Home Il Sud non è forse... Malinconia di terra Oltre la speranza Semi diversi
Biografia Una misura di sale Digressioni di un aedo Celie giambi elzeviri Umangraffiti
Scrive... Antinomie e maschere Parole per voce sola Per non morire Le Copertine
Foto Voli e Nuvoli La civiltà contadina in Irpinia Poesie inedite

Hanno detto..

RACCOLTA “PAROLE PER VOCE SOLA”

 

INDICE:  

Dedica

Prefazione  di Aldo De Francesco

Archè

La nostra scorza

Come tortore

Teshuvah¹

In segreto

Bifronte

Alfa Centauri¹

Conversione

Ambascia

Matrice

Il seme tra le pietre

Dintorni

Notte dei falò

Avidità

Un credo di parole

Fragile chimera

Le parole sono schegge

Homo virtualis*

Cavalli di Frisia*

Edera spinosa

Prima della fine del tempo

Clandestini

Respiri

L’albero della vita

Commiato  


A chi
testimone del suo tempo
riesce a guardare il cielo 
dal proprio lembo di terra.

A chi 
sa sfidare ogni confine 
per non maledire il cielo.

A me stesso 
profugo nella terra dei Padri 
stanco di mendicare al cielo 
cumuli di parole d'onore.

[ Torna all' Indice ]

 

Prefazione 
***

Da tempo, con affetto e stima che mi esaltano e mi intimidiscono, Peppino Iuliano – solitario viandante dell’Altirpinia, odierno Astolfo ariostesco in volo di ricognizione e di denuncia su degradanti mutamenti esistenziali e su ogni sconsiderata trasformazione della società – mi comunica le sue inquietudini, i suoi crucci, le sue sferzanti premonizioni.
Si è creato così un dialogo costante, un parlarsi fitto sulle intasate vie dell’etere o in saltuari incontri nella nostra comune terra d’Irpinia, capaci di spaziare, dalle figure mitiche di una civiltà contadina svilita dal progresso La nostra scorza / è pietra scistosa / in continua frammentazione / che si ritrova pugno di sabbia / alla fuliggine delle borgate degradate e emarginate di antica denuncia pasoliniana. Un viaggio da cui ogni nostro pensiero esce più serio e preoccupato. Spesso mi porto dentro le sue espressioni, i suoi eleganti anatemi come riverberi di un distico didascalico, per me prezioso e illuminante per più accurate introspezioni nella città dove vivo, Napoli, che vede allontanarsi su orizzonti di smog i sempre più rari “venditori di luna”, i sognatori marottiani in mezzo a gabbiani intossicati.
La verità è che Iuliano rivela nelle sue liriche una grande coscienza della libertà, il tuorlo originario di un mondo pulito, che, pur esposto a molteplici insidie, resiste in lui incrollabile ad ogni insidia, perché intona una sola voce: quella che gli nasce dentro, modulata nel segno di una saggezza infinita e di una memore essenzialità, desco di sacrifici e di millenarie liturgie. Ammirevole la fantasia di Giovanni Spiniello che ha saputo illustrare la raccolta, con graffiti animati da una esemplare atemporalità, compresa di età primitive e di avanguardie sanguigne, raffiguranti le anime e l’umanità ferite.
In certi luoghi dove si può ascoltare ancora la voce della luna è difficile scostarsi da corsie insistite, maggiormente oggi che esse risultano trasformate in approdi di affollati “stazzi” da weekend: la singolarità di questo poeta, fortemente apprezzato dalla critica e già misuratosi con platee esigenti, sta nel coraggio di aver saputo lanciare un messaggio limpido che non sforna versi di precotta nostalgia ma ha l’ardire morale di guardare in faccia alla realtà, di ricordare i fondali perduti, la “finitezza” dell’uomo, chiamando per nome i nuovi luciferi senza sotterfugi o artifici di parole. La sua è una denuncia che si innerva in due tronconi; il primo, specchio dell’amara condizione esistenziale, che, in Archè, assume toni montaliani quasi risolti: “Siamo meteore / schizzi della nube di Oort / polvere di comete allo sbando / che scheggiano l’universo di un lampo/.
Il secondo, in Alfa Centauri, ha invece, gli accenti dell’urlo morale contro ipocrisie e aride convenzioni: “Siamo maschere / parte di una commedia umana / senza copione / da inventare al momento / , crudo / acerbo espediente per vivere /. Con torcia elettrica / proiezione di lampada / siamo cometa di Magi / scia incerta non solo d’Oriente / della nostra Epifania, / per trovare uno spigolo di posto… / Stringiamo il vuoto / nella fantasia che s’accende / falò del nostro tronco / mistura di emozioni e ricordi / … Siamo una scommessa del destino / un urlo nel vuoto / una ferita aperta / una voce stonata / un’appendice d’umanità/.
Più leggo e esploro l’ispirazione di Peppino Iuliano, più ne sondo l’ambiente in cui nasce, si svolge e matura, più mi convinco del suo forte inequivocabile spessore di poeta civile, confortato dalla considerazione che, di questa missione hanno dato alcuni grandi pensatori.
Quella di “Scrutare l’invisibile, udire l’inaudito”, secondo Rimbaud; di indomito e non soffocabile canto, per Jemenez: “Voce mia, canta, canta; che finché c’è qualcosa che tu non abbia detto / tu nulla hai detto”; di potente forza ancestrale secondo Victor Hugo: “Dite che il poeta è tra le nuvole, ma tra le nuvole, è anche la folgore”.
Ecco la folgore. Voglio soffermarmi qui, in conclusione, intorno a questo misterioso scoppio di energie, quasi da stupefatto uomo primitivo, perché esso è la metafora vera della forza di “Parole per voce sola”, la quale si connota come aggiornata introspezione di mito, ungarettiano canto del ricordo, implacabile condanna di odierni e falsi meticci, in definitiva: verso irato, ironico e bruciante contro lusinghe e illusioni. Valga per tutte l’Homo virtualis, sintesi suprema di un armonico equilibrio tra passo estetico e respiro di contenuto: “Siamo folle solitarie / moltitudini di semenze diverse / assortite nel colore di pelle / insieme ma anonime / distratte / provate / inerti / o leste di mano e di idee… / Siamo gente / sommario di cronaca / - qualcuno di scienza – Vestali del fuoco di civiltà / nel mondo progresso virtuale / che chiama gli altri fratelli / per qualche impulso di filantropia / Siamo amebe di dissenteria / sacchi di elemosine d’usato / rifiuti / tanfi di spazzatura… / Siamo conti in banca / carnet / carte di credito / monete di ogni taglio e valore / quotazione di mercato.. / indici di borsa e delle sue mani. / Siamo prestiti di usura / vivi alla giornata.
La realtà è forse diversa? L’arbitrio poetico ha tracimato da alvei facilmente riconoscibili? Nessuno che abbia una seria consapevolezza del nostro tempo, leggendo le poesie di Iuliano, potrebbe affermarlo.
Stando così le cose, un poeta seriamente civile non poteva mai esprimersi con luci fioche, stenti moccoli di candela; gli strali, le folgori dovevano essere e sono il suo efficace linguaggio, capace di scuotere la pigrizia e l’ignavia di mandrie coeve e di bruciare nella trasparenza, vera  e non plateale, le nostre sempre più diffuse ipocrisie e nequizie. Iuliano in ogni verso è poeta che educa e indica un varco per uscire da percorsi contorti; dovunque lo si interroghi, libera la netta scansione di un messaggio forte, a volte anche aspro. Lo fa da pessimista romantico; ma alla fine, quando ogni comprensione sembra scemare, il poeta, dopo aver detto tutto quello che gli dettava la coscienza, improvvisamente si abbandona a segnali di disgelo: “Questo tempo / è il mio tempo: / avaro vorrei conservarlo /  per sempre / prodigo, sfruttarlo per intero / prepotente, umiliarlo da ogni lato / ipocrita, ammonirlo al vero”.
A ripensarci, già basterebbe questo ascolto per salvarci da baratri e cadute.

ALDO DE FRANCESCO

[ Torna all' Indice ]

 

Archè

Siamo meteore

schizzi della nube di Oort¹

polveri di comete allo sbando

che scheggiano l’universo

di un lampo

e nella loro scia luminosa

segnano il cielo alla terra.

Nel caos si accendono

mucchi – a intermittenza – di stelle

frammenti d’ego nell’infinito.

 

¹ OORT: astronomo olandese, autore di una teoria sull’origine delle comete

[ Torna all' Indice ]
   

La nostra scorza

Inciuchiti¹ al palo della macina

legno stagionato di croce

spremiamo schiume di mosto

alla sferza

per questo mondo senz’anima

livido nei giorni che durano.

 

Cerchi di snervante cammino

zufolano identiche note

alle funi appaiate

ed inseguono a pari distanza

chi gira avanti o dietro

per posizione di conta.

 

La nostra scorza

è pietra scistosa

in continua frammentazione

che si ritrova pugno di sabbia

a scandire inesorabile i ritmi

del tempo e le sue fughe.

 

L’attesa del nuovo conta

colla di pazienza

raccolta incerta di melagrane/

succo vermiglio di semi

e polpa vuota/

che avidamente sfidano

inutili morsi e l’inganno.

 

L’attesa scarnifica al midollo

canne di vertebre

fibre incise o cieche/ al visibile.

L’attesa soffoca il respiro

sintesi di dolore e putrida materia,

croste che nascondono nelle pieghe

i silenzi e i soffi dell’anima.

 

¹ INCIUCHITI: asini strapazzati

[ Torna all' Indice ]
   

Come tortore

Nidiate nascoste

rogiti di nessun testamento

fra braccia nodose di alberi

si litigano

piani di condominio salvi

allo sfratto.

 

Danno voce

a monotoni sgradevoli lamenti

che sgolano urla disperate

ribellioni umane di nessun potere

contro fatalità di morte.

 

Tu-tu …tu

sembrano gufare

dolore e malaugurio

che scaramanzia

vorrebbe scacciare toccando ferro.

 

Ombre stridono

nell’insistente richiamo

così diverso dagli altri suoni

apparente sillabare da muti

invece verso comprensibile

alle voglie.

 

Le tortore

usano messaggi telegrafici

codici Morse

che interpretano al momento

manuali di natura di nessun segreto.

 

Come vorrei vantarmi

di essere destinatario

di quel tu-tu, (sincope) Tu.

[ Torna all' Indice ]
   

Teshuvah¹

Folgore e rombo di tuono

che squarci il velo del tempio

sbrachi cielo e terra

- universo segnato dal tempo –

quando vuoi manifestare

potenza e dissenso

a questo intreccio dell’anima

capriccio di doni e miserie

alla sorte degli uomini.

 

Sei sordo

all’invocante preghiera

- scampo di ogni promessa –

sacrificio pegno di vita

contro sacrificio di morte.

Ma l’uno e l’altro

sofferte rinunce a vivere.

 

E dire che Tu

Maestro del sillabario dell’anima,

Parola di verità ai discorsi imperfetti,

separi pula e loglio

nelle Parabole dell’amore.

Sei l’ultima presa

alla stretta di mano.

Ma anche la mia sfida.

 

Per Te

si innalzano altari

si affilano coltelli

nelle diversità di immagine

e predizione,

mistero di discutibile fede.

Come tanti altri tuoi misteri.

 

¹ TESHUVAH: è una parola ebraica che significa pentimento e quindi ritorno a Dio.

[ Torna all' Indice ]
   

In segreto

Vanto di stirpe

blocco di pietra primigenia

come la Porta dei leoni¹

eri vento di mare

ventre gravido di Magna Grecia.

Scheggiata a morsi

spoglia di lonze e predoni

cavallette di ogni carestia

eri fuoco e sangue

alla malvagia indole

della Mezza Luna,

mai anemica di vergogna.

Distrutta nel corpo disfatto

indurivi nell’animo/

corpo maturo per ogni raccolto/

semi di violenza mai secchi.

Per anni consumasti penitenze

ostie di dolore

- pane spezzato con cura

in cene aspre di vino

e calici/ grembi di sangue –

sacrilegio all’innocenza perduta

e alla libertà di peccare.

 

Ancora ti vanti

terra amara di fiele.

Vuota di memoria

sommessa canti ritornelli

e spensierata tarantelli²

il presente

nell’avido gioco dei numeri.

Tatuata nel corpo/

marinaio di ogni porto/

cerchi di darti un’anima

biascicando – vecchia cicala –

rosari legati ai tre santi misteri.

Mercenaria smargiassa

di provato mestiere

cadenzi fissa all’ora vespertina

pollice curvo di penitente prova

e sfili grani di Ave e Gloria al dolo

per meritarti il cielo.

 

Supplice al freddo che avanza

serpe di anni nelle ossa

scacci morte, vampe

e ogni maledizione.

Fiduciosa sconti alla pienezza

del tempo

conversione di pena

e paghi mutui ratei di preghiera

contratto/riscatto bonus-malus

polizza d’eterno.

 

¹ PORTA DEI LEONI: scultura monumentale, di aspetto ciclopico, esistente a Micene.

² TARANTELLI: bearsi di una situazione, mimando il ritmo di una tarantella.

[ Torna all' Indice ]
   

Bifronte

Tu sei testamento di Bibbia borghese

vecchia di un patto/ onorato dai padri/

che si rinnova per logica adozione.

 

Unto come un re di lunga corona

non usi la cetra salmodiante

di David

ma la pietra filosofale

artificio di lesta parola

mescola di ogni tua verità.

Sei morfina

 per chi ha crisi d’astinenza,

qui formiche operaie

in fila al mercato delle braccia.

 

Per il tuo Vangelo

morto all’uguale

minaccia di pugnale di Bruto¹

sei principio e fine .

Impasto di sacro e profano

oracolo di gratuita santità

hai carismi di favore

per gente comune dolente

pellegrina ai tuoi santuari/ da scomunica/

muta a ritrovarsi cliente fortunata

al miracolo.

 

A te, vitello d’oro

cantano cori in processione

ma le Tavole della legge/

moderna eresia di fuoco/

si scheggiano all’impatto.

C’è chi riconosce la Luce

e s’affida all’esempio dei Padri,

forza ribelle alla storia

con tributi di sangue al morso e alle nari

per infibulazione promiscua.

Altri rinnegano fierezza di pensiero

a scrupoli/ grembi di paura/

aborti di coscienza/

e si contentano

- liberi di promesse di niente –

di schiave meraviglie.

 

¹ BRUTO: è un traslato e significa tradimento.

[ Torna all' Indice ]
   

Alfa Centauri¹

Siamo maschere

parte di una commedia umana

senza copione

da inventare al momento

crudo/ acerbo espediente per vivere.

Con torcia elettrica

proiezione di lampada

siamo cometa di Magi/ s

cia incerta non solo d’Oriente/

della nostra Epifania,

per trovare uno spigolo di posto

nella sequenza di giorni

veli di nebbie/ spicchi di cobalto.

L’occhio incantato

segue lo schermo

scena d’invenzioni.

Qui luce e colori

congiunzione carnale

di emozioni/ di un sussulto

sono giochi perfidi

di metamorfosi

nella durata del tempo

- delle sue piste e fotogrammi –

prima della parola fine.

Stringiamo il vuoto

nella fantasia che s’accende

falò del nostro tronco/

mistura di emozioni e ricordi/

per una rigenerante risata,

per una lacrima a metà

che insapora la gola.

Succo d’acqua e sale.

 

Siamo una scommessa del destino

un urlo nel vuoto

una ferita aperta

una voce stonata

un’appendice d’umanità.

 

Siamo

ma non sempre ci basta

così semplicemente

di essere.

 

¹ ALFA CENTAURI: la stella più splendente della costellazione del Centauro.

[ Torna all' Indice ]
   

Conversione

Bigotti

come vecchi che masticano

rauche litanie mattutine

cantiamo alleluia agli uomini

ministri paludati nel culto di potere

sacramento di sette virtù.

Parola più di ogni altra verità

sei l’estremo grido

sordo alla giustizia che manca.

 

Le mani sul petto

a discolpa

o giunte ad incastro

in segno di preghiera

segnano croci

nel nome dello Spirito

e saziano la bocca al bacio

come indirizzo di voto

a certezza di materia.

 

L’obolo superfluo

non alleggerisce la tasca

e il lume votivo

non rischiara il giorno

ma rinnova il patto

pratica visibile di fede.

Santi

d’aureola borghese

hanno un paradiso di terra

imbuto di ogni granaio.

Saziano o affamano

onnipresenti padroni/

virtù malizie e limiti di ogni dio.

Lazzaro insolente

straccia sorrisi di mezzibusti

- statue elettorali di colla e carta –

e rifiuta con sdegno miche/ di carità

che oggi ha cambiato nome

e guadagna l’anima al cielo.

Solidarietà – complice parola –

sei la nuova miseria.

[ Torna all' Indice ]
   

Ambascia

Come Tommaso

siamo apostoli del dubbio

tarlo di erosione

innocuo al corpo ma eclissi fatale

che adombra la mente.

Ai maestri di retorica

inchiodiamo le dita / uncini guastatori/

alle croste di piaga

per spremere sangue ed acqua

materia che perde materia.

 

I nostri templi

sono vuoti Cenacoli

di morta fede

e l’interesse callo di simonia

è stanca liturgia

ma fa ancora proseliti

in un mondo da sballo

che si paga nuove indulgenze

con ecstasy e altri paradisi

da tagliare.

 

Asole del nostro corpo

raccolgono formelle¹

pendule al filo sdrucito

legami di buonsenso prossimo

a separarsi da vincoli sodali

nell’ultima resistenza,

pillole senza ostia

comunione di nessun viatico

per l’ultima cena.

 

¹ FORMELLE: bottoni

[ Torna all' Indice ]
   

Matrice

Ho impastato/ pane azzimo/

muri di pietra squadrata

con calce di esperienza.

Da tempo

crepe e lesioni

staccano pezzi d’intonaco

e mostrano squarci del corpo

e dell’anima.

Mi sgretolo

in mucchi di polvere

che qualsiasi soffio

allontana e disperde

dalla mia matrice.

 

Macino

schegge di risulta

e breccia di cava

con grandine si sputi

e spremute di sudore

per restauri di facciata.

 

I polmoni

sono sbuffi di treno

sintesi di catrame e fumo

mantici d’enfisema.

Il cuore è corda flessibile

di molla allentata

che dura o si ferma

senza preavviso.

 

Da questa ferraglia

riordino la mia impalcatura

sghemba

e puntello il domani

con pali fissi a croce

per non perdere il giorno che viene.

[ Torna all' Indice ]
   

Il seme tra le pietre.

Soli

come grano a marcire.

Nel solco

binario di vomere

che tintinna al sasso improvviso

arranca il treno d’autunno

sbuffante nel rumore dei cingoli

carro armato contro la carestia.

 

Ariste

di verde baldanza

alfieri contro la fame

qui mostri obesi/ otri all’ingrasso/

altrove meduse deformi/

senza vigore/

annunciano per tutti primavera.

 

Il sole

capriccio di misura

è falce tagliente per messe

che gonfia la tasca,

ma anche deserto di pietre

casa giaciglio trincea

alle licenze di morte.

 

Non credo

di avere fratelli/ santi a modello/

quando l’anima sconta

ai saldi del Giubileo

truffe e ruberie da mercanti

del tempio

e l’inferno della terra

è bestemmia di vita

che fa tremare pinnacoli, basiliche

e verità di chiesa.

 

Chi è povero conosce il niente

non crede ai comizi di mestiere

e ai discorsi beati della Montagna,

non vanta fortuna di gigli di campo

né cibo sicuro di specie di uccelli.

Maledice la sorte e chi canta.

[ Torna all' Indice ]
   

Dintorni

Queste vie

pietre slavate

lastrico di cunei/ difforme/

contano coppi penduli

davanzali con vasi spiantati

di gerani e basilico morti

all’incuria

usci sprangati/ malati di tarli

 e ruggine/

trionfo d’erba selvatica.

 

Queste vie

fisse al silenzio

vuote nell’abbandono domestico

costretto o indifferente

dalle scelte degli anni

sono piste di cani

che unghiano soli lenti distratti

o latrano a minaccia

dietro femmine in calore.

Queste vie

rintronano al rumore dei passi

ed esaltano il tanfo

del chiuso/ del perso

che fissa il tempo/ grembo d’antico.

Per queste vie

il silenzio è padrone

è parola disperata

ripetuta a se stessi

ad ogni chiarore del giorno

per chi parla da solo.

E di notte/ scruta e maledice

pentimenti di scorciatoia

per farsi coraggio

quando ogni ombra

spirito vagante mette paura

come anima persa

per chi ha già meritato l’Inferno.

Tra queste vie

abbiamo contato gli anni

spighe di ogni stagione

mentre la falce orienta denti aguzzi

di lima

giù, tra stoppie più corte,

verso la terra profonda.

[ Torna all' Indice ]
   

Notte dei falò

Lingue di fuoco votivo

borbottano/

per il Santo eremita

pellegrino della Tebaide¹/

salmi borghesi

preghiera di nessuna preghiera.

 

Bagliori domestici

sono luce alla notte

tra fumi acri/ serpi di vento

contorsioni di ceppi di questua

retaggio di tradizione.

 

Scintille di falò

sono minuscoli crepitii

e raggiere storte capricciose

luccicanti

per un momento

o anime purganti

– quando fantasia di vecchi s’accende –

che espiano l’ultimo peccato.

 

Satiri in costume

maschere a volto scoperto

saltano e urlano

lievi alla conta degli anni

tra braci che scheggiano l’aria

al ritmo sfrenato della montemaranese²

masticando focacce di mais.

La strozza ingozzata

stringe petto e fiato

che libera sonorità di voce

sorso e respiro di vino salvatore.

 

Quel rogo

beffeggia la luna

alle piccole stelle-faville

che s’innalzano al cielo

per un segnato cammino

e si portano brevi desideri

spenti nel nulla.

 

Il freddo si prende il calore

e l’alba raccoglie

con gli ultimi resistenti carboni

circoli e mucchi di cenere

di un altro giorno che muore.

 

¹ TEBAIDE: Regione dell’Alto Egitto, nel cui deserto visse da anacoreta Sant’Antonio Abate.

² MONTEMARANESE: è un traslato; vale per tarantella di Montemarano (Avellino).

[ Torna all' Indice ]
   

Avidità

Dai calanchi

fistole di terra

dove natura è gravida di niente

sprofondano solchi e gallerie

nidi svuotati alla luce.

 

La montagna è squarcio abortivo

per ferri uncinati

che scavano clandestini

il ventre liscio

e sgravano morte viscere

di nessuna pietà.

 

A valle

formicolano uomini e macchine

con occhi di calamita

a produrre l’impossibile

che spranga cancelli di altre miserie

miserevoli affidi al sussidio/

lavori part-time, carità di Stato.

 

Polveri in libera danza

di sinfonia infernale

sono segreta deportazione ligure

che già fu incrocio al sangue sannita.

Lento il veleno/ aquilone al soffio/

ammorba invisibile

come gioco d’ipnosi

e s’impenna in brividi convulsi

fino a crescenti paralisi.

 

Mitridate¹ qui si ferma distratto

ma si buca da tempo

e il tossico è comodo vaccino.

Chi non chiede miracoli

ma gratuito respiro

inghiotte aria ed arsenico

miscela che insaliva la bocca/

ormai cava morente di freddo metallo.

 

Mefite² subdola/ compagna agli Inferi/

lesta si frega le mani sull’avida ara votiva

consacrata al suo tempio, agli affari

al silenzio, al soffio che inganna.

Pestifera inquieta spira e si spande

– nuovo mistero del mito nostrano –

orfana di ogni menzogna

ed alza ancora la voce padrona,

ma conta alla vita anni ed affanni

per trovare un senso e lo scampo.

 

¹ MITRIDATE: secondo la tradizione Mitridate IV Eupatore si sarebbe abituato ai veleni, per timore di diventarne vittima.

² MEFITE: terribile dea, a cui era dedicato un tempio nella valle d’Ansanto, in Irpinia, luogo di esalazioni gassose mortali.

[ Torna all' Indice ]
   

Un credo di parole

Un segno di croce

gesto istintivo o liturgico

secco di palmo raccolto

o umido di gocce d’acquasantiera

non è l’ultimo grido

quando tutto precipita

come cedimento di frana.

 

La mano

traccia a memoria vertici e scongiuri

linee misurate con cura

del triangolo/ occhio di Dio

Trinità di fede

non sempre credibile

ma che mette paura d’eterno.

 

Un pugno

è ritmo alle geometrie del petto

modico flagello incruento,

a volte superbia di potere

maledizione dell’uomo sull’uomo

che punisce senza pietà.

 

Com’è alterna la fede!

Esulta d’amore e ti incanta

poi inganna e sprofonda all’inferno

spergiura.

Parole contro Parola.

Ecco i confini dell’uomo

all’arbitrio,

limite e incesto di parole.

 

Un segno di croce

 inchioda alle sue verità

al cielo o all’abisso.

Pietà convince al perdono

per strade di Samaria¹

insidia e cadute per deboli,

castigo di eterni predoni.

 

Un segno di croce

è il cruccio/ l’incognita/

problema senza soluzione,

somma disponibile di giorni

incerti di proroghe e supplementi

prima della fine del tempo.

 

¹ SAMARIA: regione della Palestina, di cui era originario l’omonimo benefattore citato nel Vangelo.

[ Torna all' Indice ]
   

Fragile chimera

Pensiero fisso

dolce ossessione dei sensi

frutto possibile di molte stagioni

della vita

riempi i vuoti

del corpo e dell’anima,

piccole gioie segrete

di un invitante sorriso

o rovinose cadute/ immediato castigo

che invoca a sollievo la fine.

Desiderio contro desiderio.

 

Ho amato raccolti silenzi

malizie e apparenze/ senza misura

risposte non date

parole credibili sulla tua parola.

Averti compagna

stordisce ed esalta

come distillato d’annata.

Ma tu versi coppe di sidro

e svuoti favi di miele

maliziosa Calipso¹.

Ti ho chiamato in ogni senso.

 

Ho odiato/ sofferto silenzio/

accorte leste bugie

privilegi al sorriso

fortunati di turno

le tue accese moine

la sincerità senza scampo.

Le tue smanie regine

la mia fine.

Ti ho odiato/ per serbare un senso

alla vita.

All’amore ho dato

intere scansioni di tempo

prossimo a scadere

ai cerchi e scatti di veglia.

 

Al tuo amore ho bussato

con tocchi diversi

quintessenze di pazienza

per farmi sentire.

 

Al mio amore ho nascosto

chi sei. Complice il sempre.

 

¹ CALIPSO: è la ninfa che per amore trattenne Ulisse per sette anni nell’isola di Ogigia.

[ Torna all' Indice ]
   

Le parole sono schegge

Un quantum variabile

vocabolario di parole

è il nostro filo sottile di voce

o gola aspra di sdegno.

Parole vive sanguigne all’impulso,

che lingua vulcano di lava

vomita senza fermarsi

e cola tracimando discese

inutili trincee,

hanno strascichi d’infinito.

 

Parole limano il buonsenso

e non spingono il calibro

che accorta bilancia mantiene

in equilibrio, al giusto peso.

Parole silenziose

sillabe d’incertezza

sono insignificanti

come una giornata persa

insipide afone languide

quando la vita è fessa.

 

Parole usuali

veline di carta carbone

si imprimono al tatto

e poi sbiadiscono all’uso

anemiche d’inchiostro.

 

Parole poetiche si combinano

e libere inventano suoni,

confidano frasi innocenti

penetrano/ aghi sottili indolori/

nella libertà d’animo

deltaplano di emozioni

che s’innalza, ondeggia

colorando lo spazio

e planando si riposa.

 

Le parole sono schegge

pietre taglienti

da scegliere con cura.

Sfregiano verginità di crosta

e mostrano sfacciate

vergogne d’incisione,

ferite superficiali o di stupro

ma poi infettano di materia

il corpo e l’anima.

 

Parole sante

guidano al Verbo e L’invocano

ma la verità tarda

a convincere

e ognuno – ai bisogni –

si sceglie una via.

 

Le parole sono lingua di fuoco

grazia di Pentecoste che si rinnova

e che rischiara il buio, la notte

la morte fede dell’uomo

e unge il santo di crisma

cantore di beatitudine

a chi sordo/ di straforo/

questo paradiso di terra si gode.

Sintesi e antitesi, spergiure croniche

sono maledizione antica,

paradosso di convivenza

che giustifica di Babele il caos.

 

Le parole sono parabole/

graffiti di geometria/

curve e diagrammi

che combinandosi, al tratto,

formano il cerchio dell’anima.

Qualche volta lo stringono d’incerto.

Altre l’aprono a libertà

e la fantasia vi colora le forme.

[ Torna all' Indice ]
   

Homo virtualis*

Siamo folle solitarie

moltitudini di semenze diverse

assortite nel colore di pelle

insieme ma anonime

distratte/ provate/ inerti

o leste di mano e di idee

che fanno storia e fortuna

in marcia in fila confusa

per ogni direzione.

Ognuno parla la sua lingua

per fiato di racconto

fiaba del tempo

che si perpetua

nella continuità degli uomini.

 

Siamo gente/ sommario di cronaca/

- qualcuno di scienza –

Vestali del fuoco di civiltà

nel mondo progresso virtuale

che chiama gli altri fratelli

per qualche impulso di filantropia.

Siamo amebe di dissenteria

sacchi di elemosine d’usato

rifiuti/ tanfi di spazzatura

ultimo gradino di umanità

che ha perso ancora la faccia.

 

Siamo conti in banca

carnet/ carte di credito

monete di ogni taglio e valore

quotazioni di mercato

indici di borsa e delle sue mani.

Siamo prestiti di usura

vivi alla giornata

che mescola espedienti

per salvare – a rimando – la faccia.

 

Siamo passerelle di moda

cronaca rosa di tradimenti

giochi nei miti di società.

Siamo ruffiani di prostitute dell’Est

serve e schiave di un visto,

di africane e viados come la pece

violenza di stupro e meretricio.

 

Siamo un esercito telematico

al laser/ all’uranio/

per infiltrati tra stelle

ad ogni morte carnefice.

Siamo disertori di ogni legione

con giberne slacciate

e gavette quaresime di fame

pronti alla resa

o a cambiare divisa

per elemosine di razzia.

 

Siamo tutto e niente.

 

Da solo

ripasso a memoria

il mio libro di viaggio

con fogli/ colla di sponza¹/

refusi ciechi da correggere.

Già conto le pagine bianche

che ancora mi restano.

 

* HOMO VIRTUALIS: uomo contemporaneo, in grado di interagire con un ambiente simulato.

¹ SPONZA: tipo di colla, bisognevole di lungo tempo per asciugarsi ed aderire.

[ Torna all' Indice ]
   

Cavalli di Frisia*

Le janare¹ squartavano

con bisturi di unghie

dopo aver contato fili di scopa

di miglio selvatico,

unico antidoto al male.

I lupi mannari ululavano alla luna

scotolando lungo corsi d’acqua

l’improvvisa animalesca peluria

e la bava famelica.

 

Le fattucchiere intrecciavano capelli

pratiche di oscuri artifici

e passavano il male dell’arco

addossando il malocchio

fulminante con uno sguardo.

E il male s’infiltrava malefico

per una manciata di sale bruciato

una macchia d’olio di grumi,

mentre il male vero era fame

debito d’ipoteche

mancata bugiarda giustizia

depressione di continua miseria.

 

Quale incantesimo ancora ci illude?

Maghi e discepoli dell’arte indovina

ripetono astute alchimie,

intrugli bolliti e sangue mestruo/

vita che scaccia la vita/

ma succhia filtri d’amore e di fortuna

infusi d’ingenua complice innocenza

che insapora la vita.

 

Un sorriso bonario

è perdono all’ingenuità

senza penitenza.

Ma il male è dentro.

Un tarlo ci mastica la terra

che piange malie e sortilegi

fascinata dal signore di turno/

tribuno-tiranno senza scrupoli.

Satrapo massaro si prende il meglio

e come un dio malvagio

premia a capriccio

e unghia a sfregio la coscienza

che – per vivere – si medica

di suffumigi

e presta il braccio a trasfusioni/

moderne volontarie suicide

fatture di morte.

 

* CAVALLI DI FRISIA: ostacoli dovuti a fortificazione.

¹ JANARE: streghe, fattucchiere.

[ Torna all' Indice ]
   

Edera spinosa

Madre terra

è cupo il dolore di Demetra¹

sterile di messi e frutti

eppure di ventre feconda.

 

Persefone² è lesta comparsa

e t’inganna con una manciata

di raccolti/ more da rubare alle spine.

Il poco, dove il resto è niente,

è manna benedetta

dono alle schiene curvate,

a mani di serchie³.

Ma il tuo esodo

ha tavole umane di legge/

che nessun Mosé ostenta/

e allontana dalla terra promessa.

 

Qui siamo schiavi

di parole e qualche dispensa,

che ci compra e svende clienti

ma anche liberti

se l’eco ci restituisce

 il grido di Barabba e di Spartaco*.

 

Terra

Madre Addolorata

immagine di Venerdì Santo

eterna processione/ nel tuo velo nero/

piangi figli persi e dispersi

più che le tue miserie.

Nuove croci

sono pietre miliari

che ci consegnano Cristi di carne

e la loro collezione di chiodi,

figli dell’uomo

peccatori e demoni

che scontano, per verità di Bibbia,

chissà quali macchie dei padri.

Tarda l’editto/ corno di Shofar**/

sfinge di prescrizione/

sogno antico di genie di Zedaqah***/

mentre dura penitente la colpa

spreme seni vizzi di memorie.

 

¹ DEMETRA: Dea greca della fecondità della terra.

² PERSEFONE: figlia di Zeus e Demetra, chiamata anche Kore, simbolo della vegetazione.

³ SERCHIE: ragadi, fissurazioni della cute.

* BARABBA E SPARTACO: il primo ebreo, agitatore e ribelle politico; il secondo gladiatore tracio, capo della guerra civile.

** SHOFAR: corno di ariete utilizzato per ricordare la voce di Dio (ebraico).

*** ZEDAQAH: giustizia (ebraico).

[ Torna all' Indice ]
   

Prima della fine del tempo

Questo tempo

incosciente stordito confuso

non ha predizioni.

Profeti di ogni religione

– nessuno scalzo e scarso di bisaccia –

annunciano il loro Messia

Salmi e Proverbi di nessun libro

per nessun figlio di Jahweh.

 

Questo tempo

non ha rivoluzioni

eppure pianta malerba

ed interra croci di legno

martello e falce di ruggine morta/

denti di carie/

con chiodi di differenza

Teorici al sorriso

innalzano barricate di tivvù.

Ideologi in doppiopetto

di filosofia borghese che arraffa

hanno nodi alla cravatta

 e griffe di grido

ma voce stonata

che più non convince/

esorcismo di miserie,

male di ogni male.

E noi sordi corrivi volontari

chiediamo altri miracoli.

 

Questo tempo/

che osanna sfacciato signori

di cielo e terra/

arica yacht di certezze

e scarica valigie di illusioni.

Questo tempo

è il mio tempo:

avaro vorrei conservarlo/ per sempre/

prodigo sfruttarlo per intero

prepotente, umiliarlo da ogni lato/

ipocrita, ammonirlo al vero.

Ah! Se il tempo non contasse gli anni!

 

Al mio tempo

vorrei dare la forza cosciente

di non maledirlo.

Dispettoso potrebbe fregarmi sulla parola

e fermarmi la corsa.

 

¹ TIVVU’: è un neologismo, sta per televisore.  

[ Torna all' Indice ]
   

Clandestini

Noi siamo quelli del Sud

colonia appendice del mondo.

                 *

Sgravati in tane di conigli

cresciuti con orli di pane cotto

benedetto da un’aspersione d’olio

invisibile come unzione di crisma

vantavamo avi esperti

di schioppi ad avancarica

onesti disperati briganti,

coloni schiavi di baronia

e padri pionieri d’America

crociera di stiva di emigranti.

 

Suburra vociante dialetti/ sonanti

cittadini d’Europa su scambi di binari

di stazioni affollate/ poi linee morte

prima della nutrice Strasburgo-capolinea

ogni fondo di miniera era nostro

che avevamo occhi di gatto

per leggere il buio.

 

Facevamo la cresta alle privanti rimesse

fioretti di pane/ devozione di Santi

titolari di novene e tredicine¹

e vestire d’oro le Madonne/ sanguinanti

in cambio di una protezione sicura.

 

I nostri bassi restavano bassi.

Incanti di mare, spaghetti e mandolini/

corde necessarie per diversità di gola/

erano sputi a scanzonati paesi del sole

e alla luna caprese.

 

La zona dell’osso² era colonna

infame/ deforme.

Le vertebre si contavano a vista

anelli di stessa catena.

                *

Noi siamo i senza nome

elenco di frane e morti di malaria

a vecchi e recenti tremuoti³

che ancora scuotono

per scandali di truffa

vergogne pesanti come macigni

su facce innocenti.

 

Noi siamo gente di confino

ma senza frontiere/

in lista per un posto mancato

una fabbrica chiusa o fallita

disoccupati cronici

teste basse alla giornata

vittime sacrificali dei Poli

democrazia offesa/ morta

al maggioritario secco

e al proporzionale.

 

Noi siamo il 416bis del codice penale

lazzari* aspiranti di camorra

manovalanza d’espedienti

branco di contrabbando/

pirati di terraferma/

enutari di lupanare

fra copertoni, semafori e insegne

di sesso al mercato,

staffette ambulanti di droga,

trucco di appalti, croupier e dazio

ai potenti di turno.

 

Noi siamo l’eterna questione irrisolta

il Meridione gravido di ogni consulto/

storie senza storia/

insulti di sussidio mensile

tifo perfido di clienti di partito.

Truppe di rincalzo demografico

all’Italia che non figlia,

gregari a vita senza squadra

raspi/ appendici d’umanità

senza voce.

 

Noi siamo quelli del Sud

gli abusivi della storia.

 

¹ TREDICINE: pratiche liturgiche consistenti in un ciclo di preghiere per tredici giorni in onore o a devozione di un santo.

² ZONA DELL’OSSO: espressione usata dal meridionalista Manlio Rossi Doria, per indicare le aree interne depresse contrapposte a quelle costiere o della polpa.

³ TREMUOTI: terremoti.

* LAZZARI: plebe napoletana che aderì alla rivolta di Masaniello.

[ Torna all' Indice ]
   

 Respiri

Pennacchi di fumo

sbuffi o fili color grigio scuro

ingravidano il cielo

corpo rosso al desiderio

al calar del sole

quando natura ha voglia di accoppiarsi.

 

Nubi/ piccole flottiglie tradite/

spiano per peccato d’invidia

il mancato appuntamento

indifferenza dei venti/

ruffiani capricciosi/

stanchi di correre per terzi

e perciò sazi di soffi comuni

intreccio di sensi.

 

La terra indifferente

raccoglie gemiti e fiati in gola

degli uomini

che s’apprestano con ogni malizia/

cuore e mente/

a provare giochi d’amore di sempre 

insaziabili voglie –

fra alcove ordinarie

e quelle segrete che religione

bolla d’inferno, cadute

di concupiscenza.

 

Sospira l’amante deluso/

cuore solitario al buio e alla luna/

che s’interroga su tanti perché/

disperata filosofia/

senza trovar risposta.

Prepara – con furia – trame e intrighi

per vendicare il rifiuto/ l’offesa/

ma poi ad un invitante sorriso

concede proroghe e perdono.

Il mare avido borbotta

non comprende il torto

e con onde a risucchio/

suicide a scogli/

recita la parte dell’offeso.

Tempesta d’ogni fattura

coinvolge cielo mare e terra/

vortice dell’abisso

per fragile rivalsa.

Creature di ogni dio

trepidano

alla complice forza di natura

cieca sfuriata del tempo.

Il sole secondino agli uomini

nega o schiude la luce

feconda o carestia di sudore

ai loro destini.

Respiri di vita/

compendio di silenzi e sussulti/

svuotano e serrano

sogni nel cassetto

con forza di palmo racchiuso.

Per qualcuno

il gesto è disperante rinuncia/

maledizione alla sorte/

cupo deserto dell’anima

che sprofonda

nel vortice di sabbia rovente

e della sua polvere/

lenta agonia di morti silenzi.

[ Torna all' Indice ]
   

L’albero della vita

Paese

orgoglio di stirpe sannita

ribelle al giogo e alla soma

imbrigliavi cavalli da guerra

e guardavi con occhi di sfida

nel sole.

Guascone di niente

disarmato da tempo

ora vanti le glorie perdute.

Ti difendi con forza di gola

e denti di carie. Ma la tua voce

è sorda convenienza.

 

 Divorato dalla ruggine

malizia di compromesso

arruoli truppe di diserzione

con casacca di partito/

corazza d’ammaccature

e di chissà quante macchie.

 

Cerchi

di scuoterti dal sonno

mostro imbelle

e ti consumi nell’oppio e nell’alcool

che ti lega docile prigioniero

al solito piatto di lupini.

Altro pane di tessera contro il digiuno.

 

Paese

mostri corpo dolente

ali tagliate, ferite profonde

mai guarite e recenti

osso spolpato, circuiti di vene

scheletro deforme.

Cariatide di storia e presente.

 

Vivo all’indifferenza e alla noia

morto al discorso/ al disappunto.

Stancamente ti conti nelle preferenze

e la differenza/ legge dei numeri

spesso unica legge/

gabella novità, arbitri e regole.

 

Cani e padroni si godono

il premio delle tue fatiche.

Varietà di morsi.

Paese! Vecchio di memorie

nuovo di malasorte.

[ Torna all' Indice ]
   

Commiato

Cosciente

con gli anni contati a metà

se il tempo non vorrà stancarsi

prima

ho respiro a singhiozzo

che fa sussultare a tamburo

il ritmo di vena.

Cadenza di soldato

fastidio di marcia

insolente a comando e fatica

porto una fiaccola accesa

penitenza di mia religione

bestemmia di mia libertà.

 

Forza di vento

non mi sciaccia nel buio

ma scotta le mani

treccia di fune e di fumo

che s’incurva alla vampa

e si consuma in colate di pece.

 

Ancora la mano

stringe sicura/ morsa di vita/

l’avido testimone

prima di cedere ad altro

il sogno, l’illusione ribelle

e la voce.

[ Torna all' Indice ]