Tomo V

Anni di Christo 1347 - della Religione 961

1 - [V, p. 572] Due molto grandi, e molto strani accidenti successero in quest'Anno del Signore 1347 nella nostra Europa, uno, cioè nella Germania, e precisamente nella Baviera, poco lungi da Monaco; e l'altro nella nostra Italia, cioè, nell'Alma Roma. Vediamo qual fosse il primo, che poi appresso riferiremo il secondo. Il primo accidente dunque successe a gran danno dell'infelice Lodovico di Baviera, il quale doppo havere per molti Anni, con la sua scismatica pertinaccia travagliata la Chiesa, e dato molto ben che pensare a tre Sommi Pontefici, Giovanni, Benedetto, e Clemente; alla perfine in quest'Anno colto all'improviso dal divino Giudicio, mentre tracciava in una Selva un Orso di smisurata grandezza, cadendo precipitosamente da cavallo, ricevè colpo tale da quella infelice caduta, che indi a poco miseramente se ne morì. Se poi prima di terminare la Vita dasse segni di vera penitenza, e chiedesse d'essere assoluto dall'Ecclesiatiche censure, come scrivono alcuni, o pure impenitente morisse, come ad altri piace, noi non lo potiamo asserire. Leggansi per tanto tutti gli Autori, così Ecclesiastici, come Secolari, e specialmente il Bzovio, lo Spondano, et il Rainaldi, Giovanni Villani, l'Aventino, Tritemio, et altri della Germania.

2 - E non fu meno strano l'altro accidente, che occorse in Roma: imperciochè essendosi all'improviso, non so in qual maniera, e da qual spirito guidato, un certo huomo popolare di professione Notaio, chiamato Nicola di Lorenzo, detto però volgarmente Cola di Renzo di Casa Gabrini, come vuole il Bzovio, et havendo in oltre radunata sotto le sue Insegne una gran moltitudine della Romana Plebe, se ne passò con quella furiosamente nel Campidoglio, di cui si rese ben tosto Padrone e Signore; indi facendosi eleggere dallo stesso Popolo Tribuno di Roma, cominciò a trattarsi poi, non come semplice Tribuno, ma come Re, et Imperatore: e ciò che reca maggior stupore, fecesi con gran pompa solennemente Ribattezzare nel famosissimo Battisterio, in cui è fama, che fosse Battezzato il Magno Costantino. Scrisse poi, e mandò Ambasciatori a tutte le Republiche, et altri Principi dell'Italia, confirmando a tutti, come Sovrano Monarca, il possesso delli loro Dominj: e di vantaggio ancora scrisse al Pontefice, che se in termine d'un Anno non faceva in Roma ritorno, gli haverebbe il Pontificato annullato, et un altro haverebbe fatto eleggere in sua vece. Ma esendo indi a pochi mesi stato costretto da una fattione di Cittadini a fuggirsene di Roma, si portò egli in tutta diligenza alla Corte di Carlo Imperatore, per implorare agiuto da quel Principe contro de' suoi nemici: ma Carlo poca stima facendo di quell'huomo vile, e sopramodo insolente, lo fece prendere da' suoi, e lo mandò strettamente legato, e ben custodito al Sommo Pontefice in Avignone: così per all'hora terminò la catastrofe di questo Pazzo glorioso.

3 - Se bene Girolamo Romano nostro, per essere diligente Cronista, parlando nella Centuria 10 a carte 73 della gloriosa, e felice morte del nostro Beato Giovanni detto communemente da Rieti, dice, che successe nell'Anno di Christo 1385 nulladimeno l'erudito Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a carte 372 asserisce essere questa sua opinione onninamente contraria a tutti gli altri Scrittori dell'Ordine, li quali, quasi uno ore, et calamo, dicono, e scrivono essere accaduta in quest'Anno del 1347 vero è che Lodovico Giacobilli nel Tomo 2 de' suoi Santi dell'Umbria a car. 70 afferma essere morto il B. Giovanni nell'Anno 1343 il che aver letto in ciò una carta antica, [V, p. 573] che si conserva nel nostro Convento d'Amelia. Io però per non dare negli estremi, seguirò l'opinione di mezzo, per essere anche seguita da maggior numero di Autori, e tutti dell'ordine, cioè, che la morte di questo Beato succedesse nell'Anno presente del 1347 che però quivi daremo un brieve saggio della sua santa e innocente Vita.

Vita, Morte, e Miracoli del Glorioso Servo di Dio, il Beato Giovanni da Rieti.

4 - Quantunque questo glorioso Servo del Signore, venga communemente chiamato da Rieti, non fu però Cittadino di quella Patria, né tampoco fu figlio del Convento di quella, ma solo viene così chiamato per lunga dimora, che fece nella detta Città, e Monistero, in cui anche santamente morì; alla maniera appunto, che S. Nicola, tutto che fosse nato in S. Angelo, e fosse figlio del Convento di quella Terra, nulladimeno da Tolentino si chiama, perché 30 Anni dimorò in Tolentino, et ivi anche, com'è noto, morì. La vera Patria dunque in cui nacque Giovanni, fu un Castello del Territorio, e Diocesi d'Amelia, chiamato Porciano, li suoi Genitori furono buoni Christiani, e se bene non si sanno i nomi loro, gli è però certo, dice il Giacobilli nel luogo sopracitato, che furono di Casa Bufalari, come asserisce lo stesso leggersi notato nella Carta antica mentovata del Convento d'Amelia.

5 - Hebbero questi due felici Accasati due figli, cioè un maschio, et una femina, il maschio fu il nostro Giovanni, e la femina hebbe nome Lucia, li quali entrambi, come furono educati dai suoi buoni Genitori, con ogni più esatta diligenza, nel santo Amore, e Timore di Dio, così amendue, nel dovuto tempo, si fecero Religiosi della nostra Santa Religione; lasciamo hora di parlare di Lucia, e solamente attendiamo a proseguire il filo della Vita di Giovanni. Questi dunque come nella fanciullezza erasi sempre fatto conoscere per un Angioletto terreno, in riguardo delle molte virtù, che risplendevano in esso, per la sua incomparabile modestia, per l'innocenza dei costumi, per l'Angelica divotione, con la quale stava nella Chiesa, et anche nella Casa orando, così poi havendo preso l'habito della nostra Religione nel Convento d'Amelia, non si puole con humana lingua bastevolmente descrivere quanto smisuratamente si avanzasse nel regio camino della religiosa perfettione. L'Humiltà, l'Ubbidienza, la Purità virginale, la Carità verso Dio, e verso il Prossimo, et in consequenza tutte l'altre più eroiche campeggiavano di tal sorte nell'Anima innocente di questo Santo Giovinetto, che ben pareva, che in quella, come nella loro propria Metropoli facessero la loro residenza.

6 - Terminato poi l'Anno dell'Approbatione, fu con grand'allegrezza, e giubilo universale di tutti i Padri, ammesso alla solenne Professione de' tre Monastici Voti, nella quale gravissima attione non si puole con humana lingua spiegare l'indicibile contento, che provò l'Anima benedetta di quel Santo Giovinetto nel vedersi annoverato per sempre fra i Figli del gran patriarca S. Agostino. Divenuto dunque Giovanni Professo, fu ben tosto mandato di stanza nel Convento della Città di Rieti, il quale forse in questi tempi era uno de' Professorij di quella nobile Provincia dell'Umbria. E ben si può dire, che fossero fortunati, e felici gli altri Professi, che l'hebbero per compagno in quel Monistero; attesochè con l'esempio della sua santa Vita, [V, p. 574] hebbero largo campo di grandemente avanzarsi nella regolare osservanza: era egli Giovanni di volto santamente lieto, e giocondo, et haveva un cuore molto schietto, e sincero: dalla di lui bocca non usciva parola, che santa non fosse, e di molta edificatione a chi l'udiva: nell'esterno non era punto singolare, non abborriva la conversatione degli altri, anzi che di buona voglia sovente con essi conservava, e divisava. Ma quando poi nella sua Cella si ritirava, castigava il suo corpo innocente con tanto rigore, come se fosse stato reo di mille colpe, passava quasi tutta la notte in una continua oratione, e meditatione delle cose del Cielo nelle quali stavano del continuo fissi tutti i pensieri della sua beata mente: insomma nelle sue parole, ne' suoi pensieri, e nelle sue operationi, non v'era cosa alcuna, che santa non fosse; laonde era da' Religiosi di quella Casa cotanto amato, riverito, et honorato, che gran passione ne sentiva, e ne provava la di lui profondissima humiltà.

7 - Ma che diremo della sua Angelica Carità verso del Prossimo suo; era questa così grande, et eroica, che faceva inarcare le ciglia per infino a gli Angeli del Cielo. A tutti i Religiosi volontieri, e con allegro sembiante in qual si voglia cosa, quantunque difficile, e noiosa, serviva; e specialmente faceva provare gli effetti del suo grand'Amore, e Carità a gl'Infermi, et a gli Hospiti; imperciochè, come del continuo visitava quelli, e con dolci parole li consolava, e ne' più bassi servigi li serviva, e gli assisteva: così poi a gli Hospiti, tosto che erano giunti nel Monistero, correva frettoloso a lavare humilmente i piedi loro; li scotteva dalla polvere le Vestimenta, e nel miglior modo, che sapeva, e poteva glie le ripuliva, e nettava, e se per aventura fossero state rotte in qualche luogo, con molta diligenza, senza esserne richiesto, le ratuppava.

8 - Passiamo hora a narrare gli atti eroici della sua incomparabile divotione, che del continuo esercitava nel Choro, e nella Chiesa; attesochè come sapeva, che quando i Religiosi nel Choro stanno Salmeggiando imitano gli Angeli, et i Santi, li quali anch'essi nel gran Choro del Cielo, con dolcissimi Cantici, et Hinni soavissimi, non cessano già mai di lodare, e glorificare la Santissima Triade; così egli figurandosi di stare, come in effetto era, alla Real presenza di Dio, recitava per tanto l'Hore Canoniche con gli altri Religiosi, con tanta attentione, riverenza, e divotione, come se realmente fosse stato fra gli Angeli in Paradiso. Nella Chiesa poi non si puole con humana lingua spiegare la profonda riverenza, e la gran divotione con la quale egli assisteva al tremendo Sagrificio della Santa Messa, quale egli serviva così volontieri, che haverebbe volsuto poter servire, non solo tutte quelle Messe, che si celebravano nella nostra Chiesa, quali d'ordinari, quasi tutte serviva, ma di vantaggio ancora tutte quelle della Città, nella quale dimorava; laonde le persone di quella Patria con molto concorso venivano alla sudetta Chiesa ad ascoltare la S. Messa, per havere occasione di vedere, e di contemplare la somma divotione di quell'Angelo terreno, il quale con così bella espressione gl'insegnava il vero modo di assistere a quel sagrosanto Mistero.

9 - Fu divotissimo altresì dell'atrocissima Passione di Nostro Signore Giesù Christo, il quale sovente meditava, e procurava altresì di cooperare a quella con l'imitatione, macerando, e mortificando giornalmente, l'innocente suo corpicciuolo, con varie penalità, cioè, con discipline, con digiuni, con astinenze, con cilicj, e con altre simili mortificationi. Della Beatissima Vergine poi, fu egli così santamente divoto, che quasi sempre di lei favellava, et in essa, come in un tersissimo Specchio, continuamente fissava lo sguardo dell'intelletto; considerava le sue innumerabili Virtù, e specialmente la di lei [V, p. 575] profondissima Humiltà, la sua purissima Catistà, la prontissima Ubbidienza, l'ardentissima Carità, con tutte l'altre Virtù; e procurava poi a tutto suo ... d'imitarle per rendersi in qualche parte, degno figlio di così gran Madre.

10 - Considerava bene, e sovente, anzi pure del continuo, da una parte, le gratie, et i beneficj immensi, che haveva fatto Iddio fin dal principio del Mondo, e tuttavia faceva, et era altresì per fare sino alla fine di quello, a mal viventi mortali; e scorgendo dall'altra parte la grande ingratitudine di questi verso un così benigno, e pietoso Signore, ne sentiva tanta afflitione, che però tramandava sovente dagli occhi copiosi torrenti d'amarissime lagrime; laonde riferisce il nostro B. Giordano di Sassonia nel cap. 5 del libro 2 delle Vite de' Frati, che da quelle cose, dalle quali gli altri sogliono cavare materia di sollievo, e di ricreatione, egli all'incontro ne cavava materia, et occasione di mestitia, e di pianto; imperciochè ogni qualunque volta egli entrava nel Giardino del Monistero altro non faceva che piangere: laonde essendo stato più volte osservato da un altro Religioso di molta perfettione, finalmente si risolse un giorno di richiederlo della cagione di quel suo pianto, che ad esso lui pareva totalmente improprio: a cui egli con molta humiltà, e modestia, così rispose: "Deh Padre mio buono, e perché non volete voi, che io amaramente pianga, quando entro in quel benedetto Giardino, mentre in esso non vedo erba, non vedo fiore, non vedo pianta, non vedo albero, et insomma non vedo cosa, che non mi rimproveri, così la mia, come l'ingratitudine di tutti gli Huomini? Attesochè la dove la terra, l'erbe, e gli alberi ne' loro tempi dovuti, giusta il precetto divino, non mancano di produrre l'erbe, et i fiori, le frondi, e le frutta: per lo contrario poi gli huomini ingrati, e sconoscenti, che giusta il sentimento di Platone, sono alberi alla roverscia, et hanno ricevuto da Dio al pari degli Angeli l'intelletto, et aspettano per la loro ubbidienza il premio della Gloria eterna, nulladimeno, o di rado, o non mai producono una minima fronda, o frutto di gratitudine: per questo Padre io piango, per questo io mi ramarico, quando io entro in quel benedetto Giardino".

11 - Haveva forse il B. Giovanni più volte letta, e considerata quella misteriosa Parabola, che disse una volta Christo Signor Nostro in S. Matteo al cap. 24 ai suoi Discepoli parlando, mentre sensatamente gli esortò andare alla Scuola degli Alberi, e precisamente dell'Albero del fico, Ab arbore Fici discite parabolam: ma perché più tosto all'albero del Fico? Perché quest'Albero, dice S. Gio. Grisostomo, si dimostra più degli altri alberi fruttuoso non solo, ma di vantaggio ancora più degli altri nel fruttificare perseverante; attesochè la dove gli altri alberi producono li loro frutti durevoli per pochi giorni; all'incontro il Fico, da che una volta comincia a frutificare nella Primavera, non cessa mai di ciò fare fino alla rigida Vernata; sentiamo le di lui auree parole: "Omnis arbor fere in uno tempore fructum praebet; sed et infra paucos dies, et maturessunt, et cadunt; Ficus vero, ex quo caeperit fructus afferre, usque ad Hyemem fructificare non cessat". E perciò il nostro Santo Professo non lasciava già mai passare hora del giorno nella quale alla maniera del Fico, non producesse frutti di gratitudine per i beneficj non solo, che ad esso lui faceva, ma etiamdio per tutti quelli, che dalla sua divina bontà riceveva l'ingrato Mondo.

12 - Testifica poi il B. Giordano sopramentovato nel luogo citato, che volendo il Signor Dio a se chiamare in Paradiso questo felicissimo Religioso nel più bel fiore della sua adolescenza, si compiacque di farle gustare, sei Mesi prima della sua beata Morte, un copioso saggio di quella Gloria eterna, che haveva da godere perpetuamente nel [V, p. 576] Cielo; attesochè in ciascheduna notte di quel felice semestre, alla maniera del glorioso S. Nicola da Tolentino, udì i dolcissimi canti degli Angeli, li quali con estremo contento dell'Anima sua, l'invitavano al godimento dell'eterna Beatitudine. Aggiunge lo stesso Autore, il quale in questo tempo viveva, che verso il fine dell'accennato semestre ogni un Rossignuolo, o pure, un Angelo in forma di quello, su la finestra della sua Cella, il quale, per qualche tratto, dolcemente cantando, maravigliosamente ricreava non solo il buon Giovanni, ma etiamdio tutti gli altri Religiosi del Monistero, li quali interrogando il fortunato Giovanni, che Uccello fosse quello, quasi scherzando rispondeva, essere la sua Sposa diletta, che l'invitava alle nozze del Cielo.

13 - Et ecco, che pochi giorni doppo, mentre una mattina stava nella Chiesa con la sua solita divotione, servendo la S. Messa, e mentre già stava il Reverendo Sacerdote offerendo a Dio quel Sagrificio incruento, vidde il Beato Giovanni all'improviso scendere dal Cielo una risplendentissima luce, e posarsi sopra dell'Altare dirimpetto ad esso, et aggiunge il Giacobilli, che nel bel mezzo della sudetta luce vi era la Beatissima Vergine sua gran Padrona, et Avocata; vero è, che ciò non viene riferito dal B. Giordano nè da altro nostro antico Autore; laonde io non so indovinare di dove l'habbia il Giacobilli cavato, dicendo tutti gli altri, che solo gli apparve la sudetta luce, e non la Vergine Santa; ma forse sarà questa Traditione antica di quel Convento, e Patria; laonde il Giacobilli Autore di quella Provincia dell'Umbria, il quale andò presentialmente in tutti i luoghi di quella, ove erano Santi, e Beati, per prenderne la dovuta informatione, havendo intesa questa Traditione, l'inserì poi nella Vita del nostro Beato.

14 - Havendo dunque il nostro Santo Religioso bastevolmente inteso dall'Apparitione di quella Luce celeste, e molto più dalla gloriosa Vergine (se pur è vero, che gli apparisce anch'ella) che di già si avicinava l'hora felice in cui egli doveva poggiare al Cielo, per ricevere dalle mani di Dio la Corona immarcessibile della Gloria Eterna, quale abbondevolmente, con tante sue sante operationi, e virtù, meritata si haveva; et essendosi altresì in quel medesimo giorno gravemente infermato, si apparecchio egli per tanto con la maggior diligenza, divotione, e riverenza, che suggerire li seppe l'altissimo suo spirito, a ricevere i Santissimi Sacramenti, che in tale occasione costuma di ministrare la Chiesa ai moribondi fedeli. E di vero in questa sagra funtione fece egli espressioni così grandi della sua gran carità, et amore verso il suo benignissimo Creatore, che li Padri tutti del Monistero, che ivi genuflessi si ritrovavano, come dirottamente piangevano per tenerezza, così ne' loro cuori godevano di dovere havere indi a poco un Santo in Paradiso, il quale speravano, che havesse sempre da proteggere quel Monistero appresso Iddio. Così questo felicissimo Giovinetto nel più bel fiore degli Anni suoi, colmo, e ricco di meriti grandissimi, fra l'orationi, e le lagrime de' suoi Religiosi, e padri, spirò l'Anima sua innocentissima nelle mani degli Angeli, li quali ivi in gran numero stavano presenti, da' quali fu poi, come si spera, in un baleno portato in Paradiso, ove gode, e goderà per tutta l'Eternità la bella faccia di Dio, in cui tutta consiste l'Eterna Beatitudine.

15 - Non fu così tosto con esito così felice passato questo glorioso Servo del Signore delle miserie di questa bassa, e tenebrosa Valle del Mondo, alle delitie dela Beata Magione, quando il pietosissimo Iddio, per far conoscere all'Universo tutto, la Santità di questo Beato suo Servo, cominciò fin dal Cielo ad autenticarla con molti stupendi Miracoli, li quali, come riferisce ampiamente [V, p. 577] Il B. Giordano, giunsero in meno di un Anno al numero di 150 e più; laonde ha poi sempre goduto fin dal tempo della sua morte beata, il Titolo, e Culto di Beato; e la sua Festa si celebra nel primo giorno d'Agosto, in cui, come riferisce il Giacobilli, santamente spirò, e fu così grande la fama della sua Santità, e Miracoli, che lo stesso Giordano racconta, che anch'egli, mosso da un così gran rimbombo, si portò in propria persona in Rieti a visitare il di lui sagro Corpo; e soggiunge, che da' Padri di quel Monistero, li quali conosciuto, e praticato l'havevano, gli fu puntualmente raccontato di questo Santo Religioso, tutto ciò, che noi quivi da esso habbiamo succintamente riferito.

16 - In questo medesimo Anno ritroviamo, che essendo passato di là dal Mare un Religioso nostro di gran spirito, e talento, chiamato F. Nicola, della Provincia, e Regno di Boemia in tempo però a noi ignoto, per predicare la Fede a gl'Infedeli di quelle parti trasmarine; et havendo in effetto esercitato quell'Apostolico Ministero con gran frutto di quelle povere Anime, alla perfine vedendo, che la Messe era vastissima, e gli Operarj pochissimi, e conoscendo altresì, che quelle genti infelici tutto che barbare, e rozze fossero, non erano però molto difficili da ridurre nel Santo Ovile di Christo, pensò per tanto di far ritorno in Europa, e di portarsi a' piedi del Sommo Pontefice Clemente VI e supplicarlo a volerli concedere ampia facoltà di condurre in quelle parti medesime degl'Infedeli sudetti, tanti Religiosi dell'Ordine nostro, quanti havesse egli conosciuto essere necessarj per quella gran Missione; e che di vantaggio si degnasse di darli facoltà di fondare Chiese, e Monisteri, quanti havesse potuto nelle medesime Regioni, con tutte le circostanze, che in somiglianti Fondationi si richiedono. Et in effetto essendo giunto in Avignone, et havendo presentato un Memoriale, in cui si contenevano le cose pur hora da noi descritte, il Santissimo Padre rallegrandosi in sommo grado, che la Religione nostra havesse Missionarj così zelanti, di buona veglia li concesse ben tosto tutto ciò, che egli bramava, con un'ampia Bolla, la quale fu data nella sudetta Città d'Avignone a 29 Novembre l'Anno 5 del suo pontificato, cioè di Christo 1347 et un Transunto autentico di questa Bolla conservasi nell'Archivio del nostro Monistero di S. Marco di Trento, il cui tenore è questo, che siegue.

Clemens Episcopus Servus Servorum Dei.

17 - Dilecto filio Nicolao de Boemia Ord. Fratrum Eremitarum S. Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Christianae Fidei, sine qua non iacitur stabile fundamentum, nec est alicui gratia, neque salus adaugeri cultum; ubilibet super omnia desiderabilia cordis nostri attentius cupientes, pijs desiderijs devotorum ad dilatationem ipsius fidei operosa solicitudine laborantium libenter Apostolici favoris auxilium impartimur. Cum itaque sicut accepimus tu fueris longis temporibus inter Infedeles in partibus transmarinis causa seminandi Evangelicum semen in divini Cultus, et Christianae Religionis augmentum, et iterum redire desideres ad easdem, in quibus Fratres dicti Ordinis, cuius tu professor existis, nullum Locum habere noscuntur, nos tuis in hac parre devotis supplicationibus inclinati, ut tu cum aliquibus alijs Fratribus dicti Ordinis, quos tecum ducere volueris, aliqua loca apta in dictis partibus recipere, et in eorum quolibet Oratorium, seu Ecclesiam cum Campana, et Campanili, ac Claustro, et Coemeterio, ac Domibus, et alijs necessarijs Officinis construere iuxta morem dicti Ordinis absque praeiuditio Iuris Parocchialium Ecclesiarum, vel cuiuslibet alieni, Constitutione felic. record. [V, p. 578] Bonifacij Papae VIII praedecessoris nostri, et qualibet alia contraria, non obstante, devotioni tuae plenam, et liberam, auctoritate praesentium, licentiam elargimur. Nulli ergo hominum omnino liceat hanc paginam nostrae Concessionis infringere, vel ausu temerario contraire. Si quis hoc attentare praesumpserit, indignationem Dei Omnipotentis, et Beatorum Petri, et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum. Datum Avenione secundo Kalendas Decembris Pontificatus nostri Anno quinto.

18 - Intorno a questa Bolla io primieramente noto, che questo gran Missionario doveva essere in sommo grado humile, e della vana gloria in conseguenza nemico, attesochè, in vece di far risuonare insieme col suo nome anche il cognome della famiglia, et il nome altresì della Patria, egli non volle mai, che si sapesse fuori che il nome proprio di sua persona, e del Regno in cui era nato, e tutto ciò a fine, come certamente mi persuado, di non essere lodato, et encomiato, così per le sue rare virtù, come per l'Apostolico Ufficio, che egli con tanto frutto esercitava fra gl'Infedeli. E perciò quivi noto in secondo luogo, che havendo egli per longo tempo ai sudetti Infedeli Predicato, come chiaramente esprime il Pontefice nella Bolla, mentre dice, che in quelle barbare Contrade erasi tratenuto, longis temporibus causa seminandi Evangelicum semen, etc. fa ben di mestieri, che egli in quelle parti havesse fatte gran Conversioni d'Anime alla Chiesa, che però per maggiormente progredire in così santa impresa, si portò in Avignone per ottenere licenza dal Papa, si di condurre altri Missionarj seco, che l'agiutassero in così grande affare, e si anche di fondare Chiese, e Monisteri dell'Ordine nelle parti convertite. Noto finalmente, che quantunque non si sappi precisamente in quali Regioni, e Paesi, egli con i Compagni esercitasse l'Apostolico suo talento, nulladimeno io mi faccio a credere, che ciò facesse ne' Regni dell'Africa, perché io ritrovo, che un Transunto di quella Bolla, fu da esso fatto autenticare dal Vicario Generale del Vescovo di Tropea, Città Marittima della Calabria, la quale non è molto lontana dalle Coste dell'Africa; se bene puol'essere ancora, che fosse la sua Missione nelle parti dell'Asia, verso delle quali era cosa facile, che s'imbarcasse nel Porto di Messina, il quale è pochissimo lontano dalla sudetta Città di Tropea.

19 - Quello, che è più difficile da rintracciarsi è, che cosa poi avenisse di questo benedetto Religioso, e de' suoi Compagni, cioè, se propagasse, e dilatasse maggiormente la Fede, e se fondasse, come haveva intentione, Chiese, e Monisteri dell'Ordine; e parimente in quali Parti, e Paesi facesse le dette Fondationi; e finalmente se colà morisse, o pur tornasse in Europa a morire: ma certo di niuna di queste cose potiamo noi dare alcuna certa contezza, attesochè li nostri antichi Scrittori non hanno mai havuta alcuna cognitione di questa Bolla; hor quanto meno poi l'havranno havuta de' progressi, e dell'esito di questi famosi Missionarj? Il fatto stà, che né meno noi ne haveressimo havuta alcuna notitia, se dalla diligenza del P. Bacciliere Vigilio Ruffini da Trento, hora Reggente non ci fosse stata soministrata questa Bolla, la quale era stata sepolta nell'Archivio del suo Monistero per lo spatio di 331 Anni.

20 - Havendo in quest'Anno fatto passaggio all'altra Vita, Buonagiunta già Canonico Regolare di Perugia, e poi Vescovo di Carinola Città del Regno di Napoli, li fu ben tosto dato per successore da Papa Clemente VI un Religioso nostro per nome F. Bernardo Agerio, il quale, come certamente stimo, fu di natione Francese: e se bene l'Ughelli dice, che la speditione delle Bolle fu fatta nel settimo Anno del [V, p. 579] Pontificato di Clemente, stimato però, che habbi preso errore; attesochè havendo egli detto più sopra, che Buonagiunta fu creato Vescovo nell'Anno 1333 e che governò la detta Chiesa 14 anni, e che ad esso fu dato subito per successore nello stesso Anno della sua morte il nostro Bernardo nel Mese di Novembre, quindi chiaro apparisce, che fu creato Vescovo nel 1347 in cui correva l'Anno sesto, e non settimo di Clemente. Resse poi questa Chiesa il nostro Bernardo con molta lode, per lo spatio d'Anni 11 e tutto ciò apparisce nel Regesto Pontificio, come scrive il mentovato Ughelli nel Tomo 6 della sua Italia Sagra alla colon. 596 num. 14.

21 - Per quanto riferisce Giacomo Vuareo nel Cattalogo, che egli compose de' Vescovi di Ferna in Inghilterra, fu in quest'Anno promosso da Clemente VI al Vescovato di quella Chiesa, in que' tempi assai nobile, un nostro Religioso molto celebre, et insigne nella Sagra Teologia, come anche in molte altre Scienze, il quale chiamavasi F. Galfrido Grosseld: e la Bolla di questa Promotione, come riferisce lo stesso Autore, fu data in Avignone a 5 di Marzo l'Anno quinto del suo Pontificato.

22 - Essendo altresì in quest'Anno medesimo passato a maglior vita F. Marco Roncini Vescovo d'Urbino Nobile Pisano, discendente dagli antichi Signori di Ripafratta, professore dell'Ordine de' Predicatori, gli fu ben tosto dato per successore da Clemente VI il nostro famoso Dottore Maestro F. Bartolomeo di Simeone de' Carusi Cittadino della stessa Città di Urbino, e la Bolla della sua creatione fu data in Avignone a 12 di Settembre nell'Anno 6 del suo Pontificato, et è per appunto l'Epistola 38 nel Regesto, come scrive l'Ughelli nel Tomo 2 della sua Italia Sagra colonna 865 num. 21.

23 - Scrivono alcuni, che il Sommo Pontefice Clemente li conferisse questa Dignità per premiarlo in qualche parte per l'Opera insigne, che poco dianzi haveva compilata, cioè, del duplicato Milleloquio del nostro P. S. Agostino, e del P. S. Ambrogio; e soggiungono li detti Autori, che nel crearlo Vescovo, il Papa li dasse speranza di farlo passare ben presto a cose maggiori. E quantunque il Petrarca censurando li sudetti Milleloquj, dicesse, che era stata un'Opera più di fatica, che d'ingegno; nulladimeno è poi sempre stata grandemente stimata da tutta la Republica Letteraria, e tenuta in gran preggio, per l'utile grande, che ogn'uno ne puole, con gran facilità cavare, e massime quelli, che bramano di farsi pratici, e di sodamente fondarsi nella Dottrina Celeste dell'uno, e dell'altro Santissimo Dottore.

24 - Stimasi parimente, che in questo medesimo Anno fosse trasferito dentro della Città di Savona, il nostro Convento di S. Agostino, il quale fino a questo tempo era stato fuori della Città: e questa traslatione, a tutte sue spese, la fece il nostro B. Gerardo da Bergamo Vescovo di quella. Così per appunto riferisce il P. Errera dal Panfilo nel Tomo 2 del suo Alfabeto Agostiniano a carte 421.