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Domenica 4 Febbraio 2001 religioni_societa d ---pageno---32
L’ebraico impossibile di Goethe
diGiulioBusi
Maestro di Goethe fu in questo caso un tipo
eccentrico, in tonaca e parrucca, le cui lezioni — pronunciate in modo
«sgradevole e incomprensibile» — erano spesso interrotte da colpi di
tosse o da scoppi di riso, che scuotevano tutto il corpo. Fu pertanto
con molta cautela che Goethe, ancora adolescente, gli espresse il
desiderio di imparare la lingua ebraica, tacendogli tuttavia il proprio
interesse per lo yiddish e accampando un più ragionevole intento di
comprendere meglio i testi sacri. Nonostante l’atteggiamento poco
incoraggiante del maestro, che insisteva sulle difficoltà di penetrare
oltre la superficie della lingua, Goethe tentò di addentrarsi nei
segreti dell’ebraico. Come egli stesso racconta, appena superato lo
scoglio iniziale dell’alfabeto si trovò però di fronte a «una schiera di
nuove piccole lettere e segni, a puntolini e righette di tutti i tipi,
spuntati all’improvviso, che avrebbero dovuto rappresentare le vocali»,
e che suscitarono il suo stupore, tanto più in quanto «già nell’alfabeto
si trovavano chiaramente alcune vocali, mentre queste altre parevano
essere nascoste sotto denominazioni strane». Goethe non dovette
procedere molto oltre nello studio, sebbene grazie alla guida
dell’insolito maestro fosse giunto a poter leggere un poco la Sacra
Scrittura e quindi a intuire nell’originale il tono austero della poesia
biblica.
Il senso di smarrimento provato da Goethe davanti alle
difficoltà dell’ebraico, che si annunciano già nell’intrico dei segni
alfabetici, accompagna peraltro secoli di cultura occidentale. Se molti
furono coloro che desiderarono imparare la lingua sacra, attirati dal
richiamo di una sapienza antica e dalla promessa di un quasi
inesauribile deposito di ricchezze ermeneutiche, altrettanto numerosi
furono gli insuccessi, causati dalla singolare mescolanza di reticenze
espressive e di apparente eccesso di minuzie formali che
contraddistingue il complesso meccanismo dell’ebraico. Johann Georg
Hamann — nume dell’estetica preromantica e fonte d’ispirazione per
Goethe stesso — ne diede per esempio una definizione ironica, che ben
esprime lo statuto mitologico di una lingua a lungo vagheggiata e quasi
mai veramente raggiunta e compresa: «Si può dunque concludere — scrisse
Hamann — che la lingua ebraica è simile alla bestia dell’Apocalisse, che
è esistita ma non esiste, e che pur è».
Pochi furono gli
intellettuali europei che seppero davvero impadronirsene; alla maggior
parte degli aspiranti ebraisti non restò che ammettere sinceramente
l’insuccesso oppure millantare imprese fantastiche. Tra coloro che si
vantarono di progressi straordinari va annoverato Giovanni Pico della
Mirandola, che in una lettera all’amico Ficino proclamava, dopo un solo
mese di studio, di essere in grado di dettare una missiva in ebraico
«senza lode ma anche senza biasimo». Che tale abilità linguistica fosse
più immaginaria che reale è dimostrato dalle migliaia di pagine che Pico
si fece tradurre dall’ebraico in latino, poiché non era in grado di
leggere i testi cabbalistici che voleva usare per costruire la sua nuova
utopia filosofica.
È d’altra parte certo che un mese non può
bastare per imparare l’ebraico, e nemmeno due o tre. Ma, al di là della
durata dello studio, il problema consiste nell’individuare una strategia
ragionevole per approssimarsi a un dominio segnato da leggi culturali
fortemente connotate. Secoli di tradizione grammaticale hanno cercato di
aprire percorsi in questa struttura linguistica, che pare a volte
ostinarsi in inespugnabili polisemie e in ripetute trasgressioni della
norma. La lingua ebraica è infatti un congegno all’apparenza assai
semplice, che disobbedisce tuttavia spesso alle regole di una ordinata
evoluzione storica e procede per lunghi tratti solo per forza di
associazioni e vincoli sottintesi.
La nuova grammatica di Doron
Mittler si aggiunge ai pochi sussidi per lo studio della lingua ebraica
finora disponibili in italiano. Essa rappresenta un tentativo di
utilizzare la descrizione linguistica elaborata negli ultimi decenni in
Israele, proponendo un’immagine delle possibilità espressive
dell’ebraico tanto nelle sue origini bibliche quanto negli sviluppi
della moderna lingua parlata. Chi era abituato alla tradizionale
presentazione dell’ebraico secondo i criteri dell’analisi logica di
ascendenza latina resterà forse talvolta perplesso: maestri come quello
di Goethe sembrano però ormai del tutto fuori moda.
Doron
Mittler, «Grammatica ebraica», Zanichelli, Bologna 2000, pagg. 338, L.
48.000.
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