Sembra una domanda retorica, eppure in modo più o meno velato, sovente ce la poniamo. Pur essendo tutti d'accordo che, come dice sant'Agostino, «Chi canta prega due volte», siamo toccati da dubbi sulla necessità di cantare in alcuni momenti della Messa. Non fa problema se s'intona un canto durante l'ingresso del sacerdote e dei ministri, l'offertorio, il Santo, l'Agnello di Dio, e magari, al termine della celebrazione eucaristica; mentre ci domandiamo sulla necessità di cantare durante la comunione. E' questo - si dice - il momento in cui si deve "Sapere e pensare chi si va a ricevere". Quindi il canto distrae e non permette un esame di coscienza che aiuti ad accogliere Gesù. Ma dimentichiamo che tale canto è certo il più antico della Messa. A questo punto la domanda fondamentale che dovremmo porci è:il canto è preghiera, parte "integrante" della celebrazione, o un sovrappiù di cui si può fare a meno? La risposta la possiamo sintetizzare in questa affermazione:«Non si deve considerare il canto come un ornamento che si aggiunge alla preghiera, quasi dall'esterno, ma piuttosto come qualcosa che scaturisce dall'anima che prega e loda Dio»(Principi e norme per la liturgia delle Ore, 250).
Il canto, poi, favorisce l'unità, fa comunità esprimendo sentimenti comuni (elementi tipici proprio del momento della comunione). Infine, dovrebbe essere spontaneo quando ci si accosta al banchetto eucaristico.

Enrico M. Beraudo

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