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Hanno detto..

Fuori moda

C'e qualcuno che si picca, pover'uomo o poveraccia - perciò non sarebbe legittimato a parlare e quindi ad essere ascoltato - nel ribadire che la poesia sia "qualcosa" fuori moda. Possiamo dismettere un abito, un' auto, un sofà non l'anima. Naturalmente per chi ce l'ha. Chi è morto allo spirito ha poco o nulla da dire. E' uno sclerotico.
Mummie e corpi imbalsamati non fanno storia; sono reperti e campioni museali, non diversamente qualificabili.
In una società agonizzante tra fiction, soap-opera, reality-show, che hanno imbastardito cultura e conoscenza, subornato l'uomo a puro consumatore, la poesia non è semplice peregrina ma una reclusa che reclama libertà giustizia e verità. E sappiamo quanto ci sia di vero dentro, oltre le parole.
Ma in questo diluvio di idiozie, assurte a valori e modelli di vita, ci assiste l'editoriale di Eugenio Scalfari pubblicato su "la Repubblica" dell'8 febbraio scorso:" Di pensiero in pensier di monte in monte". Poesia prossima ad una nuova rivoluzione perché "questo deposito culturale ormai quasi clandestino ha cominciato a lievitare".
La poesia è l'elemento fondante di ogni civiltà.... - scrive Scalfari - La poesia è stato l'elemento costitutivo dell'Occidente e con essa il mito, il sentimento religioso, il pensiero filosofico, la fantasia artistica". Da essa si parte e ad essa si arriva. Questa la sua straordinaria energia.
La forza della poesia - ecco la sua essenza - travalica il tempo, il silenzio, le ombre ed ha la forza di recuperare pensieri e rendere corporei gli uomini.
Oltre i giochi di traslato e le figure retoriche che sono espressione di gusto e di capacità letteraria - unicuique suum - c'è un insieme di accadimenti, immagini, vita sociale, aspirazioni, sogni. Un insieme di coinvolgimenti che si integrano, si sommano, si sovrappongono.
L'uso della parola e il suo intreccio ci differenziano, ma il significato è lo stesso. Parole di amore, di delusione, di amarezza, di sdegno. Parole vive di speranze e stanche di attese, parole garanti di un patto. Parole verbo di umanità e in qualcuno di noi di cristianità.
Poesia come identità e militanza. Un discorso indefinibile che diversifica chi sceglie ed ama o odia il reale, e lo fa nel nome dei sentimenti. Insieme di percezioni, armatura contro il fatuo, l'effimero, l'intrigante, il subdolo, l'ipocrisia.
Vivendo in Irpinia abbiamo scelto di scrivere una poesia per il Sud. Una scrittura non maledetta ma una poesia contro la maledizione. Irpini e meridionali, nel tempo: cafoni, emigrati, disoccupati; nel tempo malati di vecchie e nuove povertà. Ribelli e coscienti anche in questa fase di post-industrialismo con alcune libertà conquistate ed altre da conquistare.
Ecco allora prendere corpo un meridionalismo poetico o impoetico - ognuno ne fa la lettura che vuole - ma non querulo e rassegnato; il meridionalismo delle idee, della ragione, della passione civile e dell'amore sociale. Poesia come coscienza - non solo come anima ma proprio cum scientia ovvero conoscenza e quindi comprensione - capace di ogni atteggiamento fino alla protesta. Poesia che sa scarnificare le incrostazioni, il putridume, le complicità, l'indolenza. Ma anche randello e bastone. Coraggio e forse anche incoscienza di sfida, non ci fanno difetto.
Alla smania di un serto, abbiamo sempre preferito il cardo e l'ortica, abbiamo ritenuto essenziale la comprensione della nostra gente, essere una sola voce con essa. E, senza, essere voce e basta (rifiutando il comodo ma inflazionato detto che preoccupa meno un poeta senza pubblico anziché un pubblico senza poeti).
Ci spiace ma qui da noi c'è tanto immobilismo. Non solo mancano istanze complessive di rinnovamento ma soffre anche la letteratura, e, per dirla con Vittorio Bodini c'è poca attenzione alla poesia sociale del Mezzogiorno.
Gli stessi intellettuali sono vittime della visione estetica; si soffermano sul bel pezzo, sulle "parole colorate" e non anche sulla loro eticità; abboccano all'amo della cultura ufficiale o sono maltolleranti, per ritenersi depositari del sapere o espressione di consorterie o mortificati dal conformismo, o per piccinerie che sono il male peggiore.
Ai "tre legati ereditari" - scriveva Giustino Fortunato - a proposito di frane, alluvioni e terremoti si sono aggiunti altri guasti e sciagure. Rigurgiti di terra avara ed amara. Ma anche rigurgiti di uomini "notabili di ieri, potenti di oggi".
Forse non abbiamo più case con muri scalcinati, ma abbiamo crepe nel sistema sociale, nella politica che è diventata una grande allarmante confusione. Politica che un tempo era matrigna da Roma in giù. Ora i confini si sono dilatati all'estremo Nord fino al razzismo, sinonimo di ogni schifo umano.
Davanti a questo coacervo di provocazioni, guasti e mancata giustizia c'è rabbia. C'è risposta. Indignatio facit versus.
"In fondo - scriveva Franco Compasso, credo tra i primi a credere nel legame poesia-Mezzogiorno - la poesia, quando non è il compiacimento individuale ed estetizzante di una visione, di un sogno, di un amore e cioè di un amore esterno e spesso astratto - è sempre una denuncia sociale, un impegno civile di lotta, un inno di protesta, una ricerca di libertà e di verità". Crediamo di dovergli molto e lo facciamo pubblicamente. Un motivo in più per ricordarlo ora che non c'è più.
Il male non va combattuto con i sortilegi, con le fughe nell'illusione ma con il ragionamento e talvolta anche con lo scontro. La poesia ha urgenza di essere gente, piazza, certezza del diritto. Orizzonte.

ALTIRPINIA 15 aprile 2004          Giuseppe Iuliano

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