. L'altro poi chiamavasi Gregorio, e fu Figlio del Convento di Sant'Agostino [V, p. 540] della Nobil Terra di Verucchio. Tesseremo dunque in primo luogo la Vita del Beato Pietro, e poi apresso daremo altresì un sufficiente saggio di quella del Beato Gregorio, e sarà più copiosa dell'altre fin'hora publicate.

Vita Santa e mirabile del B. Pietro da Siena alias da Rosia detto il Piangente

6 - La poca diligenza de' nostri antichi Scrittori, come ha tralasciato di registrare le memorie di moltissimi Servi, e Serve di Dio, con le loro eroiche Virtù, e stupendi Miracoli illustrarono in varj tempi la Religione; così di que' pochi, de' quali hanno fatta mentione, sono stati così scarsi, che fuori del nome, e di alcune altre poche Virtù, e Miracoli loro, hanno lasciato il rimanente ricoperto con un profondo silentio. E questa disgratia appunto è avvenuta al B. Pietro, di cui hora intraprendiamo a riferire la Vita: imperciochè se bene ci dicono, che egli fu Cittadino Sanese, nulladimeno poi ci occultano, così il nome de' Genitori, come la qualità della di loro Prosapia.

7 - A noi dunque resta solamente da dire, che essendosi fatto nostro Religioso Agostiniano nel primo fiore della sua giovinezza nel terreno Paradiso del Santo Monistero di Lecceto, come vogliono gli Autori Leccetani; si diede egli ben tosto con tanta aplicatione ad imitare le più rare, e le più eroiche virtù praticate da que' benedetti Religiosi, che in brieve tempo divenne egli un vivo specchio di quelle, e di altre anche maggiori a qualunque di loro; attesochè ne' digiuni, e nelle astinenze, nelle discipline, e nelle macerationi, e mortificationi del senso, e della carne, era più amirabile, che imitabile.

8 - Così dunque essendo stato ammesso con allegrezza, et aplauso universale, alla solenne Professione da que' buoni Padri, et a suo tempo essendosi ancora ordinato Sacerdote, come conoscessero i Superiori essere questo Servo di Dio grand'amatore della Solitudine, tanto propria del nostro Eremitano Istituito, lo mandarono per tanto di stanza nel sopramentovato divotissimo Eremo di S. Lucia della Valle di Rosia, luogo distante da Siena intorno a nove, o dieci miglia. Vedendosi dunque il buon F. Pietro ridotto in quel sagro Monistero tanto proportionato al Religioso suo genio, diede ben tosto principio ad una vita cotanto aspra, ed austera, che quella, che pure asprissima menata haveva, per alcuni Anni, nel Convento di Lecceto, delitiosa, e soave sembrava in comparatione di questa. E fa l'altre sue virtù, e mortificationi praticate da esso in questo sagro Eremo, viene singolarizzata, et in grado eroico magnificata quella delle continue lagrime, che egli alla maniera del Re Profeta, giorno, e notte spargeva, che però, quasi nuovo Eraclito di Paradiso, da chiunque lo vedeva, e lo conosceva, era volgarmente chiamato, non più F. Pietro da Siena, o da Lecceto, o da Rosia, ma ben si F. Pietro il Piangente.

9 - Che se poi alcuno santamente curioso mi addimandasse per qual cagione il B. Pietro ad ogn'hora così incessantemente piangesse, io prontamente risponderei, che ciò primieramente faceva, per non degenerare dal Principe degli Apostoli, il di cui nome degnamente portava, il quale, non così tosto si vidde nella Casa di Caifasso, rimproverare da Christo con un sguardo misto di pietà, e di sdegno, per la triplicata negatione, poco dianzi da esso fatta della sua divina Persona, quando subito uscendo fuori di quell'infame Albergo di Satana, diede principio ad un'amaro pianto, che non hebbe mai [V, p. 541] fine, se non col termine della sua santa vita. Hor così il nostro novello Pietro bramando anch'egli, alla maniera del suo grand'Avocato, cancellare quelle poche colpe, che forse nel Secolo commesse haveva, non cessò mai di piangere amaramente fin tanto c'hei visse.

10 - Potressimo soggiungere in oltre, che così del continuo dirottamente piangeva, perché sapeva havere insegnato il Saggio ne' suoi misteriosi Proverbj, che il riso vano di questo Mondo, con strana metamorfosi nell'ultimo si cangia, e si trasforma in quell'eterno pianto, che nell'Inferno fanno l'Anime de' Dannati: Risus dolore miscebitur, et exstrema gaudij luctus occupat. Et all'incontro ricordavasi di haver letto nel Salmo 125 che il pianto, e le lagrime, che dall'Anime divote vengono seminate nel tereno di questa bassa valle di miserie, producono poi nel fine la felicissima messe dell'Eterna Gloria del Paradiso; qui seminant in lacrimis in exultatione metent. Verità così certa, e così chiara è questa, che per infino il Demonio, nemico mortale d'ogni bene, non solo la conosce, ma di vantaggio ancora una tal volta, per divino volere (come ci ricordiamo di haver letto in un'antico Libro spirituale) con la lingua d'un'Invasato, la predicò a certi Giovinastri scapestrati, li quali sgangheratamente ridevano per le sciocchezze, che quell'Ossesso diceva, mentr'era scongiurato da un Sacerdote; perochè nello stesso tempo con tre versi Leonini, mortificò lo sfacciato riso loro nella seguente guisa, non so se cantando, o pur piangendo: Non est ridendum, magis est hoc tempore flendum./ Qui non lugebit, flendi dum tempus habebit,/ Aeterno luctu lugebit, sed sine fructu.

11 - Aggiungiamo altresì che il nostro Penitente Pietro, così abbondevoli lagrime degli occhi continuamente spargeva, perché haveva imparato nella lettura della Sagra Scrittura, che le lagrime sono quelle pretiose Margarite, le quali più d'ogn'altra gemma spirituale, sono care al gran Re della Gloria, che però vuole, che sempre stiamo davanti a' suoi occhi divini; onde delle sue lagrime parlando col Signore il Re Profeta, diceva: "Posuisti lacrimas meas in conspectu tuo". Hor così il nostro Beato bramando di rendersi caro, ed accetto, e di fare altresì cosa grata al suo benignissimo Signore, perciò procurava di porre sempre davanti a gli occhi della sua Divina Bontà, le divote lagrime sue.

12 - E perché all'hora più che mai diramava da gli occhi un diluvio copioso di lagrime, quando stava genuflesso orando davanti l'Immagine del suo Crocefisso Signore, mi si potrebbe chiedere, perché ciò quivi, più che altrove, con tanta abbondanza facesse. Io per tanto di nuovo risponderei, che a ciò fare l'induceva un gravissimo documento dato generalmente dall'Apostolo S. Paolo a tutti i Fedeli, il quale è questo: Che chiunque brama di essere ammesso alla participazione della Gloria di Christo, fa di mestieri, che egli parimente entri a parte de' patimenti di Christo. Si compatimur, et conglorificabimur; quindi è, che il B. Pietro, per adempire le sue parti, non contento delle sue aspre penitenze, digiuni, discipline, et altre volontarie penalità, con le quali continuamente affliggeva il suo innocentissimo Corpo, spargeva poscia davanti al suo Crocefisso Bene in tanta copia le lagrime, acciochè l'Anima ancora, alla maniera del Corpo, entrasse a parte de' patimenti di quello, già che le lagrime, essendo, per così dire, il sangue dell'Anima, e del Cuore, davano manifesto inditio a Sua Divina Maestà, dell'eccessiva compassione, che la di lui Anima santa haveva [V, p. 542] della sua atrocissima et amarissima Passione.

13 - Tralascio quivi di aggiungere, che havendo Christo istesso con ben chiare parole fatto intendere a mal viventi mortali, per l'Evangelista S. Matteo, che niuno puole entrare in Paradiso, se non a viva forza, e con violenza grande: Regnum Caelorum vim pa titur, et violenti rapiunt illud. Le quali parole interpretate da Sant'Ambrogio vengono esposte della violenza, non dell'armi materiali di questo Mondo, ma delle lagrime sante; onde dice: Regum Caelorum rapimus, et vim quodamodo facimus non compellendo, sed flendo, non provocando iniurijs, sed lagrimis exorando. Come, che voglia dire: disingannatevi, o mortali, perché io vi faccio intendere, che le sole bombarde degli occhi, con le palle infuocate delle lagrime loro, sono bastanti a fare larga breccia nelle mura addamantine della gran Rocca del Cielo, per cui a suo bell'agio possa entrare ogni qualunque piangente. E più oltre ancora si avanza il P. S. Girolamo, all'hora che, considerando una così gran potenza delle lagrime a quelle rivolte, enfaticamente dice: O lacrima! Tuum est Regnum, tua est potentia; tu vincis invincibilem cunctipotentem superas, ligas Omnipotentem. Che però non è poi maraviglia se il nostro Beato Piangente, per rendersi padrone di quella beata Fortezza, così mai sempre a dismisura piangeva.

14 - E se tal'hora da' suoi pietosi Coeremiti, per frastornarlo, per qualche tratto, da un pianto così lungo, e così amaro, venivale rammentato, et opposto il detto dell'Apostolo, Illarem datorem diligit Deus; che Iddio ama un Donatore lieto, et allergro. Rispondeva egli ben tosto, con Religiosa modestia, e carità; che era assai lieto, et allegro donatore, chi su le coppe degli occhi offeriva ogni giorno al Donatore d'ogni Bene la pretiosa bevanda delle lagrime penitenti, le quali, fuori d'ogni dubbio, sono le Genitrici feconde dell'eterne allegrezze, e consolationi del Paradiso; in conformità di che, haver egli letto ne' sagrosanti Evangeli, che Christo Signor Nostro, dichiarò per Beati quelli, che piangevano; et all'incontro minacciò gli eterni guai, et i dolorosi pianti dell'Abisso a mal viventi Mortali, che stavano immersi nelle allegrezze, e ne' risi; dicendo appunto de' primi, Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur; e de' secondi, Uhe qui ridetis nunc, quia lugebitis.

15 - E soggiungeva poi, per maggiore autentica delle sue vere ragioni, che per quanto haveva saputo leggere, e rileggere i sopradetti Evangeli, non haveva però potuto ritrovare, che Christo, in tutto il corso della sua vita, havesse riso pure una volta sola, haver ben si rinvenuto, che molte volte amaramente pianse; e che di vantaggio, per testimonianza del sopramentovato Apostolo, volle terminare la vita con un diluvio di lagrime su gli occhi; attesochè ove l'Evangelista S. Matteo, parlando della morte di Christo dice, che Clamans voce magna tradidit spiritum (legge S. Paolo) oravit cum clamore valido, et lacrimis, et exauditus est pro sua reverentia. Laonde soggiungeva poi molto acutamente, che chiunque brama, e pretende, per quanto puole, di seguire le vestigia del nostro gran Capo Christo, ha da dare perpetuo bando al riso, et all'allegrezza del Mondo, e piangere con esso fino all'ultimo fiato.

16 - Concludeva poi finalmente essere perciò ingannevole, e falsa la massima de' mortali, li quali scioccamente stimano, che così in questo, come nell'altro Mondo si possa godere il Paradiso, e che si possa attendere alli spassi, a' piaceri, a'risi, et a' canti, et altre così fatte leggerezze, e così poscia far felice passaggio dalle delitie della terra a quelle del Paradiso, dall'allegrezze, e da' contenti del Mondo a quelli del Cielo, e finalmente da' risi, e da' giuochi di questa terrena mole, a' veraci [V, p. 543] piaceri della Celeste Gierusalemme; attesochè tutto ciò, per sentenza di due de' maggiori Dottori della Chiesa di Dio, Girolamo, et Agostino, non solo è in sommo grado difficile, ma di vantaggio è onninamente impossibile; onde dice il primo. Difficile est, immo impossibile, ut praesentibus, et futuris quis fruatur bonis; ut de delitijs transeat ad delitias, ut in Caelo, et in terra appareat gloriosus. Et il secondo altresì, cioè il nostro grande Agostino, sottoscrivendosi di buona voglia alla verissima sentenza di Girolamo, conclude. Nemo potest in utroque saeculo consolari; neque hic, et in futuro gaudere, sed unum necesse est ut perdat, qui alterum voluerit possidere. Così con queste, et altre somiglianti ragioni difendeva il buon Pietro il suo perpetuo pianto.

17 - Proseguendo dunque il nostro Piangente Romito in questa così santa guisa con la Nave della sua penitente humanità a solcare il Mare delle sue lagrime fruttuose, alla perfine, doppo il corso di molti Anni, giunse al felicissimo porto del Paradiso, ove incontrato da Christo, li furono da esso asciugate, giusta l'Oracolo di S. Giovanni nel l'Apocalisse, le lagrime, che in gran copia ancora sgorgava dagli occhi, e poscia fu introdotto dal medesimo, accompagnato da tutta la Corte Celestiale, nell'eterno gaudio del Paradiso.

18 - E' fama certa, e lo scrivono varj Autori nostri, et altri ancora di diverso Istituto, che Nostro Signore, così in vita, come in morte, e doppo morte ancora l'honorò con stupendì Miracoli, quali, perché non furono notati da Scrittori di quel tempo, non si possono da noi, come bramaressimo, hora quivi registrare. Trattano poi di questo Beato glorioso, oltre gli accennati di sopra, alcuni altri Autori nostri, come il Card. Egidio da Viterbo nel Panegirico de' Beati Leccetani. Il Card. Girolamo Seripandi ne' Commentarj dell'Ordine. Gelsomini Vescovo d'Ascoli nel suo Tesoro Celeste della Divotione di Maria sempre Vergine. Ambrogio Landucci nel suo Albero di Lecceto, e nella Selva, e Cronica pure Leccetana; e molti altri ancora, che per brevità si tralasciano: e degli Esteri poi ne hanno scritto con qualche esatezza, Francesco Rappi nella sua Lima spirituale. L'Ugurgieri nel suo Cielo Sanese; et ultimamente gli Autori del Libro intitolato Intronatorum Academiae Fasti Senenses. Passiamo hora al brieve racconto della Vita dell'altro Beato da noi proposto di sopra.

Vita, Morte e Miracoli del Glorioso Servo di Dio il Beato Gregorio da Verucchio

19 - Quando nel nostro brieve Compendio delle Vite degli Huomini, e Donne Illustri in Santità nel capitolo 78 della seconda Centuria, scrivessimo la Vita maravigliosa del B. Gregorio da Verucchio, seguimmo la traccia così del F. Christofaro da Verucchio Capuccino nel suo Libro, che stampò delle sagre Memorie della sua Patria, come del nostro Gelsomini Vescovo d'Ascoli in Puglia, dell'Errera, e degli altri nostri Autori, che però non potessimo assegnare né il nome, e cognome de' suoi Genitori, né l'Anno in cui nacque, né quello in cui egli prese l'Habito, né il progresso certo della sua Vita, né il luogo dove precisamente morì, se bene vedendo le sue Sante Ossa riposare nella nostra Chiesa di Verucchio, ci dassimo anche a credere, congetturalmente, che fosse morto nella sua Patria; ma ecco, che Iddio Benedetto, per sua infinita Bontà, ha volsuto, che si scuopra la vera, e maravigliosa Historia della Nascita, Patria, Parenti, [V, p. 544] Vita, Morte, e Miracoli del suo Beato Servo, con varie circostanze mirabili, e rare. Devesi dunque sapere, che ultimamente fra le Scritture della Famiglia antica de' Signori Celli della sudetta Terra di Verucchio, si è scoperta una Scrittura, la quale compendiosamente contiene la Vita germanissima dell'accennato Beato, estratta, e cavata dalla Vita più copiosa del detto Servo di Dio, che per longhissimo tempo si conservò dentro dell'Arca, ove giacciono le di lui Ossa Venerande, la quale poi in tempo incerto si smarì insieme col Breve Apostolico della sua Beatificatione. Cominciamo hora a distendere la serie della Vita del Beato, come viene insinuata, et accennata nella detta Scrittura, con ordine però più agiustato, et anche con maggiore espressione.

20 - Verucchio Terra assai antica, e molto riguardevole della Romagna, posta, e situata sopra d'un colle molto vago, et ameno, in lontananza non più di dieci miglia dalla gentilissima Città di Rimini, fu la cara Patria del nostro B. Gregorio; e son ben certo, che ella molto più si preggia d'havere partorito alla mia Religione Agostiniana, alla Chiesa, et al Cielo questo gran Servo di Dio, di quello, che ragionevolmente si vanti d'essere stata fecondissima genitrice di tanti famosi Eroi, quanti sono stati li generosi, e valorosi rampolli della nobilissima, e potentissima Famiglia de' Malatesti, li quali col valore dell'Armi, e con la prudenza, si resero non solo padroni della loro Patria, ma di vantaggio ancora dilattarono la loro Signoria, non pure nelle vicine Città di Rimini, e di Cesena, ma etiamdio in quelle più lontane di Pesaro e di Fano, e di alcun'altre così della Romagna, come della Marca d'Ancona; per la qual cosa divenuti molto potenti, come furono assai stimati da' suoi Confederati, et Amici, così riuscirono molto formidabili a' suoi Nemici; gli è ben vero però, che in progresso di molto tempo, per le varie vicende, e sconvolture grandi della mai sempre volubile Fortuna, quasi affatto ogni cosa perdendo, miseramente si ridussero, poco meno, che al loro primo principio.

21 - Li Genitori poi del nostro Beato furono due delle prime, e più cospicue Famiglie della detta Terra; attesochè il Padre fu Giovanni di Tomaso Celli, che fu un dottissimo Giureconsulto, e la Madre hebbe nome Anna, e fu figlia d'Alberto Corradi Dottore anch'egli di buona rinomanza, et ambi questi Accasati furono buoni Christiani, e molto timorati di Dio, che però in premio della loro bontà, meritarono di ottenere dal Cielo un Figlio di tanta virtù, e Santità, come in vero fu il B. Gregorio. La di lui Nascita poi successe nell'Anno del Signore 1225 essendo Sommo Pontefice Honorio III.

22 - Ma, perché indi a tre Anni, il di lui Genitore, per mezzo d'una Christiana morte, se ne passò, come piamente si spera, in luogo di sicura salute, perciò tutta la cura di allevare questo Bambino, rimase apresso della Madre, la quale, come era una buona Serva di Dio, e molto alla pietà inclinata, non si può credere con quanta diligenza ella procurasse d'istillarli nel Cuore, e nell'Anima il santo Amore di Dio, e del Prossimo, e tutte l'altre virtù, che non vano mai da quelle scompagnate; et hebbe bene da durare poca fatica per conseguire il suo pietoso intento; attesochè quel tenero Bambino, com'era nato per dovere essere Santo, era così pronto ad apprendere, e poi ad eseguire tutto ciò, che dalla buona Madre gli era insegnato, non meno col vivo esempio, che con le parole, che chiunque lo conosceva restava attonito in vedere quel tenero Fanciulletto così modesto, e ben composto in ogni sua attione, e poi cotanto divoto nella Chiesa, che faceva arrossire gli Huomini più vecchi, et Antiani di quella Terra.

23 - [V, p. 545] Fatto più grandicello, fu applicato alla Scuola per imparare le Lettere; e perché haveva egli sortito un'ottimo ingegno da Dio, e con la scorta del suo santo Timore, che è il buon principio della Sapienza, egli attendeva a studiare; quindi è, che in brieve tempo egli non solo, al pari di qual si voglia altro suo Condiscepolo, imparò quanto dal Maestro li fu insegnato, ma di vantaggio tutti li superò. Fuggiva egli a tutto suo potere i fanciulleschi giuochi, et ogn'altro puerile trattenimento, che diretto non fosse alla maggior gloria di Dio, saggiamente abborriva. In tre luoghi soli era il suo ordinario trattenimento, cioè nella Casa, nella Scuola, e nella Chiesa: nella Casa procurava d'ubbidire a' suoi Parenti in tutto ciò, che li comandavano; faceva i suoi domestici spirituali esercitij, e studiava le Lettioni, che doveva ripetere poi nella Scuola, in cui con ogni diligenza procurava di apprendere, ed imparare, quanto li veniva dal suo Maestro insegnato: nella Chiesa poi, quale molto spesso frequentava, trovava egli tutte le sue contentezze, e maggiori delitie, stando per lungo spatio divotamente orando, hora davanti il Santiss. Sacramento, et hora davanti la Sagra Immagine del suo Signore Crocefisso, et hora finalmente davanti a quella di Maria sempre Vergine, di cui fu egli sempre, allo scrivere del nostro Vescovo Gelsomini, svisceratamente divoto.

24 - Giunto poscia all'età di quindici Anni, la buona Madre, vedendolo riuscito, in così poca età, cotanto virtuoso, e provisto poi di un giudicio maravigliosamente lucido, ed aperto, e dandosi a credere, che se si fosse aplicato allo studio delle Leggi, sarebbe riuscito non meno eccellente del suo già defonto Genitore; per tanto un tal giorno chiamatolo in disparte, così serimente li prese a dire: "Figlio, tu sei giunto ad un'età, nella quale tu puoi ottimamente conoscere il bene dal male; hor io, che sono tua Madre, desidero di sapere da te in questo punto, qual stato tu vogli prendere in questo Mondo; se lo stato di Secolare, o pure quello della Chiesa; se tu ti appigli allo stato Ecclesiastico, io non mi oppongo al tuo volere, solo ben questo io ti ricordo, che la tua Casa è delle prime di questa Terra, che però sarebbe gran miseria il vederla estinta: tu sai, che tuo Padre fu un'Eccellentissimo Dottore, e con molto decoro sostenne il lustro di sua Famiglia, tu hai ingegno eguale al suo, per non dire maggiore; laonde tu puoi al pari di lui mantenere non solo, ma di avantaggiare grandemente il decoro della tua Casa. Che dici Figlio? Rispondi prestamente alla tua Genitrice, e palesali sinceramente il tuo pensiero; imperochè io ti prometto, che tutto ciò, che dirai sarà da me prontamente approvato".

25 - Non hebbe così tosto finito di favellare l'amorosa Genitrice di Gregorio, quando subito senza alcuna dimora rispose con tutta risolutione, che egli voleva essere Religioso Eremita di S. Agostino nel picciolo Conventino, o più tosto Eremitorio, che era in quel tempo poco fuori della detta Terra; e che quanto alla propagatione, e conservatione della sua Famiglia, ciò poco importava, perochè stimava egli meglio il procreare figli per il Cielo, che per Terra, e che non vi mancavano altre Case in Verucchio di sua Prosapia, che potevano mantenerla; e finalmente concluse, che questo era il suo ultimo sentimento, quale in verun conto non voleva preterire, tanto più, che al sudetto Stato si sentiva giorno, e notte da Dio a gran voce chiamare. "Non più figlio", disse all'Hora Anna la Madre, "già io sono a bastanza persuasa, anzi io sommamente godo dell'elettione, che hai fatta d'essere Religioso, a segno tale, che anch'io voglio fare lo stesso". Alle quali parole pianse per allegrezza il santo Giovinetto; e doppo varj discorsi determinarono entrambi di [V, p. 546] di prendere l'Habito Agostiniano, entrando egli nella Religione, et ella nella propria Casa in habito di Tertiaria.

26 - Fatta dunque, e stabilita fra di loro questa grande risolutione, si portarono entrambi al luogo predetto dell'Ordine nostro, e palesato al Superiore il loro santo pensiero, con l'intentione, che havevano di fondare altrove, con le loro sostanze, un più ampio Convento; non si puole con humana lingua bastevolmente spiegare quanta allegrezza provasse in quel punto il buon Priore per così lieta novella, quale essendo da esso stata partecipata a suoi Religiosi, come anch'essi gran consolatione ne sentirono, così a braccia aperte più che di buona voglia consentirono alla santa proposta fattale da quella venerabile Matrona, e dal di lei santo Figlio, ricevendo questo nel Monistero con l'Habito di Novizzo, e dando a quella l'Habito altresì di Monaca Tertiaria, essendo ella in quel tempo d'Anni 45 et egli di 15 correndo l'Anno di Christo 1240.

27 - Intanto poi, che il nuovo Religioso faceva il suo Novitiato, i Padri attendevano anch'essi ad ingrandire a spese del medesimo, e della di lui Madre, così la Chiesa, come il Convento, a segno, che terminato ch'egli fu, si rese capace di potere albergare intorno a 12 Religiosi di stanza, havendo quella buona Signora, insieme col Figlio consegnata a' quei Padri nell'ingresso della Religione, tutte le loro facoltà. Terminato poi l'Anno dell'Approbatione, come il Beato Giovinetto haveva dati in quel tempo un saggio soprabbondante della sua futura Santità, così tutti i Padri della Famiglia, con gran contento, et applauso l'ammisero alla solenne Professione, come anche lo stesso fecero della di lui Madre.

28 - Fatto dunque, ch'egli hebbe la solenne Professione, essendo stato da' Superiori dell'Ordine esaminato nella sufficienza delle lettere, et havendolo conosciuto d'ingegno molto acuto, e perspicace, essendo molto ben'istrutto nelle Lettere humane, fu da essi aplicato a studiare prima le Scienze naturali, e poscia le sagre; nelle quali havendo fatto in poco tempo un maraviglioso profitto, fatto già Sacerdote, come lo conoscessero d'ottimo talento provisto per predicare a' Popoli la divina parola, a quell'Apostolico ufficio lo destinarono: e ben presto si vide, e si conobbe, che la loro determinatione era stata regolata, e guidata dallo Spirito Santo; attesochè non così tosto hebbe egli dato principio a quell'Angelico Ministero, quando si vidde una gran mutatione di costumi in que' Popoli, che hebero sorte dal Cielo di ascoltare le sue Prediche; e perché in quella Diocesi di Rimini vi erano molti scelerati Eretici Ariani, che erano stati sovvertiti da quel malvagio Eresiarca, chiamato Bonvillo, che hebbe già ardimento di somministrare il veleno al glorioso Taumaturgo dell'Ordine de' Minori S. Antonio da Lisbona, detto però communemente di Padova; laonde, come con libertà Christiana, e con fervore, e zelo veramente Apostolico contro di quegli empj inveiva d'ogn'hora, li mossero per tanto contro una rabbiosa persecutione. E perché dall'altro canto ancora non cessava di riprendere, senz'alcuno humano rispetto i vitij, et i peccati de' mali Christiani; e perché anche tal'hora correggeva la poca osservanza d'alcuni Religiosi del suo Convento, così gli uni, come gli altri li mossero un'aspra guerra, e tanto si adoprarono con false calunnie, et imposture apresso de' Superiori, che lo fecero levare di stanza da quel Convento, quale egli con le sue facoltà haveva fabricato, et arricchito. E ciò successe per appunto in tempo, che la di lui buona Genitrice in età d'Anni 55 fu da Nostro Signore, per mezzo d'una morte molto esemplare, chiamata, come piamente si spera, all'eterno riposo del Cielo.

29 - [V, p. 547] Gregorio intanto vedendosi privo dall'un de' lati della sua buona, e benedetta Madre, e dall'altro travagliato, e perseguitato, non solo dagli Eretici, e da' mali Christiani, ma etiamdio, qual'altro S. Benedetto, e S. Guglielmo, da' suoi medesimi Confratelli, a quali haveva fatti così gran beneficj, prese risolutione di passarsene, con buona gratia de' Superiori, alla volta di Roma; ove giunto, doppo havere sodisfatto al suo divoto talento, con visitare tutti i Venerandi Santuarj di quella Santa Città, fu poscia da' Superiori dell'Ordine di quelle parti mandato di stanza, come certamente stimo, nel Convento, che, fuori di Rieti, Città della Sabina, possedeva in quel tempo la Religione. Ma colà giunto vi si trattenne per poco tempo, imperciochè havendo inteso, che in un Monte vicino chiamato Carnerio (o pur Colombo, come vuole il Vadingo nel Tomo primo de' suoi Annali de' Minori, forse per un Fonte, che chiamavasi Colombo, che era sopra di quel Monte, come espressamente dice l'Autore Anonimo della Leggenda del B. Gregorio, da noi più sopra mentovata) nel quale vi erano alcuni come Eremitorj, così dell'Ordine nostro, come anche in maggior numero dell'Ordine del Serafico Padre S. Francesco; li venne per tanto un santo desiderio di ritirarsi in que' sagrosanti solitari Recessi, per potere a misura del suo gran spirito, esercitarsi a tutta voglia sua nelle più aspre, e rigorose penitenze, e mortificationi, che fossero mai praticate da' più Santi Eremiti della famosa Tebaida.

30 - Quivi dunque passato con la loro dovuta licenza de' suoi Maggiori, non così tosto vidde que' santi Luoghi, che soprafatto da un'incredibile allegrezza, sollevando gli occhi al Cielo, con gran spirito disse, col Re Profeta: "Haec requies mea in saeculum saeculi". Chi potrebbe hora narrare i suoi continuati digiuni, quasi per ordinario in pane, et acqua; le sue, non mai quasi interrotte, orationi, e di giorno, e di notte; le rigorose discipline, con le quali continuamente tormentava la sua povera Humanità; i duri cinti di ferro, con i quali macerava la sua carne innocente; le fatiche grandi, che faceva nell'andare predicando a' rusticani Habituri di quelle aspre, e scoscese montagne, e mille altri esercitij spirituali, e religiosi, ne' quali, con indefessa fortezza, continuamente s'impiegava con tanta edificatine, et esempio, così de' suoi Religiosi, che con esso lui habitavano, come de' Francescani vicini, e di tutti i Popoli non pure de' vicini contorni, ma etiamdio de' lontani, da' quali era in sommo grado stimato, così per la sua smisurata Santità, come per i stupendi Miracoli, che sovente il Signor Dio operava per i meriti del suo Beato Servo, a beneficio di quelli, che alle di lui fervorose orationi raccomandavansi.

31 - Havendo dunque il B. Gregorio menata una vita così penitente, e così santa, sì nella nostra Provincia di Romagna, come in quella dell'Umbria, per il lunghissimo spatio di 103 Anni, che tanti appunto ne visse nella Religione; essendo già arrivato all'età di 118 volendolo hoggimai Nostro Signore, per tanti suoi meriti, e virtù, con la sua eterna Gloria, premiare, per mezzo di una febre, nel suo povero Letticciuolo lo distese; laonde conoscendo egli molto bene essere giunta l'hora della sua felice partenza da questo Mondo al Cielo, dopo haver presi, con incredibile divotione, tutti i Santi Sacramenti della Chiesa, chiamati a se gli altri suoi Coeremiti, con profetico spirito, li disse, che doppo la di lui morte sarebbe ivi comparsa avanti il loro Romitorio una Mula indomita, che però li pregava, che dovessero porre il suo Cadavere in una Cassa con tutti gli Arnesi suoi penitentiali, e poscia caricarne con quella la sudetta Mula; attesochè era volontà di Dio, che il suo Corpo, con le cose accennate, fosse trasferito nella Chiesa del suo Convento di Verucchio, [V, p. 548] in cui haveva preso l'Habito della Santa Religione. E ciò detto, aggravandosi maggiormente il male, alla perfine giunto all'estremo, come da Santo era vissuto, così da Santo se ne morì.

32 - Passato, che fu alla Gloria del Cielo il B. Gregorio, ecco, che subito comparve la Mula indomita, da esso lui predetta; per la qual cosa que' buoni Religiosi fondato la Divina Bontà, e magnificando la rara Santità di quel gran Servo di Dio, finalmente, come esso pregati gli haveva, presero il di lui Santo Corpo, e lo posero in una Cassa insieme con un ferro ben largo, e grosso, con cui andava cinto su la carne ignuda, et alcuni altri arnesi di penitenza, insieme con un Compendio della sua santa vita, e poscia con quella ne caricarono la Mula, la quale come havesse portata la soma per molti Anni, così tutta mansueta, e quieta si stette; e tostamente guidata, come certamente si crede, da un Angelo in apparenza d'huomo, alla volta di Verucchio s'incaminò. Nota poi l'Autore Anonimo di sopra mentovato, che in qual si voglia luogo per cui passava, subito tutte le Campane di quel Paese, senza essere tirate da veruno, da per se stesse suonavano.

33 - Giunta finalmente la Veneranda Salma a Verucchio, fermossi la Mula dirimpetto alla nostra Chiesa di S. Agostino, e subito così le Campane di questa, come quelle di tutte le altre Chiese, cominciarono a suonare anch'elleno da per se stesse, per la quale novità, temendo i Terrazzani di qualche disastroso accidente grandemente si spaventarono; ma essendo stata scaricata la Cassa, e trovatovi dentro il pretioso Tesoro del glorioso loro Compatriota Gregorio, si cangiò ben tosto ogni loro spavento, e timore in una smisurata allegrezza, giubilo, e contento, il quale maggiormente si accrebbe, quando cominciarono a vedere molti grandi, e stupendi Miracoli, che il Signore operò, per la di lui intercessione, a beneficio di molti poveri languenti, e bisognosi. E per tornare alla Mula, che portato l'haveva, gli è da sapersi, che non così tosto fu sgravata di quel sagro peso, che incontanente cadde in terra morta, non volendo Iddio, che havendo portato il Corpo di un Huomo così Santo, havesse per l'avenire da portare pesi terreni, e profani.

34 - Dominava in questo tempo, che è lo stesso, che dire in quest'Anno del 1343 in cui successe la morte del Beato Gregorio, e la traslatione del di lui Corpo a Verucchio, non solo in questa Terra, che era la sua Patria, Galeotto Malatesta, ma etiamdio nella vicina Città di Rimini, quale alcuni Anni prima, mentre ancor viveva il Sommo Pontefice Giovanni XXII haveva occupata; il quale, come hebbe intese le maraviglie divine successe nella sudetta sua Terra, ha molto del verisimile, che colà subito si portasse, perochè dice l'Anonimo sudetto, che comandò, che nella nostra Chiesa fosse fabricata una Capella nella quale fece dipingere l'Immagine della B. Vergine, et alla destra di lei quella di S. Nicola, et alla sinistra parimente l'Immagine del B. Gregorio, e sotto le sudette Immagini fece ancora dipingere la Terra istessa di Verucchio con l'Arme de' Signori Malatesti, et indi poi apresso fatta formare un'Arca grande di duro Macigno, vi fece riporre il sagro Deposito con tutte le sudette attinenze, fra le quali v'era la Vita di lui sopramentovata. Come poi in progresso di pochi Anni operasse Iddio a gloria del suo Beato Servo molti Miracoli, lo stesso Galeotto, per mezzo del suo Ressidente, che stava in Avignone, ottenne dal Sommo Pontefice Innocenzo VI la gratia della Beatificatione del sudetto Servo di Dio, per mezzo d'una sua Apostolica Bolla; e ciò successe, come dice l'Anonimo nell'Anno del Signore 1357. Questo Breve, o Bolla poi soggiunge l'accennato Anonimo, per [V, p. 549] lunghissimo tratto di tempo si conservò insieme con Vita sudetta; ma poi da lungo tempo in qua, e l'una, e l'altra furono levate, non si sa poi da chi, nè mai più si sono potute ricuperare. Gli è ben vero però, che il sudetto Autore testifica d'havere inteso dire più volte da alcuni Huomini della detta Terra, d'ogni eccettione maggiori, e specialmente da un certo Pompilio Ferino, e da Ascanio Ranuccioli, che essi più volte havevano veduta cavare dalla detta Arca la sudeta Bolla, e Vita, massime nel Tempo, che viveva F. Agostino Benzoni Religioso del sudetto Monistero, e terra di Verucchio. Soggiunge poi in fine della detta Leggenda, che ivi non registra i molti Miracoli del Beato, perché di già gli haveva narrati in un altro suo Trattato particolare, ma nè meno questo hoggidì si vede; solo conclude, che anticamente non solo era chiamato questo gran servo di Dio col nome di Beato, ma etiamdio quasi ordinario con quello di Santo, e ciò dice d'havere egli trovato, e letto in alcune Scritture antiche, che si conservavano nell'Archivio della detta Terra, et in particolare in un Inventario del detto Convento, rogato per mano di Bartolomeo Branca, con queste parole: Item super Altare Sancti Gregorij, etc.

35 - Hoggidì le di lui Ossa Beate, insieme col Cinto di ferro più sopra mentovato, tuttavia si conservano ancora in parte nella medesima Arca, eccettuato il Capo, il quale conservasi racchiuso in un bellissimo Tabernacolo d'argento, che già fece fare con le limosine di quel Popolo, Maestro F. Leonardo Valentini da Cesena dottissimo Teologo (che fu Procuratore Generale dell'Ordine) mentre predicava in quella Terra l'Anno del Signore 1640. Questo Capo poi in molte Feste dell'Anno si espone alla publica adoratione, e specialmente nel giorno della sua Festa, la quale si celebra nell'ultima Domenica di Maggio, in cui corre altresì la solennità della Dedicatione della Chiesa di S. Agostino della detta Terra, se bene si dovrebbe celebrare alli 4 di Maggio, in cui successe di lui beata Morte, ma si trasporta all'accennata Domenica, per cedere tutto quel giorno alla Festa della Madre Santa Monica.

36 - Se bene non potiamo riferire i Miracoli fatti da questo Beato, così in vita, come doppo morte, fino alla perdita del Libro della sua Vita, e di altre memorie, che si conservavano nell'Arca sudetta; nulladimeno non si è potuta perdere la memoria di un Miracolo, che si può chiamare perpetuo, perché Nostro Signore si compiace per sua Misericordia di farlo, ogni qual volta ne ha necessità il Popolo di Verucchio, per i meriti del suo Beato Servo Gregorio, et è per appunto questo: Che quando il loro Territorio patisce gran siccità, basta che divotamente si raccomandino al detto Beato, e che faccino portare il sopradetto Capo in Processione da' nostri Padri, quando subito ottengono dal Cielo la bramosa pioggia. E quivi finalmente per sodisfattione de' curiosi, e divoti Lettori, vogliamo registrare la memoria fatta compendiosamente della sua Vita dall'Anonimo Autore più volte nominato, dalla quale habbiamo altresì noi cavato questo brieve Raconto.

De Beato Gregorio de Veruculo

37 - Notum sic igitur, B. Gregorium oriundum esse ex hac Terra Veruculi Ariminensis Dioecesis ex optimis, et clarissimis Parentibus ex quondam Ioanne quondam Thomae de Cellis, et Anna filia quondam eximij Doctoris Alberti Corradi, et dictum Ioannem Iurisconsultum clarissimum de eadem Patria Veruculi, et ortum de Anno 1225 tempore Pontificatus Honorij III Summi Pontificis, et sacrum Baptismum in Ecclesia S. Martini Plebis dictae Terrae accepisse, gubernantibus eamdem Terram, et convicina Loca Dominis Malatestis, et post tres Annos, [V, p. 550] eumdem Ioannem ex hac vita migrasse relicto Parvulo Gregorio penes eamdem Annam, quae tantam illius praebuit curam, quod nil aliud cogitavit, nisi quod Omnipotenti Deo inserviret, et gratus esset, pro quo eidem Altissimo, Sanctis Augustino, Monicae, ac Gloriosissimae Vergini Mariae Consolationis continuas preces effundebat, dicabatque Parvum Puerum, saepeque, ac saepius manum ad manum iungens balbutienti lingua proferre laudes, et gratias docebat: Qui lumine Dei repletus pari animo compensabat Genitricis voluntatem, sicque tali alebatur incremento, cumque iam ad pubertatem pervenisset, Materque prudens intentionem scrutaret an vestigia Patris, Avi, et Illustrium Progenitorum Saecularium insequi vellet (Deo sic iubente) semper Eremitar. Ordinem amplecti velle, Habitumque suscipere respondebat, et quid de opibus relictis faciendum, admonitus, tamquam non curans, Deo restituendis responsum dabat, de prole autem, et mantenimento Domus, Prolem quippe ait: satis acquirit, qui Ianuas Paradisi ingredi dignus efficitur, ubi proles sanctae conspiciuntur, ubi aeternus Deus, aeternus Amor, aeterna Quies inhabitant cum alij de Cellis non deficiant, neque deficient. Cumque pia Mater pari voluntate prospiceret animarum amborum salutem, se ipsam Sanctis Augustino, et Monicae cum Filio dicavit, Habitumque susceperunt, ipse Annum decimumquintum gerens, ipsa autem quadragesimum quintum, et eodem Anno, qui fuit ab Incarnatione Domini 1240 cepit pia mater aedificium Conventus S. Augustini habitabilemque, et capacem proprijs opibus dotavit, ut commode Eremitae Deo inservire posset, et omni quo potuit meliori modo perfecit de Anno 1245 in loco, ubi prius parvam Cellulam sub invocatione Sanctae Mariae Consolationis construxerant Confratres eiusdem Venerabilis Societatis, dictisque RR. Dominis Eremitis Ius aedificandi, et habitandi, ac omnia eorum Iura cesserunt, et in quo Conventu per Annos decem, dum vixerat eadem Anna, habitavit idem B. Gregorius, quae postea circa Annum quinquagesimum quintum aetatis suae ex hac vita migravit; cumque Omnipotentes Deus, ut aurum in fornace probaret Servum suum Gregorium permisit super Servum suum persecutiones, et iniurias, ita quod etiam de Domo propria expelleretur a Fratribus suis a loco, ubi tot beneficia contulerat, in florida aetate sua Annorum vigintiquinque, senili tamen in laboribus, vigilijs, et orationibus, praedicationibus, Obedientia, Castitate, Maceratione, Paupertate, et Disciplinis, et denique in exemplari sanctitate; et ubi talem gesserat vitam, quod eo vivente Populus potius Beatum, quam Fratrem Gregorium nominare solebat, et tanto spiritu verba Domini docebat, quod corda hominum saepe, ac saepius in melius converterentur Haeresesque pullulantes confutabat deseminatas a Buonvillo Ariminensi Haeresiarca, qui ausus fuit Glorioso Sancto Antonio de Lisbona Franciscano Venenum tradere. Attamen improborum hominum malitia tumescente, ipsius Confratres invidia virtutum Beati iducti, a Conventu praedicto proficisci iusserunt, et aliunde habitare, at ipse volens iter caeptum prosequi, Romam versus iter agens ad evitandum Mundum se contulit in Monasterio Rieti, in Monte Carnerio ad Fontem Columbum, ubi et in circumvicinis sciebat adesse concursus per vestigia pauperis Beatissimi Francisci sequentes, Deo inservientes, et continuis gratijs, et Miraculis clarescere: illuc se contulit, et cum famulis Dei cohabitavit, usque ad eius vitae extremum inter alios Eremitas quosdam etiam illic tunc temporis habitantes, et Annum centesimum decimum octavum gerens aetatis suae ad aeternam Gloriam convolavit Anno gratiae 1343 et die quarta Maij, ut in Breve Beatificationis eiusdem, et iussu ipsius, adhuc [V, p. 551] viventis, Confratres in eodem Loco in Capsa Lignea deposuerunt Cadaver felix, et super indomitam Mulam sponte ibidem (sic iubente Deo) oblatam capsam posuerunt, et ductore nullo (nisi Angelica cura) iter agens, et per Civitates, et Loca (Campanis ultro pulsantibus) faeretrum decorabant, et adhuc in aliquo ex dictis Locis, per traditionem hoc accidisse ferunt, hocque subsequuntur, dum pervenit ad Patriam suam Veruculi, ubi pariter Campanae sponte pulsantes, et signum laetitiae tradentes, Populus nesciens tanti operis, et eventus novitatem tremore compulsus clamitat, sed statim causa cognita, e sacro Onere deposito in Ecclesia Sancti Augustini dictae Terrae in introitu Portae eiusdem Templi ad meridiem, convolantes turbae ad novum prodigium tremor, et timor in amorem conversus est, in laetitiam, et eo magis detecto sacro Cadavere, et per quamplurimos fide dignos recognito, et gloriam Deo dantes, et honorem in sancto suo, qui Populum suum visitavit, Miraculis decoravit, et statim eadem Mula mortua effecta est, ne alio indigniori pondere gravaretur. Dominante autem D. Galeotto Malatesta, qui tempore Ioannis XXII Summi Pontificis Ariminum occupaverat, et Terras multas, Castra, et Fortalitia, Iussit dictus Beato Capellam construi, terramque praedictam Veruculi pingi, et super eam Imagines Beatae Mariae Virginis, S. Nicolai, et B. Gregorij, ac eiusdem Domus de Malatestis insignia, et Arcam ingentem marmoream pro Deposito, in qua adhuc lignea capsa delata per Mulam cum duobus Ferreis Cilicijs, Cadaver praedictum eiusdem Beati conservantur ad aeternam memoriam, cumque in progressu temporis adhuc dicto Galeotto regnante Miraculis claresceret inter Beatos connumerari procuraverit, ut inter Sanctos potissime viam postea aperiret, et a Summo Pontifice Beatificationis Breve obtinuit in Civitate Avenionis sub Anno sexto eiusdem Pontificatus, quod fuit circa Annum Domini 1357. Quodque Breve cum Vita, et Miraculis eiusdem Beati pluries vidisse mihi testati fuerunt fide digni, ac Venerabiles Domini Pompilius Ferinus, et Ascanius de Ranucciolis in Conventu S. Augustini Terrae Veruculi, specialiter tempore quondam Rever. Fratris Augustini Benzoni de eodem Loco, quodque cum narratione Vitae, et Miraculorum vidisse alias extrahere ab Arca praedicta, et tanta claruit Sanctitate, et Miraculis, quod antiquis temporibus Populus Sanctum, et non Beatum Gregorium nominare solebat, ut ego vidi in Archivio dictae Terrae in Rogitibus D. Bartholomaei Branchae in Inventario Bonorum Conventus praedicti S. Augustini sub his verbis. Item super Altare Sancti Gregorij; sed quod de Miraculis alias scripserim non repetam.

38 - Il Sommo Pontefice Clemente VI volendo in questo tempo provedere di nuovo Prelato la Chiesa Cattedrale di Narni, la quale era rimasta vacante per la morte del suo Vescovo, che Lino chiamavasi, si compiacque per tanto di honorare la Religione nella persona del P. Maestro F. Agostino Finacci d'Altopasso Fiorentino, come scrive l'Ughelli, o pure dal Monte S. Savino, come ad altri piace. Fu poi data la Bolla della sua assontione al detto Vescovato in Avignone a 21 di Marzo, e si conserva nel Regesto Pontificio, et è per appunto l'Epistola 100 come testifica l'Ughelli mentovato nel Tomo primo della sua Italia Sagra col. 1091 num. 34. Fu questo Religioso, per testimonio di Giovanni Villani, di cui fu caro amico, Teologo consumatissimo, e celeberrimo Predicatore, e come tale lo descrivono tutti li nostri Autori.

39 - Poco dianzi, essendo parimente stato trasferito dalla Chiesa Cattedrale d'Aleria nell'Isola di Corsica a quella di Cefalù nel Regno di Sicilia, F. Galgano di Biagio, figlio del quondam Boccaleone Fiorentino, dell'Ordine [V, p. 552] de' Minori, era stato sostituito in sua vece Vescovo della mentovata Città d'Aleria Maestro F. Guglielmo Arcombaldi dell'Ordine nostro, non si sa poi di qual Patria egli si fosse. Fu data la Bolla altresì in Avignone a 14 di Gennaio, et è nel Regesto Pontificio l'Epist. 77 come nota l'Ughelli di sopra mentovato nel Tomo 3 dell'Italia Sagra colonna 602 num. 6.

40 - Scrivessimo già sotto l'Anno del 1341 che il nostro insigne Maestro F. Bernardo Oliverio da Valenza Vescovo d'Osca, fu mandato dal Re D. Pietro II d'Aragona, per urgentissimi affari del suo Regno, Ambasciatore, e Legato alle due Corone di Francia, e di Maiorica; hor mentre in quest'Anno faceva dalla detta Legatione ritorno al suo Re, ecco, che havendo per aventura intesa decantare il Pontefice Clemente la di lui somma destrezza nel maneggiare i più gravi interessi delle Corone del Secolo, dandosi a credere, che sarebbe anche maggiormente riuscito nell'intraprese più considerabili della Chiesa, e del Mondo, e dovendo egli mandare ne' Regni delle Spagne in qualità di Legato il card. Bernardo del Titolo di S. Ciriaco, pensò per tanto di darli per compagno, e per colega il sudetto nostro Vescovo d'Osca. Così per appunto nota l'Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a car. 104 e lo cavò senza dubbio da gli Annali d'Aragona dell'erudito Girolamo Zurita.

41 - Havevano già dimorato li nostri Padri di Caors della Provincia di Tolosa nel Monistero dal loro fondato prima dell'Anno 1292 nella sudetta Città, per lo spatio di 50 Anni, e più, con somma pace, e quiete loro; quand'ecco, havendo li Signori di detta Città bisogno del sudetto Monistero per fare la perfetta clausura, e custodia di quella, offersero per tanto un altro sito a' medesimi Padri, acciò potessero trasferire in quello il loro Monistero, ma perché ciò fare non si poteva senza l'espressa licenza del Sommo Pontefice, perciò, così il Vescovo della Città, come i Consoli della medesima, insieme con i nostri Padri, humilmente richiesero la necessaria facoltà alla Santità Sua di potere ciò fare: e perché fra il detto sito, et un Monistero di Monache di S. Chiara, non vi era la dovuta distanza delle 140 Canne, che si richiedeva, supplicarono di vantaggio il buon Pontefice a volere anche dispensare benignamente sopra la mancanza delle dette Canne, nel che furono puntualmente esauditi con una sua ampia Bolla data in Villanuova di Avignone a 14 Marzo nell'Anno primo del suo Pontificato, e di Christo 1343 la quale prodotta viene da Guglielmo della Croix negli Atti de' Vescovi di Caors, et è la seguente:

Clemens Episcopus Servus Servorum Dei.

42 - Dilectis filijs Priori, et Fratribus Domus Ordinis Eremitarum S. Augustini Cadurcen. Salutem, et Apostolicam Benedictionem. Sacrae vestrae religionis sinceritas in qua sub voluntariae Paupertatis habitu militantes, in humilitatis spiritu sedulum impenditis Altissimo famulatum, ac vitae Regularis honestas merito Nos inducunt, ut petitionibus vestris, quantum cum Deo possumus favorabiliter annuamus. Exhibita siquidem nuper nobis vestrae petitionis series continebat, quod cum Locus vester, quem in Civitate Cadurcensi habetis, pro custodia, et clausura dictae Civitatis sit necessarius, in eo propterea divino Cultui deservire ad votum commode non potestis. Quare nobis humiliter supplicastis, ut vobis recipiendi alibi in Civitate praedicta, vel eius pertinentijs alium Locum congruum, illumque aedificandi, et vos trasferendi ad illum licentiam concedere de benignitate Apostolica dignaremur, maxime cum Vener. noster Frater Episcopus Cadurcensis, et Dilecti filij Consules Civitatis eiusdem [V, p. 553] super hoc nobis humiliter supplicarint. Nos igitur ob eiusdem Religionis merita, Votis vestris in hac parte benigne annuere intendentes, vestris in hac devotis supplicationibus inclinati, ut praedictum Locum congruum libere recipere, illumque aedificare, et construere cum Ecclesia, seu Oratorio, Dominibus, et alijs necessarijs, ac congruentibus officinis; vosque ad praefatum Locum alium transferre, perpetuo inibi Domino servituri, licite valeatis, iure tamen Parochialis Ecclesiae, et cuiuslibet alterius in omnibus semper salvis, quibuslibet Privilegijs, Indulgentijs, et Litteris Monialibus, seu Sororibus Ordinis S. Clarae, etiam super distantiam Cannarum, ab alijs Religiosorum Mendicantium Locis, vel quibussuis alijs ab Apostolica Sede concessis, ac fel. recor. Bonifacij Papae VIII praedecessoris nostri mandato prohibente Domos, vel Loca quaecumque a Religiosis Mendicantibus de novo recipi, seu recepta mutari, absque Sedis Apostolicae licentia faciente plenam, et expressam de prohibitione huiusmodi mentionem, ac alijs Constitutionibus Apostolicis contrarijs, nequaquam obstantibus, plenam, et liberam tenore praesentium licentiam impartimur, proviso, quod Ecclesia, et Caemeterium eiusdem vestri prioris Loci (in qua quidem Ecclesia pro divinis celebrandis Officijs unus Presbyter deputetur) ad Clericos, seu Laicos sicut haereditas minime transferatur. Nulli ergo omnino hominum, etc. Datum apud Villamnovam Avenionen. Diaec. 2 Idus Martij Pontificatus nostri Anno primo.

43 - Sopra di questa Bolla dobbiamo quivi dare un necessario, e serio avertimento, et è questo: Che se bene il detto Pontefice in quella, altro non fa, che concedere licenza a' nostri Padri di trasferire il loro vecchio Convento al luogo sopradetto, e non li da alcuna dispensa sopra la distanza delle 140 Canne fra il Monistero delle Monache di S. Chiara, e quello, che dovevano fabricare; anzi che dichiara, che non vuol punto pregiudicare a' Privilegi di quelle: nulladimeno poi, come testifica lo stesso Guglielmo della Croix apresso il nostro Errera nel luogo sopracitato, lo stesso Pontefice diede commissione al Vescovo della Città, che riducesse il numero delle Canne a 70 e se ciò non fece in questa Bolla, fu per aventura per non dare ansa a' Religiosi, con questo esempio, di supplicare ogni giorno la S. Sede per la diminutione delle dette Canne. Nell'Anno seguente ci converrà tornare a parlare di questa controversia, come anche dello stesso nostro Monistero havremo, che dire in altri tempi, e specialmente sotto l'Anno del Signore 1373 in cui furono necessitati di far nuova trasmigratione.

44 - Sotto l'Anno del Signore 1339 notassimo, come Gualtiero Galeotti Nobile Cittadino Napolitano, donò all'Ordine nostro alcune Case, et un'Orto fuori delle mura di Napoli, in un luogo detto la carbonara, acciò ivi fondasse un nuovo Monistero: hora havendo li nostri Padri dato principio alla detta fabrica, e già cominciato ad habitarvi, egli di nuovo ispirato da Dio, come credere si deve, con nuova liberalità, fece libero dono al medesimo Convento di due altri Orti contigui, e certe altre case esistenti in uno di quelli. E questa Donatione la fece a F. Giovanni da Monte Rotondo Vicario della Provincia di Terra di Lavoro, a Maestro F. Gregorio, a F. Stefano de Gramatio Priore del Convento di S. Agostino di Napoli, et a F. Andrea di Varscia; e tutto ciò fece con conditione, e patto espresso d'essere ammesso da' nostri Eremiti di S. Agostino a parte di tutte le orationi, et altri beni spirituali, che in detto Ordine si fanno, e che dovessero pregare Iddio per l'Anima sua, e di tutti i suoi Successori, dichiarandosi in oltre, che vuole, che nel detto Convento di S. Giovanni, oltre il priore, stiano di stanza [V, p. 554] 12 Religiosi per lo meno, da' quali si debba eleggere il sudetto Priore, e che questo poi si habbi da confirmare dal Generale dell'Ordine, o pure dal Capitolo Generale. E tutte queste cose costano per un publico Istromento fatto in quest'Anno nella detta Città di Napoli, e rogato per Orlando Palmieri sotto il giorno 30 di Settembre Indit. 12 come testifica l'Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto a car. 205.

45 - Già, che più sopra habbiamo fatta mentione del Convento di Cantabrigia nell'Inghilterra, siamo per tanto quivi necessitati a dire, che fosse molto più antico di questo tempo; attesochè era in quest'Anno in stato così perfetto, che vi era Studio Generale dell'Ordine; bisogna ben credere, che havesse d'antichità molti, e molti Anni, e forse d'un Secolo per lo meno.

46 - In questo tempo istesso haveva la Religione nostra in Pisa, oltre l'antico Convento di S. Nicolò, un altro Monistero contiguo al Ponte Nuovo, chiamato per appunto di S. Maria di Ponte Nuovo. Di questo ne fa mentione, con occasione disparata, et accidentale, il P. F. Luca Vadingo nel Tomo 3 de' suoi Minoritici Annali sotto il numero 31 di quest'Anno preasente 1343 e lo registra anco l'Errera nel Tomo 2 dell'Alfabeto a car. 307.

47 - Havendo il Pontefice Clemente VI ad istanza della Regina Donna Sancia, soggettato nell'Anno scorso, il Monistero delle Monache nostre di Santa Maria Maddalena di Napoli, alla cura, et al governo spirituale, e temporale de' PP. Minori, come in quel tempo accennassimo; in quest'Anno altresì si compiacque di dare ampia facoltà all'Abbadessa, et all'altre Monache del predetto Monistero, di potere essere assolute dal loro Confessore, etiamdio da' Casi riservati alla S. Sede. La Bolla poi di questa così insigne gratia, fu data appresso Villanuova di Avignone a 26 di Luglio nell'Anno 2 del suo Pontificato, e di Christo 1343. E di questa Concessione ne fa memoria anche l'Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto Agostiniano a car. 210.