Alcuni frammenti delle interviste a Gigi Riva tratte dai libri "Professione gol"  di Stefano Boldrini e "Un tiro mancino" di Nanni Boi

I- Una vita rotolata dietro al pallone, soddisfatto?

Riva- Era il mio sogno. Da ragazzino non riuscivo a immaginare una vita normale, senza lo sport, in particolare il calcio. Andavo bene in atletica, cento e duecento metri. Nuotavo bene, essendo nato in riva al lago. Mi piaceva il ciclismo. Ma il calcio era una mania, una fissazione, un desiderio.

 

I- Tutto cominciò in quel campetto dell'oratorio davanti casa...

Riva- Penso che dopo aver imparato a camminare, mi ritrovai subito lì. Si giocava a piedi scalzi, per non rovinare le scarpe. La pianta dei piedi era una suola di calli, la pelle era durissima, piegavo i chiodi. Il parroco, don Piero, mi incoraggiava. Era contento perché con i miei gol facevo sempre vincere la parrocchia, ma era severo. Guai se alla domenica non si andava in chiesa.

 

I- Il coraggio e la rabbia che hanno segnato la sua carriera sono figli delle vicissitudini della vita?

Riva- Per forza. Quando a sedici anni ti ritrovi sbattuto nel mondo, la vita ti dice arrangiati. Sei orfano,non hai punti di riferimento e ti mancano disperatamente gli affetti, quello della madre in particolare. Ti porti dentro qualcosa che gli altri non hanno. Impari a non arrenderti mai. A reagire. A soffrire. Le difficoltà che incontri nel calcio sono una stupidaggine di fronte a quelle della vita. Le botte dei difensori sono carezze al confronto con le bastonate dei lutti, della solitudine, delle privazioni. Sei costretto a crescere prima del tempo, a diventare adulto anche se hai il fisico mingherlino.

 

I- Quanto è stato importante l'egoismo per sfondare?

Riva- Beh, non nascondo che soprattutto per il ruolo che ricoprivo aveva la sua importanza. Questo in campo perché nella vita non sono mai stato un egoista.

 

I- Ricorda il primo gol in serie A?

Riva- Segnai alla terza giornata, partita Cagliari-Sampdoria. Un diagonale da sinistra, che il portiere Sattolo non riuscì a deviare. Era il primo gol all'Amsicora del Cagliari in serie A, ci fu una baldoria incredibile che travolse tutti, pubblico e giocatori.... Quel campionato fu una splendida cavalcata. Alla fine del girone di andata ci ritrovammo all'ultimo posto....Chiudemmo il campionato al sesto posto in compagnia del Bologna che l'anno prima aveva vinto lo scudetto.

 

I- Come è nato il legame con il popolo sardo?

Riva- La chiave è stata molto semplice:mi resi conto che per questa gente ero importante. Quando giocavi a Milano o Torino e ti ritrovavi il sostegno di diecimila sardi che provenivano da mezza Europa, capivi che c'era qualcosa che andava oltre il semplice rapporto tifoso-calciatore. Davi a quella gente qualcosa di infinitamente più importante del gol o di una vittoria.

 

I- Nel calcio del Duemila un campione che rinuncia ai miliardi sarebbe considerato un folle...

Riva- Ai miei tempi nel calcio c'era posto anche per i sentimenti. Nessuno si buttava via, intendiamoci, ma chi poteva permetterselo non pensava solo ai soldi. Si consideravano anche altre cose: la maglia, la città, i tifosi. Il problema è che pochi potevano puntare i piedi, a quell'epoca comandavano i club e i calciatori non avevano libertà di scelta.... Oggi siamo passati all'eccesso opposto, comandano giocatori e procuratori.

 

I- E' stato definito un combattente, una sorta di gladiatore in campo. E quando c'è da fare un esempio di lealtà nella lotta, il suo nome viene tirato in ballo ancor oggi. Mai venuta la tentazione di trasgredire certe regole?

Riva-  Ho sempre accettato sportivamente il mio ruolo, anche quando le botte che prendevo mi costringevano a cinque mesi di ospedale. e quando finivo per terra non era mai per simulazione. Dall'inizio avevo accettato queste regole che io stesso in un certo senso avevo imposto. Perché se non rischiavo non mi realizzavo

 

I- Quando le tolse l'infortunio del 1970?

Riva- Tanto. Il bello è che quella partita con l'Austria non dovevo giocarla...Era prevista una staffetta con Bobo Gori, vincevamo 2-1 e il cambio era pronto. Io però cercavo il gol, avevo fatto gli assist per le reti di De Sisti e Mazzola e volevo la soddisfazione personale. Hof entrò da dietro, io non lo vidi arrivare e la caviglia mi restò intrappolata tra le sue gambe. Il vero guaio non fu la frattura, ma la lacerazione del legamento tibio-carsico. Mi ripresi abbastanza bene, ma quell'infortunio mi ha fatto sempre soffrire.

 

I- La rispedirono in campo dopo quattro mesi e mezzo, con una gamba che era la metà dell'altra...

Riva- La società era in crisi e servivano i soldi. In pochi mesi eravamo stati eliminati dalla Coppa dei Campioni ed eravamo usciti dal giro scudetto. Lo stadio si era svuotato. Così mi chiesero di fare un piccolo sacrificio. Ci fu il pienone, quel giorno. Il record di presenze al Sant'Elia...ancora resiste.

 

I- Tra le soddisfazioni che si tolse in Nazionale forse la più importante è stata il record di gol. Che cosa accadde quando superò il primato di Meazza?

Riva- L'allenatore mi disse bravo negli spogliatoi e il giorno dopo i giornali fecero qualche titolo. Due giorni dopo era già tutto passato. Allora c'era più senso della misura...

 

I- Tra i gol le ritorna  più spesso in mente quello di Vicenza in rovesciata, il tuffo per il colpo di testa in Germania Est-Italia, il sinistro classico che valse l'Europa contro la Jugoslavia o l'altro colpo di testa con il Bari?

Riva- L'ultimo. Quella notte non mi addormentai per paura di...svegliarmi da un sogno. Temevamo che quello scudetto ci fosse vietato politicamente.

 

I- Come fu il suo rapporto con i mezzi d'informazione

Riva- Venivo scambiato per musone perché mi concedevo poco. Parlavo prima e dopo le partite, poi staccavo la spina. Cercavo di isolarmi anche perché non puoi ripetere ogni giorno le stesse cose. Non fu un rapporto facile....

 

I- Ha mai avuto la tentazione di entrare in politica?

Riva- Mi considero un buon socialista. Conobbi Craxi e Martelli negli anni Settanta e il loro progetto mi convinse. Fui inserito nell'assemblea dei quaranta. Una presenza simbolica...Poi sono cominciati gli scandali e  mi sono allontanato dalla politica. Non ho più punti di riferimento. Ho sempre anteposto l'uomo alle ideologie.

 

I- Berlusconi ha provato ad arruolarla?

Riva- Si. Lo fece quando scese in politica nel 1993. Fui contattato dal gruppo Milan ma rifiutai. La politica di questi ultimi tempi mi riesce incomprensibile.

 

I- Molti non sanno che Riva è stato per qualche periodo anche il presidente del Cagliari

Riva- E' stata una tappa importantissima per la mia carriera di dirigente, che in pochi hanno capito. Il Cagliari in quel periodo rischiava di scomparire.

 

I- 7 novembre 1984: per il quarantesimo compleanno decide di festeggiare segnando dieci tiri su dieci dal limite dell'area all'allora portiere rossoblù Minguzzi. Dica la verità, le stava antipatico?

Riva- Ogni tanto si riparla di questa storia, ma io francamente non ci vedo nulla di strano. Sarebbe stato diverso se ne avessi segnato trenta su trenta, ma così....

 

I- Nel 1987 il Presidente della Federcalcio Matarrese le affidò il compito di dirigente accompagnatore della Nazionale: chi ha avuto l'idea?

Riva- Matarrese. Mi contattò telefonicamente all'inizio dell'anno per annunciarmi che voleva il sottoscritto come dirigente-ponte tra la federazione e i giocatori della Nazionale. Ci incontrammo a Roma, gli dissi che la proposta mi interessava, ma che non volevo apparire troppo. La mia presenza doveva limitarsi ai raduni e alle partite. Feci un'altra richiesta: il giorno in cui avesse deciso di licenziarmi, volevo che fosse lui a comunicarmelo e non i giornali. Un rapporto leale.

 

I- La riservatezza di Riva è uno scudo per affrontare il mondo o è un aspetto del carattere?

Riva- E' il mio modo di essere. Quando giocavo non scambiavo un pomeriggio di libertà, da trascorrere in mare, con un viaggio a Roma o Milano per ricevere un premio. La mondanità non mi è mai piaciuta. C'è gente che vive solo per queste cose. E' una questione di carattere. Odio la cravatta. E' un rifiuto simbolico di un certo tipo di vita.

 

I- Dal primo gol in rossoblù segnato a Gridelli del Prato nel settembre del 1963 a quello realizzato a Rigamonti del Como nel gennaio del 1976 sono trascorsi 12 anni e 4 mesi. Il tempo a lei necessario per diventare un mito.

Riva- Mito è una parola grossa, non mi sembra di aver mai guarito i malati o salvato il Paese da una guerra. Credo di essere riuscito a instaurare un buon rapporto con la città e la regione.

 

I- Oltre al piacere personale, quali soddisfazioni le rimangono più impresse dei  suoi anni di successi?

Riva- L'aver fatto qualcosa, magari piccolissima, per gli emigrati. Aver contribuito ad elevare il loro orgoglio di sardi e a vantarsi di esserlo quando in giro per l'Europa dovevano sgobbare facendo i lavori più faticosi e sopportando le umiliazioni più grosse. Mia sorella mi faceva leggere le loro lettere che arrivavano dalla Svizzera, dal Belgio, dalla Germania,  dall'Inghilterra.....Magari non avevano niente a che fare col calcio ed erano lettere bellissime e commoventi. La sola idea di farli sorridere anche solo per un minuto mi dà ancora oggi un senso di benessere. Come a dire che quello che ho fatto non è stato solo fine a se stesso.

 

I- Dopo trentacinque anni di Sardegna che cosa rappresentano i viaggi a Leggiuno?

Riva- Rivedo la mia infanzia, le tappe della mia vita. Vado al cimitero per trovare i miei ed è triste perché tra le tombe aumentano le vecchie conoscenze. Leggiuno significa anche rivedere la casa di quando ero bambino, incontrare la vicina che mi parla di mia madre. Non mi annoio mai ad ascoltarla.