MAURO GLIORI, DIALOGO CON LA NATURA

Mauro Gliori mi ha garbatamente chiesto un pensiero, qualche riga a supporto e a descrizione delle sue tele di cui giustamente l'amico Dino Carlesi, ha evidenziato sia "qualcosa di più della semplice confessione privata", sia "un gusto particolare del racconto visivo".

Di là dai tempi in cui Pietrasanta si presentava in modo assai diverso dal vivere un po' caotico dell'oggi (ora è animata e colorata da una miriade di artisti e da presunti tali, che affollano un palcoscenico divenuto un crocevia di idee e di linguaggi), Mauro Gliori lo "rivedo" in un gruppo di ragazzetti - a Tonfano - in quello che rappresentava, allora, uno degli spazi più belli, naturalisticamente parlando, posto verso monte, prima del vialone a mare, ai cui lati facevano bella mostra di sé gli stabilimenti balneari oltre le cui coloriture intervallate dalle tamerici e dalle dune a spicchi morbidi, si intravedeva la striscia azzurra del Tirreno.

Da una parte dunque il mare, e dall'altra ecco un altro 'mare' di verde, quasi un Eden, che lui, come Carlo Mangani e Paolo Acci, conoscevamo molto bene: il nostro "piccolo mondo" ruotava attorno ad una delle poche costruzioni d'allora detta "Il Leccio Grosso", l'antico fosso del Tonfano, dove troneggiava ancora il moncone di un vecchio ponte, e l'abitazione del babbo di Paolo Acci, Giovanni, pittore, che specialmente io, forse nel segno premonitore del percorso che poi ho scelto, osservavo talvolta da lontano. Giovanni Acci dipingeva dei quadri luminosissimi: ce n'erano certi anche con cespugli rossi, e là in fondo, ancora lui, il mare.

Ricordi…..

Poi ci siamo persi, ritrovati in età maggiore, e da adulti - dopo anni - Gliori ha cominciato a farmi vedere i " suoi" quadri.

Le righe di prima le ho scritte perché ho la certezza che niente viene dal caso. Il collegamento con il passato, intenso o meno che sia, c'è sempre, ed ecco che oggi, guardandone i quadri, non vi leggo solo ed unicamente lo Gliori pittore, appassionato per un discorso creativo, dove emerge perentoriamente un'autonoma linea estetica, ma anche, - lo affermo - quella sorta di memoria antica di cui Carlesi fa cenno in uno scritto del Gennaio 2001, dove testualmente dice: "…quasi una memoria antica se ne stia celata tra mille visioni e via via riappaio come un'emozione mai rimossa".

Non c'è alcun dubbio: quella che una volta era denominata la 'macchia di Marina', tra Forte dei Marmi e Le Focette, a Marina di Pietrasanta, ha avuto e per certi versi ancora possiede, un'infinità di "innamorati ad oltranza" (cioè i pittori), dove, appunto, oltre al già citato Acci, il tempo ha stilato un elenco lunghissimo di nomi noti o meno: Achille Funi, Franco Mozzo, Carlo Carrà, Ernesto Thayaht, Liliana Marsili, Marcello Tommasi, Romano Cosci, Piero Cantini, Pietro Annigoni, Silio Terigi, Luca Arrighini, Vittorio Culatelli….

Un ambiente dal quale Mauro Gliori trae spunti per una parte dei quadri che - nella quasi totalità - affrontano e risolvono una tematica di paesaggio. A volte sono angoli del territorio pietrasantese ad infoltirne le tele, e nascono così i balconi fioriti della Rocca, la Piazza del Duomo, la Pieve di Santa Felicita a Valdicastello; si tratta di un insieme più raccontato e descritto, che interpretato, tuttavia è soprattutto la luce del cielo a racchiudere agevolmente le emozioni fermate nella danza di azzurri, di gialli e d'altri colori, che assommano un tutto mai statico pregno di fluente lirismo.

La sua è una pittura semplice e gioiosa, che riflette in pieno una personalità più complessa di quanto si possa constatare a prima vista, e lo stesso abbinamento con poesie di Giosuè Carducci e di Umberto Saba, di Giovanni Pascoli e di Guido Gozzano - tanto per fare alcuni nomi - non è davvero un puro esercizio di autocelebrazione indiretta, qualche volta riscontrabile nell'ambiente artistico.culturale, ma sono una collocazione ben precisa per rinforzare positivamente la propria idea di bellezza e di armonia. E' come voler sussurrare - dipingendo l'identità di un tramonto o la solitudine di un grande albero o la gaiezza di un prato in fiore - il correre delle stagioni che, in fondo, assommano la vita dell'uomo. La felicità del suo dipingere, è dunque ritmata dagli spazi dove aggrega (in qualche caso in modo accentuato) la verticalità di cipressi carducciani, mari e cieli cangianti di Versilia, case aggrappate a colline olivate e, in democratica unione, una barca, un ombrellone, il fiorire di un pesco e il grande abbraccio di una siepe libera….

Dipinge con amore, quasi con voluttà, e quando parla delle sue creazioni, le riempie ancor più di vita, come se fossero persone.

Dato che faccio il critico d'arte, spesso mi si chiede di un pittore o d' uno scultore, se sia "bravo" e se abbia "valore". Talvolta la domanda mi è rivolta da persone che fanno confusione nel significato dei termini stessi, e magari riescono a vedere bella una pittura o altro, perché chi l'ha fatta è famoso, o potente.

La nostra è una collettività che corre, corre troppo in fretta, e spesso non sa più apprezzare un'alba, vedere un fiore, andare nel fondo delle cose e delle situazioni….

E allora, cercando di ricucire lo strappo in questi miei appunti e tornando nell'alveo in cui ho iniziato questo discorso su Mauro Gliori, vorrei che il giudizio su di lui lo desse il pubblico. Un pubblico attento, però. Un pubblico che non lo vedesse dalle mostre più o meno numerose che ha fatto, o dall'importanza di chi su di lui ha scritto o dai premi che ha avuto. Ma che sapesse entrare nel suo "io", carpendo per un attimo la terminologia che in modo onestissimo egli ha saputo portare in essere.

Mauro Gliori dipinge quando può, sia a casa, sia all'aperto, e quando non gli è possibile, nei momenti liberi connessi alla sua professione di medico, prende appunti grafici e scatta fotografie, memorizzando "il momento".

Non parlerei in termini diversi, che non siano vicini al suo attaccamento alla natura. Direi poi che egli è contento di ciò che fa, e che dopo un successo - o una critica negativa -, va avanti e si impegna, cerca cioè di esprimersi al meglio dando tutto se stesso per fermare la gioia che gli dà la serenità di un lago, o la dolcezza collinare vista da un'autostrada….

"Arrivò in un pezzo di spiaggia solitaria, ondulata da piccole dune, con agavi, sprocchi e tamerici (…). Solo in lontananza si vedevano tende, tirate come vele, capanne di paglia, barche a riva": è uno scritto di Bertoli, che può bene essere accostato, nel motivo, ad una delle tele di Gliori ha realizzato proprio di recente. Tele, acquerelli su carta, cui tiene quasi fuori di misura, come ho già accennato, giacché rappresentano parte di sé, come certe grafiche, ben a ricordare le parole di uno dei maggiori artisti che la Versilia abbia avuto, Franco Mozzo: "Disegnare è comunicare e ognuno deve usare le sue parole".

Il dialogo con la natura è incessante, in Mauro Gliori, vestito com'è di una tavolozza dove le solitudini lunghe sono in connubio con la lontananza del paesetto con il campanile abbracciato da velature giallognole ed azzurrine, e poi ci sono due cipressi, le Apuane forti e decise, la distesa acquea del movimento ondoso.

Tutto per lui è importante. La vita è importante, come la solitudine riflessiva… ed oggi con i suoi quadri "vestiti di natura", si presenta a noi con un gruppo di opere tra "realtà e memoria".

Osserviamole insieme, con attenzione.

 

Lodovico Gierut