RACCOLTA "PER NON MORIRE" INDICEPREFAZIONE di Alessandro Di Napoli |
Il riconoscimento di una affollata presenza di
“socialità” è luogo comune della lettura critica più attenta
della poesia meridionale, in generale, e irpina, in particolare. Il
rilievo si fa più circostanziato e preciso quando si atteggia, per
dirla sinteticamente, non come complemento o supporto del discorso
poetico (cosa rara e difficile soluzione) secondo una sintassi
significativa tradizionale (e la più sconveniente), ma come presenze (o
consuetudini poetiche) concluse in sé, quasi il risultato di un
perentorio (e forse definitivo) rifiuto ad evocazioni comunque
suggestive e articolate. E’ questo, al di là
di ogni possibile trasparenza critica, il dato dominante nel discorso
poetico di Giuseppe Iuliano, ed è, almeno fino a questo momento, il
vistoso sostegno materiale sul quale poggia la acquisizione critica
della poetica della socialità e del lirismo. Non si tratta,
ovviamente, come qualche recensore ha lasciato intendere, di un semplice
dato contenutistico, ma di una scelta stilistica, non sempre volutamente
ordinata e concisa, ma sintomatica e chiara. Probabilmente, e questo
almeno per quanto ci riguarda, una descrizione diacronica di questa
costante fornirebbe, ai vecchi e ai nuovi lettori, la premessa più
sicura per una definizione della produzione poetica di Iuliano quando la
si voglia valutare non solo nella forza persuasiva dei suoi risultati,
ma nel significato imponente (a volte reiterativo per il “non mutare
delle cose”) e storicamente decisivo del linguaggio che essa
istituisce (soprattutto in rapporto all’intera produzione poetica
meridionale e irpina insieme). Un contributo, ammesso che ce ne fosse ancora bisogno, viene dall’analisi di quest’ultimo libro che ho il pregio di introdurre. Infatti, se nel suo primo volume di poesie Iuliano si presentava al lettore con brevi composizioni di carattere pragmatico e simbolico, ove proclamava l’ansito senza limite che lo sommoveva e contemporaneamente la solitudine quale destino delle «genti», in quest’ultimo scritto a seguito dell’evento sismico del 23 novembre 1980, Iuliano è venuto arricchendo questa sua prima intuizione, ma non l’ha mai soffocata, anche se talvolta ripetuta. In passato, però, almeno fino alla raccolta precedente, l’immagine consolatoria, che in un primo istante sembrava costituire l’essenza della sua poesia, fungeva da impedimento al normale sviluppo delle istanze liberatrici e di lotta. Con questo volume, invece, la poesia di Iuliano si avvicina alle cose e agli uomini sotto l’urgenza del dramma collettivo e l’angoscia della “- storia morta, - del grido - di chi, morto o superstite poco importa, non ha più - voce” -. In questo senso “Per non morire” può considerarsi una riconferma, un punto d’arrivo abbastanza tranquillo e definitivo della poesia di Iuliano, ma anche un suo sviluppo. Il nucleo essenziale del volume, nonostante le cesure e le fratture di certe composizioni, è costituito dall’attaccamento alla propria terra d’origine che riprende e dilata il motivo più dolente e più caro centrato questa volta dalle conseguenze, sociali e psicologiche insieme, del recente sisma che ha distrutto e devastato gran parte dei paesi della provincia di Avellino. Ma, al di là di ogni valutazione strettamente stilistica che ci sembra inopportuna, in questo volume vi è anche il felice tentativo di rinnovamento formale, un’insofferenza dei modi usuali che compare qua e là a spezzare in ritmi nuovi, e più serrati, la delicata architettura del verso. A L E S S A N D R O D I N A P O L I |