I DUE FARI DI MONTE GALLO
Preziosi beni di archeologia industriale

a cura di Pippo Lo Cascio

    IL MASSICCIO di monte Gallo, il promontorio che è diventato il più noto di tutta la Sicilia nord-occidentale attraverso le rappresentazioni pittoriche dei viaggiatori stranieri dell'800, assieme alla rocca di Cefalù ed al monte Pellegrino, nonché punta più avanzata nel mar Tirreno, ha sempre rappresentato a partire dalla protostoria e per tutte le popolazioni che si sono avvicendate nell'area palermitana, un punto strategico di vitale sicurezza per la città e per le attività economiche della Conca d'Oro. Sui luoghi più eminenti del rilievo con ottima visibilità, utilizzati come semplici postazioni dalle sentinelle di età punico-romana, bizantina e araba, vennero edificate in età medievale e rinascimentale stabili e robuste torri di guardia in muratura per il ricovero dei torrari e per l'invio delle segnalazioni ottiche con fani. In età moderna il monte Gallo non passò certamente inosservato agli ingegneri che progettarono l'edificazione di postazioni telegrafiche, di fari e di lanterne, edifici che garantivano la buona navigazione ai navigli in partenza ed in arrivo al porto di Palermo. In tempi a noi vicini gli strateghi militari della II Guerra Mondiale munirono la base del monte con decine di bunker, di casematte e di postazioni con mitragliatrici antiaeree al fine di bloccare eventuali invasioni di truppe alleate provenienti da nord. Qui però voglio parlarvi di due edifici militari ottocenteschi che caratterizzano inequivocabilmente Monte Gallo quasi a farne un tutt'uno, e perciò noti ad una grande moltitudine di Palermitani: il Faro che si trova in eminente posizione sulla cima più alta del monte ed il sottostante Semaforo, in prossimità del mare.

IL FARO

    In uno dei punti più strategici della costa settentrionale del Monte Gallo sorge il complesso del Faro, costituito da una torre cilindrica alta m 7,50 addossata ad un edificio tutto bianco, per meglio essere avvistato di giorno alla distanza di parecchie miglia per la sua inconfondibile forma e di notte per il suo rassicurante fascio di luce indicante la rotta ai piloti delle navi in avvicinamento. Il Faro, o Lanterna, come anticamente veniva denominata l'austera costruzione del 1854 posta nei pressi Malopasso, è rappresentato dalla torre con relativi servizi edificata sulla punta estrema del Capo. Si eleva in posizione strategica per m 40,5 s.l.m. ed è raggiungibile da Mondello percorrendo una sconnessa trazzera che si snoda per un paio di chilometri seguendo la linea di costa all'interno della località Marinella. Da quel punto in poi, in direzione occidentale verso la Punta Barcarello e Sferracavallo, l'unica via praticabile è un viottolo che s'interrompe bruscamente tra i massi del Malopasso sotto l'alta e dirupata falesia. L'ottocentesca costruzione, corrosa dalla salsedine e dai forti venti marini, ha rappresentato per quasi un secolo un'insostituibile punto di sicurezza e di riferimento per tutte le imbarcazioni che hanno battuto questi mari, essendo ben visibile sino ad una distanza di km 23. La stabilità è però minacciata da continue frane che si staccano dalle pareti poco compatte del promontorio e che rotolano pericolosamente sino al mare. Per proteggere l'edificio militare venne costruito alle sue spalle uno spesso muragliene in cemento armato allo scopo di arginare i massi. Destino più iniquo ebbe invece la sovrastante torre Mazzone di Gallo, edificio militare del XVI secolo, punto di osservazione dalla grande importanza strategica, i cui resti si rinvengono a poca distanza in linea d'aria. Tipologicamente, l'isolata Lanterna è una costruzione molto articolata con corpi di fabbrica che accerchiano la torre circolare principale ed i cui ambienti erano destinati ai tecnici ed agli ufficiali della Marina che si alternavano alla vigilanza del mare: uffici, camerette, cucina, servizi, magazzini e locali per il telegrafo. Nel cortile esterno nei pressi di alcuni alberi di fichi si trova un profondo pozzo per il fabbisogno di acqua potabile per tutta la comunità e per annaffiare l'orto. La zona limitrofa, battuta nei mesi invernali dai forti venti di maestrale, è caratterizzata da garighe di palma nana (Chamerops humilis), di ampelodesma (Ampelodesmos mauritanicus), di euforbia (Euphorbia dendroides) e del raro limonio (Limonium panormitanum), pianta endemica del comprensorio. È da ricordare nelle vicinanze dell'edificio, la grotta del Faro, una piccola cavità che si apre ai piedi del costone settentrionale, sondata dallo studioso Giovanni Mannino, che vi ha rinvenuto resti di pasti dell'uomo preistorico costituiti da patelle, ossa di animali e da utensili di selce lavorati ascrivibili al Paleolitico Superiore. Lungo la fascia marina, nella parte terminale degli scogli si può scorgere il trottoir a vermeti o "marciapiede" vegetale, una rarità biologica che bordeggia tutta la costa del promontorio.
    Oggi la Lanterna, abbandonata al suo destino ed i continui saccheggi delle attrezzature di segnalazioni e delle suppellettili, attende un pieno recupero per la creazione di una stazione di biologia marina come suggerito da numerosi studiosi, per condurre osservazioni scientifiche su uno dei tratti marini più integri della costa siciliana. Recentemente il ricercatore Gaetano Ginex ha prodotto un interessante studio architettonico mirante ad un confronto tipologico con altri fari dell' area mediterranea e di quelli siciliani in particolare. 

IL SEMAFORO

    Massiccia costruzione militare di fine Ottocento (1890) che si erge sulla cima del Monte Gallo, la cui luce era visibile alla considerevole distanza di 13 miglia marine (18 chilometri circa), in condizioni medie di trasparenza atmosferica per un osservatore posto a m 5 s.l.m. L'ipotesi che esso sia stato edificato sulle preesistenze di un'antica torre di guardia per le comunicazioni dei fani, è da escludere alla luce delle importanti scoperte compiute di recente sulle cime più elevate dello stesso monte di ben tre torri di avvistamento di XVI-XVII secolo, poste a guardia della sicurezza della Conca d'Oro e della città di Palermo. È possibile, invece, che le escavazioni per ricavarne cisterne per l'acqua e per le fondamenta, scoperte a centinaia nei punti strategici e
più alti dei monti della Sicilia occidentale, abbiano distrutto le tracce di una "fossa di segnalazione" di età punica. Per molti anni il Semaforo fu punto di riferimento primario della costa nord-occidentale palermitana, essendo posto in diretta comunicazione telegrafica oltre che col sottostante Faro di Capo Gallo, anche con le navi che apparivano alla sua ampia vista per guidarne la rotta con l'aiuto della postazione all'imboccatura del Molo Nord e da lì sino al porto di Palermo.
    Il semaforo si innalza per circa m 12 nel punto più alto del Piano dello Stinco (m 527 s.l.m.) ed è raggiungibile da una tortuosa trazzera che partendo da Partanna, località Catalano e La Barbera, si snoda alle pendici del Bauso Rosso, dopo aver attraversato un boschetto costituito da eucalipti e da pini.
L'edificio è a due elevazioni e si articola in una serie di ambienti spaziosi intercomunicanti tra loro e dislocati attorno ad una scala in muratura che conduce alle stanze del piano superiore, destinate ad accogliere in massima parte i servizi e gli ambienti per la notte. Interessanti le capienti cisterne per la raccolta delle acque piovane ancora oggi visibili all'esterno della fabbrica, scavate nella viva roccia e due affreschi su pareti che raffigurano due navi da guerra dell'ultimo conflitto bellico.
L'edificio, oggi non più in esercizio, ha nelle sue immediate vicinanze alcune strutture sparse tra le rocce affioranti dal pianoro, utilizzate un tempo dai militari come magazzini e polveriera durante l'ultima guerra.
    Edificato su una piccola falesia a strapiombo in località Mazzone, uno spettacolare e selvaggio anfiteatro roccioso, dall'edificio si gode un panorama inconsueto di tutta la costa trapanese, della Conca d'Oro e della costa marina orientale.
Data l'impervia e lunga strada per raggiungerlo sino al soprastante Piano dello Stinco, le maestranze addette al suo buon funzionamento rimanevano in isolamento anche per alcuni mesi l'anno, collegati però settimanalmente con Partanna da un mulattiere che con i suoi animali da soma penava loro la posta e le derrate alimentari. Abbandonata da anni ad ogni azione vandalica, la costruzione è oggi pervenuta in proprietà al Comune di Palermo che l'ha proposta come ossertvatorio bird watching per lo studio ed il censimento degli uccelli e per la raccolta di dati sul loro numero e sulle loro migrazioni.
Per saperne di più sull'archeologia industriale e sul percorso da essa compiuto sino ad oggi nel nostro Paese, chiediamo un approfondimento allo studioso doti. Emanuele Nicosia, che si dedica da anni con passione a tale disciplina:
Cos'è l'archeologia industriale?
"È una disciplina relativamente recente che si occupa dell'individuazione e della catalogazione, studio, restauro e possibile riutilizzo delle testimonianze fisiche dell'industrializzazione".
A quando si può far risalire la sua data di nascita?
"Nasce in Gran Bretagna all'inizio degli anni '50 e si diffonde gradualmente in tutti i paesi d'Europa, negli Stati Uniti, in Canada, senza tralasciare zone del Terzo e Quarto Mondo. Le "testimonianze" di cui si occupa 1' archeologia industriale sono molte e disparate: dalle ferrovie alle miniere, dalle fonderie ai mulini, ai cantieri e alle filande, non trascurando fornaci, centrali elettriche e telefoniche, impianti idraulici, gasometri, cartiere, ecc. con riguardo sia agli edifici che alle attrezzature. Rientrano nella tutela, in senso lato, anche gli archivi aziendali. La valenza dell'archeoindustria, come branca delle scienze dei beni culturali, è ufficialmente sancita fin dal 1975 con la Carta Europea del patrimonio architettonico adottata dal Consiglio d' Europa. Sulla stessa linea si sono poste poi la Convenzione europea di Granada del 1985 e le leggi-quadro italiane sui BB.CC. del 1997 e1998".
Qual è la realtà italiana?
"In Italia l'archeologia industriale ha fatto ingresso nel 1976 ed è oggi coltivata su tutto il territorio, dando luogo a moltissime iniziative (musei, mostre, libri, studi, recuperi); sono sorte anche delle cattedre universitarie e al Ministero per i Beni e le Attività culturali c'è un'apposita commissione permanente".
Cosa ci può dire dell'archeologia industriale in Sicilia?
"La nostra isola certamente non ha avuto un ruolo significativo nella creazione dell'industria pesante italiana ma non per questo è assente dal panorama archeo-industriale. Ci sono anzi dei luoghi e degli insiemi paesaggistico-architettonici assolutamente unici e tipici, come le miniere di zolfo, le saline, le tonnare. Vanno ricordati anche il villaggio operaio dei conciatori di Vizzini, le raffinerie dello zolfo a Catania, e grandi stabilimenti dismessi come la Chimica Arenella a Palermo. Attorno a queste memorie stanno sorgendo anche in Sicilia iniziative di recupero e valorizzazione. Ad esempio il museo dei mulini a Trapani, le "ciminiere" a Catania, i cantieri ex Ducrot a Palermo e va avanti l'ambizioso progetto del Parco Minerario in provincia di Enna".

 

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