Dichiarazioni

In ordine cronologico

10/09/99

Il capogruppo alla Provincia di A.N. disserta di politica senza possedere preparazione adeguata e le cattive figure si sprecano. L'on. Giacomo Mancini nella sua lunga attività ha condotto innumerevoli battaglie per lo sviluppo della sua terra, ed i risultati della sua opera sono sotto gli occhi di tutti: l'autostrada Salerno Reggio- Calabria, l'Università di Arcavacata, l'aeroporto di Lametia, il porto di Gioia Tauro, per non parlare della rinascita della città di Cosenza che è stata trasformata ed è indicata dalla Commissione Europea come modello di efficienza e competenza amministrativa. Il capogruppo di A.N. dovrebbe invece spiegare cosa ha fatto e sta facendo per la città che così poco degnamente rappresenta. Invece di contribuire a risolvere il problema del mare fetido, ha inviato strali contro le Giunte che hanno preceduto la sua, senza arrivare a capire che ai cittadini non interessa di chi sia la colpa dell'inquinamento delle nostre coste, ma chiedono unicamente di non nuotare in un mare fetido. Invece di spendere una sola parola sull'ingiusta squalifica della Rossanese dal campionato dilettanti di calcio, che ha privato i tanti sportivi di rossano di una loro grande passione, ha preso la carta bollata ed ha chiesto i danni agli amministratori. Consiglio quindi al gerarca di Rossano, prima di parlare di cose più grandi di lui di consultare un libro di storia per imparare da chi ha qualcosa da insegnare, e se poi, gli avanza del tempo, di aprire un testo di diritto amministrativo, capirebbe che i concorsi per le assunzione nel suo comune devono seguire un iter regolare, senza favorire qualche parente o amico del sindaco.

GIACOMO MANCINI JR

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15/09/99

In queste settimane non si fa altro che parlare del nome del candidato del centro-sinistra da contrapporre al Procuratore generale di Reggio Calabria presentato dal Polo. Manca però una seria discussione sui programmi per un progetto di sviluppo e di progresso unitario per la Calabria del nuovo millennio. Sui progetti e sulle idee, i socialisti hanno tanto da dire e da proporre. Negli anni '60, in una Calabria di contadini e di pastori, soltanto chiudendo gli occhi e dando spazio alla fantasia si poteva immaginare l'autostrada, le Università, l'aeroporto di Lametia Terme, il porto di Gioia Tauro. Noi socialisti abbiamo avuto il merito di trasformare quei sogni in solide realtà. Oggi i nostri sogni non possono essere costituiti dalla terza corsia dell'autostrada o dai programmi disomogenei dei vari assessori che vanno in giro in cerca di voti. Oggi se chiudo gli occhi, sogno Sibari capitale della Calabria, con il patrimonio inestimabile, ma non ancora valorizzato, della sua storia millenaria, e con il suo futuro legato ad un porto che deve diventare la porta dell'europa Occidentale con i Balcani, la Grecia e l'Asia Minore, perpetrando quello scambio di culture diverse che sono alla base della nostra civiltà. Se chiudo gli occhi sogno un collegamento veloce tra Sibari e Cosenza: sogno la metropolitana leggera che unirà in un rapporto sempre più stretto e più proficuo il capoluogo con l'Università. Se chiudo gli occhi sogno le nostre città sorvolate da elicotteri che ridurranno le distanze, e garantiranno un trasporto più veloce e più sicuro. Se chiudo gli occhi, sogno l'Altopiano Silano con le more, i lamponi, come il giardino del mondo, e non più come l'emblema del fallimento di un modo di amministrare di una certa sinistra priva di idee. Se chiudo gli occhi, sogno a Lametia un aeroporto internazionale con voli diretti con le Americhe; sogno porti turistici con aliscafi da e per le isole Eolie e la Sicilia. Se chiudo gli occhi sogno il mare e le coste pulite, con infrastutture belle e confortevoli che rispettino il paesaggio e che siano mete di turisti di tutta Europa. Per farsì che, come negli anni '60 e '70, tutto questo diventi realtà, c'è bisogno dell'unità di tutti i socialisti e di tutta la sinistra democratica. Il progetto della creazione di un grande partito socialista di stampo europeo deve continuare, e deve anche poter contare sull'appoggio dei DS, ai quali dobbiamo, far capire che i valori della giustizia giusta, e del rispetto e della valorizzazione del nostro passato sono imprescindibili, e patrimonio comune di tutti i riformisti.

GIACOMO MANCINI JR

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15/10/99

Lunedì scorso in contrada Torre Pinta a Rossano dodici famiglie di contadini sono state sfrattate dalle loro case ed allontanate dalle terre che detenevano e coltivavano da più di cinquantacinque anni. Erano in quei luoghi dal lontano 1945 anno in cui il prefetto di Cosenza decretò in concessione a loro favore cinque ettari di terra che allora erano incolte, paludose e addirittura malariche. Con il duro lavoro quotidiano, reso più rischioso dal pericolo di contagi ed epidemie, anno dopo anno, i contadini riuscirono a bonificare tutte le terre ed a renderle coltivabili. Quei terreni così migliorati e bonificati iniziarono a fare gola a quelli che erano i vecchi proprietari, ricchi latifondisti di Rossano, che decisero di intentare causa ai contadini per riottenere la proprietà delle terre. Il giudizio diede ragione ai latifondisti, che dall'altro giorno sono tornati in possesso del fondo, che intanto per volontà del Sindaco del MSI era stato trasformato da zona agricola in zona edificabile moltiplicandone così in modo esponenziale il valore. Tutta questa scandalosa vicenda testimonia l'arroganza e la protervia del Sindaco di Rossano che pur di favorire i suoi elettori e sostenitori latifondisti ai quali ha garantito un cospicuo guadagno con la modificazione del piano regolatore, ha calpestato i diritti, che nessun arzigogolo giuridico può negare, dei poveri contadini che sono stati cacciati da quella terra che avevano lavorato con le proprie mani per più di mezzo secolo. Il sindaco, sempre pronto a fare inutili proclami, non ha speso una sola parola a favore delle dodici famiglie di contadini, evidentemente colpevoli di non essere suoi elettori, così come non ha pensato nemmeno di adoperarsi per fare ottenere loro un giusto indennizzo per le enormi migliorie apportate. Ritengo opportuno che la Regione e la Provincia adottino provvedimenti opportuni a sostegno delle famiglie di contadini di Torre Pinta, ed a tal fine mi attiverò già da subito.

GIACOMO MANCINI JR

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17/01/2000

Il congresso dei Democratici di Sinistra, conclusosi ieri a Torino, ha evidenziato ancora di più le differenze del pensiero politico e la diversità di spessore tra Massimo D'Alema e Valter Veltroni. Il riconfermato segretario ha incentrato la sua scialba relazione unicamente su una pesantissima ed ingiustificata critica al leader dell'opposizione, evitando di spiegare quale debba essere la bussola del nuovo partito che ambisce a rappresentare l'intera sinistra italiana. Il Presidente del Consiglio, con una relazione di ampio respiro, nella quale non ha usato toni aspri nei confronti dell'opposizione, ha, invece, chiaramente spiegato che i DS, che già da tempo fanno parte dell'Internazionale Socialista, devono ambire a diventare un grande partito socialdemocratico di stampo europeo; nel tracciare la nuova rotta, non ha evitato una forte critica all'ideologia comunista e all'operato del PCI, dicendo esplicitamente che la storia ha dimostrato che ad aver ragione sono stati i partiti socialisti e democratici e ad vere torto quelli comunisti. Questa lucida analisi non può non essere condivisa ed applaudita dai socialisti che non potevano sperare in un'apertura maggiore; per tale motivo lascia perplessi il duro commento del segretario dello SDI, Enrico Boselli, che ha preferito rinsaldare l'alleanza con il cattolico democratico Cossiga, invece di apprezzare e di aiutare la decisa svolta di D'Alema il cui unico appropo non può non essere quello della costituzione anche in Italia di un grande partito del socialismo europeo. L'unico rimprovero che può essere mosso a D'Alema è che se avesse fatto la stessa analisi due anni fa avrebbe impedendo il fallimento della Cosa Due. Le parole del Presidente del Consiglio, riportate in ambito calabrese, rafforzano la nostra intuizione del progetto politico del PSE che ha come obiettivo, in primo luogo, quello di contribuire, nella regione che è stata la più socialista d'Italia, alla riunificazione delle tante vecchie famiglie socialiste sotto un'unica tetto, per poi dar vita ad una stretto rapporto di collaborazione con i DS.

GIACOMO MANCINI JR

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14/06/2000

Ho appreso dai resoconti pubblicati sulla stampa locale dell'ennesima riunione tra i segretari provinciali dei DS e dello SDI per tentare di definire e completare la giunta provinciale. Ad un anno esatto dalla schiacciante vittoria della coalizione di centro-sinistra continuare a parlare di metodi, di principi e di pregiudiziali risulta inutile ed assolutamente distante dalle tante sollecitazioni e dai bisogni che esprimono i cittadini. Il PSE auspica che si inizi finalmente a programmare un'azione amministrativa più incisiva rispetto a quella attuale. La Provincia, nei prossimi quattro anni, dovrà fare di più e di meglio; anche alla luce delle nuove e più ampie funzioni, il cui conferimento deve essere sollecitato alla Regione. I trasporti, ed il dibattito nato dopo la brillante iniziativa del comune di Cosenza volta ad istituire un collegamento rapido ed economico tra la città e l'università, rappresentano un'occasione mancata per la Provincia. Ma le emergenze, purtroppo, nella nostra terra non mancano: e vanno dalla progettazione degli interventi sugli edifici scolastici, in molti dei quali manca da anni finanche la manutenzione ordinaria, alla definizione dei concorsi interni, alla tutela dei mari e delle coste. La Provincia dovrà far sentire il peso della propria azione. Agendo con i fatti, e tralasciando finalmente la noiosa querelle sugli assessori, la provincia, insieme al comune capoluogo ed agli altri importanti centri governati dal centro-sinistra, potrà assumere una guida anche politica nel nostro territorio, in modo tale da consentire alla coalizione un recupero di prestigio e di consensi.

GIACOMO MANCINI JR

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01/08/2000

I cittadini del comune di Dipignano, da più di un mese, nelle proprie case non hanno l'acqua corrente. Nelle frazioni di Laurignano e di Tessano la situazione è drammatica l'acqua manca quasi tutto il giorno, a Dipignano è erogata soltanto per poche ore. Il grave problema è iniziato nei primi giorni di luglio. Coloro i quali hanno l'obbligo di risolverlo, fino ad oggi, sono rimasti con le mani in mano; non si sono nemmeno preoccupati di fornire una spiegazione sui motivi dell'accaduto. I disagi per l'intera popolazione sono enormi: i cittadini non possono lavarsi, cucinare, pulire la propria casa; i titolari di bar e ristoranti devono fare i salti mortali per offrire il loro consueto servizio efficiente ai tanti avventori che, in questo periodo, si recano nel loro paese. Dipignano è un comune importante dell'area urbana cosentina, nel periodo estivo è visitato da cosentini che cercano ristoro dal caldo della città, da tanti turisti e da tanti emigranti che con le loro famiglie tornano al proprio paese. E' questo l'indegno spettacolo che il sindaco intende offrire? E pensare che i dipignanesi per ovviare alla consueta mancanza d'acqua avevano provveduto a loro spese, negli anni scorsi, a dotare le proprie abitazioni e i propri esercizi commerciali con serbatoi d'acqua. Il sindaco, però, li aveva convinti a toglierli, promettendo la risoluzione del problema. Oggi la situazione, nonostante le promesse, è ancora peggiore. E' arrivato il momento che il Sindaco si assuma le proprie responsabilità: faccia meno viaggi in Toscana e si occupi maggiormente dei problemi dei dipignanesi.

GIACOMO MANCINI JR

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10/08/2000

Sui giornali degli ultimi giorni, i commentatori dei fatti politici si sono indignati per la decisione presa dai consigli regionali di tutta Italia, senza nessuna differenza, né remora tra quelli di centro-destra e quelli di centro-sinistra, di assegnare ad ogni singolo deputato regionale il cd. portaborse con tanto di stipendio di duemilioni netti al mese a carico del contribuente. L'indignazione è sacrosanta: è molto deludente che le nuove regioni, che invocano, a ragione, maggiori poteri e maggiore autonomia dal governo centrale, abbiano iniziato la loro attività copiando le abitudini peggiori del parlamento nazionale. A ben vedere, però, nel nostro paese, e nella nostra regione, c'è di peggio. Basti pensare, per esempio, allo spreco costituito dalle comunità montane. In Calabria, una regione con ottocento chilometri di costa, ci sono la bellezza di venticinque comunità montane (undici nella sola provincia di Cosenza), di più di quelle del Veneto, del Piemonte e della Lombardia, dove le montagne (e che montagne), non mancano di certo. Ogni comunità montana ingrassa un discreto stuolo appartenente al sottobosco della politica: il numero dei consiglieri, che sono nominati tra i consiglieri comunali dei comuni che ne fanno parte, è variabile, ma mai inferiore a quaranta, gli assessori sono almeno otto, e naturalmente c'è un presidente. Gli emolumenti vanno dalle centomila lire per il gettone di presenza del semplice consigliere ai quattro milioni al mese di stipendio per il presidente ed i suoi assessori, ai quali si sommano i vari benefit come l'auto blu con autista, il telefonino, i rimborsi spesa per viaggi e ristoranti. Come si vede, una spesa di parecchi miliardi per le tasche dei contribuenti, che comunque, ed è bene sottolinearlo per evitare di essere additato come facile moralista, sarebbe del tutto legittima ed apprezzabile se servisse a fornire servizi utili al territorio ed alla collettività. Di servizi, però, le comunità montane ne offrono ben pochi: la loro attività, infatti, si concretizza e si esaurisce nel conferimento di incarichi, consulenze professionali e pareri agli architetti, agli ingegneri ai geometri, tutti amici degli amici, che sono lautamente retribuiti per la realizzazione di progetti, studi di fattibilità, ed altre amenità che mai e poi mai saranno realizzati. Di fatto, questi enti rappresentano postazioni di potere, gestite in maniera consociativa da tutti i partiti, al solo ed unico fine di alimentare ed ingrassare clientele da utilizzare nel corso delle campagne elettorali. C'e' da augurarsi che le comunità montane vengano al più presto abolite.

GIACOMO MANCINI JR

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11/08/2000

Nei giorni scorsi sono intervenuto nel dibattito politico agostano (per la verità molto scialbo e quasi esclusivamente volto a stipulare accordi per aggiudicarsi le candidature alle prossime elezioni politiche) denunziando lo sperpero di denaro pubblico perpetrato nella gestione delle comunità montane nella nostra regione. Il mio ragionamento è semplice: perché continuare a mantenere le numerose comunità montane (25 in Calabria, 11 nella solo provincia di Cosenza) che esistono esclusivamente per foraggiare con laute indennità una pletora di burocrati della politica privi di alcuna competenza e dediti ad alimentare clientele a fini elettorali? meglio abolirle ed utilizzare i soldi dei contribuenti per scopi più utili alla collettività ed al territorio. Naturalmente, andando a toccare interessi consolidati, non mi aspettavo certo salti di gioia e plausi incondizionati da parte dei presidenti delle comunità montane; pensavo, però, che qualcuno si benignasse di spiegare come funzionano e a cosa servono questi enti, per me, completamente inutili. Mi sbagliavo. Infatti, per tutta risposta ho ricevuto le contumelie di un oscuro quadro dei DS, membro di una delle tante comunità montane, che mi accusa di eccessivo moralismo. Lungi da me la volontà di replicare a tale personaggio, ma utilizzo l'occasione per chiedere la pubblicazione integrale dei bilanci delle venticinque comunità montane calabresi. Sarà l'occasione per sapere quanto denaro pubblico sia stato scialacquato in questi decenni per pagare le cospicue parcelle di architetti, ingegneri, geometri, avvocati possessori dell'unico merito di essere mogli, amanti o congiunti vari dei politicanti locali, per progetti inutili, mai realizzati che oggi sono malinconicamente accatastati in enormi archivi polverosi. Dispiace e preoccupa, poi, che la difesa di questi ingiusti e costosi privilegi sia condotta da un partito della sinistra che dice di voler realizzare la riforma e la modernizzazione dello stato, e che invece, sembra sempre più interessato a tutelare e valorizzare uno stuolo di burocrati di partito, a discapito di quei militanti appartenenti al mondo delle professioni, del lavoro e della cultura che sono, come dimostrano anche le ultime vicende locali, relegati sempre più ai margini del partito.

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14/08/2000

Lo scorso fine settimana, nell'incantevole cornice di un lussuoso albergo di Copanello, si è svolto un incontro tra i governatori delle regioni del centro-destra, a margine del quale i presidenti di Calabria e Lombardia avrebbero deciso di intensificare i rapporti istituzionali, economici e culturali tra le rispettive regioni. Le intenzioni sono senza dubbio lodevoli ed anche spendibili politicamente: il fatto che una delle regioni più ricche d'Europa, governata anche da una forza che da alcuni è considerata secessionista, decida di collaborare al fine di aiutare la crescita e lo sviluppo di una delle più povere in un periodo in cui sembra, invece, prevalere una visione dello stato in senso federalista inteso nell'accezione più egoistica del termine, meriterebbe plauso unanime se, ma non sembra essere questo il caso, dalle belle parole si passasse ai progetti concreti. A Copanello, invece, pare di capire, che non si sia andati oltre al chiacchiericcio sull'ovvio. Per vivacizzare i rapporti e gli scambi tra due regioni lontane tra loro più di mille chilometri, la prima cosa da fare è quella di lavorare per accorciare le distanze e facilitarne i collegamenti. Oggi questo ostacolo sembra insormontabile. Basti pensare che per andare in aereo da Lametia a Milano il biglietto costa più di quattrocentomila lire, una delle tariffe più alte d'Europa, e del tutto ingiustificate se paragonate a quella praticate sulla rotta Milano Catania da una compagnia tedesca che è quasi della metà. C'è da augurarsi che il nuovo asse Milano Catanzaro non muoia prematuramente a causa dell'Alitalia. I Governatori, eletti direttamente dai cittadini, hanno un potere di condizionamento elevatissimo: lo utilizzino per abbattere queste anacronistiche barriere.

GIACOMO MANCINI JR

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25/08/2000

Giorgio Ruffolo su la Repubblica di giovedì racconta con la prosa forbita e con l'ironia accattivante che gli sono solite, il suo "sogno di centrosinistra" nel quale il nuovo Ulivo, accantonata la "commedia" degli scontri e delle divisioni tra il centro e la sinistra per la scelta del leader della coalizione, si concentra nella difesa del Governo e del suo Presidente, che in quanto premier dovrebbe assumere anche il ruolo di leader. Non che io voglia turbare i sogni di Ruffolo, né tanto meno alimentare la disputa accademica sulla differenza tra premiership e leadership, ma oggi il centro-sinistra per concorrere alla vittoria, ancora possibile, delle elezioni politiche del prossimo anno, più che di un candidato premier, ha bisogno di una forte leadership. Ha bisogno, cioè, di una persona capace che sappia avere una bussola e guidare ad una comune battaglia politica i dieci partiti e partitini che fino ad oggi non posseggono neppure una minima idea comune. Questo ruolo, sono convinto, lo potrà ricoprire degnamente e con non poche possibilità di vittoria finale, Giuliano Amato, a patto che smetta i panni del fine tecnico e indossi quelli, che non gli sono certamente meno congeniali, di leader socialdemocratico di tipo europeo. Da leader, Amato, dovrà poi pensare a redigere un bel programma di riforme da presentare agli elettori. Mi rendo conto, però, come questo percorso non sia di facile attuazione a causa delle troppe divisioni e dei contrasti latenti sulla linea politica da seguire che si vivono all'interno dei partiti di centro-sinistra: nei DS, il partito numericamente più grande che dovrebbe avere, più degli altri, il compito di favorire la nascita di una forte leadership nella coalizione, è in atto una lunga resa dei conti iniziata dopo la caduta del governo D'Alema; tra i popolari la fedeltà al centro-sinistra non sembra condivisa da tutti; i socialisti, poi, sebbene abbaiano resistito alle sirene di Berlusconi, non riescono a trovare il modo di supportare Amato. Malgrado ciò, alla ripresa del dibattito politico appare questa la priorità da inserire in agenda: all'Ulivo occorre una guida forte da contrapporre a quella di Berlusconi. L'Ulivo ha bisogno di un leader nazionale, ma l'esigenza è avvertita anche localmente. In Calabria, per esempio, chi è il coordinatore della coalizione: Agazio Loiero?, Nuccio Iovene?, Nuccio Fava?. A chi il compito di far prevalere il risultato comune sulle aspettative e le aspirazioni dei singoli esponenti del centro-sinistra?

GIACOMO MANCINI JR

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06/09/2000

La garbata replica del segretario regionale dei DS mi da l'opportunità di tornare su quanto da me affermato al Domani della Calabria e ben riportato da Domenico Martelli ad eccezione del titolo infelice che assolutamente non appartiene alla mia cultura politica. Il PSE è stato e rimarrà fedele al centro-sinistra. Grazie anche al nostro impegno leale, il 16 aprile scorso Nuccio Fava ha vinto in Provincia e nella città di Cosenza dove, come correttamente Iovene non manca di evidenziare, senza i nostri tanti consensi, conseguiti grazie ad una politica di successi amministrativi al Comune che non può non continuare anche dopo il 2002, Forza Italia e la destra avrebbero sfondato. Lo stesso impegno vorremmo profondere per le prossime importanti consultazioni elettorali a patto però che non si ripropongano gli errori del recente passato in cui sono stati privilegiati interessi personali, perseguiti con molta disinvoltura purtroppo anche da esponenti della sinistra, a discapito del risultato di tutta la coalizione. Da parte nostra nessuna voglia di inutili contrasti o lacerazioni nella coalizione, ma una forte volontà di dare vita ad una sinistra migliore che presti maggiore attenzione nei confronti della storia e della cultura socialista, e per fare ciò è importante il contributo di Mario Oliverio, nei confronti del quale, nutriamo la stessa stima che dimostra di avere Iovene, e che abbiamo sempre rimarcato con apprezzamenti pubblici, prima al segretario nazionale dei DS Valter Veltroni, poi a Nuccio Fava, e da ultimo all'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema, in visita a Cosenza; e per questo dispiace che negli ultimi tempi i rapporti con lui, forse troppo impegnato nei difficili equilibri di partito, si siano diradati.

GIACOMO MANCINI JR

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02/11/2000

La bella manifestazione del Palavobis di Milano con la quale il centro-sinistra ha designato Francesco Rutelli candidato premier per le elezioni politiche di primavera, nonostante il grande entusiasmo che si respirava tra le migliaia di militanti provenienti da tutta Italia che hanno sottolineato con applausi scroscianti, battimani ritmati e sventolio di bandiere dell'Ulivo tutti gli interventi, ha lasciato senza risposta l'importante interrogativo su quale sarà il futuro della sinistra nel nostro Paese. Soltanto pochi mesi fa le prospettive politiche, infatti, sembravano assai differenti. Dopo la sconfitta elettorale delle regionali e le conseguenti dimissioni di Massimo D'Alema, appariva chiaro agli osservatori che Giuliano Amato non si sarebbe limitato a guidare un governo di fine legislatura, ma avrebbe puntato a diventare il leader della coalizione, potendo contare su un passato di primo piano di uomo delle istituzioni, al quale, giorno per giorno, affiancava l'apprezzamento crescente per la sua opera di governo. Con Giuliano Amato, la sinistra italiana avrebbe sanato, dopo anni di tentennamenti, la propria anomalia, inserendosi a pieno titolo nel solco delle grandi democrazie europee in cui la sinistra, che sia al governo o all'opposizione, è guidata da un leader socialdemocratico, che è a capo di un grande partito che imposta la sua azione sugli ideali e la cultura riformista che hanno caratterizzato il secolo appena conclusosi. Su questa linea sembravano orientati tutti i maggiori esponenti del centro-sinistra italiano, ad iniziare da Valter Veltroni che sarebbe così riuscito dove D'Alema, con la Cosa Due, aveva fallito, ricomponendo la frattura con il socialismo italiano aperta, quasi un decennio fa, con le inchieste di Mani Pulite. In piena estate, improvviso il cambiamento, senza il conforto di un dibattito tra i partiti, Veltroni ha preferito affidare la guida della coalizione all'uomo che Vittorio Foa definisce il "portavoce televisivo della maggioranza". Insomma un vero passo indietro, evidenziato in maniera fin troppo impietosa a Milano dove si sono succeduti sul palco uno dopo l'altro il capo del Governo, che ha spiegato in maniera lucida che essere di sinistra nel terzo millennio significa contemperare la prosperità individuale con la solidarietà collettiva e la voglia di sicurezza collettiva con i diritti di libertà individuali; ed il nuovo candidato premier che ha proposto una melassa culturale passando dalla citazione di don Milani a quella di Franklin Delano Roosevelt. Con la staffetta Amato-Rutelli sembra quindi tramontare definitivamente l'idea di dare vita ad un grande partito del socialismo europeo, cui viene preferito il modello del partito democratico americano dove le diverse culture dei singoli partiti vengono annullate e sfumate in un unico grande contenitore. In questa situazione si inserisce, ma è difficile percepirne il senso, la proposta di Veltroni ad Amato di guidare un rassemblament della sinistra democratica e riformista che dovrebbe andare dallo SDI ai Verdi ai DS al PDCI. Proposta che Amato, questa volta parrebbe aver accettato non prima di aver però osservato come in una nuova formazione non possa perdurare "l'identità pressoché esclusiva e dominante che ha contraddistinto i moduli organizzativi post-comunisti". Il dato che emerge dalle vicende che riguardano la sinistra italiana è rappresentato dalla difficoltà dei dirigenti dei DS, che faticosamente da anni stanno cercando di mettersi alle spalle un passato troppo ingombrante, di affidare un ruolo centrale, sia esso il leader della coalizione che il sindaco di una città di provincia, a qualcuno che appartenga ad una cultura di sinistra diversa dalla loro.

GIACOMO MANCINI JR

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07/11/2000

Le sbavature formalistiche registrate nel corso del dibattito non hanno ridotto il valore della iniziativa assunta dal Consiglio provinciale ne offuscato il significato del voto unanime espresso a suo sostegno. Si è trattato di aderire alla proposta formulata dai Presidenti delle cinque Province calabresi di avviare, sulla base di una norma statutaria che lo consente, la presentazione di un disegno di legge di iniziativa appunto dei rispettivi Consigli, concernente la tanto attesa attribuzione delle funzioni e delle competenze che, già definite dal D.L. n. 112 del 30 marzo 1998 e ribadite dallo " scorporo" operato, un anno dopo, dal D.L. 96 del 31 marzo 1999, hanno trovato collocazione sia nella legge 265 dell'agosto 2000 che definiva la riforma dell'ordinamento locale, sia nel Testo Unico apparso sulla Gazzetta Ufficiale di alcuni giorni fa. Il Consiglio si è riservato di approvare il testo definitivo della proposta di legge della quale, per il momento ha licenziato una bozza. Ha così, risolutamente preso nelle proprie mani la gestione di una operazione che si sta trascinando da troppo tempo e rispetto alla quale maggioranza e opposizione della Regione sono ugualmente responsabili di inadempienza. Dall'insediamento della nuova Giunta regionale sono ormai passati sei mesi. C'è stato tutto il tempo per presentare, così come era stato preso impegno alla vigilia delle elezioni, da parte della maggioranza un disegno di legge organico e da parte della minoranza una proposta di legge d'iniziativa consiliare. L'opposizione di centro-sinistra in particolare avrebbe potuto riprendere, modificandolo, il testo che l'Assessore Nicola Adamo aveva presentato all'ultimo momento nella precedente legislativo quando, sia pure in ritardo, si aprì il discorso sui trasferimenti. Passando da una Giunta all'altra; la Regione ha perso tempo ed ha fatto sì che nulla si muovesse in direzione dell'avvio di una costruzione federalista. Convinte che questa condizione sia considerata ideale dai rappresentanti della Regione, le Province sono intervenute a rompere l'incanto del silenzio opportunistico e dell'inerzia complice. La Provincia di Cosenza ha avuto la soddisfazione di vedere aderire a questa posizione -che per prima aveva avanzato - tutte le altre province, compresa quella di Catanzaro che, come si sa, ha una direzione di Alleanza Nazionale. Non è cosa di poco conto. Sta a dimostrare che le cose in Calabria stanno veramente male e che nè maggioranza nè opposizione fanno il loro dovere. Un " male oscuro " che deve farci tutti riflettere.

GIACOMO MANCINI JR

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23/11/2000

L'Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d'Aiello ha rappresentato nel corso dei decenni, l'esempio della cattiva gestione clientelare nella quale la logica imprenditoriale dei costi e dei ricavi è stata accantonata per fare posto alle richieste smodate e sempre crescenti di assunzioni facili. Purtroppo la dissennata gestione ha tradito l'iniziale idea dei fondatori che pensavano di aiutare e seguire l'inserimento nella società di giovani sfortunati che in famiglia non trovavano assistenza adeguata. Come avviene, troppo spesso, però, le lodevoli intenzioni hanno lasciato il passo ad interessi dei politicanti locali ben più prosaici con risvolti che hanno del paradossale: oggi nella struttura lavorano ottocento dipendenti tra personale medico e paramedico reclutato tra le famiglie della zona dei comuni del Savuto e del basso Tirreno a fronte di un numero di degenti inferiore alle quattrocento unità. Adesso, però, il problema non si risolve gridando allo scandalo per i fatti del passato e cercando facili capri espiatori nei responsabili politici di questa dissennata gestione che sono sempre sulla breccia, occorre invece pensare ai tanti lavoratori che sono stati indotti a fidarsi delle promesse del potente di turno che ha garantito loro un lavoro che oggi, però, è diventato a rischio. L'istituto nacque per dare una speranza a poveri sventurati. Adesso gli sventurati rischiano di aumentare: non più solo i disabili, ma anche i dipendenti che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro. Molti paesi del circondario reggono la propria modesta economia unicamente sull'indotto proveniente dall'istituto. Questo dato non può essere dimenticato. Chiudere l'Istituto rappresenterebbe una vera e propria tragedia per l'economia di tutto il Savuto.

GIACOMO MANCINI JR


04/12/2000

E' stato recentemente presentato a Cosenza, nella suggestiva cornice di Palazzo Arnone a Colle Triglio, il volume di Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli dal titolo "Mezzo Giorno. Realtà, rappresentazioni e tendenze del cambiamento meridionale". Gli autori hanno il merito di proporre una visione diversa del mezzogiorno d'Italia, rispetto alle tante che, nell'ultimo secolo, hanno riproposto la teoria del "dualismo meridionalista" di Giustino Fortunato secondo cui la penisola sarebbe divisa in due da una linea all'altezza del Tevere, a nord della quale vi sarebbe un paese florido, fecondo di idee e di mezzi, dall'altra, appunto il mezzogiorno, nel quale albergherebbe il malgoverno, il malaffare, ed il parassitismo. Nel saggio, invece, traspare la voglia e l'orgoglio di riscatto di due meridionali e meridionalisti che pur non indulgendo nella denuncia delle zone d'ombra della loro terra, rifiutano l'analisi di un sud monolitico, evidenziando con giusta soddisfazione quanto di buono si stia facendo, soffermandosi sulle realtà produttive degli stabilimenti industriali di Melfi e del porto di Gioia Tauro, mancando, però, di sottolineare il caso della città di Cosenza, modello amministrativo di buon governo additato come esempio di corretta gestione dei fondi comunitari dalle istituzioni europee. Nell'opera, con un vezzo tipico degli economisti, viene soltanto sfiorata l'analisi sulla responsabilità da addebitarsi ad una classe dirigente che ha visto, e per alcuni versi ancora oggi vede, in un mezzogiorno lamentevole e subordinato, la propria forza e legittimazione. In Calabria, una regione con più di ottocento chilometri di costa, soltanto per fare un esempio, non si è avuta la capacità di considerare il mare come risorsa che andasse oltre la balneazione ed il turismo (per giunta valorizzato poco e male), e soltanto alla fine degli anni sessanta vi è stato una forte, ma isolata e violentemente contrastata, spinta verso lo sviluppo commerciale delle coste tirreniche e ioniche con la nascita dei due porti di Gioia Tauro e Sibari, che, se solo si avrà la capacità di capirne il ruolo fondamentale, potranno spingere la Calabria in una dimensione mediterranea e competitiva con la sponda ellenica. Oggi, una rilettura critica della classe dirigente, non risparmia, soprattutto a sinistra, nessuno. Coloro i quali trent'anni fa erano sulle facili posizioni di critica pretestuosa che ebbe come paradosso l'opposizione all'insediamento di Gioia Tauro a difesa degli agrumeti della piana, non da oggi occupano le stanze del potere e né utilizzano le leve senza proporre un'azione di governo volta allo sviluppo, ed ostacolando anche le iniziative di chi, giustamente, vede nella Calabria, un territorio produttivo sul quale fare investimenti, come da ultimo le incomprensibili lamentazioni per la vendita della Carime a Comindustria, o come il compiaciuto silenzio sulla sospensione dei voli Lametia-Londra della compagnia irlandese Ryanair. E' evidente come nei cinquant'anni di vita repubblicana sia mancato un pensiero moderno ed innovativo, ed in questo non poca responsabilità hanno avuto i partiti politici, oggi, del tutto svuotati della funzione loro propria di strumenti di democrazia e ridottisi a mezzo di soddisfacimento di ambizioni personali, dai quali, con difficoltà potranno arrivare indicazioni e proposte innovative. La speranza per il mezzogiorno è che le istituzioni ed i governi locali che da Napoli a Reggio Calabria, da Salerno a Cosenza, oggi ben amministrato il territorio si trasformino anche in una fucina di intelligenze vivaci cui spetterà il compito di proporre un pensiero nuovo che sia lontano dalle logiche clientelari tanto nefaste per le nostre latitudini.

GIACOMO MANCINI JR

 


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