LA STORIA

Il materiale rinvenuto nella grotta della "Madonna della Serra" (scheletri umani e di animali addomesticati, vasi neolitici) avvalora la presenza dell’uomo della preistoria nel territorio giuggianellese. Agli albori del 900 la Messapia venne a essere occupata dalle colonie dei pelasgi Cretesi, che iniziarono nella zona una vera e propria opera di accampamento. Politicamente e logisticamente divisi in due società presero il nome di Lapigi-Messapi abitanti dell’alta Messapia e Salentini abitanti del basso Salento, dando luogo alla fondazione di varie città, con relativa cinzione muraria, quali Manduria, Vereto, Vaste, e Muro Leccese. Nel 924 però giunse immancabile la reazione di Romano imperatore di Costantinopoli che, sdegnato per l’azione dei ribelli Pelasgi, distrusse per mano barbarica quasi tutte le città e fra queste Muro Leccese, che all’epoca accreditava non meno di 5000 famiglie. Distrutta la cittadina di Muro, i suoi abitanti si suddivisero in vari gruppi, formando nelle adiacenze dell’antica città dei piccoli casali, come Moriggino, Sanarica, e Giuggianello. Nel 1192 Tancredi, re di Sicilia e conte di Lecce, volle ricompensare venti leccesi che si erano distinti al servizio al Conte Roberto, con l’investitura di Baroni e l’assegnazione di alcuni feudi. Ad Evangelista Lubello di San Cassiano fu dato in feudo Maglie - Giuggianello. ( molte furono le famiglie che si contesero il feudo di Giuggianello quali: i Martino, dei Basurto, dei Guarini, e infine i Veris). Negli anni successivi questi casali caddero sotto il regime del principe di Taranto Giovannantonio Orsini e nel 1434 si giunse alla delimitazione dei feudi di Muro , Sanarica, Giuggianello, Minervino. Confini questi che furono causa di gravi e sanguinose discordie. Altre discordie seguirono anche sotto il lungo governo vicereale dei Conti di Castrillo e Pennarande che raggiunsero il culmine il 21 aprile 1669 in occasione di una festa dedicata a Maria Vergine di Miggiano ( nelle adiacenze di Muro ), in cui si registrò un sanguinoso scontro tra gli abitanti di Giuggianello, Sanarica e di Muro, represso, poi, dall’intervento del governatore Angelo e dei suoi squadriglieri. E lungo andare questi dissidi portarono alla decadenza di alcuni Comuni quali Sanarica e Giuggianello che vennero così a perdere la precedente floridezza. Nel regno di Napoli, dominio della corona spagnola, la pressione tributaria e le servitù militari, soverchiavano una popolazione economicamente debole e in condizioni di cronico squilibrio sociale, il disagio venne sempre crescendo e, non mancarono sommosse. Tra la fine del 1600 e l'inizio del 1700 l'Italia fu teatro dello scontro tra le potenze europee. I Savoia aumentarono il loro peso politico, mentre al dominio spagnolo si venne sostituendo quello austriaco ( trattato di Utrecht del 16 aprile 1713 ). L'Italia della fine del Settecento fu travagliata da un'acuta crisi sociale, rappresentata in particolare dalla crescente miseria delle popolazioni contadine, su cui si innestava la crisi della politica riformatrice, che nasceva dal contrasto tra l'autoritarismo dei sovrani e la debolezza delle forze innovatrici; inoltre quasi tutti gli Stati italiani si trovavano in difficoltà finanziarie. Su questa situazione doveva influire potentemente la Rivoluzione francese, le cui idee trovavano un terreno particolarmente adatto nei gruppi più vivi dei ceti intellettuali italiani. Si formarono minoranze "patriote" e giacobine, in parte derivate dalla massoneria, che iniziarono una vivace attività cospirativa accompagnata da repressioni poliziesche ed esecuzioni capitali. Napoleone iniziò la sua penetrazione in Italia nel marzo 1796 e nel 1805, divenuto imperatore, assunse il titolo di re d'Italia e trasformò la Repubblica Italiana in Regno d'Italia Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia (1813), sorse la speranza che fosse possibile ottenere per i regni napoleonici in Italia l'indipendenza sia dalla Francia sia dall'Austria. Le sorti dell'Italia vennero definitivamente decise dal congresso di Vienna, che restaurò gli antichi sovrani. Dopo la Restaurazione si diffuse in tutta Italia il desiderio di indipendenza. Ovunque si costituirono sette segrete e gruppi rivoluzionari. Nella prima metà dell'800 il Regno di Napoli fu la terra dove più si diffusero le Sette fra ogni ordine di persone, nelle città e nelle campagne. Nei primi anni dopo la rivoluzione francese qui si contendevano il terreno i Carbonari, i Trinitari, i Filadelfi, i Decisi e poi via via altre sette minori ancora; associazioni tutte che, varie nei mezzi e nella forma organizzativa, miravano in fondo ad un unico fine: indipendenza e libertà. Non essendo dichiaratamente avversa alla Chiesa, la Carboneria aveva attratto a sé buon numero di preti e frati. A livello provinciale funzionava un'organizzazione chiamata A. V. (Alta Vendita) che si occupava di coordinare l'azione di ogni setta. Si occupava di esaminare lo stato dello spirito pubblico della provincia e doveva proporre tutti i mezzi necessari, nel tempo e nelle circostanze, a dirigere le azioni da attuare. Doveva occuparsi, anche della propaganda delle idee, per tener viva l'agitazione; ed a questo doveva sicuramente riuscire con le numerose vendite che si aprivano qua e là. Nella sola Lecce ve ne erano sei. Prendevano tutte nome dell'Idume, antico ruscello che scorreva nella zona . Sparse nella provincia ve ne erano 27. Caratteristico del nome era che venivano tratti dalla storia di Roma: a Galatina "Li Novelli Bruti"; a Corigliano d'Otranto "I Figli di Attilio Regolo", a Taviano "I Regoli", a Lequile "I Figli di Catone", a Ginosa "I Novelli Cassi", ed altri come: ad Acaia "Il Buon Senso", a Otranto "l'Idro", a Nardò "La Fenicia Neretina", a Gallipoli "l'Asilo dell'Onestà". Dai documenti consultati si ricava che, intorno al 1815, nella provincia di Lecce erano aperte 33 Vendite. Tutte dovevano contribuire efficacemente a tener desto il movimento politico, a disciplinarlo ed ordinarlo. Attraverso la consultazione delle liste fatte compilare dal governo borbonico dopo l'insurrezione del Cilento, risulta che i settari venivano reclutati in maggior numero fra i proprietari, i liberi professionisti, gli industriali, i sacerdoti, fra la classe dirigente insomma. Nei documenti detti "osservazioni" si è riscontrato che la maggior parte dei settari erano classificati come effervescenti o riscaldati. La condotta politica dei settari era pessima, secondo la polizia, cioé continuavano, anche dopo il Nonimestre ( il periodo costituzionale di Napoli durato nove mesi e cioé dal 13 luglio 1820 al 24 marzo 1821 ), a mostrarsi ostili al governo. Per essere ammesso nelle vendite bisognava essere proposto da un "cugino", si votava poi sulla proposta con palle bianche o nere. Vi furono alcuni, però, che alla prima occasione, si ritirarono dalla setta, e nella reazione del 1821 smentirono la loro "effervescenza" del Nonimestre, cercarono di nascondere la loro ostilità al governo e si mostrarono pentiti dei " trascorsi errori ", come é detto più volte nei registri. Datisi spie e delatori in braccio della polizia, si meritarono dai diffidenti Giudici Regi un " commendevole " e un "ottimo" persino in condotta. Nella provincia di Terra d'Otranto come abbiamo visto, operavano le sette dei Carbonari, dei Trinitari, degli Edennisti, dei Decisi, dei Filadelfi. Queste ultime, che erano più diffuse nelle campagne e nei ceti inferiori, si sciolsero fondendosi con la Carboneria, la quale era composta da elementi borghesi. La mira che aveva la Carboneria, specialmente nel Napoletano, era di penetrare nell'esercito. I documenti consultati nulla ci dicono in proposito. Però nel vedere che la maggior parte dei settari ebbero posto e grado nelle legioni costituzionali, si potrebbe supporre che molti di loro fossero stati soldati e si fossero aggregati allora alla setta. Le sette nella Puglia, quindi, ebbero lo stesso corso storico che nel resto del Regno di Napoli, dove contribuirono grandemente a tener vivo il sentimento di libertà, a destare la coscienza di italianità. Con la nomina ad Intendente della Provincia di Terra d'Otranto del Marchese Ferdinando Cito, nel 1823, inizia dopo l'operazione militare del generale Church, l'effettiva lotta alle sette segrete. Non appena insediato, egli si circondò prima di personaggi che erano, per nascita, contro chi aveva tramato in favore dell'unità d'Italia e, poi, riprese le inchieste sulle sette, che i suoi predecessori (Guarini e Cammarota) avevano trascurato per "liberare Terra d'Otranto dalle sette politiche e dal dilagante brigantaggio". Si mise subito al lavoro per accertare l'effettiva esistenza della setta degli EDENNISTI, o delle OTTO LETTERE, o dei QUATTRO COLORI. Attraverso le varie denunce si può ricavare che la setta aveva la sua sede nei Comuni del Capo di Leuca. Secondo il Nisco, ogni "iniziatore" della setta aveva al suo comando sette "iniziati", dei quali doveva ricordare il nome a memoria; ogni "iniziato" poteva essere " inziatore " di altri sette, e così oltre. La corrispondenza era portata dai " fratelli serventi ", i quali sotto l'aspetto di venditori ambulanti al minuto giravano per la provincia. Sulle numerose denuncie di delatori, e dopo aver sentito accusatori e testi, l’Intendente Cito redisse un processo contro il principe Cassano d'Aragona, di Alessano, Liborio Romano, di Patù, ed altri. Il fatto che più incuteva paura al Cito, era la continua espansione della setta degli Edennisti. Il 16 giugno 1825, credendo di ver messo, finalmente, le mani sul covo degli edennisti, trasmise al Ministero degli Interni un lungo e dettagliato rapporto, rallegrandosi di quello che pensava. Intanto aveva fatto arrestare alcuni presunti capi della setta. Il Ministro, con nota del 1825, prescriveva all'Intendente che i nomi dei presunti appartenenti alla setta "fossero classificati per ciascuno si proponessero delle misure in via economica, senza trascorrere in soverchio rigore". L'Intendente, in ottemperanza alle pescrizioni impartite dal Ministero, classificò i presunti settari (erano 51) in tre categorie. Nella prima ne inserì 8, nella seconda 22 e nella terza 21. In quest'ultima categoria figurarono tre cittadini di Giuggianello, e cioé Agostino Pirtoli, il sacerdote Don Domenico Pirtoli, perché erano stati bollenti settari, e Giuseppe Negro decurione e cancelliere. La classificazione non diede effetti immediati; ma successivamente, nel dicembre del 1823, vennero arrestati alcuni tra i quali Agostino Pirtoli e Liborio Romano, che, con severa sorveglianza militare, furono inviati a Napoli e rinchiusi nelle carceri di Santa Maria Apparente. Con tali arresti inizio presso la Corte Criminale una lunga istruzione penale. Agli imputati, tutti rei di appartenere alla "... delittuosa setta degli Edennisti del capo di Leuca", con lunghi interrogatori si cercò di far rivelare gli altri associati settari, ma gli arrestati respinsero le accuse con fermezza e coraggio. Nel 1827 Giuggianello era un piccolo paese prettamente agricolo con 595 abitanti circa. La sua popolazione era quasi tutta agricola tranne qualcuno che si emergeva per cultura o per posizione economica. La famiglia più cospicua era quella dei Pirtoli. Alcuni di questa famiglia furono coinvolti in un processo politico iniziato in seguito a lettere anonime inviate all'intendente di Terra d'Otranto. Questi subito interessò il Commissario di Polizia, dopo aver egli stesso esperito indagini sulla veridicità del contenuto delle lettere anonime a lui trasmesse. Il Commissario inizia l'istruttoria e con lettera nn 282 del 9.6.1828, trasmette all'Intendente tutto "l'incartamento" redatto a carico dei cittadini: Agostino Pirtoli, suo padre Pasquale, suo fratello Don Giosuè e suo zio Don Domenico, sacerdoti. Allegato a tale "incartamento" c'era un "Riassunto" di tutto quello che si era verificato e su quanto era emerso nel corso dell'interrogatorio.


Riassunto dell'incartamento formato a carico di Don Agostino Pirtoli, e per coordinazione, di suo padre e suo zio D. Domenico, del Comune dì Giuggianello.

Dal Signor Intendente con foglio ufficiale datato 29 Novembre dello scorso anno 1827, del Gabinetto, senza numero, fu rimesso all'ispettore Commissario in Lecce, un anonimo, con incarico di istruire in linea di polizia un incartamento sul contenuto del medesimo, avendo già il lodato Signor Intendente chiamato i testimoni indicati nello stesso, che presentatisi e costituiti con giuramento, cioè Giuseppe Oronzo Giubba, di Giuggianello, il giorno tre Dicembre ultimo, depose che D.Agostino Pirtoli suo compaesano fu uno degli antichi effervescenti settari, pertinace, in modo che per eccedenza settaria, tempo fa, fu arrestato dalla polizia e tradotto in Napoli, da dove ritornato in detta sua patria ha tenuto insieme ad altri cittadini di paesi vicini una pessima condotta disturbando la popolazione con delle voci allarmanti, che non poteva precisare giacché il detto Pirtoli si guardava di lui e delle altre persone attaccate all'altare e al Trono, ed indicò delle persone che avrebbero potuto manifestarle asserendo di aver anche pessima la sua condotta morale per vivere in scandaloso concubinato, mentre ha moglie e figli. Palazzo PirtoliAsserì pure che il di lui padre D. Pasquale era in tutto e per tutto simile al figlio; in merito alla condotta morale, depose ancora, che il di lui zio sacerdote D. Domenico era stato sempre non solo un rebusciato ma anche un usuraio di primo ordine, come già distintamente rilevasi dal dedotto. Similmente il di lui fratello Sacerdote Don Giosuè é più immorale in linea di estorsioni del nominato suo zio Domenico, perché causa la sua malvagità col vanto della ipocrisia. Interrogato nel dì 4 Dicembre ultimo, Raffaele Schito di Giuggianello è stato uniforme al deposto del suo compaesano Oronzo Giubba. Interrogato nello stesso dì quattro Lazzaro Cagnazzo di Giuggianello é stato uniforme al deposto del deposto dei suoi compaesani Giubba e Schito. Interrogato il 10 Dicembre ultimo Salvatore Russetti di detto Giuggianello fu uniforme al deposto dei suoi compaesani Giubba, Schito e Cagnazzo e soggiunse che D. Agostino Pirtoli dimentico della Grazia Sovrana, rimpatriatosi aveva di nuovo cominciato a turbare l'ordine pubblico e quello delle particolari famiglie, avendo ardito preferire delle proposizioni contro 5. M. e del Signor Intendente della provincia Cav. CITO, avendo inteso con le proprie orecchie verso le due di notte di un giorno del mese di novembre, che noti ricorda con precisione, quanto segue: " E per Dio se non si é superato che l’Intendente Cito futtuto non venghi in Lecce, tra breve tempo però verrà un fulmine poiché é certo che Francesco ha fatto legha col Turco buzarato dalla Francia, dalla Russia, dall’Inghilterra e dalla Grecia, che tra breve si impossesserà del nostro regno, e noi faremo questi scellerati realisti del cazzo come la salsiccia" stando il medesimo in compagnia del suddetto suo padre Pasquale, lo zio Sacerdote D. Domenico e del loro affezionato e intrinseco amico Matteo Negro, anche dello stesso Comune, e che l’Agostino quantunque ammogliato e con figli teneva illecito e scandaloso attacco, con Saveria Benegiamo moglie del detto Negro, pessimo sotto il triplice aspetto al pari dell'Agostino e che il di lui padre, oltre ad essere un irreligioso, pubblico bestemmiatore, disturbatore, è distruttore delle famiglie, tenendo scandalosa tresca con Giuseppa Stefanelli. Similmente depose vari fatti a carico di suo zio Sacerdote D. Domenico, in contestazione della sua marcata immoralità in materia di disonestà, e di usura che meriterebbero essere verificati dal Giudiziario; parimenti depose dei fatti accaduti in materia di estorsioni fatte dal sacerdote D. Giosuè Pirtoli che anche bisognerebbe verificarsi dal Giudiziario. Interrogato il chiamato testimonio Notaro D. Gaetano Giannetta depose di conoscere molto da vicino D. Agostino Pirtoli di Giuggianello per essere stato presso di lui ad apprendere la professione di Notaro, nel quale tempo lo esperimentò per un uomo avverso alla cristiana pietà, burlandolo quando lo insinuava di frequentare i Sacramenti; che fu uno degli effervescenti settari, fin dal 1817 in modo che in detta epoca ardì tirare un colpo di fucile al suo pro zio D. Onofrio Pirtoli, per cui questi dall'ora in poi si divise dalla famiglia, e che in Gennaio del 1820 lo trovò nella piazza di Giuggianello insieme a don Vincenzo Convegna, che lo accompagnava, si unì il Pirtoli ai medesimi e cammino facendo, giunti alla Cappella di S. Maria della Serra, Don Agostino gli disse: "Notaro Giannetta non solo non vuoi fare parte delle nostre unioni, ma ancora ardite andare sconsigliando gli altri a dare il loro nome; questa maniera d'agire si rende insopportabile ed io vi assicuro che voi dovete non solo insinuare gli altri d'appartenervi ma ancora dovete ascrivervi, diversamente vi costerà la vita" e con altre simili insinuazioni che non si ricordava viveva ogni giorno. Depose similmente che il padre D. Pasquale era di pessima condotta morale e religiosa, perché concubinario e bestemmiatore e come tale ne subì anche la pena del carcere; parimenti depose che per detto dello stesso zio sacerdote D. Domenico, aveva questi fatto pane della prescritta società segreta nel 1817, come pure di essere il medesimo un usuraio di prima sfera, constandogli non solo per detto, ma anche per fatto, dai contratti illeciti e fraudolenti fatti dallo stesso, e finalmente, che il sacerdote D. Giosuè Pirtoli, fratello di D. Agostino, fece parte con effervescenza della vendita Carbonarica installata in Muro, e che con assetata ipocrisia, sotto titolo dì vendita, si faceva lasciare dei fondi, promettendo verbalmente ai donatori di celebrare dal valore tante messe dopo la di loro morte, togliendoli in sì giusta maniera ai propri parenti, il che gli costava per la stipola da lui fatta tra il D. Giosuè e Pietro Saracino anche di Giuggianello.Casa del Convenga Interrogato il chiamato testimonio Antonio Pispico depose unitamente a Giuseppe Oronzo Giubba, Raffaele Schito e Lazzaro Cagnazzo che soggiunse di essersi trovato quando il Sacerdote D. Domenico Pirtoli si intratteneva nell'atto turpe con una donna maritata per nome Giovanna Bolognino. Interrogato D. Vincenzo Convegna di Giuggianello depose di aver fatto parte della prescritta società segreta, non per volontà, ma per scampare la vita e ad una insinuazione e sprono di D. Agostino Pirtoli, per cui gli constava per fatto, che questi nel 1817 funzionava da uno dei capi del campo ( vendite ) dei patrioti installato in Sanarica e che nel 1820 lo stesso funzionava da terribile nella vendita Carbonarica installata nel comune di Muro ( nel Convento di San Domenico ) ed era uno dei più riscaldati tra quelli effervescenti in guisa che terminata la sedicente Costituzione pertinace nei suoi innati e perversi sentimenti liberali allo stesso gli insinuava dì essere fedele e stabile nell'ampio giuramento dato assicurando che l'ordine legittimo governativo non poteva reggere per essere tirannico e mal voluto da tutti i regnicoli ed esteri ed all'oggetto si stavano dappertutto riformando le già note combriccole sotto altre denominazioni, istruzioni e segni e che lui insieme col Signor Cav. Don Francesco Paolo Frisari avevano risoluto di stabilire una vendita sotto al di costui Casino ( l’attuale palazzo Bozzi – Colonna ) e si riportò al suo deposto fatto a carico del Pirtoli nell'anno 1824 o 1825 come con più distinzione rilevasi dalla sua dichiarazione, colla quale confermò ciocchè il Pirtoli praticò in sua presenza nel nonimestre in persona del notaro D. Gaetano Giannetta e depose altri fatti fraudolenti commessi dallo stesso, che potrebbe tenersene conto dalla Polizia Giudiziaria e di essere non solo usuraio ma ancora irreligioso sotto tutti gli aspetti e tuttora il disturbatore sia di Giuggianello che dei paesi limitrofi soggiungendo inoltre che nella famiglia del nominato Pirtoli si conservano quattro fucili del calibro di un'oncia, dei cinque che ne teneva per averne consegnato uno per servizio della Guardia Civica. Similmente depose che la condotta di D. Pasquale Pirtoli sotto il triplice aspetto é simile a quella del figlio ad eccezione che questi fu un antico settario, ma meno riscaldato, e nella linea morale aggiunse un pubblico bestemmiatore. Parimenti depose che D. Domenico Pirtoli fece parte della Loggia dei Patrioti installata in Muro nel 1817 e in quella installata in Sanarica, in quella epoca fu uno degli effervescenti, al pari che lo fu nel nonimestre, e che la di costui condotta é la più degradante che possa dirsi, sia in materia di fornicazione, sia di usura, sia di estorsioni, come con più distinzione rilevasi da alcuni fatti prodotti, che potrebonsi verificare dal Giudiziario. Finalmente depose che il Sacerdote D. Giosuè Pirtoli ha serbato in tutte le epoche pessima condotta sotto il triplice aspetto avendo appartenuto al campo di patrioti installato nel Santuario della Madonna di Sanarica nel 1817 e nel 1820 ha Vendita Carbonarica installata in Muro nel soppresso Monastero dei Domenicani, e che tuttora la sua condotta nel lato politico é sospetta al pari dei descritti suo fratello, suo padre e zio, in quanto alla morale quantunque mascherata di ipocrisia, notoriamente si conosce essere un sodomista attivo ed usuraio ed appropriatore fraudolente al pari del suo degno zio sacerdote D. Domenico e che ha in colpa la perdita della nominata Saveria figlia di Pietro Saracino di Giuggianello da cui si fece lasciare dei beni, che appartenevano alla medesima, e che la perseguitò per una cambiale di 20 Ducati lasciatagli dal defunto di costei padre in buona fede, per cui la Saveria per disperazione si vedeva costretta di buttarsi in un pozzo; infatti da quella epoca, malgrado tutte le più accurate ricerche, non si é mai rinvenuta. Interrogato il giorno 5 del mese di marzo ultimo il chiamato Francesco Falco, depose che circa venti giorni prima, non ricordandosi con precisione il giorno, aveva confidato a D. Vincenzo Convenga, che mentre una mattina verso mezzogiorno si dirigeva in una campagna del territorio di Giuggianello che é sita in direzione di Specchia Gallone, si incontrò col suo paesano D. Agostino Pirtoli, che dalla stessa faceva ritorno all'abitato; il medesimo gli si avvicinò e gli disse che non avrebbe mai ottenuto che il di lui padre Pasquale abbandonerebbe la sua strada, e gli somministrerebbe degli alimenti se non farebbe quello che lui era per insinuargli: allora fu che il Falco, atteso le sue critiche circostanze gli rispose: "ditemi cosa debbo fare e siate sicuro che essendo regolare lo farò". Nel riscontro D. Agostino Pirtoli ripigliò che non era quello il luogo dove poteva dargli la norma da tenere per conseguire l'intento, ma bensì doveva, tornando dalla campagna, trattenersi in piazza e propriamente in quel punto che é sito alle vicinanze della sua abitazione da dove l'avrebbe chiamato. Il Falco eseguì quanto gli prescrisse il Pirtoli. Infatti fu chiamato da D. Agostino e si chiusero in una stanza. Il Pirtoli gli disse: "Se vuoi veramente ottenere cioché tuo padre per mezzo di raggiri ed intrighi, non ti vuole dare, devi fare quello che t'insinuo cioè ti darò schioppo polvere palle e coltello e ti devi ascrivere alla nostra società segreta e devi badare bene di essere segreto, perché in contrario sarai ucciso di notte, invece se sarai fedele e costante vivi più sicuro e non solo riceverai gli alimenti che tuo padre finora ti ha negato ma bensì tutti i suoi beni non escluso quelli che ha comprato ed intestato a favore della sua bruta Nunziata Coti né ti sembrerà difficile quanto ti ho promesso, sapendo che tra breve il primo a fuggirsene di notte sarà l'Intendente CITO (che é quello che ti ha fatto e fà del male) se non vuole essere ucciso. Ti assicuro che noi altri settari siamo protetti da persone a lui superiori".Casa del Convenga - il pozzo nel quale si nascondeva Don Saverio A sentire ciò il Falco inorridì, e gli rispose: "D. Agostino comandami a altro, mentre sono contento di vivere meschinamente col sudore della mia fronte non brigarmi in affari del governo, tanto più che tra gli altri, ho veduto, voi foste carcerato, e tradotto in Napoli." Al che il ripetuto Pirtoli replicò: Sciocco, non conosci il tuo bene, é vero che fui arrestato e portato a Napoli, ma allora gli affari del governo erano ben diversi dalla posizione attuale ed infine ti assicuro che se parlerai a chicchesia quanto ti ho confidato abbi per certo che sarai morto quando meno ti credi". Allora fu che il Falco promise al Pirtoli di nulla manifestare e se ne andò; un altro giorno del mese di dicembre dell'anno 1827 a due giorni dell'incontro precedente con D. Agostino, il Falco (mentre andava ad ascoltare la messa) incontrò suo zio sacerdote D. Domenico Pirtoli, questi chiamatolo in disparte gli disse: "Hai parlato con mio nipote Agostino? " al che, il Falco rispose di si, ed allora D. Domenico lo domandò dicendogli: "Allora sei pronto, hai deciso di fare quanto ti ha insinuato, ed in questo caso vieni a trovarmi in casa questa sera, onde portarti al luogo, dove andremo a cavallo alla mia giumenta per iscriverti, il che a seguito otterrai quanto desideri da tuo padre e delle armi". Allora fu che il Falco gli rispose: "Signore D. Domenico vi ringrazio, voi badate agli affari vostri ed io baderò ai miei, essendo piuttosto contento a languire di fame, che essere scomunicato, e traditore di Sua Maestà Dio guardi" ed allora il ridetto D. Domenico replicò: "Sciagurato la pagherai a butto si sangue". Tali proposizioni orrorose fecero tanta impressione al Falco che non solo si ritirava in sua casa prima delle 24 ore, ma si fece scrupolo ancor di più di ascoltare la sua messa, avendolo sempre guardato come un mostro d'iniquità. Interrogato finalmente il richiamato testimonio Raffaele De Marco di Minervino, depose che possedendo un fondo oliveto in tenimento di Giuggianello che dista da quell'abitato circa un miglio, denominato la Madonna Serra, e che nel recarsi in quel fondo circa quattro mesi fa, non ricordandosi con precisione il giorno, passando nel ripetuto fondo il Sig. D. Agostino Pirtoli di Giuggianello si avvicinò al De Marco e gli disse che in Minervino si sono riaperte le sedute segrete, come pure so che tu giammai hai voluto farne parte, ma se adesso vuoi mio l'impegno di farti ammettere, assicurandoti che fra breve avremo nuovamente e stabilmente la Costituzione, al che il De Marco bruscamente gli rispose che aveva sempre aborrito le scomunicate ed infami Società Segrete, sperando l'aiuto di Dio di detestarle sino alla morte, così il Pirtoli disgustato proseguì il io cammino dirigendosi verso i suoi fondi campestri, e da quella epoca non ardì avvicinarsi al ripetuto Raffaele De Marco. Finalmente tanto il Sindaco D. Francesco Micolani di Giuggianello, quanto i testimoni di pubblica voce e fama Sacerdote D. Giuseppe Russetti, e il Dottore Fisico D. Francesco Marsella, hanno dichiarato che la condotta politica, morale e osa dei loro compaesani D. Agostino, D. Pasquale e i Sacerdoti D. Domenie D. Giosuè Pirtoli é sempre stata, ed é pessima sotto tutti gli aspetti, come con precisione rilevasi dalle loro rispettive deposizioni.

Lecce, 9 Giugno 1828

L'Ispettore FF da ISP. COMM.

R. DAMIANI

Il Cancelliere

G. BRUNETTI

 

 


L'intendente della Provincia, venuto in possesso di tutto "l'incartamento", per accertarsi maggiormente sulla condotta politica e morale dei Pirtoli, chiede, dall'8 giungo al 31 luglio, continue informazioni a vari Giudici Regi. Furono sentiti servitori, fattori della famiglia Pirtoli, il sarto della famiglia, Raffaele Ruggeri, ed altri. In data 21 Giugno 1828 il Giudice Regio di Maglie comunica di aver accertato che il Pirtoli girava per vari Comuni del Capo, quali Poggiardo, Cerfignano, Otranto e San Cassiano conferendo con persone equivoche". Comunicava inoltre che D. Agostino era in continuo contatto con persone sorvegliate quali: Matteo Negro, Nicola Negro e Pasquale Gennaccari "facendo con essi dei discorsi in disparte di chicchessia ed in vari punti dell'abitato" . Nell'agosto dello stesso anno il Giudice Regio di Galatina comunicò di aver accertato che Agostino Pirtoli si era visto ad Alessano in compagnia di vari personaggi poco raccomandabili, che passeggiavano verso la Vigna del principe di Cassano, Don Giuseppe Maria d'Aragona, dove tennero discorso. L'Intendente, saputo ciò, ordina l'immediato arresto dei due settari di Alessano, Antonio Diespisciotto e Silvestro Monastero, e dello stesso Agostino Pirtoli. L'arresto di quest'ultimo avvenne in Alessano il 5/9/1828. Subito fu trasferito prima nelle carceri Centrali di Lecce e successivamente in quelle di Napoli. Il 17 settembre Marina Piscopiello produsse un dettagliato ricorso, con il quale evidenziava al Ministero di Polizia di Napoli che suo marito, Agostino Pirtoli, era stato incarcerato nuovamente senza alcun motivo in s~guito a calunnie prodotte da nemici acerrimi di lui e dell'intera famiglia. In conseguenza del ricorso di Marina Piscopiello, il Ministro chiede all'Intendente di Terra d'Otranto il fascicolo del Pirtoli al fine di iniziare l'esame degli atti e, una volta esaminati, aprire il dibattimento a carico dell'imput4to. Trascorse quasi un anno e Agostino Pirtoli continuava a languire nelle carceri "segrete" di Napoli in attesa del processo. Questo si svolse il 1 Settembre 1829. La Commissione Suprema per Reati di Stato riconobbe non colpevole il Pirtoli di "voci allarmanti dirette a spargere il malcontento contro il Governo" e decise di mettere il libertà provvisoria l'imputato. Agostino Pirtoli fu scarcerato e, munito di un passaporto rilasciato dalla Prefettuta di Napoli, ritornò in Giuggianello, sottomesso, però, a "severa vigilanza di Polizia". Comunemente si pensa che qui da noi nel 1800 si vivesse in armonia, tagliati fuori, come disinteressati, dai fermenti di vitalità politica. Questo é parvenza; anche qui da noi, come abbiamo visto, in seguito al ritorno dei Borboni, dopo il Congresso di Vienna, si determinò scontentezza e insofferenza verso la monarchia borbonica. Non vi furono però organizzazioni rivoluzionarie capaci di coinvolgere la gente, anzi le ribellioni politiche rimasero, purtroppo, ristrette a pochi, che ardivano sfidare il potere costituito. I fatti succedutisi nel 1850 hanno inizio quando un giovane studente in medicina, Pasquale Ottaviano, nel pomeriggio, dell'11 novembre 1850, giorno in cui si festeggiava la Madonna Assunta, si trovò nel Coro della Chiesa Madre per ascoltare il panegirico per quella ricorrenza religiosa e venne avvicinato dal sacerdote Don Saverio Convenga. Si appartano ed a Don Saverio Convenga, Ottaviano chiede cosa n'era "della Costituzione dataci dal nostro Re Ferdinando" Il Convenga rispose che il Re non si comportava proprio bene e che proprio per questo contro di lui vi era una congiura. Dopo lo scambio di notizie, il Convenga invita l'Ottaviano ad aderire a tale congiura dicendogli che, una volta che avesse aderito, avrebbe conosciuto attraverso segni convenzionali, gli altri facenti parte della congiura dei paesi limitrofi di Muro e di Sanarica. Prima di tutto, però, doveva prestare giuramento, in casa del Convenga davanti ad un Crocefisso. L'Ottaviano si dimostrò interessato. Rimase convenuto che si sarebbe fatto vivo in casa del Convenga per prestare il giuramento. Dell'accaduto l'Ottaviano parlò con i genitori, con il suo maestro ( D. Giuseppe Ferramosca ) e con un suo compare di Sanarica, Francesco Saies. (Segretario Comunale di Sanarica) Dai primi ebbe il consiglio di stare alla larga dai nemici del Re, mentre il Sales gli suggerì di fingere di aderire a tale congiura e poi, una volta conosciuti i suoi componenti, di denunciarli alle autorità governative. Così avvenne: la situazione fu portata a conoscenza del Regio Giudice del Circondario di Maglie; subito si mise in moto la macchina della Polizia. Si ordinò di perquisire l'abitazione del Convenga. Si seppe inoltre che in casa di Pasquale Gennaccari si riunivano frequentemente Francesco Negro, Don Vincenzo Pascarito di Sanarica e Don Saverio Convenga. In quelle riunioni il Gennaccari discuteva dello scisma dalla religione cattolica di Lutero e Calvino e, inoltre, affermava che "l'uomo é nato libero e non soggetto alla tirannide; che per uscire dalla tirannide in cui si viveva bisognava essere uniti". Messo a conoscenza di tutto ciò, il Ministero dell'Interno in data 13 febbraio emette l'ordine di procedere all'arresto sia di Pasquale Gennaccari e sia di Don Saverio Convenga. Il Gennaccari fu arrestato il 27 febbraio del 1850, mentre il Convenga non riuscirono ad arrestarlo in quanto latitante e irreperibile. Il Gennaccari, stando in carcere, protesta che le accuse a lui indirizzate sono false, e chiede che si faccia il regolare processo per avere la possibilità di difendersi. Dopo non poche peripezie burocratiche, finalmente, la Procura Generale del Re con foglio del 10 Settembre 1851 comunica all'Intendente di Terra d'Otranto di aver disposto la scarcerazione dell'imputato Pasquale Gennaccari "prescrivendo in pari tempo la conservazione degli atti in archivio fino all'acquisto di nuovi lumi, mettendosi in rubrica sui registri penali il nome di lui con l'imputazione di cospirazione". Il sacerdote Saverio Convegna intanto, benché ricercato assiduamente, riusciva a vivere nascosto, lontano da tutti e anche dalla Chiesa. Venuto a conoscenza della situazione del Convenga, l'Arcivescovo di Otranto, Vincenzo Andrea Grande con lettera del 19 Maggio 1851 nell'informare l'intendente della vita che conduceva l'imputato, ("... che il timore di rimanere in carcere> come recentemente si é usato con altri, lo abbia risparmiato dal presentarsi. Intanto mi si riferisce ora, che si trovi con vesti di villano in vie deserte, ora che sorpreso nel luogo di sua precaria dimora sia dal letto fuggito a scendere in un pozzo, ed ivi dimorato lunghe ore...") chiede allo stesso Intendente di trovare una soluzione al fine di riabilitare il Sacerdote latitante: "... Per non perdersi interamente e nel fisico, e nel morale un uomo, e questi un Sacerdote, che nella Chiesa non é stato inutile, ardisco proporLe, pregarLa, che il rimedio sarebbe abilitarlo a rimanere egli chiuso anche a di lei arbitrio in un Convento qualunque.... e non bastasse quella di andare ramingo per più di un anno (pena peggiore del carcere) potrebbe insieme offrire altra punizione " ed avere mezzo di riconciliazione col SUPREMO AUTORE DI OGNI GRAZIA.". L'intendente, ottenuto il parere favorevole del Ministero, autorizzò il Convenga ad essere chiuso prima presso la Reale Monastica Provinciale dei Padri Alcantarini di San Pasquale e, successivamente, presso la Casa delle Missioni, dove vi rimase per almeno cinque mesi. Riuscì ad uscire dalla Casa religiosa grazie, ancora una volta, all'Arcivescovo di Otranto. C’è é una sua lettera del 21 Dicembre 1851, con cui prega l'Intendente di mantenere le promesse fattegli in favore del Convenga. Attraverso tale interessamento dell'Arcivescovo, il 5 Gennaio 1852 il Sacerdote Don Saverio Convenga é autorizzato a ripartire per Giuggianello con l'obbligo di "non fare ridire di lui alla parte di politica; di vivere quale buon ecclesiastico sotto pena dell'immediato arresto di lui per misure preventive nel caso qualunque sua minima emergenza". Successivamente Giuggianello seguì la sorte degli altri centri salentini e quindi dopo la caduta dei Borboni diventò un Comune del regno d'Italia (1860). Il periodo 1900-1913 fu caratterizzato dalla figura di Giolitti che fu più volte presidente del consiglio che si dimise nel marzo del 1914. Salandra, succeduto a Giolitti, fece entrare l'Italia nel primo conflitto mondiale (24 maggio 1914). La prima guerra mondiale ebbe nefaste conseguenze sulla situazione economica dell'Italia come delle altre nazioni coinvolte nel conflitto. Ma furono principalmente le classi meno abbienti a pagare pesantemente ciò che lo Stato aveva loro imposto. Ai contadini al fronte era stato promesso che a guerra finita sarebbero state assegnate le terre incolte per lavorarle e trarne sostentamento; "La terra ai contadini " era la parola d’ordine. Ma rimase solo una parola; infatti la promessa non fu mantenuta. Al contrario, furono emanati decreti che distendevano strenuamente gli interessi dei proprietari terrieri e dei latifondisti. Dopo il danno la beffa : prima mandati a morire sul fronte, combattendo un popolo straniero per una ragione che, probabilmente, essi non comprendevano appieno, obbligati dalla "ragione di stato", illusi dalle terre promesse, poi abbandonati alla miseria, alla distruzione e alla fame che hanno sempre seguito tutte le guerre. Vi fu quindi una forte presa di coscienza da parte dei lavoratori, i quali capirono che necessitava impegnarsi in prima persona per tentare di combattere questo stato di cose. D' altra parte, in quegli anni, un forte movimento rivendicativo attraversava l’ Europa, facendo temere seriamente alla borghesia la perdita di tutti i suoi privilegi . Scioperi e rivolte in Francia, Germania, Austria, Ungheria, Finlandia, la rivoluzione russa (poi miseramente fallita) avevano fatto sperare a tutto il genere umano l' alba di una nuova era. Fin dall’inizio del 1920 si ebbe, in Italia, una ripresa delle lotte dei lavoratori sia nelle campagne che nelle fabbriche; il governo Nitti si dimostrò subito poco tollerante nei confronti delle lotte che, dappertutto, interessavano il paese. Nella aprile 1920 il decreto Falcioni stabiliva che le terre incolte, fossero assegnate a chi disponesse di risorse finanziarie (quindi i contadini erano esclusi) inoltre sanciva che chiunque occupasse arbitrariamente terreni di altrui proprietà fosse perseguito penalmente. Intanto lotte, manifestazioni e scioperi interessavano molti comuni del Salento. L' undici gennaio, a Monteroni, in seguito all'aumento del prezzo del pane, fu proclamata una manifestazione di protesta .Come spesso succede in tali occasioni i manifestanti lanciarono alcuni sassi contro la locale stazione dei Carabinieri (i quali avevano trattenuto in caserma i promotori della manifestazione) che cominciarono a far fuoco contro gli scioperanti, uccidendo Francesco Condà di quarantaquattro anni e ferendo altri contadini. Ad Otranto, il 29 marzo, la locale cooperativa aveva indetto una manifestazione per chiedere la gestione del servizio di distribuzione e vendita dei prodotti alimentari onde evitare ogni forma di favoritismi nella gestione del servizio. Durante la manifestazione fu ferito Gabriele Cosentini. Intanto a Galatina, a Tuglie e a Maglie dal 31 marzo al 2 aprile fu indetto lo sciopero generale di tutte le categorie. A Carmiano, a Bagnolo del Salento, a Leverano, a Galatone, e a Copertino, i contadini occuparono le terre. A Botrugno le operaie tabacchine affiancarono i contadini nello sciopero che stavano conducendo. In seguito al mancato rispetto del concordato fra contadini e proprietari, a Nardò, il 9 aprile scoppiarono gravi incidenti che portarono all' occupazione completa del paese da parte dei lavoratori che proclamarono la "Repubblica Neretina".Pasquale Gennaccari In seguito agli scontri morirono due lavoratori, Pasquale Bonuso e Cosimo Perrone; molti altri furono feriti. Negli scontri rimase ucciso anche l' agente di polizia Achille Petrocelli; più di centoventi lavoratori furono arrestati e processati. Continuavano intanto le agitazioni negli altri paesi della provincia: l' otto e nove aprile i contadini manifestarono a Spongano. ll 21 aprile, a Giuggianello, scioperarono i contadini riuscendo ad ottenere la concessione di alcune giornate lavorative. ll 26 aprile, a Cutrofiano, ci furono altri incidenti, a Supersano, il ventotto, i lavoratori scesi in piazza riuscirono a ottenere giornate lavorative dai proprietari terrieri. Nel mese di maggio ci furono agitazioni ed occupazioni di terre a Ruffano, Muro, Poggiardo, Scorrano, Tuglie, Maglie e a Nardò, dove, nonostante i gravi incidenti del nove di aprile, la locale lega contadina era riuscita a portare avanti le azioni di lotta senza arrendersi. Dei gravi fatti accaduti nel Salento si discusse alla Camera dei Deputati per un discorso dell' onorevole Vallone: ".....nella provincia di Lecce non e isolato il fatto di Nardò. Ma a Monteroni ad Otranto a Giuggianello, in altri luoghi una serie dolorosa di episodi con eccidi si sono verificati in breve volgere di tempo". Nel 1919 Giuggianello si prepara alla svolta più nefasta della storia italiana degli ultimi tempi: l' avvento del fascismo. In quell’anno a Milano si costituirono i "Fasci di combattimento" composti da piccoli borghesi e da ex combattenti che i proprietari reclutavano nelle proprie squadre. E' di obbligo ricordare che senza "monarchia, esercito, Vaticano, alta finanza ecc..., il fascismo non sarebbe mai giunto al potere, affidandosi esclusivamente alla strategia dei suoi quadrunviri e alla iniziativa delle sue camicie nere". Anche a Giuggianello non mancarono le violenze fasciste.

Vincenzo Ruggeri - Giuggianello e Risorgimento - Maggio 1989