Home Il Sud non è forse... Malinconia di terra Oltre la speranza Semi diversi
Biografia Una misura di sale Digressioni di un aedo Celie giambi elzeviri Umangraffiti
Scrive... Antinomie e maschere Parole per voce sola Per non morire Le Copertine
Foto Voli e Nuvoli La civiltà contadina in Irpinia Poesie inedite

Hanno detto..

RACCOLTA "PER NON MORIRE"

 

INDICE

 PREFAZIONE  di Alessandro Di Napoli

DIES IRAE

LA TERRA TREMA

QUEI PRESEPI

IL SUD PIANGE

PER NON MORIRE

LA FORZA DEL DOLORE

UNA BRUTTA FAVOLA

INCANTESIMO

SOLITUDINE

MALI DEL SUD

BEATI I POVERI…

FEDE

RICOMINCIARE

MANI TESE

GENTE DEL SUD

SPERANZA

COME RISORGERE

L’ ULTIMA PREGHIERA  


P R E F A Z I O N E

Il riconoscimento di una affollata presenza di “socialità” è luogo comune della lettura critica più attenta della poesia meridionale, in generale, e irpina, in particolare. Il rilievo si fa più circostanziato e preciso quando si atteggia, per dirla sinteticamente, non come complemento o supporto del discorso poetico (cosa rara e difficile soluzione) secondo una sintassi significativa tradizionale (e la più sconveniente), ma come presenze (o consuetudini poetiche) concluse in sé, quasi il risultato di un perentorio (e forse definitivo) rifiuto ad evocazioni comunque suggestive e articolate.

E’ questo, al di là di ogni possibile trasparenza critica, il dato dominante nel discorso poetico di Giuseppe Iuliano, ed è, almeno fino a questo momento, il vistoso sostegno materiale sul quale poggia la acquisizione critica della poetica della socialità e del lirismo.

Non si tratta, ovviamente, come qualche recensore ha lasciato intendere, di un semplice dato contenutistico, ma di una scelta stilistica, non sempre volutamente ordinata e concisa, ma sintomatica e chiara. Probabilmente, e questo almeno per quanto ci riguarda, una descrizione diacronica di questa costante fornirebbe, ai vecchi e ai nuovi lettori, la premessa più sicura per una definizione della produzione poetica di Iuliano quando la si voglia valutare non solo nella forza persuasiva dei suoi risultati, ma nel significato imponente (a volte reiterativo per il “non mutare delle cose”) e storicamente decisivo del linguaggio che essa istituisce (soprattutto in rapporto all’intera produzione poetica meridionale e irpina insieme).

Un contributo, ammesso che ce ne fosse ancora bisogno, viene dall’analisi di quest’ultimo libro che ho il pregio di introdurre. Infatti, se nel suo primo volume di poesie Iuliano si presentava al lettore con brevi composizioni di carattere pragmatico e simbolico, ove proclamava l’ansito senza limite che lo sommoveva e contemporaneamente la solitudine quale destino delle «genti», in quest’ultimo scritto a seguito dell’evento sismico del 23 novembre 1980, Iuliano è venuto arricchendo questa sua prima intuizione, ma non l’ha mai soffocata, anche se talvolta ripetuta. In passato, però, almeno fino alla raccolta precedente, l’immagine consolatoria, che in un primo istante sembrava costituire l’essenza della sua poesia, fungeva da impedimento al normale sviluppo delle istanze liberatrici e di lotta. Con questo volume, invece, la poesia di Iuliano si avvicina alle cose e agli uomini sotto l’urgenza del dramma collettivo e l’angoscia della “- storia morta, - del grido - di chi, morto o superstite poco importa, non ha più - voce” -. In questo senso “Per non morire” può considerarsi una riconferma, un punto d’arrivo abbastanza tranquillo e definitivo della poesia di Iuliano, ma anche un suo sviluppo. Il nucleo essenziale del volume, nonostante le cesure e le fratture di certe composizioni, è costituito dall’attaccamento alla propria terra d’origine che riprende e dilata il motivo più dolente e più caro centrato questa volta dalle conseguenze, sociali e psicologiche insieme, del recente sisma che ha distrutto e devastato gran parte dei paesi della provincia di Avellino. Ma, al di là di ogni valutazione strettamente stilistica che ci sembra inopportuna, in questo volume vi è anche il felice tentativo di rinnovamento formale, un’insofferenza dei modi usuali che compare qua e là a spezzare in ritmi nuovi, e più serrati, la delicata architettura del verso.

A  L  E  S  S  A  N  D  R  O     D  I     N  A  P  O  L  I  

[ Torna all' Indice ]


DIES IRAE

 

La quiete della sera

placa gli affanni del giorno

di una tiepida domenica.

L’inverno è ancore lontano.

L’invidiabile tempo

si ferma

e cade sulla pace delle cose.

Precipita la terra

e travolge il paradiso dei poveri.

Nel cupo minuto

scoppiano i paesi

sgretolati nel nulla.

Dalle pietre

s’innalza il pianto

della nuova umiliazione.

[ Torna all' Indice ]

 

LA TERRA TREMA

 

Quanto resta della mia terra

è solo polvere.

Un’esplosione ha distrutto

l’umana civiltà contadina.

Famiglie in lutto

con case e beni distrutti

mostrano al mondo

l’orgoglio ferito

e le piaghe

di promesse mai mantenute.

In un fragore assordante

son cadute

le illusioni del ritorno

di migliaia di emigranti.

[ Torna all' Indice ]

 

QUEI PRESEPI

 

Son crollati i paesi

come figure di cartone.

Capanne di muri a secco

o case nuove di cemento

hanno sepolto,

con un sol tonfo,

uomini e bestie,

per anni compagni di vita.

Nell’orrida visione

un grido disperato

invoca la vita

e fa palpitare i sopravvissuti

nell’incerta corsa.

[ Torna all' Indice ] 

 

IL SUD PIANGE

 

Il Sud piange, da tempo,

i suoi mali.

Gli occhi, vivi

di delusione, aspettative

e di cocenti lagrime,

oggi non si inumidiscono più.

Sguardi attoniti

seguono la vita perduta,

per molti

la sola vera proprietà.

Il dolore accompagna

i lamenti delle madri e dei figli del Sud,

ancora più soli

nella presente miseria.

[ Torna all' Indice ] 

 

PER NON MORIRE

 

Sulla paglia,

come bestie ferite,

ognuno lamenta

i propri dolori

e insegue l’amaro ricordo

del tempo passato.

Non troverà più chiassate

di volti conosciuti

né segni di vita

nelle solitarie contrade.

Tutto è finito.

Ma i figli sono degni dei padri,

continueranno la lotta con forza

per non morire.

[ Torna all' Indice ] 

 

LA FORZA DEL DOLORE

 

Treni di fredde roulottes ,

sembianze di case,

coprono gli spazi

salvati dal sisma.

Qui si continua la vita

nell’olezzo di rifiuti e cucinato

fino alla ricostruzione.

Il triste corteo

ha acceso la fiaccola

per un anno di speranza.

Giovani disperati

vittime malate di potere

gridano slogans alla piazza.

La lotta del Sud ribelle

è ferma

e si perde nel nulla delle cose

di uomini sordi,

con gli occhi pieni

di atterrita solitudine.

[ Torna all' Indice ] 

 

UNA BRUTTA FAVOLA

 

Siamo diventati turisti

sulla nostra terra.

Questa vacanza è uno strazio:

sussurri di voci,

ammucchiati in tende o roulottes,

vibranti come corde al vento,

ripetono un triste racconto.

Nidiate di bimbi silenziosi

sforzano gli occhi

alla pesantezza del sonno.

Gli strilli dei loro giochi

sono stati sepolti

sotto un deserto di pietre.

[ Torna all' Indice ] 

 

INCANTESIMO

 

La bacchetta magica

dei costruttori

ha dato fungaie

di palazzi,

moderni castelli

di cemento armato.

La sfida al tempo,

appena cominciata,

è vinta dalla terra assassina.

L’incantesimo è finito.

Le case sono di sabbia,

ma lo sapevano

solo la morte

e i ricchi speculatori.

[ Torna all' Indice ] 

 

SOLITUDINE

 

Le vie e le piazze,

deserti di vita,

non avranno più

i pettegoli chiacchiericci

delle comari.

Lontano,

in ripari improvvisati,

si odono il pianto

e le nenie

per le famiglie scomparse.

Lente,

al grigio del giorno e delle cose,

si muovono fantasmi di donne

vestite di nero.

E’ iniziata

la loro nuova stagione

di dolore.

[ Torna all' Indice ] 

 

MALI DEL SUD

 

Quanti mali,

eterne contraddizioni,

segnano i nostri destini.

Non bastano

i figli emigrati e disoccupati

soli e testardi

a cercare giustizia.

I superstiti,

già privi di affetti

malati di speranza,

pagano ancora.

La terra non ha concesso nulla.

Ha inghiottito

l’urlo e la rabbia degli uomini

vivi in sacchi di plastica

come tanti rifiuti.

[ Torna all' Indice ] 

 

BEATI I POVERI…

 

C’è chi dice

che questo è un tuo segno.

Ma il Signore

fratello dei poveri,

conosce gli uomini

degni di vita.

Non sbaglia direzione.

La gente terrona

devota di chiese e tradizioni

ignora i disumani imbrogli

e vive del suo lavoro

col cuore piantato alle zolle.

Lotta, da anni,

senza resa

rubando a sé stessa

la forza di continuare

a sperare.

[ Torna all' Indice ] 

 

FEDE

 

Quei contadini mai rassegnati,

dai volti arsi dal sole

o turgidi al vento e al gelo,

spettri di sopravvivenza

non vivono più.

Riposano sotto le case

dopo mille eterne fatiche

e palpiti d’attesa

per i figli lontani.

Altri tremanti

imprecano da una vita

contro l’avversa fortuna,

sgranando ripetuti rosari.

Così placano i segni divini

e rinnovano i voti

della protezione.

[ Torna all' Indice ] 

 

RICOMINCIARE

 

Siamo di nuovo insieme.

Raccogliamo

spostando i mattoni

briciole di masserizie.

Quanti anni per avere una casa

e per sentirsi più uguali!

L’illusione è finita.

Sotto le tende

si rifanno i programmi dell’esodo,

e s’affidano al tempo e ai soldi

i propri destini.

Sulla terra vagano

le ombre solitarie

dei figli del dolore,

eroi senza storia.

[ Torna all' Indice ] 

 

MANI TESE

 

E’ riemersa

la vecchia abitudine.

Con furia la gente

ha preso a pestarsi i piedi,

stendendo le mani

per una coperta.

Ragazzi all’assalto,

ladruncoli di necessità,

buttano giù con foga

pacchi di viveri.

La gente ha subito dimenticato

la morte

e ha cercato il possesso,

accumulando i beni

della solidarietà.

[ Torna all' Indice ] 

 

GENTE DEL SUD

 

La gente del Sud

ha mani callose

temprate

al freddo e alla terra.

Con rabbia

difende le sue abitudini

e parla strani dialetti

senza farsi capire.

Questa gente diversa,

distrutta dal tempo

e da una stanca umanità,

serra la bocca

per non piegarsi

alla rassegnazione.

Nella quiete del sisma,

fremerà alla vita

chiedendo ancora giustizia

per i giorni perduti

e le false promesse

di sospirate uguaglianze sociali.

[ Torna all' Indice ] 

 

SPERANZA

 

La terra matrigna secolare

si è rivolta, per sempre,

contro i suoi figli.

I campi poveri di spighe

per le ricche pietraie

e le zolle sterili

sono l’immagine

di tanti calvari.

I minuti respiri

degli scampati

riempiono lo spazio deserto

dell’aria pesante

di nubi e di croci.

L’entusiasmo di vivere

si chiama ancora

speranza.

[ Torna all' Indice ] 

 

COME RISORGERE

 

Gli scampati

han giurato di restare,

sacrificando

altro tempo e sudore.

I paesi vivranno.

I vecchi custodiranno

le memorie

dei cumuli di pietra,

dolorosi testamenti

di povertà.

I giovani lotteranno

per la casa e la vita futura

senza più vendersi

coscienza ed umanità.

Risorgeranno insieme

raccogliendo nel tempo

le ceneri disperse,

senza dover più niente

ai satrapi mediatori.

[ Torna all' Indice ] 

 

L’ ULTIMA PREGHIERA

 

Noi,

i figli delle tenebre

testardi profeti di buona volontà

sempre poveri di spirito,

non resistiamo più.

Finiamo,

lentamente come il giorno,

tra le vuote promesse

di iene incallite

che vendono impunite

falsi abiti di libertà,

confuse uguaglianze sociali

e presunti diritti alla vita.

Noi,

figli del terrore

brigatisti mancati

pronti a fare giustizia,

Ti preghiamo Padre

di non farci morire.

Troppe croci

segnano il nostro cammino,

troppe lance

squarciano nelle notti agitate

le braccia inquiete

delle nostre delusioni.

Il seme di Adamo

disperso, strappato

porta

la nostra progenie

nel mondo.

Noi,

figli dei poveri

ancora sporchi di terra,

chiediamo un lavoro

e di essere uguali.

Noi,

i perseguitati

i vinti dalla vita

blasfemi ribelli,

gridiamo a Te Padre

di dare a tutti i tuoi figli

la vera dignità di uomini.

[ Torna all' Indice ]