MONCENISIO e BARBERA

< Ehi! Ferma un attimo, non abbiamo mica ammazzato nessuno. >

< Ci facciamo un goccetto? >

Su questo argomento non avevamo mai litigato.

< Io mi mangerei pure un po' di tôma. >

< Senti, il Dolcetto é un po' giovane e potrebbe scappare con tutti i sobbalzi di questo sentiero, proviamo la Barbera di due anni che é già più ferma. >

< Ma allora ci mangiamo il nostrale, che é un po' più consistente. >

Visto che intesa? Toni ed io eravamo entrambi nati in un paesino della valle Gesso e ci aveva tirato le orecchie la stessa maestra, nella medesima aula dove lei insegnava a cinque classi contemporaneamente.

Non eravamo coetanei, lui già frequentava la terza quando io iniziai la prima e questo incontro fortunato ben difficilmente sarebbe avvenuto in città, dove nelle classi addirittura si separavano le femminucce dai maschietti.

Comunque in città, sebbene un piccolo centro della pianura, vi ritorno la mia famiglia quando io compii nove anni. I miei erano di pianura ed avevano vissuto in valle soltanto una decina d'anni gestendo un negozietto di alimentari finch'é rimasero praticamente senza clienti: se ne andavano tutti via.

Quindi non potevo definirmi un vero montanaro a denominazione d'origine controllata, ovvero della langue "d'Oc"!

< Tra un po' ci da giù. Abbiamo fatto bene a fermarci adesso; passami la bottiglia.>

Il cielo era nero come l'animaccia di Belzebù di cui i montanari continuano a credere sia padrone della notte in società con folletti e Masche. Toni non faceva eccezione, sebbene diventato cittadino del mondo nel vero senso della parola, di notte li vedeva dappertutto.

Negli anni sessanta-settanta, molta della gente dell'alta valle era scesa in pianura per trovare lavoro. A Torino il da fare non mancava e si guadagnava pure bene, ma evidentemente mancava qualcosa ..

Fu proprio Toni, giuntovi prima di me, ad insinuarmi: "una città vale l'altra".

Esatto! Se proprio dovevo starmene lontano dalle nostre montagne tanto valeva che girassi il mondo almeno; non sarei stato più straniero a Stoccolma o a Parigi di quanto non mi sentissi alieno nel capoluogo piemontese.

Il mio amico faceva da tempo il trasfertista, ovvero lavorava nei vari cantieri che una grande impresa italiana conduceva per il mondo; con la sua entusiastica presentazione non esitarono ad assumere anche me.

Adesso eravamo in ferie, che d'abitudine passavamo tra i nostri monti per equilibrare la nostalgia ed avevamo combinato una escursione tra colleghi con l'intento di valicare il confine con la Francia ed andare a far baldoria nei pressi del lago del Moncenisio.

Malauguratamente i nostri compagni, gente del luogo, erano stati trattenuti da qualche parte per va saper qual motivo aziendale.

< Hai notato che siamo sempre noi montagnini a rimanere fregati quando c'é qualcosa d'urgente da finire? Quei torinesi per modo di dire, una scusa la trovano sempre per involarsi! >

I "per modo di dire", per non dire peggio, erano in realtà giunti ancor prima di noi, addirittura i primi alla fine degli anni 50, ma ancora li sentivamo come concorrenti non sempre leali.

A dividerci era soprattutto la lingua, una lingua straniera: l'italiano. Noi lo avevamo appreso da rigorose maestre, loro da sgrammaticati genitori.

Ogni anno alternavamo una diversa zona delle Alpi occidentali. L'anno precedente era toccato alla nostra valle occitana, mentre questa volta eravamo nei siti dei nostri colleghi, originari di Ferrera Cenisio.

Il giornata non era delle migliori, grossi nuvoloni grigi popolavano il cielo, ma ero fiducioso nelle previsioni meteo del colonnello di turno e mi aspettavo un indomani raggiante. Cercai di convincere il mio compagno a partire nonostante l'ora tarda e il tempo minaccioso, l'alternativa era di annoiarmi guardando la partita Francia Italia per i mondiali di calcio.

< Che vuoi che ne sappiano quelli! Mediamente su un gran territorio ci azzeccano, ma localmente non mi fido, non arrischierebbero neppure loro. >

Certo che se ci fossero stati i nostri compari questi avrebbero potuto valutare meglio di noi, ma non era così e sebbene mi fosse venuta l'idea di chiedere una dritta a qualche anziano, non lo feci per timore che confermasse le pessimistiche aspettative di Toni che tornò ad incalzarmi.

< E poi non conosciamo la zona. >

Ribadii che il sentiero era ben segnalato e anche se del tutto sconosciuto potevamo fidarci della relazione fotocopiata che avremmo protetto dalla pioggia infilandola in una busta di nylon.

Infine lo convinsi, però ora non si vedeva più la sagoma del Rocciamelone ed una insulsa pioggerella interruppe la nostra merenda.

< Dai, ne é rimasto soltanto un bicchiere per uno, finiamola che così sarà più leggera.>

Era questa una teoria mediata dal volo in mongolfiera: per salire occorreva scaricare zavorra travasando il liquido nella pancia e scaricandolo poi pisciando camin facendo.

Su un particolare si era discusso: Toni sosteneva di portare il vinello, come affettuosamente lo chiamava, dentro le bottiglie di plastica dell'acqua minerale, mentre io sostenevo la raffinatezza del vetro, seppure notevolmente più pesante.

< Non solo pesa un accidente, ma se cadi potrebbero rompersi, ma ti immagini? >

Questo da solo tagliava la testa al toro.

Avevamo mai litigato? Il saggio re Salomone avrebbe avuto di che imparare da noi: portavamo il vino nella volgare plastica, ma arrivati ad un rifugio, al momento di mescere tiravamo fuori dallo zaino una immacolata caraffa di cristallo avvolta in una protezione di gomma piuma. Durante il percorso si usava la bottiglia, ma sempre col bicchiere.

< Forse la tua raffinatezza nasconde nobili origini. >

Sapevo dove voleva parare, era una allusione al fatto che molti sono i figli, o almeno i discendenti presunti di Vittorio Emanuele II in valle Gesso, luogo prediletto di caccia del baffuto monarca, leggendario padre sia dell'Italia che di moltissimi italiani.

< Forse ti riferisci al mio pallore come ad una prova d'origine aristocratica, ma cosa possiamo dedurre dalla tua carnagione olivastra? Prima dei Savoia sembra che nelle nostre valli fossero arrivati i saraceni! >

Cessammo le apparenti ostilità e riprendemmo la marcia sotto la minaccia di un vero diluvio.

< Stavo pensando che se i nostri padri ci vedessero qui ci darebbero dei "badola"; partire alle sei del pomeriggio quando loro se ne andavano a dormire! >

< Si, e alla pioggia aggiungici il buio pesto, già che ci sei e tira fuori la torcia elettrica. >

< Torniamo indietro? >

< Che, sei matto? Siamo oltre metà strada ormai, e dimmi, non avrai paura che spunti qualche masca?>

< Scherza, scherza, avrei un sacco di brutte storie da raccontare. >

Non ne dubitavo ed anche se in pianura sghignazzavo sopra queste cose, su in alto preferivo non pensarci.

Accendemmo una torcia e calcolammo che la carica delle batterie ci sarebbe appena bastata per arrivare a destinazione, mentre sarebbe stata insufficiente per ritornare sui nostri passi: un motivo in più per andare avanti.

Da buon montanaro toni decise di fare un uso parsimonioso della pila; comunque sembra che la fortuna aiuti gli audaci e proprio quando stavamo avanzando incerti con la bussola, in un pianoro privo di tracce, iniziarono a lampeggiare sporadici fulmini illuminando a giorno la radura.

Adesso marciavamo col passo cadenzato dal tuono.

< Ehi! guarda là una tettoia! >

< Beh, mi sembra normale che in pianoro come questo ci siano dei bergé.>

< Non hai letto tra le righe, io avrei nuovamente fame. >

< Allora mettiamo anche i puntini sulle "i", di pure che vorresti farti un altro goccetto! >

Questa volta tirammo fuori del lardo di un maiale comprato al paesello e macellato da noi.

< Continuiamo a Barbera? >

E che se no? visto che eravamo comodi e riparati sotto alla tettoia scaraffammo nel nostro gioiellino di cristallo. Li vicino c'era un ruscelletto: lavare caraffa e bicchieri era l'unica nostra concessione all'acqua.

Il pane era a "nostro modo", ovvero cotto nel forno a legna e raffermo di almeno quattro giorni; ne avevamo una buona scorta.

< É questo che mi manca di più per il mondo, all'estero sembra crepino a servirti del pane, devi sempre insistere e dove andiamo adesso fanno quelle pagnotte lunghe e inconsistenti!>

< Andiamo, non diventerai mai un raffinato, a me piace un mondo la "baguette"; comunque sempre meglio in Francia che altrove dove invece del pane ti portano del riso bollito! >

É credenza comune che il vino in montagna acquisti sapore, forse é vero se ha il tempo di riposare, ma questa sorte non sembrava riservata alla nostra sollecitata riserva.

Questa seconda merenda contribuì a alleggerirci gli zaini di altre due bottiglie, ma purtroppo anche della caraffa.

< Ma vaca boia, hai proprio le mani di pasta frolla! >

Toni era troppo mortificato e non insistetti; ridussi i cocci di vetro a pezzettini piccoli e inoffensivi e li avviluppai con cura prima di riporre nello zaino il cadavere della brocca.

Mentre pensavo che Toni non reggeva più tanto all'alcool scivolai su una merda di vacca decorandomi il fondo schiena.

< Ehi, mi pari già un po' sbronzo! >

< Senti chi parla, dai andiamo che sta per piovere. >

Questa fortunata caduta ristabilì un certo equilibrio; beh tanto fortunata forse no, il modo di dire si riferisce al semplice calpestamento.

Le minacce del cielo stavano per attuarsi e dopo soltanto un centinaio di metri quella che già era una pioggia consistente e fastidiosa si trasformò in un biblico diluvio.

< Torniamo sotto la tettoia! >

< Neanche per idea, non ci passo la notte li senza sacco a pelo e con uno che russa più forte dei tuoni! Andiamo avanti. >

Avevamo con noi tutta la roba di ricambio in un doppio sacco di plastica, ci saremo cambiati all'arrivo, tra un paio d'ore, Barbera permettendo.

I nostri passi, sebbene sostenuti da una dieta a base di carni genuine e di salubri formaggi d'alpeggio, erano disturbati nella precisione da due elemeti antitetici: l'acqua scrosciante ed un "vinello" un po' troppo su di gradi.

Procedendo i fulmini si fecero più intensi e la valletta attorno a noi si illuminò come una sala operatoria.

< Che fortuna Toni, possiamo anche spegnere la pila! >

La bussola sembrava impazzita e la misi via, tanto in lontananza si intravedeva la gola dove avremmo dovuto infilarci per compiere l'ultimo tratto.

Nonostante le giacche a vento di Goretex eravamo totalmente bagnati dal sudore provocato dal camminare e dal fegato sovraccaricato.

Improvvisamente non udimmo più i tuoni e non vedemmo più cadere i fulmini: eppure continuavamo a viaggiare costantemente illuminati.

Fu da quel momento che sentii un ronzio dietro le spalle simile a quello che si avverte accanto ai trasformatori elettrici. Vacca boia!, era la punta della piccozza che raccoglieva elettricità!

< Ehi socio, mi sembri l'albero di natale! >

Anche Toni era tutto uno sfrigolio; ci fermammo e infilammo totalmente le picche nello zaino, ma adesso dovemmo anche toglierci l'orologio, poiché sentivamo un gran prurito al polso.

Il fenomeno si intensificava man mano e le palle rosse che ci circondano cominciarono ad abbagliarci con la loro intensità crescente.

Dovevamo comunque continuare nonostante che adesso ci si rizzassero addirittura i capelli.

Quando arrivammo a pochi metri dall'imbocco del vallone, dove pensavo che non avremmo avuto più problemi a seguire l'itinerario, sbirciai la relazione: la forma della gola che ci si parava davanti era totalmente diversa dalla foto.

Capii di aver sbagliato percorso da quando avevo dovuto rinunciare alla bussola. Avrei dovuto tenermi più a sinistra: mi assalì lo sconforto al pensiero di dover rischiare di inciampare per almeno 800 metri fuori sentiero per ritrovare l'imbocco esatto.

Adesso avremmo dovuto raggiungere questa spaccatura per poi costeggiare a sinistra tenendoci costantemente sotto la parete per non sbagliare nuovamente.

< Bravo il mio navigatore: tutto bussola e previsioni del tempo! Che facciamo adesso?>

Nonostante la mia faccia di bronzo Toni si era accorto del mio errore, ma non andò oltre la prima battutaccia, anzi tento di rincuorarmi.

< Facciamoci un goccetto, che ne abbiamo bisogno. >

La situazione permetteva uno strappo alla regola: bevemmo dal collo della bottiglia e questo non impedì che la prosciugassimo in pochi minuti.

Mentre ci rincuoravamo i fulmini globulari cominciarono a rarefarsi e ad allontanarsi da noi ed anche il loro colore e la loro dimensione iniziò a cambiare: stavano diventando biancastri e nel buio ritornato fitto sembravano nascere dall'imbocco verso cui ci stavamo dirigendo e lanciarsi verso di noi rigonfiandosi. Nonostante ci assalisse la strizza continuammo ad andare nella loro direzione.

Quando arrivammo all'entrata della gola i globi biancastri ci accerchiarono completamente: sembravano .. erano! erano enormi facce deformi e portavano scritto un nome in fronte.

< Vacca boia! Gli spiriti! >

Cercai di mantenere la calma e ripensando alla relazione compresi: erano le lapidi dei pellegrini caduti giù da questo percorso dopo aver perso la strada del colle che ci stavano dando il benvenuto all'inferno!

Erano loro che danzavano venendoci alternativamente incontro ingrandendosi per subito ritornare indietro rimpicciolendosi in continui zoom!

La strizza divenne pesante come i nostri passi e a Toni venne da parlare per farsi coraggio.

Il mio amico si rivolse ad un morto che mai aveva conosciuto ed iniziò a raccontargli di noi, del nostro lavoro e dei nostri viaggi. Alla fine del lungo monologo si scusò per averli disturbati ed offrì loro da bere.

Non accettarono, forse erano tutti astemi, ma pur disdegnando l'offerta si fermarono e tornarono ad appiccicarsi alla parete, così che il cimitero virtuale si ricompose.

Ritornato il silenzio, di tomba é il caso di dire, mi parve di udire i miei stessi pensieri e mi resi conto di non avere più sufficiente controllo della mia mente, che il fantasma era diluito dentro di me, di noi e che il pericolo era altissimo: dovevamo toglierci di lì e continuare al più presto.

< Perdonami Toni, non scherzerò più sulle tue masche. >

< Lascia andare che mi sono sentito già coi piedi di là, un goccetto da ancora vivo almeno! tu te lo faresti? >

< Sei matto, butta via quella roba e filiamocela. >

Toni interruppe l'ultimo breve sorso e inauditamente versò in terra il vino rimasto per seguirmi come un automa.

In montagna, nel suo ambiente avrebbe dovuto guidare lui la marcia, ma lasciava sempre quest'incombenza a me. Adesso che si trattava di andare d'istinto lo avrei volentieri fatto passare in testa, ma era del tutto andato.

Sapevo che avrei dovuto tenerlo d'occhio, ma già era molto se mi mantenevo ancora in piedi.

Considerando che ragionare in quelle condizioni era più rischioso che affidarmi al caso, mi incamminai nella direzione opposta alla gola senza guardarmi attorno per non rischiare di vedere qualche spirito seguirci.

Ignorando la pioggia, passo dopo passo e inciampando sovente, dopo un oretta la nostra via crucis volse al termine: il cielo si era schiarito ed in lontananza si scorgevano le luci di un villaggio.

< Guarda Toni: La valle della Maurienne! Dieci minuti e ci siamo, adesso il goccio é possibile, anzi é necessario.>

< Ancor più che necessario, direi doveroso nei tuoi riguardi, sei stato un ottima guida! Brindo al passatore del Moncenisio! Ma il lago dov'é, dovrebbe vedersi da qui!>

< Non ti preoccupare, é soltanto una gran massa d'acqua, lo vedremo domani e ci laveremo i piedi. >

Purtroppo la nostra riserva era agli sgoccioli, rimanevano soltanto un paio di bottiglie per tutta la giornata seguente. Il calcolo era molto semplice: non ci sarebbe comunque bastato e pertanto ne stappammo una.

< Ahi Bruno, c'é andata bene, se ci avessero trovati secchi e stecchiti senza più vino le male lingue avrebbero insinuato che siamo morti di sete! >

Quest'ultima tappa si prolungò parecchio e i dieci minuti si rivelarono una buona mezz'ora, ma infine entrammo in un bar ancora aperto e pieno di gente allegra.

< Bonne soire à tout le monde! >

Gli avventori risposero educatamente al saluto nella stessa lingua.

< Bonne soire.>

< Sono piú gentili che da noi, eh! >

< Ma no, é la montagna, meno gente che al mare e tra pochi ci si saluta volentieri. >

Ci dirigemmo al banco sotto lo sguardo curioso degli altri clienti. Evidentemente all'una dopo mezzanotte il nostro abbigliamento alpinistico da gran tour poteva sembrare eccentrico, sebbene ci trovassimo in montagna. O forse quelli stavano mentalmente scommettendo quale dei due era il più brillo valutando lo strascicare dei piedi e della lingua.

Visto che eravamo oltralpe Toni propose di onorare il paese ospite ordinando un paio di Pastis.

< Écoutez monsieur, nous n'avons pas encore changé notre argent, est-ce que nous pouvons payer en lires?

< E perché no! noi qui accettiamo qualunque moneta. >

< Vedi che i francesi sono brava gente! Accettano pure le nostre lirette! >

Soltanto allora mi resi conto che il barman ci stava rispondendo in italiano.

< Vous parlez trés bien notre langue, êtes-vous de origine italienne? >

< Di Torino per l'esattezza. >

< Ah! nous sommes de Couneo. >

A questa affermazione tutti si misero a ghignare e un cliente entrò nella conversazione.

< De Cuni? Dunque voi siete quelli che issarono una capra sul faro dove era cresciuta l'erba portata dal vento! >

Un altro avventore rincarò la dose.

< Voi siete coloro che nascondevano i "gavasè" nelle cantine quando il re andava in visita alla città! >

Sbronzi si, ma stronzi no: lentamente, quanto l'alcool ci permetteva, ci rendemmo conto che questi signori ci stavano prendendo per i fondelli.

Toni si incavolò e ne abbranco uno per il colletto.

< Écoute-moi monsieur Didon, nous sommes descendu à l'enfer pour arrivé ici et ça ne pas pour qu’on se moque de nous, vous et votre "Grandeur"! >

Si fece un silenzio di tomba, come quando eravamo sul colle, ma le facce dei presenti sembravano molto più aggressive di quelle degli spiriti ... e le scritte in fronte .. vacca boia! Le scritte erano tutte in italiano! un manifesto reclamizzava la Cesana Sestriere, .. un altro la pasta Barilla, un altro ancora l'amaro Lucano!

Tirai il mio socio per la giubba.

< Toni .. Toni, forse abbiamo sbagliato sentiero, forse siamo .. anzi, siamo ancora in Italia! >

Nonostante avessi parlato sottovoce il presunto "francese" che il mio focoso amico teneva per il bavero comprese la frase e nonostante la sua scomoda e pericolosa posizione scoppiò in una sonora risata.

< Ah! ah! Questi sono quei due fresconi delle pile che vedevamo un ora fa sul colle! Pensate un po': volevano andare in Francia! >

< Meno male che avete sbagliato, se no di là vi avrebbero arrestati per contrabbando di alcool! >

Toni ci restò di cioccolato e mollò il tipo per andare a sedersi mortificato in un angolo, gli avevano dato pure dell'ubriacone, sebbene con stile.

Mi sentii in dovere di intervenire e proposi un brindisi un po' sconclusionato.

< Sentite, Franza o Spagna basta che se magna, cioè no, Francia o Italia basta che siamo in montagna .. insomma mi avete capito, oste: da bere per tutti! >

Alzai il bicchiere del pastis e tutti mi imitarono, compresi alcuni veri turisti francesi.

< Je vous prie de m'excuser pour la "grandeur", vive la France et vive la baguette! >

< Il n'y a pas de quoi, en plus que nous avons deja gagné à foot ball! à votre santé!>

Era vero, ci avevano fatti fuori dal mondiale proprio quel pomeriggio.

< Au Mont Cenis! >

< Alle nostre Alpi! >

L'incidente "internazionale" si concluse felicemente grazie alla mia diplomazia casereccia e una grande bevuta suggellò un armonioso vicinato in quel luogo che più d'ogni altro simboleggia l'abolizione delle frontiere.

FINE

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