POETA DEL COLORE

Sarà piuttosto difficile affrontare criticamente l'arte del Novecento. Il secolo degli ismi ha visto rivoluzioni e involuzioni d'ogni genere; ha accettato tutto e tutto ha messo fuori gioco in breve tempo, come un bambino capriccioso fra i suoi giocattoli.

Per il momento la guida più sicura è l'istinto. L'artista si riconosce dal mestierante e dall'azzeccagarbugli per un insieme di sensazioni. Anche se non c'è un ufficio pesi e misure, c'è un aspetto fondamentale: la comunicazione.

Il quadro deve darci o dirci qualcosa. Se ci lascia spettatori indifferenti, dipende quasi sempre dall'autore.

Mauro Gliori può affrontare tranquillamente la "prova del pubblico", come la chiamava Vittorio G. Rossi. E di recente la mostra di Pietrasanta lo ha dimostrato. C'era una casa rossa, uno di quei cascinali squadrati della campagna toscana che trovano dignità in un lascito di romanico.

C'erano campi imbionditi di grano sotto cieli plumbei; una marina grigia, in attesa di tempesta: barche e pattini in secca; altre case coloniche, altre vie polverose, che dividono campi arati o vigne allineate. E c'erano cipressi, come punti esclamativi per lo stupore di un'alba o di un tramonto.

Erano i suoi "Spazi e Colori", colti in uno spicchio di terra bellissima, dipinti con una sorta di innamorato primitivismo, ricco di suggestioni e di intenti.

Gliori è versiliese, vissuto tra il Tirreno e le colline ai piedi delle Apuane. E' medico. E la sua limpida poesia si colloca in un contesto d'arte antica e moderna. Pietrasanta è stata - e speriamo torni ad essere - la patria della lavorazione artistica del marmo. Lungo le sue strade lastricate, da antico borgo medioevale, si sentono parlare tante lingue. Sono gli artisti di tutto il mondo, che vengono a lavorare nei laboratori, bianchi come forni di panettieri, o nelle fonderie lampeggianti di colate.

Ed è storia lunga.

Gliori vive e lavora a Valdicastello, a pochi passi dalla casa dove nel 1835 nacque Giosue Carducci. Il suo studio è in basso, ma illuminato dall'alto; i suoi colori sono squillanti, come suoni di chiarine.

 

Raffaello Bertoli

 

 

TOSCANITA'

Nei suoi quadri la presenza dell'Uomo è traslata nelle cose: ci sono ponti, strade, case; ci sono barche in secca e cabine allineate su spiagge solitarie.

I protagonisti delle sue favole bucoliche sono i cipressi, spilungoni svettanti, con abiti verdi e marroni, e nidi di rosignoli come diademi. I fiori di Mauro Gliori sono per lo più rosolacci, papaveri, girasoli. Il loro contenitore è l'azzurro del cielo, sono le atmosfere, trasognate e nostalgiche, e la toscanità silenziosa delle campagne.

Toscanità è il tema della mostra. Ma non è la Toscanità più comune: il paesaggio mosso, commosso e variegato, il paesaggio di Giotto e dei macchiaioli; non sono l'arguzia, la saccenteria, l'ironia dei toscani o la "c" aspirata dei fiorentini. I versiliesi, ad esempio, sono intelligenti, ironici al limite della malignità, hanno buon senso, ma anche presunzione, e sono quasi sempre malevoli fra loro.

La toscanità di Mauro Gliori è l'inesausta fantasia della natura toscana, nella fattispecie della sua Versilia, che passa dal mare ai monti, attraverso il tappeto lavorato dei campi e l arazzo ondeggiante delle pinete e delle pioppete. Ed è il senso segreto della Storia. Il passato della Toscana è sul groppone dei toscani e non ha mai conosciuto la decadenza: è fermo al Rinascimento e le campagne toscane hanno architetture contadine solenni, come lasciti di Romanico.

Mauro Gliori ha cominciato a dipingere con la semplicità di un fanciullo che fa, coi dadi, casupole e torrioni; poi è passato ad intarsiare puzzle di colori, di ritmi, di trasparenze fluttuanti. E finalmente ha deciso di essere pittore. E lo è. L'ho seguito sin dai primi passi fino a questa mostra impegnativa e suadente. Credo di essere stato io a consegnargli il primo importante riconoscimento.

Ero allora presidente della giuria di un noto premio di arti figurative e credo di essere stato io a " prescrivergli" tassativamente di essere pittore.

Uso il verbo "prescrivere", perché di solito è lui che prescrive agli altri ….anzi alle altre, visto che è ginecologo all'Ospedale Unico della Versilia.

Oltre ai cipressi che in Toscana non sono alberi tristi e cimiteriali (basta pensare ai "cipressi alti e schietti" che vanno da Bolgheri a San Guido), ci sono "marine" assolate o crepuscolari, "notturni" di luna piena, campi di papaveri, barche sulla battima, querce solitarie, cascinali silenti; e ci sono infine alcuni ottimi quadri di atmosfera: una mareggiata, l'inizio di un tramonto, un tramonto estenuato….

Una pittura nel solco fertile della figuratività, una pittura ricca di colore, levigata, con una sorta di sacralità popolare con la poesia umile e schietta degli ex voto. E, tutto sommato, è più affinata di quel che appare al primo impatto. Gliori non ha disatteso le ricerche dell'arte contemporanea. Neppure Astrattismo e Informale, anche se non ha accolto la loro volontaria incomunicabilità.

Dietro le ricerche del Novecento, tuttavia, ha tenuto in evidenza la grande lezione della classicità, avvicinandosi magari più ai primitivi che ai manieristi.

Ma in tutto e su tutto splendono il senso della libertà, che prerogativa della terra di Versilia, il gusto della linearità: il rigo rosato della sabbia, il rigo blu del mare, il rigo chiaro del cielo; il misticismo laico d'alberi, arbusti ed erbe, argentati e impreziositi dalle rugiade, come il Bambino dell'Ara Coeli lo è dai girelli della devozione.

 

Raffaello Bertoli