Anche
se la tradizione attribuisce ai Saraceni l' edificazione di Tursi,
centro del Materano a 210 m s.l.m., e oggi popolato da 5718
abitanti, in realtà è il suo quartiere Rabatana il luogo in cui
quelle genti islamiche si installarono, per meglio controllare sia il
vicino borgo di Anglona che le sottostanti valli del Sinni e dell'
Agri.
Questo quartiere testimonia urbanisticamente - e al pari di Tricarico
ove insistono ben due rioni arabi, la Rabata e la Saracena - la
conseguenza delle gravi minacce, poi delle invasioni e, quindi, della
lunga permanenza di popolazioni islamizzate provenienti dall’Africa
settentrionale, più note col nome di Berberi, che vennero coinvolte
nell’espansione dell’Islam verso l’Occidente cristiano in
funzione di contingenti maghrebini islamizzati. Nel corso dei secoli
IX-X da Bari, sede di un loro emirato dall’ 847 all’ 871, gli
Arabi infatti si spinsero all’interno dell'Italia meridionale ed
anche della Basilicata, sfruttando le valli come zone più
percorribili, per compiervi rapine e fare prigionieri da destinare
come schiavi nei centri dell’impero islamico mediterraneo, nel
momento della sua massima espansione.
A detta di cronisti, come Lupo Protospata, e secondo le poche fonti
documentarie disponibili, gli stanziamenti arabi furono consistenti e
di lunga durata in molti centri del medio bacino del Bradano e del
Basento, nel basso Potentino da Pietrapertosa ad Abriola e nella Valle
dell'Agri. Le consistenti tracce architettoniche, oltre che
linguistiche, d'impronta arabo-musulmana che vi si riscontrano e che,
essendo attualmente poco esplorate risultano più soggette alla
perdita e all'oblìo, dimostrano come non si trattò solo di nuclei di
soldati, ma anche di vere comunità di mercanti e di artigiani che,
sfruttando il loro predominio politico-militare, trassero vantaggi per
incrementare ed espandere i loro commerci.
Senza entrare nel merito del fenomeno storico, gli Arabi impiantarono
comunque dei veri presidi, ancora oggi leggibili in modo eclatante nel
tessuto urbano di Tursi, Tricarico e Pietrapertosa. Si tratta di
quartieri che la tradizione e le fonti scritte connotano come
Rabatana, Rabata, Ravata richiamando il fascinoso ribàt maghrebino.
La Rabatana di Tursi si presenta come la parte più alta dell'abitato
altomedievale, che insiste sulla cima di un terreno argilloso ma in
posizione iperdifesa: è un intrico edilizio su cui domina il
Castello, imponente costruzione, ormai ridotto in rovine e di cui si
riconosce solo la base della torre. Nei tempi successivi alla presenza araba,
perduta la sua funzione di fortezza, esso avrebbe svolto quella di
residenza del feudatario e poi quella di rifugio dei briganti.
Un passaggio sotterraneo lo metteva in comunicazione con la Chiesa di
Santa Maria Maggiore dove si venera la Madonna dell’Icona, attributo
che le deriva da un trittico del trecento attribuito alla scuola di
Giotto, rappresentante la Vergine col Bambino al centro e ai lati San
Giovanni Battista e la Maddalena. Essa da semplice parrocchia fu
eretta in Collegiata con bolla del Pontefice Paolo III del 26 marzo
1546. La sua prima
costruzione risale al IX°-X° sec. ad opera dei Basiliani. L'arredo mobile interno annovera
un'acquasantiera in pietra lavorata (1513) e, nella cappella, a sinistra dell'altare
maggiore, un trittico su tavola della fine del secolo XIV,
raffigurante la "Madonna col Bambino" e ai lati "storie
della Maddalena e vita di Gesù". La chiesa presenta una cripta
completamente affrescata con immagini di sibille, profeti e santi,
opera di una personalità dell'ambito di Simone da Firenze. Vi sono
conservati ancora un presepe in pietra del XV° secolo, opera di Altobello Persio,
un
sarcofago in pietra con uno stemma raffigurante San Giorgio,
appartenuto prima alla famiglia dei nobili tursitani De Giorgiis e poi
ai Doria e due memorie dipinte sui muri: una in versi elegiaci, mentre
l’altro è un’epitaffio composte da Pitrantonio De Giorgiis nel
1546, e la tela raffigurante l'
"Incoronazione di Maria" datata alla metà del XVI secolo.
Se al percorso storico e al suo specifico carattere umano ed urbano
affianchiamo il percorso mentale ed affettivo, l'antico borgo saraceno
della Rabatana di Tursi è indubbiamente legato alla poesia dialettale
di Albino Pierro ed in particolare alla sua 'A Ravatèna. In questi
versi il rione tursitano - abitato dal ceto più povero ed in quelle
condizioni di promiscuità tra uomini ed animali, già evidenziate da
Levi per i Sassi di Matera e da Scotellaro per la Rabata di Tricarico
- riammette, nella sua consistenza fisica, la nozione delle radici
primigenie, che sembrano perpetuare, all'interno delle consuetudini
quotidiane, temperamenti sanguigni e costumi tenaci.
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