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CAPITOLO 1, CAPITOLO 3, CAPITOLO 4






UN PAESE LIBERO?


 
 






CAPITOLO 2
 
 
 
 

Un paese libero?







2.1 Il concetto di libertà nel modello culturale americano
 
 

C'è una frase che accompagna sin dalla nascita ogni cittadino degli Stati Uniti d'America. L'ha imparata a forza di sentirla a scuola, negli spot televisivi, nei discorsi elettorali o nei proclami di guerra; viene ripetuta in diverse forme quando una persona viene arrestata, giudicata o condannata a morte: "Per il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, ogni cittadino americano, è un uomo libero". Ovviamente, questo continuo richiamo alla libertà non ha certo impedito di attentare a questo valore, sia negli Usa che nel resto del mondo.

La Rete è stato un terreno fertile per i maldestri tentativi di censura da parte di governi non proprio illuminati.

Si è parlato spesso di quanto fosse utopico cercare di applicare ad Internet le leggi che siamo abituati a rispettare nella realtà di tutti i giorni. La rete, infatti, non può essere assoggettata a leggi scritte per il mondo fisico: se qualcuno copia alcuni dati illegalmente, non si può tecnicamente parlare di furto, poiché in realtà non porta via nulla, né chi ha subito il danno perde la proprietà di quei dati.

Ciò che va, inoltre, tenuto presente prima di affrontare il dibattito è che, contrariamente a tutte le altre società, a quella degli "abitanti della Rete" si può scegliere se appartenervi o meno. Questo è un fatto indiscutibile, che può essere determinante nell'analisi di un fenomeno, che, come ho tentato nel primo capitolo di spigare, investe tanto la sfera economica quanto quella sociale e culturale.

Internet è stato oggetto di giudizio per la prima volta l'11 giugno 1996, quando la Corte Distrettuale della Pennsylvania, chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità del Communication Decency Act, emise una sentenza che creò un significativo precedente(29) storico: "Internet - si legge nella sentenza - non è solo uno strumento indispensabile per la diffusione del libero pensiero, ma è il mezzo di comunicazione in cui la libertà di parola si esprime al livello più elevato, caratteristica che va in ogni modo tutelata...".

L'argomento principe di questo capitolo sarà, quindi, un'analisi ravvicinata della sentenza della Corte Distrettuale ripresa e convalidata, poi dalla Corte Suprema.

Vi sono, comunque, altre due vicende, forse minori, che danno l'idea di quanto diverse possano essere le posizioni ideologiche in un paese "libero" come l'America e di come, talvolta, queste possano generare delle decisioni quantomeno paradossali. La prima riguarda le disavventure di Phil Zimmerman e del suo programma di criptazione. La seconda riguarda lo spamming, ossia l'invio contemporaneo di migliaia di messaggi di posta elettronica ad altrettante migliaia di indirizzi e-mail.

Prima di procedere all'analisi della celebre sentenza sarà, forse, opportuno iniziare con una superficiale disamina di questi due ultimi episodi, che contribuiranno senz'altro ad introdurre i lineamenti giurisprudenziali della Corte americana.
 
 

2.1.1 Privacy ad ogni costo
 
 

Phil Zimmermann, inventore del programma "Pretty Good Privacy", il più famoso ed utilizzato software per la criptazione di messaggi di posta elettronica, ha avuto per qualche anno grossi problemi con la giustizia, tanto che è stato costretto ad espatriare e rifugiarsi in Australia. Una volta riabilitato e tornato in patria, non ha comunque potuto godere appieno dei proventi della sua invenzione, poiché il Governo di Washington continuava a guardare con diffidenza ad un software che, di fatto, impediva a CIA e FBI di intromettersi nelle vicende private dei cittadini americani (pratica un tempo molto in voga da quelle parti).

Su ricorso delle associazioni EFF e ACLU(30), la Corte federale(31) della Pennsylvania si pronunciò con una sentenza che smentì Congresso e Casa Bianca: "(...) ogni mezzo che persegue il fine di impedire ad altri, che non siano direttamente interessati, di leggere, riprodurre o copiare, nella sua interezza od in parte, una comunicazione fra due o più persone che si svolga in forma elettronica, è uno strumento principe per la tutela della libertà di parola ed espressione e, di conseguenza, per la tutela di quanto sancito dal primo emendamento (...)"(32).

Ora la PGP Inc.(33), grazie a questa sentenza, è una delle società più interessanti del momento, in quanto l'unica a proporre un software dedicato alla criptazione con una doppia chiave ad oltre 200 bit, che rende impossibile ogni tentativo di aggirare la protezione (con la tecnologia attuale ci vorrebbero alcuni anni per venire a capo di una singola chiave).
 
 

2.1.2 Anche lo spamming è un diritto(34)
 
 

A febbraio del '97 di sono susseguite ben tre sentenze, tutte in favore dello spamming, una prassi usata da molte società di pubblicità che inviano migliaia di messaggi di posta elettronica ad altrettante migliaia di indirizzi, provocando, di fatto, un intasamento sia dei server da cui i messaggi partono, sia quelli su cui arrivano. I messaggi, spesso, non contengono nulla di diverso da promozioni pubblicitarie.

Le tre sentenze sono state la conseguenza dei tre ricorsi presso altrettante corti distrettuali e, in particolare, contro America On Line e contro Cumpuserve, i due principali Internet Provider statunitensi, che nei mesi precedenti alle sentenze avevano bloccato massicci lotti di posta elettronica inviati ai loro utenti. In un caso si trattava di una petizione per la salvaguardia dei diritti di alcune tribù di nativi americani, ma negli altri due erano migliaia di E-mail contenenti promozioni e sconti di alcuni grandi magazzini.

Anche in questo caso le corti interpellate hanno emesso verdetti praticamente univoci: i provider forniscono un servizio di posta elettronica e non possono permettersi nella maniera più assoluta di non garantire questo servizio, anche a costo di rischiare il black out, com'era già successo qualche volta.

In particolare, per la corte della Pennsylvania, bloccare un e-mail equivale a "limitare la libertà di espressione di un individuo". Se, fino a qualche mese fa, proibire ai propri utenti lo spamming era una facoltà che ogni provider si riservava al momento di concludere il contratto, ora negli Stati Uniti, questa è considerata una pratica inammissibile.

Per correre ai ripari, America On Line, dopo le sentenze, ha modificato il programma per l'accesso ad Internet, inserendo delle impostazioni che consentono a ognuno di decidere se ricevere o meno messaggi promozionali. Ma la ACLU ha fatto notare che introdurre un filtro del genere avrebbe significato una violazione della privacy (anche se solamente a livello elettronico) e avrebbe violato il primo emendamento.

Bisogna, comunque, tenere presente la dimensione economica della vicenda: negli USA si guarda sempre più al mercato della Rete come un nuovo sbocco verso l'Europa Unita, che minaccia di attuare una politica protezionista nei confronti dei prodotti americani. La Casa Bianca, inoltre, pensa alla Rete come ad una zona franca dal punto di vista fiscale e determinate sentenze non possono che fare piacere, poiché consentire lo spamming di messaggi commerciali può sicuramente contribuire all'incremento delle esportazioni verso il nostro continente o, in generale, verso il resto del mondo.
 
 

2.2 Genesi del CDA
 
 

L'8 febbraio 1996 è stato firmato dal Presidente Clinton, ad una settimana dalla sua approvazione a larghissima maggioranza(35) da parte del Congresso degli Stati Uniti d'America, il Telecommunications Act of 1996(36), che va a regolare tutto il settore audiovisivo e delle telecomunicazione negli Stati Uniti(37).

Questa legge, che modifica sostanzialmente quanto disposto dal Communictions Act del 1934, porta notevoli innovazioni nella legislazione americana.

La sua portata è estremamente vasta, andando dallo sviluppo di un mercato competitivo ai servizi di telecomunicazione, dalle norme riguardanti le Bell Operating Companies a quelle relative ai servizi via cavo, dalle norme antitrust a quelle protettive dei minori che accedono ai servizi on-line. Sono modificate le quote e le regole di mercato, i prezzi, le licenze; il tutto all'insegna della massima liberalizzazione economica.

Ma, se le grandi compagnie sembrano entusiaste di questa legge, c'è qualcuno che si lamenta: le associazioni dei consumatori e alcune associazioni per i diritti civili. Esse, infatti, sostengono che il solo momento in cui sembra ci si ricordi del consumatore, o per meglio dire del fruitore dei servizi di telecomunicazione, è in quella parte della legge, detta Communication Decency Act (CDA) in cui si proibiscono, soprattutto su Internet, i programmi osceni ed indecenti(38).

Il titolo V del Telecommunications Act of 1996 riguarda "obscenity and violence" ed è comunemente conosciuto come Communication Decency Act of 1996 (CDA).

Il principale proponente e sostenitore di questa sezione è stato il senatore Exon (Democratico, Nebraska): il suo, pur lodevole, scopo è stato quello di voler proteggere i minori dall'accesso al materiale violento e sessualmente esplicito presente nei media, incluso il più innovativo, versatile e più difficilmente controllabile tra essi: Internet, medium di portata mondiale, totalmente decentrato, senza una sede, senza un consiglio d'amministrazione, senza alcuno che abbia il potere di controllarlo.

Negli ultimi due, tre anni la stampa si è occupata frequentemente di Internet e di tutto ciò che è ad esso collegato, ma spesso lo ha fatto in modo superficiale, talora guardando troppo al futuro della Rete, talora dando maggior importanza agli aspetti di colore della stessa. Ed in quest'ultima prospettiva spesso si è parlato della quantità di sesso in Internet. È inutile negarlo: il sesso è presente in Rete, ma bisogna tenere presente che nella Rete è possibile trovare di tutto(39).

Naturalmente la possibilità di accedere liberamente a siti contenenti materiale pornografico o istruzioni per fabbricare una bomba(40) suscita più attenzione e curiosità rispetto alla facoltà di accedere in qualsiasi momento e da qualsiasi parte del mondo alla Biblioteca del Congresso o la possibilità di leggere HotWired, giornale presente solo in Internet e sorta di Bibbia dei cybernauti.

Molto prima dell'approvazione del CDA, i gruppi impegnati per i diritti civili iniziarono a protestare per le possibili implicazioni antilibertarie di una regolamentazione dei contenuti della Rete.

Tale protesta proseguì e si rafforzò nei giorni successivi all'approvazione del CDA e per alcune settimane, per protesta contro una legge che poteva causare la morte della libertà di parola in Internet, molte pagine della Web furono nere e con un fiocchetto (del tutto simile a quello simbolo della lotta all'AIDS) blu: the Blue Ribbon. Anche dopo che le varie home page sono tornate al loro colore abituale, il fiocchetto blu è rimasto a simbolo di una battaglia che continua.

Infatti, si tentò subito di far dichiarare incostituzionale il CDA. L'8 febbraio fu presentato un ricorso da parte di ACLU (American Civil Liberties Union), EFF (Electronic Frontier Foundation(41)), EPIC (Electronic Privacy Information Center(42)), Planned Parenthood ed altri davanti ad una corte di Philadelphia. Il 26 febbraio l'American Library Association (ALA) ha presentato un ulteriore ricorso a nome del Citizens Internet Empowerment Coalition (CIEC), un grande e diversificato gruppo di organizzazioni (coordinate dal Center for Democracy and Technology(43), America Online e American Library Association) con in comune l'obiettivo di proteggere il Primo Emendamento e la sopravvivenza di Internet come mezzo per la libertà di espressione, l'educazione ed il commercio(44). Successivamente i due ricorsi sono stati riuniti. Infine l'11 giugno 1996 la District Court di Philadelphia ha dichiarato incostituzionale il CDA.
 
 

2.3 Il CDA al banco degli imputati(45)
 
 

Chi si collegasse al sito della EPIC, della Blue Ribbon, o della CIEC(46), molto probabilmente troverebbe ancora impresso a caratteri cubitali lampeggianti "Victory in Philadelphia!". Il motivo di tali entusiastiche celebrazioni va ricercato nella recente sentenza del massimo grado di appello del sistema giuridico americano.

Il 26 giugno 1997, infatti, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha emesso la propria decisione sull'appello presentato dal Procuratore Generale(47) avverso alla pronuncia della Corte Distrettuale della Pennsylvania(48), che aveva dichiarato l'incostituzionalità del Communication Decency Act. Il motivo, principalmente, risiede nel Primo Emendamento della costituzione americana, che tutela la libertà di manifestazione del pensiero.

La pronuncia in questione ha un rilevanza fondamentale per quanto attiene alle sorti della regolamentazione del cyberspazio, soprattutto nell'ottica del dibattito giuridico americano in materia di disciplina dei contenuti della Rete e di responsabilità degli operatori. Essa, peraltro, avalla in pieno la precedente decisione della Corte Distrettuale, riprendendone ampi stralci e sancendo così definitivamente l'incostituzionalità del Communication Decency Act per contrasto con il Primo Emendamento(49).

Tutti gli elementi avanzati a sostegno dall'appellante vengono rigettati e viene ribadita l'impossibilità di applicare ad Internet un regime così restrittivo della libertà di manifestazione del pensiero e così poco conforme a tutta la giurisprudenza della Corte stessa in materia(50).

La sentenza consta di due parti: nella prima si affronta un'analisi sommaria dei fatti che hanno portato alla decisione della Corte Distrettuale, ivi comprese le considerazioni della stessa sulla natura e le peculiarità tecniche della Rete, con valutazioni sui contenuti di Internet e sulle modalità di limitazione d'accesso agli stessi. In un secondo momento, si entra nel vivo della trattazione giuridica affrontando le basi dell'appello del Governo che vengono rigettate soprattutto in ragione della loro incompatibilità con la natura tecnica del mezzo.
 
 

2.4 L'indecente e l'osceno in Rete
 
 

Partendo dalla considerazione che il materiale "pornografico" non è accessibile casualmente, sia in relazione alle caratteristiche tecniche della navigazione ipertestuale, sia considerando i chiari avvertimenti che vengono frapposti tra l'utente e detto materiale, la Corte riconosce l'esistenza, in commercio, dei software di filtraggio che permettono ai genitori di controllare i materiali cui i minori hanno accesso e richiama anche il progetto PICS, così come indicato nella sentenza appellata(51).

Riprendendo, poi, le analisi della Corte Distrettuale, i giudici della Suprema Corte statunitense considerano il tema della verifica dell'età connesso con l'accesso a materiali pornografici, nell'ambito della tecnologia applicabile ad Internet, determinante come giustificazione logica, prima ancora che giuridica, della dichiarazione di illegittimità del Communication Decency Act. Il costo di una verifica selettiva dell'età degli utenti sarebbe insostenibile per i fornitori di servizi gratuiti che sono soggetti all'applicazione della legge mentre, peraltro, risparmierebbe invece i siti commerciali a contenuto più eccessivo, che, come risulta dalle parole della Corte Distrettuale, si basano già sulla verifica attraverso carta di credito, scaricando il costo della stessa sugli utenti.

Da un punto di vista strettamente giuridico, invece, la Corte dubita che i sistemi esistenti di verifica dell'età possano valere ai fini dell'esclusione della responsabilità per i service provider stando al Communication Decency Act: molte aree della Rete sono, infatti, accessibili al pubblico e, pur volendo considerare efficaci le tecnologie esistenti(52), non vi è modo di limitarne i contenuti senza ricorrere ad una specie di "censura privata" ritenuta potenzialmente pericolosa e senza comprimere fortemente i benefici che Internet può determinare.

Peraltro, sempre in relazione alle cause di giustificazione volte ad attenuare il regime di responsabilità degli operatori, il Governo ha presentato, nell'appello, una linea volta a riconsiderare la loro determinazione(53) assumendo la possibilità di ricorrere al c.d. "tagging", cioè alla codificazione dei materiali attraverso l'apposizione di etichette che permettano agli operatori di individuarne il contenuto(54), tuttavia non vi è prova che tale modalità di comportamento sia operativa, né che siano in commercio software adeguati allo scopo. Le cause di giustificazioni non sono, quindi, effettive e, di conseguenza, il Communication Decency Act impone agli operatori un regime di responsabilità inaccettabile, che mina la libertà di manifestazione del pensiero.
 
 

2.5 L'appello di J. Reno ed il rigetto della Corte
 
 

I tre elementi decisivi su cui Governo poggiava le basi per l'appello avverso alla decisione della Corte Distrettuale, oltre alle considerazioni relative alla necessità del provvedimento in relazione all'esposizione dei minori ai materiali pornografici, riguardavano tre sentenze della Corte Suprema e, specificamente, i casi Ginsberg(55), Pacifica(56) e Renton(57).
 
 

2.5.1 I casi Ginsberg, Pacifica e Renton
 
 

Con il caso Ginsberg, si determina la validità costituzionale di una legge dello Stato di New York che vieta la vendita di periodici pornografici ai minori di diciassette anni, considerando tali materiali inadatti alla loro età anche se liberamente commerciabili nei confronti di acquirenti adulti; la decisione, ovviamente, consente una limitazione della libertà di espressione in ragione di un prevalente interesse dello Stato e della comunità in ordine all'educazione dei minori. Tale pronuncia, tuttavia, non conforta la costituzionalità del Communication Decency Act, cui non è applicabile in ragione del fatto che essa è "tagliata su misura"(58) per la fattispecie considerata: essa, infatti, non incide sulla libertà dei genitori di decidere circa l'educazione dei propri figli, anche acquistando loro le suddette riviste, se lo ritengono opportuno; non così il Communication Decency Act che vieta la trasmissione dei materiali ritenuti inadatti in modo assoluto(59). Inoltre, l'emendamento del Senatore Exon non tiene presenti le implicazioni del Miller Test(60), soprattutto con riguardo all'eventuale valore letterario, artistico, scientifico o politico del materiale ed applica una restrizione più ampia, considerando minori i soggetti che non hanno compito diciotto anni(61). Da ultimo, mentre le previsioni della legge di Ginsberg si limitavano alle ipotesi di commercializzazione delle riviste, il Communication Decency Act non fa differenziazioni tra i contenuti gratuiti e lo sfruttamento economico.

Dunque il primo caso rappresenta, semmai, una giustificazione della dichiarazione di incostituzionalità, in quanto il provvedimento del Governo non ha utilizzato "the least restrictive means"(62) nell'approntare una limitazione della libertà di espressione in ragione di un prevalente interesse statale.
 
 

La sentenza Pacifica era già stata oggetto di trattazione approfondita da parte della Corte Distrettuale in relazione al concetto di invasività del mezzo di comunicazione che distingue in maniera netta la radio e la televisione da Internet.

Vale la pena di ricordare brevemente la vicenda relativa al caso Pacifica(63): una radio chiamata Pacifica Foundation un pomeriggio mise in onda un monologo satirico di George Carlin intitolato "Filthy Words" contenente "le sette parole che non si potrebbero dire per radio". Un padre che ascoltava la trasmissione con il proprio giovane figlio fece ricorso al Federal Communications Commision(64) (FCC). Quest'ultimo, avendo già ricevuto numerosi reclami per trasmissioni indecenti, ritenne che questo tipo di comunicazione fosse da considerare diversamente dagli altri modi di espressione del pensiero e ritenne di poter trovare il potere di regolarla, nella sezione 1464 del titolo 18 dello United States Code, che proibisce l'uso di un linguaggio osceno, indecente o profano nelle trasmissioni radio(65); "trovò che certe parole del monologo descrivevano attività escretive e sessuali in un modo particolarmente offensivo, notò che erano programmate nel primo pomeriggio quando i bambini sono indubitabilmente parte dell'audience e concluse che tanto il linguaggio quanto la trasmissione erano indecenti e proibiti dalla sezione 1464(66)". Inoltre il FCC ritenne il linguaggio del "monologo chiaramente offensivo, anche se non necessariamente osceno".

Il ricorso alla Federal Communication Commission determinò l'applicazione di una sanzione amministrativa impugnata dal destinatario; in quell'occasione la Corte Suprema stabilì in definitiva che la F.C.C. poteva proibire la trasmissione in questione sulla base dello United States Code, anche se le parole contenute nell'opera non erano "oscene". Le particolarità rilevate dalla Corte che giustificavano questa presa di posizione consistevano nell'orario di programmazione, che lasciava intendere la presenza di bambini tra il pubblico radiofonico e nella natura invasiva del mezzo radiofonico, per cui è possibile captare accidentalmente una trasmissione del tipo di quella oggetto del caso concreto.

In questo caso vanno tenute in considerazione due problematiche fondamentali che attengono all'invasività del mezzo: Internet, diversamente dalla radio, ha natura interattiva, per cui nessuno può capitare accidentalmente in un sito a contenuto indecente(67) e, seppure ciò avvenga, viene costantemente avvertito della natura esplicita del materiale contenuto in avvisi che precedono l'accesso alle immagini o ai testi stessi. In secondo luogo mentre è possibile determinare una differenziazione di fasce orarie nella programmazione radiofonica per la trasmissione di materiali offensivi, lo stesso è impensabile su Internet, dove il medesimo contenuto è accessibile contemporaneamente da ogni parte del mondo(68).

Anche con Pacifica la Corte dunque afferma la sostanziale diversità di Internet da ogni altro mezzo di comunicazione, sancendo in definitiva l'impossibilità di estendergli regimi esistenti.
 
 

In Renton, la Corte Suprema aveva determinato la legittimità di un'ordinanza che stabiliva l'obbligo di porre i luoghi di rappresentazione di spettacoli per adulti lontano dalle zone residenziali, non in ragione del contenuto delle rappresentazioni stesse, ma per i c.d. "effetti secondari" determinati dalla presenza di suddetti locali, come l'aumento della criminalità ed i danneggiamenti alla proprietà privata. Secondo l'appellante, il Communication Decency Act rappresenta un "cyberzoning"(69) della Rete coerente con il Primo Emendamento proprio sulla base della decisione Renton. Ciò sicuramente non può essere accettato dalla Corte in ragione del fatto che il Communication Decency Act non determina una divisione per zone, ma si applica all'intero universo virtuale; inoltre, esso non è rivolto a limitare effetti secondari, bensì primari e quindi, secondo i giudici della Corte Suprema rappresenta "a content based blanket restriction on speech".
 
 

2.6 Le motivazioni della Corte Suprema
 
 

Recuperando le considerazioni della Corte Distrettuale, anche la Corte Suprema afferma l'assoluta peculiarità di Internet come mezzo di comunicazione e, soprattutto, l'impossibilità, in ragione di ciò, di applicargli la precedente giurisprudenza concernente le possibilità di limitare la libertà di espressione in relazione alla radio ed alla televisione.

I mezzi di comunicazione via etere hanno avuto, dal punto legislativo, un trattamento particolare e sono state sottoposte alla regolamentazione della Federal Communications Commission con la possibilità di applicargli norme limitanti l'ambito di tutela del Primo Emendamento. Inizialmente la Corte Suprema ha giustificato il fatto basandosi sul limitato numero di frequenze disponibili (c.d. teoria della "scarcity") e, quindi, sulla necessità di assicurare che le scarse risorse fossero utilizzate in modo tale da assicurare la più ampia fruibilità possibile. Successivamente, la giustificazione a queste limitazioni si è ancorata sulla teoria dell'invasività del mezzo e sulla distinzione tra materiale "osceno" ed "indecente", attraverso il c.d. Miller Test, poiché, mentre il contenuto "osceno" esula completamente dall'ambito di tutela del Primo Emendamento, non è così per quello "indecente", considerato forma di espressione degna di rilievo e meritevole di tutela(70).

Il Communication Decency Act, inoltre, non è concepito appositamente per Internet, non ne tiene in alcuna considerazione le caratteristiche e, soprattutto, dimentica peculiarità quali l'interattività, per cui, diversamente dallo spettatore televisivo, il cybernauta non subisce i materiali, ma li cerca, né la transnazionalità del mezzo che rende peraltro inefficaci i provvedimenti nazionali.

Un punto fondamentale, al riguardo, la Corte lo deriva dal c.d. "dial-a-porn(71)": sosteneva, infatti, la Corte Suprema in quell'occasione che "the dial it medium requires the listener to take affirmative steps to receive the communication" e "placing a telephone call is not the same as turning on a radio and being taken by surprise by an indecent message". Le considerazioni fatte per il dial-a-porn sono valide anche nei confronti di Internet, dove l'utente deve compiere degli "affirmative steps" per giungere alla consultazione del materiale che lo interessa, il che pone la Rete su un piano sostanzialmente diverso dalla televisione.

Un'ulteriore problema relativo all'applicazione del V titolo del Telecommunication Act è determinato dal fatto che proibire totalmente l'indecenza viola anche il Quarto Emendamento, che garantisce il diritto alla privacy. Se, infatti, il Governo può attuare questo divieto in luoghi aperti al pubblico, non può farlo se il contenuto indecente resta privato. Come affermato nel caso Stanley v. Georgia(72), il semplice possesso di materiale osceno non può essere punito.

In aggiunta a quanto sinora esposto, inoltre, CDA si porrebbe in contrasto con l'Electronic Communications Privacy Act (ECPA)(73) del 1986: quest'ultimo sancisce che gli utenti di sistemi di comunicazione on-line hanno diritto alla privacy dei messaggi che trasmettono tramite computer; il primo, invece, rende i service provider responsabili di ciò che viene immesso dai loro abbonati costringendoli, perciò, a controllare questo materiale e violare la privacy degli utenti.

La Corte Suprema, infine, non manca poi di analizzare uno dei punti fondamentali della sentenza della Corte Distrettuale: la vaghezza del provvedimento risulta evidente secondo i giudici, soprattutto per quanto attiene alla determinazione del concetto di "indecente"(74) con riguardo al quale non esistono i dovuti riferimenti al "community standard"(75), ad esempio. La vaghezza in questione è fondamentale poiché la Corte assume il CDA come un provvedimento restrittivo della libertà di manifestazione del pensiero e come tale pericoloso nell'ottica del c.d. "chilling effect": "we are persuaded that the CDA lacks the precision that the First Amendment requires when a statute regulates the content of speech [...], the CDA effectively suppresses a large amount of speech that adults have a constitutional right to receive and to address to one another".
 
 

2.6.1 La "severability clause"
 
 

L'unico punto di tutta la sentenza in cui la Corte Suprema concede qualcosa all'appellante ha riguardo della c.d. "clausola di separabilità", cioè di quel meccanismo che permette alla Corte di far salva, in un provvedimento considerato incostituzionale, gli elementi legittimi che siano separabili. Secondo l'opinione della Corte, è possibile separare le previsioni del Communication Decency Act che hanno riguardo dei materiali indecenti, sicuramente ammessi, da quelle concernenti i materiali osceni che, invece, non ricadono nell'ambito di protezione del Primo Emendamento e sono, quindi, costituzionalmente illegittimi. Ciò ripropone, ovviamente, il problema della determinazione del "community standard" nel cyberspazio.
 
 

2.7 Portata della sentenza della Corte
 
 

La sentenza della Corte Suprema costituisce un punto di riferimento determinante nell'analisi delle possibilità di regolamentazione della Rete soprattutto nell'ottica del controllo dei contenuti e della responsabilità degli operatori, più per l'autorevolezza dell'organo da cui proviene che per il contenuto che, in effetti, ricalca in buona parte le determinazioni della precedente sentenza della Corte Distrettuale.

Da un punto di vista giuridico, peraltro, desta molto interesse il fatto che anche la Corte Suprema abbia riconosciuto l'assoluta peculiarità di Internet come mezzo di comunicazione e la sua ricomprensione nell'ambito di tutela accordato dal Primo Emendamento sulla base delle specifiche tecniche che gli sono proprie, quali l'interattività, la transnazionalità e la minor invasività rispetto ai mezzi di comunicazione via etere.

Va detto, inoltre, che la reazione delle parti interessate alla pronuncia della Corte Suprema è stata immediata ed in questa sede appare degno di attenzione soprattutto l'intervento del Governo appellante: in una nota della Casa Bianca dello stesso 26 giugno 1997(76), si ribadisce la ferma intenzione dell'amministrazione Clinton di studiare delle limitazioni appropriate al mezzo per impedire il propagarsi di materiali inadeguati ad un utilizzatore minorenne e della pornografia infantile, siano esse legislative oppure tecniche.

Per poter limitare un diritto costituzionalmente garantito, quale è la libertà di espressione protetta dal Primo Emendamento, comunque, il Governo dovrà dimostrare di avere un compelling interest, cioè un interesse abbastanza importante da permettere una limitazione del diritto protetto. Questa condizione è necessaria, ma non sufficiente. Occorre anche la restrizione sia narrowly tailored (77), oppure utilizzi the least restrictive means(78): con entrambi le espressioni si vuole indicare che la misura proposta dal Governo non può limitare il diritto oltre ciò che è strettamente necessario per la protezione dell'interesse che si intende tutelare. Secondo la sentenza che ne ha dichiarato l'incostituzionalità, il Communication Decency Act non riesce a soddisfare questi requisiti.

Il Governo, infatti, si propone di proteggere i minori dal materiale indecente (quindi protetto) che potrebbero trovare in Internet: tale scopo, pur lodevole, non è però ritenuto un compelling interest. Ma anche se la protezione dei minori fosse stata considerata un compelling interest, il CDA sarebbe stato in ogni caso dichiarato incostituzionale, poiché non utilizza the least restrictive means.

Si è affermato che questa legge compie un'erronea analogia tra Internet ed il broadcast: proprio questo fa sì che il CDA non sia narrowly tailored.

Si è visto, infatti, che l'espressione di un pensiero o di un concetto, che normalmente è tutelata dal Primo Emendamento, può perdere tale protezione quando viene utilizzato un diverso mezzo di comunicazione. Si è anche visto che tra tutti i mass media il broadcast è quello che gode della minor protezione a causa della sua "uniquely pervasive presence"(79). Si è anche visto, e lo ha sottolineato anche la sentenza sul CDA, che la protezione offerta ai diversi mass media diminuisce con l'aumentare della loro invadenza. In altri termini, se un medium penetra all'interno delle case in modo incontrollato è regolabile da parte del Governo, poiché l'utente non è in grado di esercitare un valido controllo.

Ma misure valide per il broadcast (la cui regolamentazione è stata ritenuta costituzionale in Pacifica(80)), non devono necessariamente valere per tutti i mass media.
 
 

2.8 Considerazioni conclusive
 
 

Quello che ho cercato di dimostrare in questo capitolo attraverso l'analisi delle vicende giuridiche di leggi o di avvenimenti che attentavano al diritto di privacy, di pensiero od espressione, è che il concetto di libertà da cui parte un giudice, come ogni altro cittadino americano, è assolutamente distante dalla griglia culturale europea e, soprattutto, italiana.

Se sfogliassimo la nostra Costituzione, vi troveremmo senz'altro dei richiami ai c.d. diritti inviolabili dell'uomo, ivi compresa la succitata libertà di parola o pensiero o, ancora, le disposizioni che garantiscono la tutela della riservatezza(81).

Non si è mai visto, tuttavia, che la giurisprudenza delle Corti d'Appello o della Corte Costituzionale difendesse questi diritti a scapito della sicurezza nazionale o della tutela della morale pubblica.

Senza voler entrare in dissertazioni squisitamente geopolitiche, cosa che esulerebbe dai fini di questa tesi, si potrebbe argomentare che, negli USA, la nascita di un sentimento di difesa della libertà(82) così forte e radicato scaturisce, forse, dalla storia di un popolo che, dalla propria nascita e nella sua evoluzione, ha dovuto lottare e difendere la propria autonomia; si è scontrato più volte con grandi rivoluzioni sociali, come quelle per la parificazione ed emancipazione, sia sessuale che razziale; ha impostato una struttura economica dove la libera concorrenza non è che la base di un più strutturato sistema che incoraggia e tutela l'iniziativa privata, anche sul piano giuridico.

Forse la determinante di una così profonda radicalizzazione in tema di libertà deriva proprio dalla storia e dal sistema economico del paese; forse, invece, essa sorge quale naturale risposta alle esigenze di una società multietnica, dove una grande interazione e dialettica sociale hanno determinato un'accelerazione nel processo di civilizzazione del cittadino americano(83).

Sarebbe senz'altro interessante e di grande valore euristico approfondire e studiare le ragioni di una così profonda diversità di pensiero, ma risulterebbe un'impresa troppo ardua per una tesi. Si renderebbe necessario, infatti, un approccio di ricerca pluridisciplinare, che cerchi di porre in luce tutti i possibili aspetti e le determinanti di una tanto difforme sensibilità culturale: dagli aspetti giuridici a quelli economici e sociali, dalle determinanti storiche a quelle geopolitiche.

Molto probabilmente, quando i Padri Fondatori nel 1791 adottarono il Primo Emendamento, volevano "semplicemente" sancire la libertà di parola e di stampa, eliminando qualsiasi controllo preventivo alla pubblicazione di libri e periodici. Essi non potevano certamente prevedere l'invenzione del telefono, del cinema, della TV via cavo, del satellite ed infine delle reti di computer. In questo secolo, quindi, i giudici della Corte Suprema hanno dovuto risolvere le sfide poste al dettato costituzionale dagli sviluppi tecnologici.

Nel prossimo capitolo cercherò di analizzare se esistono, ed in caso affermativo, quali sono i rapporti tra Internet e la pornografia.

Cercherò, inoltre, di condurre un'analisi sociologica sugli effetti della pornografia sulla base di alcune ricerche che pongono in relazione gli abusi sessuali e la diffusione di materiale pornografico.

L'ultima parte sarà dedicata allo studio della pedofilia: si cercherà di stabilire, sulla base del materiale disponibile, se si tratta di una vera malattia mentale o se, come sostengono i pedofili interpellati, è una semplice e banale preferenza sessuale. Verranno, infine, riportati i risultati delle ultime ricerche sul tema della pornografia infantile e sull'abuso sessuale dei minori, sia sotto l'aspetto delle relazioni con Internet sia sotto il più particolare aspetto delle disquisizioni di carattere psicologico.