Ecce Agnus Dei.
Alle origini del Principe costante
di Francesco Di Giovanni
"In principio era l'Azione"1
Sigmund Freud, Totem
e Tabù, 1913
Il lavoro teatrale di Grotowski, incentrato
sull'attore e sul recupero della coscienza di sé e dell'azione, avrebbe
apparentemente impiegato il testo come pre-testo e strumento di catarsi;
Grotowski, a sentire Jacquot, non considera più il testo come
"assolutamente indispensabile, conservando il teatro la sua efficacia
proprio quando è assente, come nella pantomima, o quando è ridotto a
canovaccio, come nella commedia dell'arte"2
In realtà il regista polacco ha adottato i testi
dei suoi lavori con straordinaria libertà creativa, manipolandoli
funzionalmente ed impiegandoli agonisticamente, iper-testi ontogenetici e
filogenetici; altro che pretesti puramente strumentali.
L'Akropolis di Wyspianski, il Faust
di Marlowe, Il Principe costante di Calderón de la Barca (nella
rivisitazione romantica di Slowacki) rivelano nella loro natura di drammi
archetipici, di catarsi collettive esemplari per la hybris o il
sacrificio dell'individuo, il lato oscuro e perduto dell'umanità, i desideri
irrecuperabili da un ‘Io’ che ordinariamente opera per stereotipi,
auto-inganni, costrizioni.
La scelta di Grotowski cade su queste opere per
l'universalità del loro oggetto, per l'irriducibilità delle storie a racconto;
la loro esemplarità attraversa mito e archetipo al recupero del primo senso e
della prima essenza.
È valido il testo, come gli altri elementi del
lavoro teatrale (e di 'altro' nel metodo Grotowski ce n'è molto), allorché
contribuisce ad una ricerca che pone "la questione esistenziale del nostro
sentimento 'di appartenenza' ad una società che, come la maggioranza delle
comunità, è inevitabilmente fondata sul sostanzioso compromesso che noi
accettiamo per poter vivere gli uni accanto agli altri. Questo interrogativo si
applica allo stesso modo ai nostri più profondi limiti interiori"3
Quello di Grotowski è un percorso di liberazione
e di autocoscienza; il denudamento e lo scavo dell'attore (che è uomo e
'attore' sociale, e come tale centro indiscutibile dello studio e della
riflessione del regista polacco) deve condurlo a superare i modelli mentali,
sociali, coscienti ed inconsci, convenzionali, "occorre uscire in qualche
modo dallo stato psichico normale, occorre liberarsi in un certo grado delle
stratificazioni sovrastrutturali dei concetti e delle rappresentazioni
sensibili, e raggiungere quello stato sensoriale primario e purificato"4. Lo stesso Grotowski indica come, nella
sua evoluzione, l'artista debba confrontarsi contro tutte le forme di limiti,
sia imposte dalle circostanze esterne sia quelle che impone a se stesso:
L'arte è profondamente ribelle. I cattivi
artisti parlano di ribellione, ma i veri artisti 'fanno' la ribellione.
Rispondono all'ordine consacrato con un atto. Questo è un punto molto
pericoloso e molto importante.5
E ribellione può significare anche dilatare il
sistema semantico di un'opera intimamente fondamentalista e provvidenzialista
come Il Principe costante (1629) di Calderón de la Barca.
Nel testo originale Don Fernando, il principe
costante, caduto prigioniero dei Mori, non accetta che la sua liberazione venga
barattata con la rinuncia ai nemici della cattolica città di Ceuta. Il re di
Fez stabilisce allora che Don Fernando sia trattato come uno schiavo qualunque:
inizia così per il nobile un cammino di degradazione ed esaltazione ad un
tempo, che culminerà nel supremo sacrificio di Don Fernando, agnello
propiziatorio al trionfo del re Alfonso e della cristianità.
Se la fabula rimane approssimativamente la stessa
nel lavoro di Grotowski, il regista opera un radicale e puntuale rovesciamento
dei valori in campo, preservando e rafforzando l'archetipo escatologico, ma
travolgendo, svelando e ribaltando i significati ed i messaggi della scrittura
d'origine. "La composizione del Principe costante è strettamente
legata ad una concezione provvidenziale della storia. Questa commedia è barocca
nella sua ideologia come nella sua estetica"6. Con la sua scelta il regista s'impone
una critica ed impietosa riflessione sui valori coscienti ed indotti della
società occidentale, sui suoi miti ed i suoi totem, sulle sue sanguinarie
cerimonie ed i suoi tabù. Le dolorose rivelazioni di Grotowski si realizzano
soprattutto attraverso la catartica scoperta da parte dell'attore della sua
primigenia componente umana, pre-culturale e post-pulsionale; in merito al
testo, il trattamento procede, secondo Jacquot, sulle seguenti differenziazioni
rispetto all’originale:
Calderón-Slowacki | Grotowski |
La
parola è il supporto dell'azione. Struttura letteraria e diegetica dello spettacolo |
La partitura è la struttura dello spettacolo e dell'attore (motivazioni, azioni, reazioni, contatti, segni). Struttura organica della partitura psicofisica dell'attore. Quando è interpretata c'è lo spettacolo |
Evidenza del testo come totalità del senso | Testo come elemento armonico e conflittuale in rapporto all'azione |
Testo come totalità significante in sé | Testo come parte di una totalità teatrale significante |
Moralità-propaganda | Moralità-proposizione: conoscenza di sé, rivelazione delle motivazioni, modelli di comportamento, verifica di un processo psico-fisico del fenomeno dell'estasi, ecc. |
L'uomo come entità a priori | L'individuo come scoperta |
Richiamo a sentimenti conosciuti | Provocazione di reazioni sconosciute |
L'elaborazione di Grotowski costringe il testo ad
implodere nell'attore, in un attore: "Non si può parlare semplicemente
dell'interpretazione di un personaggio poiché il ruolo del principe, votato a
riscoprire le profonde motivazioni personali, lascia trasparire un processo di
privazione che conduce alla pienezza; ciò fa della performance di Ryszard
Cieslak l'esempio più completo del lavoro dell'attore"7. Il didascalico sacrificio di Don
Fernando, limpido esempio di centrifuga emanazione di eroismo e spirito
cristiano nel testo di Calderón, regredisce ed evolve ad un tempo in centripeta
ricerca del sé, nel tentativo di recuperare una primigenia, autentica
condizione antropo-ontologica, pre-convenzionale e quasi pre-sociale. La
concezione grotowskiana dello spettacolo non concepisce gli altri ruoli se non
come segni collettivi, recupero del lavoro dell'attore di funzioni sociali
penetrate e sgretolate nella loro vuota e falsa egemonia, linee di forza di un
sistema sociale oppressivo, con i suoi cerimoniali reiterati ossessivamente.
L'energia interna al sistema è trattenuta e
rilasciata dagli stessi attori nella loro ricerca. I reiterati choc energetici
dell'entropia personale conflagrano nel corpo e si condensano in azione, vera
rivelazione genuina e non premeditata:
L'arte come veicolo è come un ascensore
primitivo: c'è un grande cesto che tira se stesso con una corda e con il quale
il performer sale verso un'energia più sottile,
per discendere con essa fino al nostro corpo spirituale. Questo è l'obiettivo
del rituale.8
Ma cosa recuperano Grotowski ed i suoi attori in
quel che rimane del Principe costante di Calderón? Il serio e opportuno
lavoro del regista e degli attori è davvero in grado di rinvenire l'autenticità
primordiale dell'essenza dell'individuo, o questa rimane un'inappagata utopia?
All'originale dualismo fra Cristiani e Musulmani
la riscrittura del regista contrappone la pienezza umana e la ricerca verticale
di Don Fernando al conformismo ed alla fissità funzionale degli altri ruoli,
raggruppati a volte nella rievocazione di un solo attore. Non a tutti i
personaggi viene qua ammessa un'identità, ma solo a quelli cui il regista
riconosce "una volontà più forte, che lega quelle che a lui sembrano più
deboli e dipendenti"9.
Durante l'intero spettacolo il lavoro dell'attore rielabora e travolge il
personaggio, e si assiste "al contrappunto condotto sulla recitazione, sul
gesto, sull'intonazione, che contraddicono il contenuto proposto, o lo
commentano con ironia"10,
il che dirige il testo lontano dall'ideologia e dallo stesso senso originari.
Perché dunque la scelta del regista polacco è
caduta su un'opera così distante ed apparentemente irrecupe-rabile, ed a cosa
può condurre una rielaborazione così invasiva?
Del Principe costante Grotowski esalta il
percorso escatologico del nobile Don Fernando, la cui aura si espande
gradualmente da Cieslak agli altri performers, magnetizza lo spazio,
scandisce i ritmi dello spettacolo. L'umiliante discesa del notabile portoghese
a schiavo, il suo sacrificio personale per la salvezza collettiva riflettono
(anche attraverso la scansione di cerimoniali reiterati, come vedremo) più
direttamente che nel fondamentalista originale calderoniano la via crucis
del Cristo cattolico; il principe voluto da Grotowski è exemplum della
redenzione portata da un capo mistico ad una comunità meschina ed egoista, che
ne ha bisogno come agnello sacrificale e pietra di paragone, come oggetto di
rigurgito barbarico, ma anche di espiazione.
Grotowski, nel tentativo di evocare con il suo
lavoro l'incontaminata umanità pre-sociale dell'individuo, l'essenza dell'Io
dietro le sclerosi millenarie della persona sociale ed individuale,
recupera nel Principe costante l'ancestrale archetipo dell'Agnus Dei,
resuscitato e fatto carne in Cieslak-Cristo-Fernando. Il principe non è più
soltanto un nobile nemico schiavizzato per ritorsione da un re infedele,
l'incrollabile perseveranza e l'integerrima carità lo innalzano rispetto ai
suoi aguzzini, che non riescono ad assimilarlo. In realtà il principe,
irriducibile ed 'intoccabile' nell'intimo, nobile nucleo dei suoi propositi,
assurge a capo mistico, dominatore della scena e custude dell'energia spirituale
della comunità. Le sevizie sono delle prove che fortificano il suo animo, gli
danno rinnovata ed approfondita conoscenza di sé, e lo legittimano come
redentore. Ci suggerisce Freud:
I selvaggi Times della Sierra Leone si sono
riservati il diritto di bastonare il re alla vigilia della sua incoronazione; e
si valgono tanto coscienziosamente di questo diritto costituzionale che spesso
il disgraziato sovrano non sopravvive a lungo al proprio avvento al trono.11
Il riconoscimento della guida, il bisogno di
questo ruolo all'interno della comunità, assieme capo e capro espiatorio, è la
dimenticata genesi primordiale della società che il lavoro di Grotowski
recupera nel Principe costante. Se è vero che "l'atteggiamento
dell'uomo primitivo nei confronti del re ricorda un processo in genere molto
frequente nella nevrosi, ed in particolar modo nel cosiddetto delirio di
persecuzione"12,
l'azione del performer diventa recupero e riconoscimento delle proprie
origini personali e collettive, laddove assurge a regressione alle inconfessate
pulsioni celate da una rimozione millenaria ed a liberazione da una repressione
generatrice di nevrosi personali e sociali.
L'ambivalenza dell'atteggiamento verso la guida
non è sciolta, ma complicata dalle ricerche e dalle partiture degli attori; la
sua origine risiede nell'infanzia, "quando il bambino regolarmente
attribuisce al padre una simile onnipotenza, e si può costatare che la
diffidenza nei confronti del padre è in diretto rapporto con il grado di
potenza che gli è stato attribuito"13.
In tal senso il sacrificio del capo rappresenta lo spostamento delle pulsioni
edipiche verso un oggetto che sostituisce il padre e di cui apparentemente ne
partecipa della natura. Il sacrificio è per i primitivi, per le istanze più
irrazionali della nostra stessa società, ma anche per l'Io primitivo cercato da
Grotowski, il sostituto naturale ed immediato della nevrosi.
Ciò che colpisce maggiormente del Principe
costante è come l'insistenza di Grotowski e degli attori sulle puntuali
reiterazioni, sui cerimoniali, sulle preghiere e litanie, sostenga il tema del sacrosanctus
dux sed devotus profondamente e ossessivamente, dettando perfette ed
incalzanti partiture ritmiche, creature auto-suggestionanti ed ipnotiche della
sinfonia grotowskiana. Nella manipolazione testuale questa tendenza appare
evidente, nei tagli, nelle inversioni, nelle reiterazioni. Già durante la
fallita castrazione di Don Fernando, per esempio, si ripete la formula
propiziatoria che aveva accompagnato l'assimilazione di Don Enrico; gli esiti,
tuttavia, sono molto diversi, e ciò provoca disorientamento e presa di
coscienza. Il cerimoniale riacquista vigore nello scarto semantico. Ogni
cerimoniale è ambivalente, ad un tempo gesto di obbedienza e tentativo di
sottomissione e controllo. Il fallimento della cerimonia di castrazione
determina l'alterità di Fernando e la successiva persecuzione, ma anche la sua
irraggiungibile nobiltà. Scrive Freud riferendosi ai cerimoniali cui i re delle
civiltà primitive sono sottoposti:
Questo cerimoniale non serve solo a distinguere
il re e ad elevarlo al di sopra di tutti gli altri mortali, ma anche a
trasformare la sua vita in un inferno, in un peso insopportabile, e ad imporgli
una schiavitù assai più penosa di quella dei suoi sudditi. Questo cerimoniale
ci appare dunque come l'esatto corrispondente della pratica ossessiva della
nevrosi, in cui l'impulso represso e l'impulso che reprime ottengono una
soddisfazione simultanea e comune. L'azione ossessiva è apparentemente un atto
di difesa contro ciò che è proibito, ma in realtà ne è una riproduzione.
L'apparenza si riferisce alla vita psichica conscia, la realtà alla vita
inconscia. Così il cerimoniale del tabù è in apparenza un'espressione del più
profondo rispetto ed un mezzo per procurare al re la più completa sicurezza; ma
in realtà è una punizione per questa elevazione, una vendetta che i sudditi
esercitano sul re per gli onori che gli tributano.14
Nella fallita assimilazione viene riconosciuto il
dux Fernando; così, per una fallita assimilazione, era stato
riconosciuto ed immolato il Re dei Giudei. E il Cristo, non va dimenticato, era
vero redentore già nell'immaginario di Grotowski bambino, quando "gli
appariva come un uomo di sfida, un uomo coraggioso che 'non aveva paura di non
mentire', un 'eroe umano' atteso da tutti coloro che soffrivano in una Polonia
devastata dalla guerra"15.
Nell'elaborazione artistica del Principe costante l'attesa della
redenzione per la Polonia ed il mondo in bilico si incarna nell'icona di un
Principe-Cristo modernamente sincero ed eroico, il Cristo che Cieslak rinviene
in sé come dovrebbe fare ogni uomo, e che nel calvario dell'introspezione e
soprattutto dell'azione risco-pre le origini e la natura dell'uma-nità, ad
indicare una via spesso incompresa e troppo spesso disattesa. Nondimeno
l'azione, ed è forse questa l'intuizione più geniale di Grotowski, è in grado
di svelare gli artifici di secoli di repressione, di restituirci il senso e la
genesi dei nostri miti più intimi, di sgretolare lentamente e dolorosamente la
stratificazione nevrotica imposta dall'inazione e dall'introiezione sociale, di
restaurare quella forma di liberazione concessa al primitivo. La via crucis
del Principe ci rende così il rimosso del mito cristiano:
Nella nevrosi l'azione è assolutamente inibita e
totalmente sostituita dal pensiero. Il primitivo, invece, non conosce questa
inibizione; i suoi pensieri si trasformano immediatamente in azione; si potrebbe
giungere a dire che in lui l'azione sostituisce il pensiero. Perciò, senza
pretendere di chiudere la discussione con una decisione assoluta e definitiva,
possiamo arrischiare questa proposizione: "In principio era l'Azione".16
1 Sigmund Freud, Totem e
Tabù [1913], trad. C. Balducci, C. Galasi e D. Agozzino, in Opere
1905/1921, Roma, Newton Compton, 1995, p. 652.
2 Jean Jacquot, Théatre
Laboratoire de Wroclaw, Le prince costante, in Jean Jacquot (a cura
di), Le voies de la création théâtrale, Paris, CNRS, 1970, p. 24. La
traduzione dal francese è del redattore.
3 Virginie Magnat, Cette
vie n'est pas suffisante, in “Theatre/Public”, n. 153, Mai-Juin 2000, p.
15. La traduzione dal francese è del redattore.
4
Sergej M. Ejzenštein, Il pathos, in Id. La natura non indifferente,
a cura di P. Montani, Venezia, Marsilio, 1992, p.184. Il regista e teorico
sovietico non sta commentando il 'metodo Grotowski', ma le indicazioni del
fondatore della Compagnia di Gesù, Sant'Ignazio di Loyola, sul lavoro di
concentrazione del fedele per raggiungere l'estasi. Il procedimento è
straordinariamente omologo a quello impiegato dal regista polacco.
5 Jerzy Grotowski, Tu es
le fils de quelqu'un, trad. Jacques Chwat, dans Europe n. 726, Europe
et Messidor, Octobre 1989, Paris, p. 31. La traduzione dal
francese è del redattore.
6 J. Jacquot, Théatre
Laboratoire..., cit., p. 29.
7
Ibidem.
8 V. Magnat, Cette vie
n'est pas suffisante, cit., p. 17.
9 J. Jacquot, Théatre
Laboratoire..., cit., p. 30.
10 Ibidem.
11 Freud, Totem e Tabù,
cit., p. 582.
12 Ibidem.
13
Ivi, p. 583.
14
Ibidem.
15 V. Magnat, Cette vie
n'est pas suffisante, cit., p. 4.
16
Freud, Totem e Tabù, cit., p. 652.
La foto (Cieslak nel Principe costante) è
tratta da Jean Jacquot (a cura di), Le voies de la création théâtrale,
Paris, CNRS, 1970, p. 128.