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POESIE INEDITE

Dintorni

Orizzonte

Rocco e i suoi fratelli


Dintorni

Queste vie
pietre slavate 
lastrico di cunei/difforme/ 
contano coppi penduli 
davanzali con vasi spiantati 
di gerani e basilico morti all'incuria 
usci sprangati/malati di tarli e ruggine/
trionfo d'erba selvatica. 
Queste vie 
fisse al silenzio 
vuote nell'abbandono domestico 
costretto o indifferente 
dalle scelte degli anni 
sono piste di cani 
che unghiano soli lenti distratti 
o latrano a minaccia 
dietro femmine in calore. 
Queste vie 
rintronano al rumore dei passi 
ed esaltano il tanfo 
del chiuso/del perso 
che fissa il tempo nell'antico.
Per queste vie 
il silenzio è padrone 
è parola disperata 
ripetuta a se stessi 
ad ogni chiarore del giorno 
per chi parla da solo.
E di notte/ scruta e maledice 
pentimenti di scorciatoia 
per farsi coraggio 
quando ogni ombra 
spirito vagante mette 
paura come anima persa 
per chi ha già meritato l'Inferno.
Tra queste vie 
abbiamo contato gli anni 
spighe di ogni stagione 
mentre la falce orienta denti aguzzi di lima 
giù, tra stoppie più corte, 
verso la terra profonda.
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Orizzonte

Qui
le uniche verità che conti 
in un Vangelo di stanca parola 
sono nascere e morire. 
Fa meraviglia 
il silenzio degli anni 
tempo inghiottito dal tempo 
che riempie l'enorme vuoto 
di stesse cose ripetute 
tristemente a noia. 
Da qui si parte 
non si arriva 
e l'orizzonte è un punto fisso 
a volte molto lontano 
ma pur esso un limite. 
Qui 
con un dito segni 
punti bianchi di case 
e filari di paesi assorti nel nulla 
con uguali maledette realtà, 
mentre invochi altro uguale, 
perché i cancelli sono grate di ferro 
che lasciano guardare all'infinito 
e non evadere, per andare oltre. 
Sul monte, esilio da scontare in patria, 
con anelli di ferro di cronica indifferenza 
di perpetuanti regimi 
accettiamo la sfida dei venti 
e sappiamo maledire o invocare 
la pioggia 
per liberarci nel sole. 
Qui 
ognuno è un margine d'umanità 
che si contenta di girare 
a vuoto con fisso cammino 
nei suoi confini.
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Rocco e i suoi fratelli
(Nel 50° anniversario della morte di Scotellaro)

Il bisnonno materno
con l’unico figlio maschio
terragni d’Irpinia, quella alta 
la più montagnosa 
non fecero guerra ai pellerossa 
ma rimpatriarono dall’America 
con un winchester a cani interni. 
Ecco perché mio nonno 
fu abile cecchino 
nella Grande Guerra 
e portò a casa salva la pelle. 
Il nonno ripercorse l’Oceano 
sulla motonave 
e guadagnò le “pezze” necessarie 
per comprare la terra 
e diventar massaro. 
Grande passo sociale il suo 
da colono a padrone. 
Nelle notti di luna 
convinceva il genero/mio padre 
a seguirlo, a cercare tracce. 
Caricato a palla il winchester 
si appostavano per ore in silenzio 
per cacciare la volpe. 
Nessuna cavalcata 
né strepito di corni 
divertimento di case reali. 
Quando la mira 
non faceva cilecca 
la volpe stramazzava 
arrossando il manto di zolle 
o visibilmente la coperta di neve. 
Svuotate le interiora 
con fare macellaio 
per disperdere il tanfo canino 
la volpe impagliata/totem imbalsamato 
faceva la processione per le contrade 
ricca questua di uova e galline. 
Piccolo obolo a ogni danno possibile 
contro le razzie di pollaio. 
Ah! il fiato contadino 
alito divino sulla creta 
indurita creta per anni 
prima di mutarsi in carne. 
Oggi è fiato che più non geme 
alle gelate, ai piedi scalzi 
- zoccoli di legno/scarpe di copertone – 
alle carestie, alle morie – in famiglia morte 
più grave d’un parente, bocca da sfamare – 
quando l’animale sfamava tante bocche. 
Era questo il tempo/potere della volpe. 
Oggi la volpe è l’avido potere 
si acquatta arraffa e scanna 
e disperde pure le penne
nel nome di un dio senza nome.
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