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Ingresso con ascensore alle gallerie -castelletto-

Le Zolfare

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Interno del castelletto


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RAPPORTI DI PRODUZIONE.

La miniera secondo criteri scientifici, corrisponde all'intero deposito minerario di una determinata zona, ma in Sicilia il termine miniera corrispondeva ai confini di proprietà del suolo tanto che uno stesso giacimento veniva frazionato in numerose concessioni, rendendo così antieconomico lo sfruttamento:. Pochi furono i proprietari di latifondo che lasciarono indivisi i giacimenti, la maggior parte invece preferirono suddividere lo stesso bacino in tante concessioni, che a lungo andare depauperarono il giacimento. Dando in gabella la miniera si contribuiva alla formazione degli elevati estagli che concorrevano all'aumento del costo del minerale: il gabellato, infatti, veniva così incoraggiato a sovra produrre e a sfruttare le miniere e la manodopera.

Nel 1890 erano attive in tutta la Sicilia circa 480 miniere e di queste solo 52 erano coltivate direttamente dai proprietari (per la maggior parte appartenenti a famiglie aristocratiche o ad ordini religiosi), le restanti erano concesse a gabella, la cui durata abitualmente durava da 9 a 12 anni, fino talvolta a 20 anni. Il canone veniva corrisposto in natura, con una parte dello zolfo ottenuto dalla fusione denominata estaglio e che corrispondeva mediamente al 25% della produzione totale. Il metodo della coltivazione imposto era generalmente quello a colonne, archi e pasture, quindi si stabilivano per ogni miniera numero, spessore e dimensioni dei pilastri, delle volte e del suolo di lavorazione, come pure l'inclinazione e la profondità delle scale delle gallerie. La gabella mineraria veniva quindi a configurarsi come un contratto di appalto dove tanto il proprietario quanto il gabellato assumevano il ruolo di coesercenti. L'analisi di questi contratti ha messo in luce come il gabellato non abbia mai avuto la libertà di conduzione, perché gli veniva imposto il sistema di coltivazione e la sorveglianza del proprietario. Inoltre al contratto della gabella terriera, la rendita mineraria era soggetta alle brusche oscillazioni dei prezzi.

La coltivazione delle miniere non avveniva in modo razionale, infatti i preliminari lavori di tracciamento per una buona ventilazione venivano tralasciati e l'obbligo contrattuale di procedere all'abbattimento immediato costringeva il gabellato a servirsi di strette calature a forma di camini inclinati che rendevano poi inevitabile il trasporto a spalla fino alla superficie, favorendo così lo sviluppo di gas esplodenti ed asfissianti per la scarsa aerazione.

L'artefice principale nella estrazione dello zolfo era il picconiere: il suo lavoro, che consisteva nella ricerca e nell'abbattimento dei filoni solfiferi, era piuttosto duro e rischioso per la elevata temperatura, la poca luce e ventilazione e l'aria sempre impregnata di gas e polvere. Tra il gabellato e il picconiere il rapporto di lavoro era regolatola un contratto a cottimo: il gabellato pagava un tanto per una certa quantità di zolfo estratto e trasportato fino al piano della miniera. L'unità di misura era la cassa, dal volume variabile dai tre ai sei metri cubi, oppure il vagoncino. L'orario di lavoro era di circa otto ore al giorno e la retribuzione media oscillava alla fine dell'Ottocento da 2 a 3 lire. Ovviamente l'esercente metteva in atto tutte le forme più diffuse di sfruttamento come la corresponsione irregolare o la pratica del truck system, di cui si parlerà più avanti.


Reperto archeologico Sicano rinvenuto sul Colle Madore

L'ingrato compito di trasportare a spalla lo zolfo estratto era affidato ai carusi: essi erano legati al picconiere da contratti orali di cottimo, con un compenso fisso per ogni cassa di zolfo. Ogni picconiere disponeva mediamente da due a sei carusi, i quali trasportavano dai trenta agli ottanta chili di minerale alla volta. Il picconiere anticipava una somma di denaro, detto soccorso morto, alle famiglie dei carusi.

All’interno delle zolfare vi erano pure i spisalora e l'acqualora: i primi prestavano opera di manutenzione come puntellare le gallerie con travi, costruire ventilatoi, i secondi venivano addetti alla eduzione manuale o meccanica delle acque.

Fuori dalla miniera lavoravano invece i carcaruna  e l'arditura: i primi collocavano lo zolfo nel calcarone che poi svuotavano dai residui; essi lavoravano a squadre di 20/40 operai, avevano un capo che stabiliva il contratto di cottimo, e si spostavano da una miniera all'altra durante la stagione estiva. Gli arditura controllavano tutte le fasi della fusione e della colatura dello zolfo fuso negli speciali recipienti di legno chiamati gaviti da dove si estraevano i bbalati o pani di zolfo solido che venivano spediti, tramite carri o ferrovia, ai porti di imbarco. Questi operai erano ben pagati poiché gli si richiedeva notevole esperienza ed abilità nel controllo della combustione, da cui dipendevano i risultati dell'intero ciclo di lavorazione. Naturalmente vi erano altri operai secondari che ruotavano attorno a questa attività come: catastieri, muratori, fabbri ferrai, pesatori e sorveglianti.


Reperto archeologico Sicano rinvenuto sul Colle Madore. Lamina Bronzea presumibilmente posto sul pettorale di corazza

Da quanto esposto si evince la realtà delle zolfare, schiacciate da pratiche feudali e soggetta alle continue variazioni di mercato internazionale. Innumerevoli erano i mercanti stranieri che affittavano le miniere in Sicilia: a Lercara erano presenti gli inglesi Gardner e Rose, come pure il console svizzero Hirzel. Furono proprio i mercanti inglesi ad adottare l'odiosa pratica del Truck system, sistema escogitato per ridurre i costi di produzione a spese dei minatori. Il truck system consisteva infatti nel pagamento di una parte del salario in generi alimentari offerti dalla bottega attigua alla miniera, a prezzi ovviamente maggiorati.

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