10/02/2001


CON QUESTA COALIZIONE MAI!

L'ultima settimana è stata ricca di avvenimenti politici che avranno non poche ripercussioni sui futuri assetti dell'area che ambisce a rappresentare l'elettorato di centro: nel giro di ventiquattrore sono state presentate la Margherita, cartello elettorale che comprende i quattro partiti del centro del centro-sinistra (Popolari, Democratici, Udeur e Lista Dini), e Democrazia Europea, il nuovo partito di Andreotti, D'Antoni e Zecchino, che si è dichiarato equidistante sia dallo schieramento di destra che da quello di sinistra. E' innegabile che la mossa del senatore a vita, che ha avuto come conseguenza immediata le dimissioni dal governo del Ministro Zecchino e del sottosegretario Veneto, contribuirà ad erodere parte del già limitato elettorato del partito popolare. Ma, aldilà, del significato politico che si vuole dare alla nascita di Democrazia Europea ed alle ripercussioni che avrà sugli equilibri dei due schieramenti, quello che sconcerta è il tenore di una dichiarazione di commento rilasciata dai rappresentanti di un movimento del centro-sinistra che ha giudicato la fuoriuscita di alcuni dirigenti anche di primo piano del PPI come "un guadagno" per il centro-sinistra. Questo atteggiamento la dice lunga su come il centro-sinistra si stia preparando alle elezioni politiche di primavera e su quanto sia lontano dai partner della coalizione quello spirito di concordia e di valorizzazione reciproca indispensabile per tentare "la più grande rimonta della storia". Purtroppo sembra che molti dirigenti dei partiti nazionali e locali siano più preoccupati a ritagliarsi uno spazio per coltivare e tenere in vita le proprie piccole aspirazioni partitiche e personali, che a pensare al modo per vincere le elezioni: ecco quindi spiegato che ogni abbandono ed ogni fuoriuscita invece di essere considerata un campanello di allarme, è valutata con compiacimento per il guadagno, appunto, di spazio politico e per la conseguente divisione in fette più grandi della torta delle candidature. Con lo stesso discutibile metodo, peraltro, si sta giocando la partita delle candidature nei collegi uninominali di Camera e Senato, ma anche nella compilazioni delle liste proporzionali. Viene di gran lunga preferito un arido sistema di divisione matematica tra i diversi partiti con compensazione tra regione e regione decisa unicamente dai vertici romani, senza tenere in nessuna considerazione il radicamento delle forze politiche e degli aspiranti candidati sul territorio. Il centro-sinistra, seguendo questa strada, finirà con il candidare parlamentari uscenti, con l'unico merito di aver intessuto nel corso della legislatura rapporti di amicizia con chi conta, senza però aver lavorato a servizio del territorio e della regione che li ha eletti. Nelle settimane che seguiranno saranno sempre maggiori le patetiche iniziative, per adesso isolate, di parlamentari che inviano agli elettori del proprio collegio colorati depliant sui quali sono sottolineati i mirabolanti effetti di cinque anni di governo dell'Ulivo, ma nei quali sulla si dice su quali siano state (se ci sono state) le iniziative ed i risultati del proprio lavoro parlamentare. Eppure almeno nella nostra regione il risultato finale è ancora tutto da giocare e la vittoria sarebbe ancora ottenibile se solo si avesse la capacità e la volontà di coinvolgere tutte le forze e tutte le energie della coalizione che hanno un peso determinante, ma che, fino ad ora, sono considerate unicamente come portatrici di consensi senza un'adeguata gratificazione in termini di rappresentanza nelle diverse istituzioni. Se questa linea sarà confermata, la sconfitta oltre che annunciata sarà inevitabile. Ed a questa sconfitta noi non parteciperemo. Siamo convinti che la politica debba sempre essere azione, per questo non ci rassegneremo ad assistere da spettatori, bensì ci impegneremo con tutte le nostre energie per far vincere i nostri candidati nei singoli collegi, convinti che gli elettori oggi scelgano per i meriti guadagnati sul campo e non seguendo le indicazioni di partiti svuotati di ogni idea e privi di ogni progetto.

Bruzio Rossi


CALABRIA REGIONE D'EUROPA

Subito dopo essere atterrato all'aeroporto di Lametia Terme, ed aver sceso le scalette dell'aereo presidenziale, Carlo Azeglio Ciampi si è trovato sotto il naso il microfono di un corrispondente della RAI, che approfittando dello zelo del servizo d'ordine, è riuscito a porre in perfetta solitudine una serie di domande al Presidente della Repubblica per la prima volta in visita ufficiale nella nostra regione. La prima domanda è stata "Presidente, lo sa che in Calabria c'è la disoccupazione?", la seconda "Presidente, lo sa che in Calabria c'è la mafia?". Carlo Azeglio Ciampi senza dubbio non ignora i problemi che affliggono la nostra terra, ma è certamente a conoscenza del fatto che questi stereotipi non sono più attuali perchè la Calabria è abitata da cittadini onesti e laboriosi che crescono, studiano e lavorano con la convinzione di cancellare l'idea di una terra lacrimevole e compassionevole che si rivolge ai potenti con il cappello in mano in attesa di elargizioni. Quell'idea di Calabria, e quella classe dirigente che l'ha voluta rappresentare così per farne derivare la propria sopravvivenza, malgrado faccia di tutto per rimanere abbarbicata al potere, appartiene al nostro passato. I calabresi non hanno bisogno di compassione, ma vogliono avere le stesse opportunità dei cittadini delle altre regioni d'Europa, in modo da far emergere le tante capacità e professionalità che posseggono per sviluppare e far progredire la loro terra.



IL CAPOLINEA DI ARLACCHI

Sembra proprio che la gestione Arlacchi dello speciale ufficio che l'ONU ha aperto a Vienna per controllare e contrastare la diffusione delle droghe stia per concludersi con un disastro. Ai risultati niente affatto convincenti che si registrano nelle zone calde di produzione, alla diffusione che sempre più larga e capillare si è estesa, toccando nuove aree e nuovi gruppi sociali, si aggiungono, dall'interno dello stesso ufficio viennese, accuse a dir poco sconcertanti che colpiscono la dignità stessa del sociologo italiano. Quel che, all'inizio del suo mandato veniva esaltato come il Von Karajan della lotta alla droga e alla mafia, viene ora dipinto a fosche tinte come un campione di malversazioni, di arrogante clientelismo, di sprechi e persino di supina subordinazione agli ordini dell'ex K.G.B., russo già sovietico. Su questi aspetti sembra sia in corso una accurata indagine della Segreteria dell'ONU, a conclusione della quale sarà molto difficile che il prof. Arlacchi sia confermato al suo posto. Ma non sono questi gli aspetti che più ci interessano come italiani e come calabresi. Come italiani e come calabresi noi ricordiamo piuttosto il giovane Arlacchi fresco di studi entrare come professore associato ad Arcavacata nel Dipartimento di Sociologia e qui iniziare, tra lo sconcerto dei colleghi, la costruzione di una sua teoria per la quale, in buona sostanza, nel Mezzogiorno e soprattutto in Calabria, si nasce mafiosi e, via via che si cresce, il tasso di mafiosità aumenta e si ramifica nella società. A onor del vero bisogna dire che le astruse tesi del professore associato non solo non trovarono significativo contrasto, ma addirittura ricevettero incoraggiamenti e stimoli. L'Amministrazione provinciale del tempo, ad esempio, gli commissionò uno studio sulla criminalità nell'area cosentina che ebbe anche l'onore della stampa a cura e a spese della istituzione. Per questi suoi alti meriti "scientifici" il prof. Arlacchi si guadagnò una cattedra all'Università di Firenze, e, subito dopo, una prestigiosissima e ottimamente retribuita consulenza al Ministero dell'interno, diretto allora dal democristiano on. Scotti. Sino a quando, dopo aver suggerito la creazione della Dia e averne dettato le regole di funzionamento, si stancò di fare il consulente e volle indossare il laticlavio del legislatore. Nelle liste progressiste trovò accoglienza a dir poco entusiasta. Eletto a Locri e contemporaneamente nel Mugello, scelse quest'ultimo collegio senatoriale. Quand'era all'apice del suo successo registrò però il primo incidente: non riuscì a farsi eleggere Presidente della Commissione Antimafia. Di qui il suo sdegno. "Ingrato Parlamento, non avrai la mia presenza" sembra abbia esclamato e, alla prima occasione, via di corsa a Vienna, compiacendosi della attribuzione del titolo inesistente di Vice Segretario Generale dell'ONU. Non senza aver però prima suggerito all'on. D'Alema di offrire al disoccupato dottor Tonino Di Pietro, il collegio del Mugello per farlo entrare al Senato. Sono questi gli aspetti che ci sembrano più rilevanti della biografia del professore - manager antimafia. Perché al suo insegnamento è legata purtroppo una serie di pagine nere che, ad esempio, nel Mezzogiorno e in Calabria, attendono ancora d'esser lette dal verso buono. Sono pagine che giovani sostituti procuratori frettolosamente hanno mandato a memoria, con risultati a dir poco devastanti che li hanno obiettivamente messi a braccetto dei più loschi e sanguinari capi mafiosi. Per combattere il "familismo amorale" tutto è stato lecito. Emergenza e pentiti hanno occupato ogni spazio nelle caserme dei carabinieri, nelle stanze delle questure, nelle aule dei tribunali. Certe requisitorie del dottor Boemi, ad esempio o, più tardi, del dottor Faciolla erano e sono pastelle intinte nella "scientifica" salsa del prof. Arlacchi. Peccato, veramente peccato per lui, ma nessuna meraviglia per noi, che quella salsa, così apprezzata sullo Stretto di Messina e lungo la Fiumarella di Catanzaro, non lo sia stata affatto lungo le rive del Danubio.

Luigi Del Corvino



IL FATTO NON SUSSISTE

Questo il verdetto con cui il Tribunale di Cosenza, il 18 gennaio 2001, ha assolto e scagionato gli ex amministratori comunali di Spezzano Sila che il 5 maggio del 1988, con il clamore degno delle peggiori retate antimafiose, erano stati tratti in arresto per ordine della Procura. Giustizia è fatta, dopo dodici anni otto mesi e tredici giorni. La sentenza cancella infamanti ed inesistenti accuse. Di quei giorni di maggio del 1988 ricordiamo la piazza di Spezzano Sila, affollata di cittadini increduli, e la rabbia di vecchi militanti comunisti e socialisti, i quali avevano compreso che con le manette si voleva arrestare l'attività di una amministrazione che stava operando bene, che era in procinto di approvare un piano regolatore e di regolamentare lo sviluppo di Camigliatello con la definizione di un piano particolareggiato che non teneva in nessun riguardo palazzinari, faccendieri e speculatori. Tra la folla di quella piazza ricordiamo anche l'imbarazzo di alcuni dirigenti del PCI, tormentati tra le direttive giustizialiste del partito e la consapevolezze dell'assurdità dei provvedimenti giudiziari, ma incapaci di far fronte unitario contro gli opportunisti e gli sciacalli. Non temiamo smentite se ricordiamo che solo Giacomo Mancini, tra i politici calabresi, censurò con forza i provvedimenti restrittivi e denunziò con sicurezza la torbida vicenda individuando, dietro ad essa, l'ennesima trasversale accordo tra una certa classe politica, alcuni magistrati e noti affaristi senza scrupoli. Quello che è avvenuto a Spezzano ed a Camigliatello negli anni seguenti hanno confermato che Mancini aveva ragione. Dopo quattromilaseicentosessantatre giorni, saremo curiosi di porre due quesiti, il primo agli integerrimi giornalisti della stampa locale ed il secondo ai solerti magistrati della Procura di Cosenza:qualcuno ha il coraggio di chiedersi quanti, tra gli affezionati lettori dei quotidiani locali, hanno ricollegato i trafiletti con cui la notizia è stata data il 19 gennaio, con le paginone ed i titoli cubitali utilizzati dagli stessi giornali il 6 maggio del 1988?, non sarebbe più utile ed opportuno occuparsi di far funzionare meglio il sistema giudiziario, anziché cercare audience o prime pagine, rinvangando episodi giudiziari già definiti da anni nelle sedi opportune. Giustizia e fatta, anche se di questa giustizia non sentiamo alcun bisogno.

Pietruzzo


FINCHE' C'E' LIVIDO C'E' VITTTORIA

Quando è arrivato a Cosenza con il compito ricomporre le profonde lacerazioni della federazione, AN era di gran lunga il primo partito di Cosenza e poteva vantare un deputato, un'assessore ed un consigliere regionale e cinque consiglieri provinciali. Dopo soli due anni di gestione, il capomanipolo Livido, ha perso le provinciali non ottenendo l'elezione di alcun candidato nella città di Cosenza; è riuscito, nonostante la vittoria del centro-destra alla regione, a perdere un consigliere regionale e più di quindicimila voti, ha ridotto il partito ai minimi termini facendosi doppiare da Forza Italia, e come se non bastasse è stato anche trombato da consigliere regionale del Lazio nonostante la netta affermazione di Storace, che in odio a Fini, non ha acconsentito a concedergli nemmeno uno strapuntino nominandolo in qualche ente. Con queste credenziali, i primi di gennaio, Livido si è presentato nella sede romana di via della Scrofa per chiedere una candidatura alle elezioni, che Fini gli ha rifiutato, annunziando, con grande umiliazione del capomanipolo, in una conferenza stampa a Reggio Calabria la candidatura di Maurizio Gasparri come capolista del proporzionale. Si racconta che qualche militante per tirare su di morale il gerarchetto gli abbia promesso una candidatura alle prossime amministrative di Cropalati, suo paese di origine, facendo però scoppiare una rivolta della sezione locale che non ne vuole sapere di Livido. Il nostro augurio è quello che Livido rimanga a lungo nella nostra città: finchè c'è lui, la vittoria è assicurata.


FAVA TIENE FAMIGLIA

Nuccio Fava è arrivato da noi dopo aver lasciato i saloni ovattati della sede RAI di viale Mazzini. Alla Calabria, lui, nemmeno ci pensava. Quel lusso, quelle frequentazioni stimolanti lui le avrebbe lasciate soltanto per una sede ugualmente prestigiosa come quella della Regione Lazio, della quale sarebbe voluto essere Presidente, facendo le scarpe al suo collega di professione e di testata Piero Badaloni. Le teste illuminate del centro-sinistra, sventuratamente, sono state di avviso diverso e hanno indicato per lui la strada della Calabria. Ed in Calabria si è presentato, a poche ore dalla presentazione delle liste, ignorando la storia e la geografia della nostra terra. Ma per lui abituato alla tensione della diretta dei telegiornali e scafato da anni di conduzioni di accesissime tribune elettorali, il problema di sentirsi estraneo da usi e costumi deve essere sembrata una bazzecola, e gigione come pochi si è presentato ai cittadini ed agli elettori elencando sue parentele in ogni angolo della regione. Sfortunatamente per tutto il centro-sinistra per vincere non è bastato vantare l'intero albero genealogico di Fava e dei suoi parenti acquisiti, ma a lui è servito per sedersi al consiglio regionale sullo scranno che gli elettori avevano assegnato al PSE. Ma in pochi mesi da consigliere regionale abusivo, Fava ha subito capito quali sono le virtù, ma soprattutto i vizi della regione che lo ospita, e così dopo la corbelleria di illuminare l'Etna con l'energia eolica, si è ricordato di tenere famiglia e di pensare ad un futuro per i propri cari. Ed è stata questa nobile preoccupazione che lo ha spinto nell'organizzazione, altrimenti difficilmente spiegabile in termini di utilità politica, di una gita di tutti i consiglieri regionali del centro-sinistra nella splendida cornice del hotel Villa dei Papi a Viterbo, che dista settecento chilometri dalla sede della Giunta Regionale da dove il centro-destra malgoverna la Calabria, e novecento chilometri dalla sede del consiglio regionale, dai banchi del quale Fava dovrebbe coordinare una opposizione dura ed intransigente a questo malgoverno. Ma la preoccupazione di Fava, dopo aver sistemato se stesso, è ora quella di pensare ai suoi cari tra i quali c'è la gentile signora Lia Fava Gazzetta, docente di lettere, che ha allietato il soggiorno dei consiglieri del centro-sinistra, notoriamente appassionati della materia, con una dotta disquisizione sul verismo di Verga e Pirandello, dopo la quale, stando ai sondaggi riservatissimi di Berlusconi, le quotazioni dell'Ulivo in Calabria sarebbero notevolmente aumentate.


IL SANTUARIO DI FACCIOLLA

All'indomani dell'emissione della sentenza con la quale il Tribunale di Cosenza ha condannato Pino Tursi Prato alla pena di nove anni, l'imberbe sostituto procuratore, Facciola Eugenio, che ha sostenuto l'accusa in aula, ha commentato pieno di soddisfazione come finalmente in città venissero colpiti anche "i santuari della politica". Da parte nostra c'è molta curiosità nell'attesa di poter leggere le motivazione del collegio giudicante per capire il perché della diversità dei giudizi espressi in questi anni e per sapere con quale stato d'animo e quale serenità i giudici abbiano trattato i fatti di causa; nel frattempo, però, non possiamo che stigmatizzare le parole del pubblico ministero. Pino Tursi Prato è stato un modesto dirigente politico regionale, tra l'altro non dei peggiori, nella cui carriera ha ricoperto incarichi e responsabilità di secondo piano, ed è per questo che può essere definito in tutti i modi tranne che "santuario della politica". I "santuari della politica" nella nostra città sono ben altri; sono, per intenderci, coloro i quali nel corso degli ultimi decenni hanno gestito e dissanguato le casse di risparmio, coloro che hanno diretto i comuni e gli ospedali e che facevano affari con i procuratori della Repubblica, coloro che sono stati parlamentari, sottosegretari, ed anche ministri e che oggi, dopo un periodo di quaresima, stanno per tornare indossando le maglie azzurre o gli stivali neri. Chi conosce anche superficialmente la storia della nostra città "i santuari" li chiama utilizzando nomi e cognomi. Cosa che avrebbe potuto fare anche il Facciola Eugenio, se nel corso della sua esperienza alla distrettuale antimafia avesse veramente voluto colpirli. Purtroppo la giustizia nel nostro paese, ed in particolare nella nostra regione, è troppo condizionata dalla consolidata consuetudine dell'inamovibilità dei magistrati sia inquirenti che giudicanti, che esercitano la giurisdizione nei luoghi in cui sono nati e cresciuti e si sono imparentati e dove hanno congiunti che fanno politica. Ed è per questo che giorno dopo giorno la giustizia perde credibilità. Giuseppe Smeriglio


IL PRINCIPATO DELLE BANANE

Il consiglio comunale di Rende ha approvato l'ennesima variante al piano regolatore generale. A differenza, però, di quelle degli anni settanta che sebbene non perfette davano un'impronta urbanistica precisa alla città allora in fase di espansione, questa sarà ricordata unicamente per le polemiche che l'hanno accompagnata. Per votare, infatti, l'importante pratica è stato necessario aspettare la seconda convocazione del consiglio, che grazie ad una modifica apposita del regolamento, effettuata grazie ad un colpo di maggioranza, necessitava della presenza di solo un terzo dei consiglieri comunali. Così mentre le opposizioni disertavano l'aula, il prg passava con il voto unanime dei soli dieci consiglieri presenti. Si è conclusa in questo modo inglorioso una delle pagine più nere della vita amministrativa della nostra provincia, che ha visto uno scontro durissimo sul futuro assetto della città a nord di Cosenza, senza che vi sia stata alcuna pubblicità ed alcun confronto pubblico sulle linee progettuali ed urbanistiche. Per mesi e mesi si è parlato di metri cubi e di trasformazioni di suoli da agricoli in edificabili, senza vedere e conoscere nessuna carta e nessun progetto. Dopo l'elezioni amministrative del 1999 che hanno decretato la vittoria di strettissima misura dell'amministrazione in carica, ma che di fatto hanno sancito un terrificante calo dell'elettorato di sinistra a Rende, ci saremmo aspettati una politica di grande coinvolgimento di tutti i settori della cittadinanza, invece si è deciso di fare il contrario mettendo in scena una vicenda da repubblica delle banane. Sarebbe interessante chiedere a chi giova questo nuovo assetto, anche se la risposta è facilmente immaginabile. Ba. Ti.


PRESIDENTE DI COMMISSIONE

Giacomo Mancini jr, capogruppo del PSE alla Provincia di Cosenza, è stato eletto presidente della commissione consiliare permanente con la delega ai Trasporti ed alle Attività Produttive.


Il consiglio provinciale vota contro il termovalorizzatore di Altilia

HA VINTO IL SAVUTO PULITO

Il consiglio provinciale di Cosenza ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno presentato dai consiglieri Giacomo Mancini jr, Giuseppe Gallo e Ferdinando Aiello contro la realizzazione nel territorio di Altilia di un impianto di incenerimento dei rifiuti. Dopo l'esito sconcertante della commissione ambiente della Regione Calabria che si era riunita per discutere del grave problema, ma che, nonostante quello che qualcuno voglia far credere, non ha preso nessun impegno, essendo mancato il numero legale, per l'assenza trasversale di consiglieri di maggioranza e di opposizione, al momento del voto; il Consiglio Provinciale ha preso una posizione di chiaro e netto rifiuto nei confronti di quello che rappresenterebbe un flagello per tutto il Savuto. E' stata una seduta vivace, arricchita dalla presenza di molti sindaci ed amministratori dei comuni della Valle del Savuto, di cittadini e dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste e dei comitati spontanei sorti per fronteggiare il pericoloso insediamento, nella quale, però, non sono mancate violente polemiche. I lavori sono stati aperti da una relazione di Giacomo Mancini jr. Il capogruppo del PSE ha evidenziato come il Savuto dopo gli investimenti degli anni sessanta e settanta grazie ai quali è stato possibile realizzare l'autostrada e un sistema viario secondario, e la creazione di un polo manifatturiero a Piano Lago, non abbia più avuto l'attenzione che meritava da parte della classe dirigente regionale. "Le uniche opportunità di sviluppo sono state legate alle lodevoli iniziative degli amministratori locali, alle quali è mancato l'apporto di un disegno di sviluppo complessivo. Soltanto negli ultimi anni- ha continuato Giacomo Mancini jr- rilanciando l'idea di area urbana cosentina, che non potrà non comprendere Rogliano e l'intero Savuto, si è spostata nuovamente l'attenzione su quei comuni che non possono non avere uno stretto rapporto di interscambio con il comune capoluogo e con l'Università di Arcavacata. Il Savuto si sviluppa seguendo questa direttrice e valorizzando le tante ricchezze che possiede: il turismo, l'agricoltura, con i fondi europei stanziati, l'artigianato. In questo contesto sarebbe criminale parlare di un impianto di termovalorizzazione che avrebbe un impatto devastante sul territorio e sull'ambiente e che per sua definizione non può che essere realizzato i una zona ad alta densità industriale" Noi vogliamo impegnarci -ha concluso Giacomo Mancini jr- e lavorare in favore del Savuto, e non contro qualcuno anche se non possiamo mancare di evidenziare le tante responsabilità in questa vicenda: dall'atteggiamento favorevole della giunta regionale, alle irritanti prese di posizione del sub commissario all'emergenza rifiuti, ai mille silenzi dei parlamentari, all'irresponsabilità del sindaco che ha indicato nel proprio comune il sito dove realizzare il termodistruttore". Sulla stessa lunghezza d'onda sono seguiti diversi interventi dei sindaci di Grimaldi, S.Stefano di Rogliano, Mangone, Marzi e Aiello Calabro, dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste e del comitato spontaneo. A conclusione del dibattito è intervenuto il Presidente della Provincia che con il suo intervento ha risvegliato il partito trasversale dei favorevoli che ha cercato di impedire il voto del consiglio appellandosi a vuote argomentazioni formali. Sembrava che si sarebbe ripetuto la scena verificatasi alla commissione regionale quando l'espressione del voto contrario è stata impedita. Fortunatamente l'energico intervento di Giacomo Mancini jr, supportato dalla condotta leale di Ferdinando Aiello ha fatto si che questa volta le belle parole pronunciate da tutti fossero seguite anche da un voto chiaro e di netto rifiuto alla realizzazione di un mostro ambientale nel territorio del Savuto.