UN SUCCESSO EDITORIALE: LA GRAMMATICA EBRAICA DI DORON MITTLER

Scusi, parla ivrìt?

 

Tra le indicazioni culturali dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, come del resto avviene da parte di tutta la diaspora, c’è quella della volontà di diffondere capillarmente l’uso della lingua ebraica, sempre più giovani dovrebbero essere coinvolti nello studio dell’ebraico moderno, perché gli ebrei di tutto il mondo abbiano la possibilità di comunicare tra loro e con gli israeliani nella lingua della propria tradizione. "È vergognoso che a un simposio sulla letteratura israeliana, organizzato da eminenti studiosi ebrei in Europa, la lingua ufficiale sia l’inglese", ha dichiarato A. B. Yehoshua durante un recente viaggio nel vecchio continente. Ma oggi c’è uno strumento in più per avvicinarsi allo studio dell’ebraico: si tratta di una grammatica in italiano che si sta rivelando un sorprendente successo editoriale, anche in testa alle vendite alla libreria Claudiana, punto di riferimento milanese di Judaica, dove, il 15 gennaio, è stata presentata al pubblico.

La tradizione ebraica

"Cos’è la tradizione ebraica, se non un viaggio all’interno della lingua?". Così scrive Elie Wiesel nelle sue Sei riflessioni sul Talmud (Bompiani, Milano 2000). E molti maestri sarebbero d’accordo con lui. Basti citare il caso del Sefer yetzira, il Libro della creazione, che alcuni fanno risalire al VI sec. dell’era volgare e altri al III, dove appare già la distinzione delle gutturali, delle labiali, e così via, "e così l’intera creazione e l’intero linguaggio scaturiscono da un’unica combinazione di lettere". Oppure si pensi alla concezione di Nachmanide, secondo la quale tutta la Torà non è altro che un processo di amplificazione e di estensione portata all’estremo di una sola parola, il Nome di Dio, o alla "filologia creativa" della quale parlano David Banon e Stemberger a proposito del midrash. Sull’importanza della conoscenza della lingua e sulla sua centralità all’interno della Tradizione non vi è insomma dubbio alcuno. "La grammatica fu il rimedio proposto per le scorrettezze che minacciavano di alterare la parola di Dio", scrivevano i grammatici arabi nel Medio Evo.

Per questo gli strumenti che aiutano a conoscere la lingua ebraica rivestono un significato particolare. Ma accanto a questo motivo ve ne sono altri: l’ebraico, da quando è tornato a essere la lingua della comunicazione quotidiana e dello stato di Israele, ha avuto uno sviluppo stupefacente.

La Grammatica ebraica di Doron Mittler offre un semplice testo di consultazione in italiano, per tutti coloro che studiano l’ebraico moderno col metodo dell’ulpan, ma anche per coloro che, avendo studiato l’ebraico biblico, vogliano rendersi conto di quanto la grammatica di quest’ultimo sia essenzialmente la stessa della lingua parlata oggi in Israele. In particolare gli studenti di ebraico moderno hanno assolutamente bisogno di un testo dove le regole grammaticali vengono presentate in modo chiaro, perché il metodo ulpanistico, dando la priorità alla necessità immediata di comunicare, spesso fa sì che gli studenti difficilmente acquisiscano una visione generale di tutta la grammatica, o meglio, della struttura della lingua. In effetti, soprattutto noi di madre-lingua italiana, solo studiando la grammatica, o meglio, capendola, riusciremo a vedere nella struttura della grammatica ebraica una costruzione geometrica, organizzata e chiara, un disegno incantevole, dove le eccezioni sono ridotte e dove il concetto di radice, che all’inizio spaventa, in realtà fornisce la chiave di accesso a questo disegno.

Ecco la composizione del libro: i primi due capitoli sono dedicati alla fonetica; quelli dal 3 al 9 sono dedicati alla morfologia. Tra questi è particolarmente significativo il cap. 4, dedicato a un argomento che in genere non viene trattato in modo esteso nelle grammatiche: quello dei mishkalim, cioè delle "forme nominali", che qui vengono indicate come "parole lessicali". È qui, come anche nei capitoli che seguono, che ci vengono spiegati quelli che sono i sistemi in base ai quali si formano le parole ebraiche, sistemi tali che, volendo, noi stessi arriviamo a essere in grado di inventarne alcune, per scoprire magari che esistono davvero. Utilissimo è anche il cap. 8, dedicato alle preposizioni. Qui vengono indicati uso e significato di ogni preposizione, che in ebraico è molto diverso da quello dell’italiano: infatti le preposizioni dell’ebraico hanno significati molto ampi e possono apparire ambigui, come già aveva lamentato Spinoza nel suo Trattato teologico-politico.

Il cap. 9 è quello dedicato ai verbi, e qui va notato che oltre ai famosi binyianim o "palazzi" e alla descrizione delle caratteristiche del verbo ebraico, viene presentato anche il waw hahippukh, che in genere viene considerato un elemento presente solo nell’ebraico biblico e per la maggior parte dei parlanti dell’ebraico moderno è un fenomeno sconosciuto, o nel migliore dei casi strano. Così vengono spiegate altre particolarità dell’ebraico antico, anche se appaiono solo raramente nell’ebraico moderno. Si veda l’infinito assoluto (pp. 153-155). Sempre in questo capitolo sono riportate anche le forme nominali derivate dai verbi, che ritengo molto utili. Il capitolo 10 introduce alla sintassi, mentre l’undicesimo fornisce esercizi con le chiavi per le correzioni.

Segnalo infine la appendice B, dedicata alla scriptio plena, all’uso cioè diffuso nella scrittura dell’ebraico moderno di utilizzare il più possibile waw e yod per aiutarsi nell’identificazione delle vocali, visto che libri e giornali vengono stampati senza i segni vocalici, i famosi "puntini". Questa è in breve la descrizione di questa grammatica, uno strumento valido e importante per coloro che amano la lingua ebraica. Nel frattempo, siamo in attesa della prossima fatica di Doron Mittler, un dizionario di ebraico moderno. Speriamo che il successo di questa grammatica sia di incoraggiamento a completare l’opera.

Claudia Rosenzweig