DAL NEOLITICO ANTICO ALLA CONQUISTA ROMANA

Neolitico
antico







Neolitico
medio

 














Neolitico
recente

 















Eneolitico

 

























Età del bronzo

 

























Età del ferro

 
Civiltà punica

 Età romana 

Sede di gruppi di cacciatori e raccoglitori nelle fasi superiori del Paleolitico, la Sardegna conosce la prima organizzazione umana di agricoltori seminomadi nel Neolitico antico.
Si tratta di comunità ancora numericamente ridotte, che utilizzano come rifugio ripari in grotta o sotto roccia e fanno uso di strumenti in ossidiana e selce e di vasellame in ceramica del tipo cardiale. L'agricoltura è ancora limitata prevalentemente alla raccolta di prodotti spontanei della terra.
 Con il Neolitico medio, cui si riporta la cultura di Bonu Ighinu, le comunità umane isolane dimostrano di aver pienamente acquisito le conquiste della "rivoluzione" neolitica: ora gli insediamenti sono vasti e ben organizzati, quasi sempre all'aperto, e riflettono gli esiti di una vita organizzata in modo stabile, legata alla coltivazione continua della terra.
 Le necropoli, in genere prossime agli abitati, testimoniano dei vistosi progressi culturali ormai acquisiti, evidenti sia dal punto di vista tecnologico, con l'uso di raffinati strumenti in selce, ossidiana ed osso, sia dal punto di vista sociale e ideologico, con la documentazione di una ricca religiosità di carattere fertilistico e naturalistico, legata alla divinità agricola per eccellenza delle aree neolitiche del Mediterraneo: la dea madre.
Con il Neolitico recente e finale, segnati dalla diffusione generale della cultura di San Michele, siamo di fronte a grandi, in alcuni casi grandissimi, insediamenti abitativi siti presso le lagune, gli stagni e lungo itinerari di pianura e di mezza costa forse legati alla transumanza; si tratta di gruppi in fase di continua evoluzione sociale, dotati di una economia articolata che sfrutta le risorse della terra e l'allevamento del bestiame.
Alle capanne dei villaggi, in genere di forma circolare, con alzati e tetti in legno, fanno riscontro le camere funerarie delle necropoli a domus de janas, che in alcuni casi raggiungono forme monumentali,documentando tipi di edilizia domestica e sacra che i villaggi non hanno purtroppo conservato.
I legami con l'area del Vicino-Oriente, soprattutto con l'Anatolia, diventano sempre più chiari: si tratta certo degli esiti di un traffico commerciale, ma anche di movimenti e spostamenti di gruppi umani: con la cultura di San Michele si registrano le prime timide esperienze di lavorazione dei metalli ma anche l'avvio delle grandi opere di architettura religiosa, come la prima fase del santuario "a ziggurat" di Monte d'Accoddi.
La ceramica di San Michele presenta un campionario molto ricco e articolato di forme, accompagnato da un trattamento decorativo delle superfici di grande bellezza e suggestione: spirali, motivi geometrici, intagli, in taluni casi le prime schematiche figurazioni umane, rese con uso sapiente dell'incisione e dell'applicazione di colori vegetali.
Le successive fasi dell'Eneolitico, cui si riportano una serie di culture e di espressioni ancora fluide e incerte nei loro rapporti reciproci (Abealzu-Filigosa, Monte Claro, Campaniforme) segnano una fase cruciale nello sviluppo culturale dell'isola.
Se la cultura di Abealzu-Filigosa appartiene ancora direttamente all'eredità del passato neolitico, con la cultura successiva di Monte Claro nascono i primi impianti protourbani e le prime strutture fortificate di tipo militare e difensivo: la società dell'Eneolitico è in fase di forte gerarchizzazione nel suo tessuto politico-sociale.
Questi processi di organizzazione interna della società, con il progressivo rivelarsi di una classe dominante di guerrieri, sono accelerati dall'arrivo in Sardegna dei gruppi umani portatori della cultura del vaso Campaniforme, comunità di guerrieri e di metallurghi che si insediano negli abitati Monte Claro ed utilizzano le loro tombe.
La prima età del Bronzo, con la poverissima e ancora enigmatica cultura di Bonnannaro, registra una fase di forte recessione, che è peraltro un fenomeno comune a tutta l'area mediterranea ed atlantica: ma il successivo fiorire, intorno al 1600 a.C., della cultura nuragica, si lega direttamente alle esperienze architettoniche e sociali maturate nelle fasi dell'Eneolitico.
La cultura nuragica, che popola l'isola di migliaia di torri, elementi di controllo del territorio ma anche di gestione e organizzazione dei suoi spazi e delle sue risorse, interessa tutta la Sardegna e presenta un grado di differenziazione regionale molto marcata.
Con questa fase, che si sviluppa attraverso il Bronzo Medio, Recente e Finale e le prime fasi della nuova età del Ferro, la Sardegna diventa elemento centrale del Mediterraneo occidentale: grazie anche al produttivo contatto con i mercanti e i metallurghi micenei, che frequentano l'isola fin dalle origini della civiltà nuragica, nell'isola si sviluppa una forte e ricca metallurgia che stimola i contatti commerciali e il progressivo arricchimento delle comunità indigene.
La civiltà nuragica si sviluppa sia in aree costiere e di pianura che in aree di altopiano, strettamente legata ad uno sfruttamento agricolo e pastorale del territorio, integrato dalla attività di estrazione e lavorazione dei metalli: sono gruppi e clan tribali molto diversificati tra di loro, spesso in clima di contesa e di guerra reciproca, ma in grado di avere contatti diretti con Cipro, la Siria, Creta, l'Egeo, l'area tirrenica e meridionale della penisola italiana.
Conosciamo di questa cultura, oltre le grandi realizzazioni architettoniche (i nuraghi, le tombe di giganti, i grandi santuari con i templi a pozzo), i prodotti della fiorente industria metallurgica (sia oggetti d'uso che ornamentali); la bronzistica figurata è una documentazione unica che consente l'osservazione quasi fotografica della composita società nuragica, con i suoi sacerdoti, i suoi guerrieri, i suoi eroi e le sue figure mitiche.
Nelle fasi finali dell'età del Bronzo e soprattutto con l'inizio della successiva età del Ferro la cultura nuragica si incontra con i mercanti che giungono dalla Fenicia: a partire dalla metà dell' VIII sec.a.C. l'isola sarà interessata profondamente dal fenomeno della colonizzazione fenicia, cioè dalla nascita e organizzazione sulle coste dell'isola di colonie cittadine fondate dai grandi centri della Fenicia: forse Sidone, sicuramente Tiro.
L'arrivo dei Fenici provoca dei mutamenti straordinari nella cultura isolana: con i Fenici arriva un nuovo modo di organizzazione sociale ed economica, quello legato alle comunità di città del Vicino Oriente che si sviluppa rapidamente sulle coste sud-occidentali e orientali dell'isola.
Le città fenicie accolgono al loro interno in gran numero gli indigeni; si viene così a formare gradatamente quella cultura sardo-fenicia che avrà rigogliosi sviluppi fino alla metà del VI sec.a.C., quando Cartagine, colonia fenicia d'Africa, deciderà di conquistare militarmente la Sardegna.
La conquista cartaginese dell'isola avviene a spese delle colonie fenicie e delle comunità indigene che ad esse facevano capo; con Cartagine si realizza il possesso territoriale dell'isola grazie ad una penetrazione capillare dei coloni punici nell'entroterra.
La civiltà fenicia e punica ha restituito, nei maggiori centri sardi costieri come Nora, Tharros, Sulci, Karalis ed in quelli interni come Antas di Fluminimaggiore e Monte Luna di Senorbì, una serie imponente di monumenti e di oggetti di cultura materiale che consentono una buona conoscenza dei suoi sviluppi.
L'artigianato, dalle ceramiche ai vetri, dalla scultura alla coroplastica, dalle maschere alla monetazione, si accompagna alla conoscenza dei centri antichi, delle case di abitazione, dei santuari, delle officine, delle necropoli; a tutto questo si aggiunge la documentazione importantissima delle iscrizioni.
Lo scontro tra Roma e Cartagine e il passaggio della Sardegna sotto il dominio romano nel 238 a.C. non mutano il carattere ormai profondamente punico della cultura sarda: l'incontro con i Fenici nelle fasi iniziali dell'età del Ferro e la successiva capillare presenza punica nell'isola fino al III sec.a.C. hanno infatti influenzato in modo indelebile le comunità locali che si esprimono secondo modi di vita punicizzati.
Con il dominio romano, come in parte era avvenuto con Cartagine, la Sardegna diventa granaio dell'impero; la diffusione progressiva del latifondo, l'uso generalizzato della manodopera schiavile nelle campagne e nei centri urbani provocheranno profondi squilibri nell'isola che non faranno che aggravarsi nelle successive vicende storiche, sotto i nuovi dominatori bizantini, aragonesi e spagnoli.
Le grandi strade che i Romani costruiscono nell'isola, le grandi architetture degli acquedotti, delle terme, dei teatri che fioriscono nelle città romane di Sardegna nascondono in realtà un disegno politico di sfruttamento sistematico delle risorse; un caro prezzo da pagare in cambio della universale pax romana.

Paolo Bernardini