Marisa Mandrioli

 

Burattini e Burattinai Bolognesi

Una precisazione

sugli errori più frequenti

 

Premessa

Qui di seguito sono riportate le correzioni agli errori riscontrati nei seguenti libri:

A. Cervellati, Storia dei burattini e burattinai bolognesi (Fagiolino & C.) prima edizione ottobre 1964; seconda edizione novembre 1974, Cappelli editore.

Burattini Marionette Pupi, a cura di Remo Melloni, Mostra di Palazzo Reale del 1980 - Silvana Editoriale.

Alessandra Litta Modignani, Dizionario bibliografico e bibliografia dei Burattini Marionette e Pupi della tradizione italiana (ediz. Clueb, Bologna 1985).

Prima di tutto vorrei presentarmi: mi chiamo Marisa Mandrioli e sono figlia unica del burattinaio Gualtiero Mandrioli, che ora viene definito "maestro burattinaio bolognese".

In questo libro ho voluto riportare alcune notizie riguardanti i burattinai bolognesi, quelli che ho conosciuto e quelli di cui ho sentito parlare nei racconti di mio padre.

Sono indignata e scandalizzata da tutto quello che ho letto, ciò che è stato scritto da persone incompetenti e spesso bugiarde e per questo, nel 2001, ho scritto la biografia di mio padre (Mio padre, Gualtiero Mandrioli, un grande Fagiolino).

Mi sono però accorta che non è sufficiente e ora, dalla mia indignazione prende spunto questo libro, nel quale vorrei sfatare o correggere tanti errori o fantasie che molte persone si sono prese la libertà di scrivere o di raccontare.

Anzitutto gli scrittori e i giornalisti: perché si sono permessi di parlare a vanvera di alcuni argomenti?

Perché non hanno fatto una ricerca accurata e seria sugli argomenti che concernono la vita delle persone?

Soprattutto quando gli eredi o altri parenti sono ancora in vita e possono dire come realmente sono andate le cose?

Non esiste più la serietà e la professionalità.

Io posso parlare solo delle cose che ho visto o saputo da fonte sicura, nel momento in cui accadevano e perciò tengo particolarmente a chiarire errori e inesattezze che sono state stampate persino su libri utilizzati come testi per fare tesi di laurea, per esempio per il DAMS.

Se si vuole parlare dei burattinai bolognesi prima bisogna interrogare chi è ancora vivente e poi fare ricerche accurate. Cominciamo a fare una ricerca dalle prime basi.

Io, devo dire la verità, mi ero rinchiusa in casa e dopo la morte di mio padre ho continuato soltanto a fare teatro con la mia filodrammatica, insegnando recitazione e comportamento scenico a ragazzi appassionati di teatro, e sempre gratuitamente.

Mi bastava che ci fosse, da parte loro, l’impegno di stare nella mia compagnia almeno due o tre anni, cioè due o tre stagioni teatrali, perché non potevo, almeno per quanto riguardava i protagonisti, cambiare personaggio ogni stagione; non si poteva, altrimenti, affrontare un testo impegnativo o una commedia musicale, e così, per quanto riguarda i burattini, avevo solo alcune notizie, qua e là, su mio cugino, Demetrio Presini e Romano Danielli, tutto sommato, persone che rispettavano il vecchio mestiere del vero burattinaio bolognese.

Per quanto riguardava i burattini, in quel periodo, l’unico contatto era con gli antiquari e i collezionisti, per i quali vestivo i burattini, dei quali loro possedevano solo alcune teste. Conobbi anche un parroco di montagna che, per divertimento, scolpiva il legno e fra l’altro anche burattini. Da quel momento cominciò un certo "giro" di appassionati che acquistavano le sue teste di legno, e io cucivo i vestiti, ma la cosa più importante fu il legame di amicizia con questo parroco che iniziò fin dal 1978.

Un giorno venne a trovarmi una persona che mi disse: "Ma sai che in un libro hanno scritto la data di nascita di suo padre e non la data di morte? Come se fosse ancora vivo". Mi scuso con l’autore ma la mia risposta fu "Che stupidi".

Credo fosse il 1980 e ancora io piangevo mio padre, scomparso nel 1974, e non mi interessai più di tanto della faccenda, ma in seguito ho scoperto diverse cose che mi hanno proprio fatto innervosire, diciamo così, e allora prima ho scritto la vita di mio padre e poi ho deciso di scrivere questo libro, nel quale, logicamente, parlerò solo di argomenti di cui sono sicura.

Tutto cominciò in modo strano. Un conoscente, per caso, mi parlò di un piccolo museo del burattino che era stato aperto a Budrio e quindi chiesi a mia figlia di accompagnarmi per visitarlo. Era il mese di maggio del 2001; andammo insieme a una nostra amica più per fare una passeggiata che per altro, anche perché quella persona mi aveva detto che c’era ben poco da vedere… ma non si intendeva certo di burattini o dell’arte del burattinaio (da non confondere con le marionette che sono un’altra cosa!) perché, quando arrivai al museo, mi accorsi che vi erano esposti pezzi pregiati e antichi.

Sul quaderno dei visitatori lasciai due righe di complimenti per chi aveva pensato e realizzato questo piccolo gioiello, ancora poco conosciuto, Vittorio Zanella e Rita Pasqualini. La signorina che custodiva il museo mi pregò di telefonare a Vittorio Zanella e continuò a insistere finché non mi convinse e… dopo quella telefonata è nata una calda amicizia con loro.

Vittorio è un vero artista del "teatro di figura" ma quello che mi piace, forse, di più in lui, è che è davvero uno studioso di questa arte, un ricercatore accanito delle radici e della verità.

Il suo lavoro spazia tra marionette, ombre cinesi, burattini ecc.; Vittorio è coadiuvato e ampiamente aiutato dalla moglie Rita che condivide con lui passione, amore e fatica di questo mestiere. Ma non voglio dilungarmi troppo, torniamo al discorso dei burattinai bolognesi che ho conosciuto, di Bologna, non della provincia o della regione Emilia-Romagna.

I burattinai, dopo Cuccoli e la sua famiglia, hanno lavorato nelle piazze di Bologna, per le intere stagioni estive che andavano dal 15 di maggio al 15 di settembre di ogni anno, ogni sera esibendosi con una commedia diversa.

Era questo il vero mestiere del burattinaio bolognese; i burattinai che giravano la provincia qua e là, soltanto la domenica o per le feste nazionali, a Bologna erano considerati "ambulanti", con tutto il rispetto, ben inteso, salvo poche compagnie che lo facevano per scelta, come si vedrà più avanti.

La nascita del "burattino" si perde nella notte dei tempi se così si può dire… Nessuno può affermare con certezza la nascita del primo burattino forse da un guanto con sopra una piccola testa o da una bambola rotta che una mamma o un nonno hanno animato per consolare un bambino.

Dalla "Commedia dell’Arte" sono nate le prime maschere importanti e si parla del 1400 o del 1500; ho discusso molti argomenti con Vittorio tra i quali, ad esempio, quello riguardo i materiali, l’ambientazione degli spettacoli con un cosiddetto "teatrino volante", cioè costruito lì per lì. Molti lo chiamano "baracca", per quanto riguarda il burattinaio bolognese la definizione esatta è "casotto", in quanto la baracca è intesa come tutto il materiale, comprese le sedie e gli accessori, che si può spostare in un altro luogo o riportare in magazzino.

Vittorio ha letto in qualche pubblicazione o sentito da qualche parte che il vestito del burattino, o meglio, la parte sottostante la testa, che dà corpo al burattino e sostiene il vestito si chiama "buratto", che deriva da quella grossa stoffa che serviva per asciugare le stoviglie. Ma a Bologna e in Romagna si chiama "burazzo" e non so chi abbia coniato questa definizione chiamandolo "buratto". Devo anche tener presente il fatto che il maestro di Vittorio Zanella è stato Otello Sarzi di Reggio Emilia e quindi poteva chiamare le cose in modo diverso.

Io ho fatto una ricerca, per così dire, a modo mio, e ho scoperto che ad Arezzo, per la giostra del Saracino, usano uno strano pupazzo di legno che si chiama "Buratto" e ha una certa rassomiglianza con il burattino. Si parla del 400 e anche prima, pur mancando credo una documentazione scritta, ma sarebbe interessante una ricerca in questo senso.

Durante la "giostra" il buratto riceve un colpo, ma se il cavaliere non è svelto a scansarsi, rischia una bella bastonata di risposta, strana somiglianza, se ci si pensa, con Fagiolino.

Se ripensiamo ai primi "Zanni", ad esempio, vediamo che Arlecchino ha alla cintura del costume un corto manganello, tipo quello dei vigili inglesi, come mai troviamo queste analogie? Perché nessuno dei cari scrittori o conoscitori "esperti" di burattini fa una ricerca o si fa domande sulle origini di tutto questo?

Vittorio Zanella chiama le figure femminili "marotte"; a Bologna le chiamiamo "donne" o "burattine", hanno un corpo e le braccia si muovono, descriverò più avanti in che modo. Vittorio mi ha spiegato che, secondo i ricercatori, la "marotta" è quella specie di presa in giro dello scettro del re, cioè il bastone che teneva in mano il buffone (giullare di corte) per beffeggiare i nobili; dunque era una specie di burattino: un bastone che aveva infilata in cima una testa con un berretto a sonagli.

Ma vorrei sapere chi lo ha detto, da chi parte questa definizione? Ci sarà stato, all’epoca, uno scrivano appassionato di burattini?

Era una figurina comunque maschile e non femminile (la "marotta"?). Permettetemi di aprire una parentesi. Non si è mai pensato a una analogia con le carte da gioco? Nelle carte da gioco il Matto o Jolly ha le stesse caratteristiche descritte sopra (una faccia con un berretto a sonagli); le radici di questo soggetto affondano nella storia delle carte da gioco occidentali, databili forse nella prima metà del ’400.

Nelle carte per "scala 40" e "ramino" il Matto, o come più comunemente si sente dire "la Matta", è una carta che decide il gioco; il Jolly, di origini americane sebbene di discendenza europea (nome per esteso Jolly Joker) comincia a figurare stabilmente nei mazzi del Bridge dal 1880 circa, un giullare, un arlecchino, una figura miscelata con quella del Matto del Tarocco.

Quante similitudini si possono trovare, ma da questo ad affermare qualcosa di certo, di sicuro, c’è un abisso.

Si cerca, si spulcia, ma non abbastanza, forse si può risalire al Medio Evo, chissà. Perché allora si vuole ritenere una definizione come sicura?

La verità è che di alcuni argomenti non sapremo mai con certezza l’origine, tutto si perde nel tempo, nella poesia e nella fantasia popolare.

E allora, non ci si atteggi a studiosi, professori e conoscitori, si abbia il coraggio di riconoscerlo, di scrivere la verità, l’incertezza, se le informazioni non sono documentate con sicurezza … io la penso così; per certi argomenti mi riconosco ignorante certamente, ho una mia idea, la espongo, chi vuole la condivida oppure la contesti, ma una cosa è certa: su quanto io ho visto e vissuto di persona non tollero che qualcuno mi racconti "storie"!

Per ritornare ai burattinai, ai vecchi maestri come Cuccoli o Cavadini e Chinelato, e subito dopo i loro "discepoli", vediamo che a Bologna almeno in quattro o cinque piazze c’era un teatrino stabile di burattini.

Gli altri burattinai che in precedenza abbiamo definito ambulanti, che andavano nei paesi intorno a Bologna o si esibivano non regolarmente erano considerati dai professionisti solo dei dilettanti, degli amatori, degli appassionati.

C’erano delle eccezioni quali Ciro Bertoni o Armando Vignoli e suo figlio Febo, considerati anche loro professionisti.

In molti libri ho trovato errori clamorosi sui burattinai di mia conoscenza o conosciuti da mio padre, il quale mi parlava spesso di loro.

Vorrei correggere questi errori, perché non è giusto che, oltre tutto, facciano parte delle materie di insegnamento del DAMS, tanto per fare un esempio. Per me sono "porcherie": gente pretenziosa e vana continua a scrivere senza sapere nemmeno di cosa sta parlando.

Spero che questo mio piccolo libro faccia un po’ meditare scrittori e giornalisti o chiunque abbia scritto o voglia scrivere su questo argomento senza informarsi e documentarsi al meglio.

Solo da poco tempo, purtroppo, ho cominciato a leggere attentamente, per quanto posso, quello che è stato scritto sui burattini e sui burattinai bolognesi e devo dire che non posso tollerare le "fesserie" trascritte da alcuni; per questo motivo ho voluto scrivere la biografia di mio padre, Gualtiero Mandrioli, perché anche mio cugino Demetrio Presini ha detto tante bugie. Credo sia mio dovere puntare il dito su certi errori fondamentali.

Ho scritto anche un altro libro sulla mia vita, consegnato soltanto a pochi intimi amici, in forma privata, in cui spiego meglio tante cose relative alla mia famiglia e da questo riporterò qui molte parti, soprattutto quelle riguardanti la vita di mio cugino, perché ho scoperto solo molto tardi quanto fosse ipocrita e bugiardo. Almeno, in questo modo, qualcuno si renderà conto della verità.

Vorrei cominciare a parlare di un giornalista, Alessandro Cervellati, che si dichiarava amico e che mio padre riteneva un amico. Il suo libro è stato ritenuto il più valido e sicuro riferimento sull’argomento per molte persone e anche noi lo credevamo tale.

Mi meravigliai perché mio padre non lo comperò. Io lo acquistai dopo molto tempo, ma non lo lessi attentamente, non andai oltre la pagina dove c’era la foto di mio padre da giovane…

Se l’avessi fatto avrei capito perché da allora Cervellati non frequentasse più casa nostra, perché mio padre non parlava volentieri di lui e mi sarei resa conto del perché di questa freddezza nel loro rapporto.

Nel libro Storia dei burattini e burattinai bolognesi (Fagiolino & C.) Alessandro Cervellati ha mescolato date, luoghi e situazioni senza rispettare una cronologia attenta. Mio padre, principalmente, negli anni ’20 faceva teatro con la sua filodrammatica, dalla quale emersero Ernestina Zaggia ed Eva Dominici che avevano iniziato con lui.

Ernestina Zaggia, poi, negli anni ’50 fondò la scuola di Teatro dell’Antoniano. Eva Dominici invece si esibiva in grandi teatri, tanto per far notare a quale livello professionale mio padre era in grado di portare gli attori della sua compagnia. Alessandro Cervellati non ha mai precisato che mio padre, Mandrioli, si è sposato nel 1923 e che faceva il verniciatore finché non fu colpito da una intossicazione, che per tre anni gli rubò tempo e salute; da qui, poi, la decisione di cambiare mestiere.

Mandrioli era molto bravo ed era calcolato da molti burattinai come un collega perciò quando gli capitava di andare ad assistere a uno spettacolo di un amico e lo trovava indisposto lo aiutava volentieri gratuitamente, ma questo non vuol dire, come hanno scritto in molti, che Mandrioli lavorava "con" o "per", si trattava di interpretazioni occasionali se un amico aveva bisogno.

Se qualcuno aveva la febbre o si sentiva male e chiedeva di dargli una mano, mio padre non si tirava mai indietro. Ma lavorare con un burattinaio bolognese significava "fare una stagione" intera con lui.

 

 

Il Dottor Balanzone dei Balanzoni

 

Arturo Veronesi era un amico e quando si ammalò in un primo tempo mio padre lo aiutò per una sera o due poi, aggravandosi la sua malattia e non potendo più lavorare lo aiutò in altra maniera anche facendogli ricopiare commedie o copioni. Mi è rimasto l’ultimo suo scritto, una commedia: Lo stratagemma di Carolina, e, dove c’è la data, nell’ultima pagina, ha scritto: "ammalato grave". Credo fosse marzo del 1930, Arturo Veronesi morì circa due mesi dopo. Anche sua moglie Imelde rimase legata alla mia famiglia sino quasi alla sua morte.

Mio padre era amico anche di Augusto Piccardi. La figlia Maria è stata la mia "santola" cioè la madrina per la cresima e la comunione, tanto per capire quale era il legame tra le nostre famiglie.

Umberto Malaguti invece ha recitato con mio padre per due o tre anni nei "burattini in persona", impersonando Balanzone, durante il Carnevale dei bambini voluto dal Cardinal Lercaro a partire dal 1954.

In quel periodo mio padre non poté chiamare Bruno Lanzarini, uno dei suoi più intimi amici fin da quando erano bambini, perché era impegnatissimo in tournée con la sua Compagnia teatrale dei Burattini in persona e forse addirittura in quel periodo si trovava in America.

Credo di aver reso una idea di come andavano le cose a quei tempi.

Per quanto riguarda mio padre, riprendo dagli anni ’20 quando lui e mia madre, Apollonia Cangini, appassionati di teatro tutti e due, si conobbero recitando assieme nella compagnia di Sabbattini.

Si innamorarono e si sposarono nel 1923; andarono ad abitare in via della Fontanina, che ora non esiste più. Dopo il matrimonio, giovani tutti e due, non potevano viaggiare, perché non avevano tanti soldi; a loro piaceva andare a fare delle passeggiate e conoscevano bene i paesi e i teatri della regione, conosciuti durante la tournée con Sabattini.

Poiché mio padre era capace di far bene il burattinaio, il sabato e la domenica andava a girare per i paesi con mia madre e il ricavato delle recite era messo da parte per preparare per un futuro il materiale per iniziare una attività seria da vero burattinaio. I burattini, che fino a quel momento erano stati solo una passione divennero il suo mestiere.

Mandrioli, nel 1929 decise di fare la piazza a Bologna; le invidie e le cattiverie degli altri burattinai che lavoravano in piazza erano grandissime, anche se facevano bel viso davanti e si può capire facilmente di chi si trattasse. Il discorso più gentile che si poteva sentire era "tanto fra un anno o due non si sentirà più parlare di lui".

Mio padre è stato il primo a scrivere i copioni, ha cominciato nel 1928, questo metodo prima è stato criticato, poi tutti gli altri burattinai (vedendo il successo di pubblico di Mandrioli), pensarono di cominciare a usare anche loro i copioni.

Mio padre è stato il primo a usare un certo tipo di luci e i microfoni con gli altoparlanti e tutti hanno copiato.

Non dico che sia un errore, tutti hanno diritto di migliorare, senza dire però che l’hanno inventato loro.

Ho aiutato mio padre negli anni ’70, per le sue ultime recite occasionali e lavoravamo in play-back, soltanto noi due, con alcune commedie registrate a tavolino. Anche in questo Mandrioli è stato un precursore perché molti burattinai hanno poi cominciato a lavorare su basi registrate, muovendo soltanto i burattini.

È doloroso pensare a questa invidia e cattiveria che spesso si percepiva da parte degli altri, perché mio padre ha sempre vissuto solo di quel lavoro, da maggio a settembre. Ha potuto comperare appartamenti, se pur modesti, in via S. Caterina e in via del Riccio e un terreno al mare di 300 metri con una piccola abitazione di tre camerette e cucina, che si trovava a Punta Marina, in via della Vela 24.

Il ricavato delle recite di burattini che capitava di fare durante l’inverno veniva utilizzato per togliersi qualche soddisfazione e comperare, per esempio, la cinepresa, il registratore ecc. ecc.

Durante la guerra avevamo perso ogni cosa sotto i bombardamenti, tranne i burattini; l’attività fu interrotta nel 1941 e riprese il 2 giugno 1945, per quattro anni avevamo vissuto con i risparmi accumulati prima.

Tutta questa gente che criticava era cattiva e invidiosa perché Mandrioli riusciva a realizzare tutto questo grazie alla professionalità, alla preparazione e al serio lavoro e riscuoteva un grosso successo di pubblico non riscontrabile per le altre compagnie di burattinai.

Mio padre, scoprendo un po’ alla volta falsità, critiche e invidie anche da parte di alcuni che credeva amici e da alcuni parenti che si approfittavano di lui, per esempio sua sorella, si chiuse in se stesso ed era disgustato; negli ultimi anni della sua vita non voleva più vedere nessuno, e specialmente suo nipote Demetrio Presini, figlio di sua sorella.

Fagiolino Fanfan

Mio padre aveva aiutato Presini in ogni modo e lui per ringraziamento gli ha copiato tutti i testi delle commedie e non gli ha mai reso il materiale prestato per aiutarlo nel mestiere, per imparare a scolpire i burattini, in attesa che fosse pronto il suo corredo da burattinaio.

Per esempio, Mandrioli gli ha prestato tre donne: la madre nobile, la biondina con le trecce, e Grimilda, oltre a tre burattini generici e al fanciullo, per non parlare di vestiti e parrucche e accessori vari.

La cosa più grave fu che Presini non rese mai a mio padre il suo Fagiolino. Quando Mandrioli andava ad aiutarlo portava con sé il suo Fagiolino, suo burattino personale, e Presini gli disse più o meno così: "Zio, perché non lo lasci qui, così non te lo devi portare in giro e intanto io cerco di farne una copia per il mio Fagiolino".

Ho riavuto Fagiolino dopo 27 anni dalla morte di mio padre, e non c’è più traccia di tutto l’altro materiale che fu prestato a Presini.

Fra l’altro, per iniziare l’attività mio padre gli diede il nostro casotto di misura media; sulla facciata erano dipinti i due giganti del palazzo Davia-Bargellini, che, oltre tutto, Presini ha ritoccato rovinando la pittura originaria; mio padre non avrebbe mai voluto che fosse rovinata e nemmeno che fosse poi venduta, come purtroppo è successo, alla Cassa di Risparmio.

Mio cugino si è meravigliato perché mio padre, quando era in ospedale, non voleva vederlo o parlargli, ma credo che si possa capire il perché.

Ora vorrei cominciare ad analizzare quando è stato scritto nel libro di Alessandro Cervellati.

Pagina 262

Malaguti Umberto (1886).

"… passò alle recite di burattini …, nel 1934, con Gualtiero Mandrioli".

Non ha mai lavorato con mio padre. Dal 1929 Mandrioli ha lavorato solamente con Rivani Raffaele fino al 1953, quando Rivani morì e subentrò Presini Demetrio.

Sandrone Spavirone

Pagina 264

Giacomazzi Alberto (1890-1945)

"fu poi con i Rizzoli a Corso Respighi".

Lavorò con Rizzoli, ma prima della guerra, non a Largo Respighi, perché Rizzoli ci andò nel 1946-47, quando Giacomazzi era già morto.

Pagina 268

Rivani Raffaele (1885-1953).

"… per passare poi, nel 1930, con Mandrioli".

Ha cominciato a lavorare con mio padre il 1 giugno 1929.

Rivani entrò in compagnia su consiglio di Piccardi, dopo il breve periodo durante il quale mio padre, Mandrioli, aveva provato Zini, che però fu allontanato per il suo comportamento prepotente e volgare.

Pagina 268

Mandrioli Gualtiero (1900).

"… fece coppia con Augusto Piccardi, e poi con Sgarzi"

Non ha mai fatto coppia con Piccardi, ma è sempre stato capo compagnia. Non ha mai lavorato con Sgarzi, che conosceva appena.

"unendosi poscia a Veronesi e Zini"

Arturo Veronesi era un amico ma non ha mai fatto i burattini con mio padre e Zini ha lavorato pochissimo tempo subito prima di Rivani (vedi pag. precedente).

Nel 1931 nascevo io, Marisa, ed è logico che mia madre fosse impegnata, fu allora che mio padre scritturò per la stagione Imelde Veronesi (non nel 1929 come viene riportato erroneamente) che ricopriva i ruoli da donna. Le recite si svolgevano alla Piazzetta della Pioggia.

Forse da qui nasce l’equivoco del nome di Veronesi, non era Arturo ma bensì Imelde. Prima di scrivere bisogna informarsi.

E c’è di più, si permette di scrivere che abbiamo recitato "sulle macerie della Chiesa di S. Francesco", recitavamo bensì con il casotto appoggiato sulla parete del salone dove ora si trova il giardinetto con le panchine. Ancora adesso si può vedere il segno sul muro perché fu il primo casotto stabile che conteneva tutto il materiale di servizio, era la prima volta che un burattinaio non "sgomberava la piazza" dopo la recita.

E si parla degli anni 1947 e 1948 non, come dice Cervellati, "Entrati gli Alleati a Bologna".

Nel 1945 e nel 1946 ci trovavamo nel campo sportivo della Salus a Porta Saragozza, poi Piazza Trento e Trieste nel 1949 e nel 1950, non "nel 1948".

Pagina 268

Piccardi Augusto (1897-1950).

"esercitò l’arte del burattinaio con Mandrioli"

Non ha mai lavorato con Mandrioli ma conosceva bene Rivani.

Per quanto riguarda la definizione che "dava spettacoli in un suo cortile di via Lame"; era il giardino di casa sua, quasi un piccolo parco con alberi, fiori e uno spazio adatto per le rappresentazioni.

Piccardi lavorava con suo figlio Giorgio, ma era principalmente un tipografo, non un burattinaio. Prima ha lavorato all’Avvenire e poi al Resto del Carlino, e anche il figlio Giorgio ha continuato il mestiere del padre.

La figlia di Giorgio è vivente e quando le ho parlato mi ha detto che il giardino era in realtà delle suore che lo lasciavano in gestione al nonno che lo poteva usare come voleva. Altro che cortile di via Lame!

Pagina 272

Presini Demetrio (1918).

Devo dilungarmi nella spiegazione perché c’è veramente da ridere leggendo la descrizione del libro.

"debuttò con l’amico Angelo Viti, figlio del prof. Viti, giovanissimo, verso il 1930, quando cioè la direttrice della scuola … gli permise di presentare spettacoli ai suoi compagni di scuola".

Ancora oggi a Bologna i bambini giocano con i burattini, come avrebbe fatto il nipote di un burattinaio a non esserne contagiato? Io non ero ancora nata e Demetrio (detto "Nino") era come il "delfino" di Francia, che un giorno avrebbe ereditato tutto … (ma la mia nascita gli ha rotto le uova nel paniere!).

Nella sua scuola, c’era anche Angiolo Viti, figlio di un professore, che aveva un anno più di lui e la maestra chiese loro di fare una recita per i più piccoli. Mi sembra eccessivo ritenere questo un debutto! Nel 1930 aveva circa 12 anni.

 

"Iniziò la professione nel 1950 nella piazzetta di S. Giuseppe insieme allo zio Gualtiero Mandrioli"

Bugia! Era un perdigiorno, suonava la chitarra, cantando serenate e dipingeva utilizzando colori molto forti.

Il padre di Demetrio, per mantenere la famiglia, aveva cominciato a fare il facchino per noi. Tutte le sere, durante le estati dal 1947 al 1949, trasportava bauli e sedie, poi si stufò e prendendo di petto Demetrio gli disse: "Ti ho mantenuto fino adesso, hai preso moglie nel ’45 e mantengo anche lei, ma quella almeno lavora in casa e fa tutto in posto di tua madre, adesso hai anche un figlio, ma ora basta! Sono stufo!".

E così Demetrio venne a lavorare da noi al posto suo alla fine della stagione del 1949 e fino al 1952; faceva perciò il "segretario" (praticamente il facchino) insieme a una signora, Edera, che… era più forte di lui.

Nel 1951 la Federazione Comunista di Via Barberia per il mese di agosto chiese di fare quattro recite alle feste dell’Unità, ma mio padre non poteva assentarsi nemmeno una domenica pomeriggio perché c’erano già gli spettacoli in piazza. Poiché insistevano perché volevano soltanto le commedie di Mandrioli, mio padre disse: "Vi mando mia figlia, lei farà per voi una compagnia".

Così si risolse tutto, era il momento di cominciare a istruire Demetrio, dandogli il personaggio di Sganapino che gli piaceva tanto.

Perciò, da quel momento, finito il lavoro di stendere le sedie per la recita, Presini, per imparare meglio il personaggio di Sganapino cominciò ad assistere agli spettacoli di Giorgio Rizzoli - che lo interpretava in modo più moderno e pieno di movimento -, poi tornava di corsa da noi, in bicicletta, in tempo per riporre i materiali dentro alla baracca.

Formai una compagnia con Barillari che era un bravo Fagiolino e Demetrio, che così cominciò a guadagnare di più e suo padre si calmò.

Ma la cosa più importante è che stava imparando un mestiere che, in futuro, avrebbe potuto permettergli di sfamare la sua famiglia.

"in seguito organizzò una sua compagnia… e debuttò in Piazza VIII Agosto"

Non mi risulta che Presini abbia debuttato in Piazza 8 Agosto, ma lavorava in Piazza Volta, fuori Porta Saragozza, e meno male che Cervellati nomina Sara Sarti come la compagna di lavoro di mio cugino, perché altri hanno commesso un errore madornale scrivendo che era sua moglie!

La moglie, ancora vivente, si chiama Maria Forni ed è sempre stata a casa con i figli, e prima stava a casa con i genitori di Demetrio, già anziani.

Su mio cugino ci sono ancora molte cose da dire di fatti avvenuti col passare degli anni, e cercherò di narrarle più avanti, nel modo giusto.

In tutti gli scritti che ho consultato o negli articoli di giornale, poche volte ho riscontrato una cosa che io ritengo importante: nessuno parla mai del primo mestiere dei burattinai, quello più importante, che dava la possibilità di vivere.

Io vorrei che fosse fatta una chiara distinzione tra i burattinai che vivevano o vivono solo di questo lavoro e quelli che lo fanno come hobby o per divertimento. Credo che altrimenti sia una mancanza di rispetto per l’arte e il mestiere del burattinaio, quasi una offesa per chi ne ha fatto la sua ragione di vita.

Questi cosiddetti "professori", "studiosi", "ricercatori" (del piffero!) farebbero meglio a starsene zitti.

E se qualcuno dovesse prendersela per queste mie parole, ricordi il proverbio sempre valido: "la prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo"!

Molti hanno scritto bugie e falsità, anche volgarità offensive, fatti inventati e devono vergognarsi! Lo dico di tutto cuore.

Vorrei chiarire alcune cose anche per quanto riguarda il libro a cura di Remo Melloni: Burattini Marionette Pupi.

Pagina 286

Barillari.

Dice solamente "burattinaio" ma non che era un bravissimo pittore di scenografie e che costruiva burattini in cartapesta molto belli che venivano poi vestiti dalla figlia di Chinelato.

Barillari ha lavorato con me alle Feste dell’Unità così mio cugino Presini poté iniziare a fare pratica, nell’agosto 1951.

Pagina 286

Ciro Bertoni.

Non faceva solo il burattinaio viaggiante, era anche un abilissimo prestigiatore, molto richiesto, e dava spettacoli misti, faceva l’illusionista per gli adulti e i burattini per i bambini.

 

 

Sganapino Posapiano Squizzagnocchi

 

Pagina 290

Chinelato.

Lavorava con Gualtiero Cavadini che fu maestro di mio padre (forse nacque simpatia tra loro perché si chiamava Gualtiero come lui). Mio padre si appassionò ai burattini grazie a questi bravissimi allievi di Cuccoli.

Pagina 293

Romano Danielli.

Uno dei pochi burattinai che mi pare rispetti il mestiere tradizionale, non posso dire di più perché lo conosco poco, ma mi dicono sia molto bravo quindi … voce di popolo…

Pagina 295

Fratelli Frabboni Emilio e Filippo.

Erano tornitori e scultori favolosi. Mio padre fece fare a loro molti dei suoi primi burattini.

Erano molto amici e da bambina mi ricordo di aver visto spesso uno di loro. Mio padre diceva che erano molto bravi in tutto. I burattini erano vestiti dalla sorella.

Pagina 296

Alberto Giacomazzi (1890-1945).

Era un pittore molto bravo; le sue vedute di Bologna erano ricercate e oltre a questo lavorava in teatro e con i burattini. Lavorò con Rizzoli, ma prima della guerra, non a Largo Respighi, perché Rizzoli ci andò nel 1946-47, quando Giacomazzi era già morto; oltretutto, nel 1945, la piazzetta di Largo Respighi era ingombra delle macerie del giardino sovrastante.

Pagina 298

Bruno Jani.

Era un bravo interprete di Sganapino, ma lavorava per l’azienda del gas, e poi faceva anche i burattini. È stato compagno di Malaguti fino al suo ritiro o alla sua morte.

 

La burattina cambiando vestito
può trasformarsi da Colombina in Isabella Fanfan,
con un abito povero

Pagina 300

Umberto Malaguti.

Possedeva una drogheria con due vetrine in Via Solferino al n. 6b e 6c e alla sera faceva teatro o i burattini durante l’estate. Non ha lavorato con Mandrioli.

Pagina 301

Gualtiero Mandrioli (1900).

Qui viene messa solo la data di nascita, come se mio padre, all’uscita di questo libro, nel 1980 fosse stato ancora vivo, mentre era scomparso già dal 1974! Se ne parla come se fosse ancora in attività e si ripetono gli errori del libro di Cervellati.

Ho già detto diverse cose su mio padre, riassumendo brevemente di quando era bambino in collegio, degli amici intimi come Bruno Lanzarini e Bruno Dellos, fin da quando erano piccoli.

Poi dopo, a 17 anni, Alfonso Aldo Cattoli, Eva Dominici, Ernestina Zaggia, poi Vincenzo Righetti, Bruno Colli, tutti attori di teatro. Conobbe la Cangini, mia madre, che sposò nel 1923.

Mandrioli faceva il verniciatore come si diceva allora, ora si direbbe pittore e restauratore, perché sapeva fare persino i marmi finti, se non si toccava la parete non si capiva che fosse un marmo soltanto verniciato! Mio padre, poi, era molto bravo a recitare anche con i burattini e, dopo l’intossicazione da vernici, cambiò mestiere, formò la Compagnia di burattini "La Petroniana", prima solo con la moglie, andando in qualche paese per "collaudarla" e poi a Porta Zamboni nel 1929 iniziò stabilmente a fare il burattinaio e ha sempre vissuto soltanto di quel mestiere.

Mandrioli è sempre stato "capo di compagnia", non ha mai fatto il burattinaio per qualcun altro, quello che è stato scritto in questo senso è falso.

Pagina 302

Antonio Mistri.

Su di lui posso dire poco perché lo conosco appena. So che mia madre, dopo che restò vedova, faceva degli abitini per i suoi burattini.

Mistri ha lavorato con Presini, poi con Loris Olivieri (che da giovane recitava con me ed era un postino, poi soltanto molto tempo dopo ha cominciato a fare il burattinaio).

Pagina 305

Augusto Piccardi (1897-1950).

Lavorava con il figlio Giorgio, che qui erroneamente viene detto "fratello" nel giardino di casa sua, in Via Lame. Non ha mai lavorato con Mandrioli.

Demetrio Presini (1918).

Qui addirittura viene detto che "Comincia a lavorare con i burattini a 9 anni"

Avrei ancora qualcosa da dire, anche se ho già anticipato diverse cose. Oltre agli errori già constatati, come quello di citare Sara Sarti come moglie, e un figlio inesistente "dal 1954 è aiutato dalla moglie Sara Sarti… lavora con la moglie e il figlio Sergio" vorrei anche segnalare un articolo apparso sul Resto del Carlino il 25 giugno 1968.

In questo articolo si raccontano alcune cose della sua vita che risultano persino ridicole, se non fossero offensive; è vero che un personaggio che vuole far colpo sul pubblico, tende a "infiorare" gli episodi della sua vita… ma così è troppo! Per avere un seguito di pubblico basterebbe essere veramente bravi.

25/6/68 Carlino

La vera storia di Presini, a parte quello che ho già detto, è che fu sfortunato in quanto, quando finì il servizio di leva, che allora era di due anni, a Castel Maggiore, scoppiò la guerra. Ma poiché da civile dipingeva, diciamo così, e suonava le serenate… riuscì ad avere un caldo posticino tranquillo e riparato e si dette da fare per mantenerlo, più che giusto. All’epoca c’era una trasmissione radio alla domenica mattina in cui i militari potevano salutare le famiglie e lui partecipò una volta o due. Un giorno Presini era di servizio a un concerto a Castel Maggiore e gli passò davanti Nilla Pizzi, da qui sull’articolo sembra che la conoscesse, ovvio!

L’8 settembre 1943 scappò a Galliera, dove abitavano i suoi genitori, nella casa della famiglia Forni, e qui conobbe quella Maria Forni che sposò nel 1945, la sua vera moglie, non quella che dopo fu la sua compagna di lavoro Sara Sarti.

Altra cosa: mio padre non si è mai "neanche sognato" di chiedergli di fare i burattini… So io la fatica che abbiamo fatto per insegnargli!

Perché la sorella di mio padre, Graziella Mandrioli, madre di "Nino" era sempre lì da noi, a piangere perché mio padre aiutasse suo figlio. "Aiuta mio figlio, perché non ha un mestiere sicuro e deve mantenere moglie e figlio" (il primo: Michelangelo). E mio padre fece lavorare Demetrio; inizialmente cercò di avviarlo ad altre attività: un laboratorio di gessetti per le scuole, che era molto importante appena finita la guerra, ma Presini non riuscì. Poi mio padre gli regalò gli stampi e gli insegnò a fare le figurine del presepe - un lavoro, "forma d’arte" nel quale la famiglia Bozzetti è tuttora maestra - ma non riuscì neppure in quello.

Poiché il padre di Presini gli aveva dato un ultimatum, si decise a lavorare per noi, come facchino, nella stagione estiva, poi soltanto in un secondo tempo mio padre gli insegnò il mestiere. I risultati li abbiamo visti tutti, ma le bugie e l’ingratitudine sono stati motivo di amarezza per gli ultimi anni di Mandrioli.

Pagina 307

Aldo Rizzoli.

Io lo conobbi quando era già burattinaio e aveva una famiglia abbastanza pesante sulle spalle. Ma la moglie era una brava pellicciaia.

 

Brighella Cavicchio

 

Tutta la famiglia faceva i burattini e mio padre riteneva Rizzoli il migliore sulla piazza. Molti hanno lavorato per lui (non con lui). Questo è un errore ricorrente in tutti i libri. Quando gli "aiuti" sono pagati ogni sera sono come stipendiati dal capocomico. Poi con la guerra il lavoro della moglie venne incrementato con una pellicceria e la famiglia ebbe una vita più tranquilla.

Pagina 311

Armando Vignoli.

Insieme a suo figlio Febo erano amici di mio padre e ricordo che, quando ero bambina, regalò loro dei burattini e delle scene del suo primo casotto (nel 1937 o 1938) perché mi pare che li avessero derubati o il loro materiale fosse andato smarrito, non ricordo bene. Erano burattinai molto bravi e Febo era l’unico Fagiolino che potesse stare alla pari con Mandrioli. Utilizzavano i testi di mio padre, che comunque sapevano a memoria, e sono gli unici che hanno sempre pagato i diritti d’autore fino alla fine della loro attività.

Pagina 312

Pilade Zini (1886-1952).

Era un grande invalido della guerra del ’15-’18. Un personaggio strano che si avvaleva della sua infermità per fare il prepotente.

Se picchiava qualcuno non andava in Tribunale perché aveva un buco in testa chiuso con una piastra d’argento e quindi quando gli faceva male diventava violento; che fosse vero o no, non pagava mai dazio!

Nel 1929, quando mio padre cercò un "secondo", gli proposero Zini come Sganapino, ma Mandrioli, dopo dieci giorni lo mandò via e scelse Rivani.

Ora viene il punto più bello di tutta questa storia, perché ho avuto tra le mani il Dizionario bibliografico e bibliografia dei Burattini Marionette e Pupi della tradizione italiana, scritto da Alessandra Litta Modignani. È un libro che parte dal Piccolo Teatro di Milano e che doveva servire (ed è stato utilizzato) come testo per i giovani del DAMS di Bologna.

Pantalone de' Bisognosi

 

Apro un’altra curiosa parentesi: questo libro è esaurito, come anche quello sulla mostra al Palazzo Reale, curato da Remo Melloni, ma tutti e due sono reperibili alla Biblioteca della Sala Borsa di Bologna. Chi avrà modo di confrontarli potrà notare che alcune descrizioni dell’uno sono praticamente la copia dell’altro e tutti e due si rifanno alla traccia precedente che si trova nel libro di Cervellati, utilizzando la stessa forma e le stesse parole o aggiungendo errori madornali.

Pagina 37

Barillari.

Anche qui manca la precisazione che era un buon interprete di Fagiolino, nonché pittore di scenografie, tenuto in considerazione dagli altri burattinai. Costruiva i suoi burattini, molto belli, per sé e per i clienti, in cartapesta che venivano vestiti dalla figlia di Chinelato.

Ha recitato con me e mio cugino Presini alle Feste dell’Unità, e ha lavorato a volte con Presini o con Danielli.

Pagina 40

Ciro Bertoni (1888).

Non ha mai fatto la piazza. Andava sempre in giro per la regione e a volte nel Nord Italia. Era principalmente un bravo prestigiatore, da considerare come i migliori di quegli anni. Qui se ne parla come se nel 1985, quasi centenario, fosse ancora in attività.

Pagina 41

Bettini.

Era un tranviere e burattinaio dilettante.

Pagina 51

Gualtiero Cavadini.

Insieme a Chinelato è stato maestro di mio padre. Erano i migliori burattinai dopo Cuccoli.

Rosaura, cambiando d'abito assume altri ruoli

Pagina 76

Giacomazzi. Ne abbiamo già parlato.

Pagina 91

Umberto Malaguti.

Non si dice che era proprietario di una drogheria con due vetrine in via Solferino n. 6 b e c. Fu attore prima e burattinaio poi, lavorò principalmente con Bruno Jani e poi con Presini. Non faceva solo il burattinaio. Ha recitato con Mandrioli ma non con i burattini.

Pagina 93

Gualtiero Mandrioli.

Mi permetto di parlare con questa Signora Modignani in prima persona: Vorrei sapere chi le ha raccontato le fesserie che ha scritto su mio padre, oltre a tutte le solite baggianate e inesattezze in generale, già evidenziate in precedenza, e mi pare alquanto evidente che sono state copiate e anche male. Perché non è venuta da me se voleva scrivere qualcosa di serio? È inconcepibile, non intendo ritrascrivere gli errori che ha riportato, preferisco aver dato le mie spiegazioni.

Pagina 108

Augusto Piccardi.

Era un tipografo dell’"Avvenire" e poi ha lavorato al "Resto del Carlino", di sera faceva il burattinaio e si esibiva nel giardino di casa sua in Via Lame, credo al n. 107, non ha mai avuto un fratello di nome Giorgio. Giorgio era suo figlio, e fra l’altro, la figlia di Giorgio è vivente.

Piccardi non ha mai lavorato con Mandrioli.

Pagina 110

Demetrio Presini.

Qui si raggiunge il massimo nel copiare pari pari tutto in modo errato, anche se capisco che molti si sono basati su quello che diceva mio cugino, che ne raccontava delle belle! Prima di scrivere un libro però, sul quale oltretutto pretendete di far studiare qualcuno… bisogna pensarci bene! Tutte le date sono sbagliate, la moglie si chiama Maria Forni e non ha mai avuto altri figli legittimi oltre a Michelangelo e Patrizio (vedi descrizioni precedenti).

Flemma Siachisisia

 

Pagina 117

Raffaele Rivani.

La sua professione era quella di tappezziere, poi ha lavorato come commesso di tappezzeria. Lavora nei burattini con Mandrioli dal 1929 fino alla morte nel 1953, in amicizia fraterna.

Pagina 117

Aldo Rizzoli (1885-1968)

La sua storia è abbastanza rispettata; manca la precisazione che aveva anche una pellicceria. Ha lavorato in Largo Respighi nel 1946 o 1947.

Pagina 125

Sgarzi (fratelli)

Non hanno mai lavorato con Mandrioli.

Pagina 131

Arturo Veronesi (1876-1930)

Era un amico per Mandrioli, ma non ha mai lavorato con lui. L’amicizia è continuata con la moglie Imelde, dopo la morte di Arturo, fino alla morte anche di lei.

Pagina 132

Armando Vignoli (1886-1963)

Amici cari lui e soprattutto il figlio Febo, di cui ho già parlato.

Pagina 136

Pilade Zini

Ho già spiegato anche di lui quanto basta.

Ora, cari i miei professori, studiosi e ricercatori… che ne pensate?

Spero che almeno vi vergognerete un po’ della vostra faciloneria e incompetenza.

Se avete trattato così altri artisti mi meraviglio che non vi abbiano querelato.

Io non credo al detto: "Bene o male spero si parli di me". È una grossa stupidaggine, occorre maggiore rispetto per gli altri e per la loro vita.

Bisogna dire la verità, nuda o cruda che sia. Ora, a Bologna, vi sono credo solo due compagnie che rispettano l’antico mestiere e sono quelle di Romano Danielli e di Riccardo Pazzaglia (giovane allievo di mio cugino Presini). Qualcuno vuole farsi chiamare burattinaio e dice che i bambini sono cambiati e che non resistono più di mezz’ora… ma per forza, date loro certe porcherie!

I bambini sono cambiati, certo, sono più intelligenti, più istruiti, più critici… ma avete mai provato a dar loro cose belle e intelligenti? Sempre che ne siate capaci… cosa di cui dubito molto. Ma è inutile parlare tanto… non ne siete capaci, smettetela di rovinare così una vecchia arte e lasciatela fare solo a chi è capace.

Noi avevamo un pubblico che ci seguiva anche quando cambiavamo la piazza. Gente che sapeva gli appuntamenti fissi e si prendeva da Corticella per venire in Piazza Trento e Trieste, per vedere commedie o famosi drammi.

Il pubblico sapeva come solitamente andava la stagione di mio padre: "Lunedì: tutto da ridere; Martedì: dramma storico; Mercoledì: commedia di costume; Giovedì: commedia allegra; Venerdì: dramma d’opera; Sabato: tutto da ridere; Domenica: commedia con costumi (I Promessi sposi, Il conte di Montecristo, tanto per fare un esempio).

Ora c’è molta concorrenza con tutti i divertimenti che ci sono e se non si fanno cose molto belle è inutile provarci.

E voi signori scribacchini non venitemi a dire che non trovate le fonti a cui attingere.

Per esempio, io abito da 53 anni all’ultimo piano di via S. Caterina 61, dove mio padre ha abitato per tanti anni, prima di trasferirsi in via del Riccio. Prima di scrivere su di lui, caro signor Remo Melloni e Signora Alessandra Litta Modignani… non potevate venire da me? Vi sareste risparmiati una brutta figura. Che delusione i vostri libri! Meglio che rinunciate a scrivere qualsiasi cosa se dovete fare a questo modo.

E non crediate che all’epoca, fra i burattinai, fossero tutte rose e fiori, le invidie e i mormorii alle spalle c’erano anche se i vecchi leoni sorridevano. Che cosa veniva a fare il giovane Mandrioli sulle piazze?! Dopo due o tre anni sarebbe sparito di certo… E invece…

Tonin Bonagrazia

 

Ci fu chi disse: "Ma non è da burattini fare teatro, cosa si è messo in testa?".

E Mandrioli faceva Shakespeare (L’Amleto, Romeo e Giulietta); oppure La signora delle Camelie e c’era sempre un minimo di 500 spettatori per sera. Se fosse vero che l’invidia porta male, saremmo tutti morti da un pezzo!

Mio padre, abituato al teatro, è stato il primo a scrivere i copioni e cominciò nel 1927-28, durante la sua malattia. Nell’estate del 1930 tutti gli altri burattinai cominciarono a scriverli.

Mandrioli fu il primo a usare un certo tipo di illuminazione. L’anno dopo anche tutti gli altri e così via, dopo le luci, anche per quanto riguarda l’altoparlante e i microfoni, e il capanno che conteneva tutto il materiale stabile della piazza. Non dico che non facessero bene, anzi, tutti hanno diritto di mettere in pratica le buone idee di qualcun altro; ma quello che non sopporto è che prima lo criticavano e poi, vedendo i risultati, lo imitavano tutti. Poi, in altri "casotti", non c’era armonia nel lavoro, volavano parolacce tra i denti, calci a chi non era svelto o sbagliava… mio padre invece era un vero signore. Da noi regnava armonia e mai che mi abbia detto più di: "svelta" o "attenta!", al massimo: "ma che fai, dormi?".

Mai che abbia ripreso Rivani, a parte il fatto che non ce n’era bisogno, perché arrivava sempre prima dell’orario pattuito e provavano assieme i punti più difficili, fra loro vigeva il massimo rispetto e la massima cortesia; non per nulla il loro sodalizio è durato dal 1929 al 1953, quando Rivani morì. Si davano ancora "del lei" ma era una vera amicizia che li legava. Mio padre lo pianse come uno di famiglia.

Rivani aveva una voce profonda da basso, per la voce grossa di Sandrone e dei cattivi, ma sapeva fare benissimo il falsetto per le voci di Sganapino e Tonin Bonagrazia. Molte volte gli spettatori venivano dentro al casotto a fine recita per congratularsi dopo aver assistito all’Otello o all’Amleto e andavano verso Rivani che aveva una figura alta e una voce profonda.

Ma lui diceva: "Non sono io, è questo il signor Mandrioli" indicando mio padre, e allora tutti si giravano verso di lui meravigliati per la sua piccola figura e per il fatto che lavorava su una pedana di legno per raggiungere l’altezza di Rivani. Ma questo non ha mai intaccato la loro amicizia.

 

Raffaele Rivani e Gualtiero Mandrioli

Vorrei anche ricordare le date e le piazze relative a mio padre:

1929-30 – Porta Zamboni

1931-32 – Piazzetta della Pioggia

1933 - Sferisterio (che però non era un posto adatto per fare i burattini)

1934-35 – Piazza dei Martiri

1936-37 – Porta d’Azeglio.

1938-39 – Piazza VIII Agosto.

1940-41 – Porta d’Azeglio.

Dal 1942 al 1944 ci fu la guerra.

1945-46 – Salus (Via Frassinago)

1947-48 – Piazzetta di San Francesco

1949-50 – Piazza Trento e Trieste

1951 – Piazza della Pace e S. Giuseppe

Dal 1952 Piazza Trento e Trieste fino al ritiro di Mandrioli.

 

Queste sono tutte curiosità, aneddoti, piccole cose che ricordo della mia vita e sono gelosa di questi ricordi. Dunque, signori, state attenti a quello che scrivete.

I giornalisti, poi, sono da prendere con le molle: tagliano, mescolano, sbagliano nomi e date, vergogna! Se ne salvo uno vuol proprio dire che è "una bestia rara".

Ho pensato che sia doveroso, per tante persone, chiarire cosa si intende per il mestiere di burattinaio bolognese. Chi desidera imparare questa arte, deve avere certi requisiti… oppure è meglio che rinunci a questo lavoro.

Per prima cosa: deve avere una voce baritonale e nessun difetto di pronuncia. Deve saper parlare un buon italiano, forbito, ed evitare qualsiasi inflessione dialettale.

Un’altra cosa molto importante è quella di essere un buon imitatore; questo aiuta a cambiare intonazioni, voci e carattere di personaggi. Ogni burattinaio deve saper fare tutte le parti, anche quelle da donna (in falsetto), in caso di bisogno; è fondamentale per un buon professionista avere anche molta forza nelle braccia… ma una forza un po’ speciale, non solo di muscoli. Il movimento dei burattini non è poi così facile come sembra. Per lo spettatore la ribalta deve dare l’effetto "teatro", non si può far vedere figure storte o piegate, o peggio, che saltano!

Questo è il movimento proprio delle maschere della commedia dell’arte; la scena deve dare l’impressione di esseri umani che recitano per noi; e comporta l’abituarsi al peso dei burattini con le braccia tese verso l’alto, diritte e ferme contro il capo. Occorre un buon allenamento alla fatica (che per noi durava anche due ore). E non è facile respirare, tanto più recitare bene in tali condizioni: provare per credere!

È una grande fatica per un uomo solo, anche se la moglie lo aiuta. Perciò, per "fare la piazza" occorre un compagno. Da qui nasce l’esigenza del "partner" che deve, naturalmente, essere all’altezza del capocomico che comunque deve avere altre qualità indispensabili: deve intendersi di impianti elettrici, di falegnameria, di pittura e altro…Se si rompe qualcosa si deve subito provvedere e il vero burattinaio, all’epoca, non aveva chi lo aiutasse in questi casi, doveva arrangiarsi.

I cosiddetti "segretari" erano solo facchini, per disporre le sedie e sgomberare tutto alla fine dello spettacolo.

Un altro requisito è avere buon gusto nel vestire i personaggi, avere nozioni di storia per i diversi periodi (Medioevo, Risorgimento ecc.) e per le epoche di ogni commedia, tutto deve essere appropriato.

Di tutto questo ci occupavamo noi ed è un dovere per ogni burattinaio che si rispetti. Non si può improvvisare; e tante piccole cose si imparano lavorando.

Il movimento delle braccia delle donne è guidato da due fil di ferro sottili che devono passare inosservati al pubblico. L’artista tiene in una mano il bastone che sostiene il corpo della burattina, e nell’altra i due fil di ferro. Chi lavora deve abituarsi a muovere le dita di questa mano indipendentemente l’una dall’altra, per poter dare alla burattina diversi movimenti, quasi umani, e credetemi, non è facile!

Tutto questo è il minimo indispensabile per fare dignitosamente il mestiere di burattinaio bolognese, poi c’è uno studio dei dialetti.

Io non ammetto che si senta un personaggio come il Dottor Balanzone che parla romagnolo. Ogni personaggio va rispettato il più possibile sia per quanto riguarda la voce, l’abito e il carattere.

Per esempio: il Dottor Balanzone (la maschera del "dottore" nasce nel 1700) ha fama di dottore ma in realtà è verboso, prolisso, anche noioso. Parla con sussiego un italiano intercalato da frasi o motti in latino (con una eloquenza spesso "maccheronica"); è un italiano un po’ antiquato, con molte espressioni in dialetto bolognese. Il Dottore, personaggio essenziale della commedia dell’arte, ora medico, ora legale, spesso benestante e padre di famiglia, talvolta innamorato, goffo e ridicolo con l’andar del tempo acquista una maggiore dignità, caratterizzata da lunghissime cicalate che in gergo comico si dissero "tirate", recitate con grande scioltezza, come uno scioglilingua, col proposito di impedire agli altri personaggi di interloquire nel discorso.

Balanzone veste di nero come gli antichi notai e il suo naso è nero dalla nascita, ha un colletto di pizzo bianco, polsini di pizzo e una cintura con borsello.

Il Dottore era una maschera che non piaceva al popolino, allora nel 1800 fu creato (si dice da Cavallazzi) Fagiolino (o Faggiolino) Fanfan (nato in Via del Pratello). Fa la sua comparsa con Cuccoli nel 1831.

Fagiolino, monello bolognese, sempre affamato, che discende dagli "zanni" della commedia dell’arte o dal Bertoldo, è una specie di "Robin Hood" dei poveri che fa giustizia sui prepotenti con il suo bastone.

Sul nome c’è una polemica fra chi lo scrive con le due "gg" per significare che è stato scolpito in legno di faggio; oppure, un’altra versione, è che a Fagiolino piacciono i fagioli; io preferisco la prima versione perché i miei burattini sono in faggio, anche se abbiamo sempre preferito scrivere comunque il suo nome con una sola "g".

Per la maschera di Fagiolino la voce deve essere baritonale, il carattere allegro e gioviale, burlone ma anche serio; l’abito è in principe di galles grigio con finiture rosse. Al collo porta un fiocco rosso e in testa una berretta bianca (da notte) con un pon pon bianco; il gilet in principe di galles e i pantaloni in grigio più scuro. Ha un neo a forma di virgola nera sulla guancia destra.

Non sembrava giusto che Fagiolino dovesse combattere da solo e venne inventata la maschera di Flemma Siachisisia ma non piacque a nessuno; così querula e piagnona, venne fischiata e ignorata dal pubblico.

Flemma ha una voce querula, il timbro assomiglia a Fagiolino ma il modo di parlare è strascicato e quasi balbettante, veste a quadretti marroni e rossi con le finiture in giallo canarino. Il cappello è una specie di berretto con visiera floscia; cravatta gialla, pantaloni marroni, è un tipo molto noioso e indeciso (e scemo!) che cerca sempre la mamma anche a 50 anni!

Poi Augusto Galli nel 1877 creò Sganapino e fu un vero successo, era il compagno ideale per Fagiolino: una coppia che ha fatto sempre pensare ad altre coppie ci celebri comici, Stan Laurel e Oliver Hardy, Gianni e Pinotto, Ric e Gian, Cochi e Renato, ecc. ecc.

Sganapino (Posapiano Squizzagnocchi, di Corticella) è caratterizzato da un lungo naso, ha una voce tenorile, con un lieve difetto nella pronuncia della "esse", e spesso italianizza il dialetto dicendo innumerevoli strafalcioni.

Ha un carattere succube e dolce, non è troppo intelligente, ma nel complesso è sempre, nelle disgrazie, abbastanza fortunato. Ha una giacca a coda di rondine (frac) a quadretti bianchi e neri, con le rifiniture in verde bandiera, un fiocco verde al collo e un cappello a tronco di cono, a pan di zucchero con davanti una larga tesa, sempre a quadretti bianchi e neri rifinito in verde e pantaloni grigio chiaro. Il nome di Sganapino deriva dal verbo sganapàr (mangiare) e anche lui è sempre affamato come Fagiolino.

Se queste maschere sono interpretate bene il loro successo continua nel tempo. E poi nel palcoscenico bolognese entrano altre maschere di altre città della regione o di altre regioni italiane.

Sandrone Spavirone (del bosco di sotto di Modena); è un personaggio un po’ più anziano di Fagiolino e Sganapino, ed è quasi sempre usato come capro espiatorio per i loro scherzi o i loro sberleffi.

Qualche volta è preso anche a bastonate; ma certo, probabilmente, la maschera avrà una importanza diversa a Modena, dove Sandrone è la maschera principale. Posso ammettere che in questo caso ci si possano scambiare i ruoli.

Sandrone ha una voce da basso, un carattere contadino e bonaccione. Semplice nel parlare, viene sempre preso in giro, e quando si arrabbia le busca sempre… L’abito è in principe di galles marrone con le finiture in rosso, cravatta rossa e berretta come Fagiolino, ma di lana rossa; pantaloni scuri (blu o neri).

Brighella Cavicchio (maschera di Bergamo di sotto che viene rappresentata con accento veneto)

Brighella ha una voce baritonale, ma con inflessioni verso il basso. Veste un abito bianco tutto filettato, anche sul petto, con strisce di color verde bandiera. La giacca è lunga e ha una cintura nera con un borsello. Ha un ampio mantello bianco filettato di verde e un cappello a ruota, grande bianco e verde. È un intrigante, imbroglione, truffatore ed egoista per natura, avido e invidioso e le sue espressioni devono farlo capire; intercalando italiano e veneto. Affascina i suoi "merli" come un serpente e toglie loro fino all’ultimo quattrino. Oppure serve i nobili per le loro ribalderie (come si usava dire).

Lo troviamo nella Commedia dell’Arte ed è Goldoni che lo fa parlare veneto, perciò non è colpa dei burattinai bolognesi se da noi parla veneto! O meglio, parla un italiano con accento e qualche parola veneta.

La vera maschera di Venezia è Pantalone dei Bisognosi, un nome che è tutto un programma. Pantalone ha una voce bassa, ma arrochita dagli anni. È un vecchio avaro con un carattere brontolone, è poco paziente e timoroso di essere derubato; è egoista e taccagno. Toglierebbe la pelle pure alle cimici se questo gli facesse guadagnare qualcosa. L’avaro di Molière è il suo alter ego.

Veste in panno rosso bordeaux con una giacca tipo quella di Brighella, con cintura nera e borsello , con pantaloni uguali. Ma porta sopra un largo pastrano nero foderato in rosso bordeaux, con maniche larghe col bordo rosso bordeaux, un cappello tipo i "bravi" dei Promessi sposi che riprende i due colori.

Mio padre ha sempre usato poco questo personaggio perché riteneva troppo difficile parlar bene il dialetto veneto; preferiva usare la sottomaschera: Tonin Bonagrazia, veneto, trasferito a Bologna e amico intimo del Dottor Balanzone. Veste in panno di lana rosso con ampio mantello doppio, con cintura nera e borsello, un vestito stile Brighella ma rifinito con filetto dorato e pizzo al collo bianco. Parla in falsetto da vecchio, ma chiaro e veloce.

Questi sono i personaggi usati quasi sempre nelle commedie dei burattini bolognesi. Vorrei parlare un po’ anche delle donne.

Isabella Fanfan, moglie di Fagiolino, che ormai è diventata quasi una maschera. A volte mette in croce il marito con la sua lingua lunga, ma quando lui non ne può proprio più… con qualche leggero colpo di bastone la mette a tacere. È vestita con abiti modesti.

Rosaura, figlia del Dottor Balanzone, creatura angelica e dolce, ubbidiente e passiva, ma sotto sotto fa il comodo suo. Vestita più elegantemente.

La vecchia governante, la Margherita, la figura di anziana che ricopre diversi ruoli.

La Polonia, moglie di Sandrone.

Troviamo governanti o serve, a seconda delle commedie e per le figure femminili si cambiano parrucche e abiti perché i diversi ruoli esigono un vasto guardaroba.

Ma anche per le figure maschili dei "generici" abbiamo la stessa necessità poiché di volta in volta si trasformano da giovani innamorati in personaggi di alto lignaggio, principi, re, oppure maghi, banditi ecc. ecc.

Per questo continuo bisogno di cambi è necessario che la moglie o la figlia del burattinaio abbiano nozioni di sartoria, altrimenti diventerebbe troppo costoso il mantenimento del guardaroba.

Spero che ci si possa rendere conto che questo mestiere, se viene eseguito in modo serio, è praticamente come un teatro in miniatura, realizzato però soltanto da tre persone! È un’arte, anche se qualcuno fa di tutto per rovinarla.

Molti che a Bologna e dintorni si pretendono burattinai, farebbero meglio ad andare a nascondersi. Chiunque, in regione o in altre città, può far muovere i burattini ma non chiamateli burattinai!

Vorrei anche ricordare che dalla metà del 1800 all’inizio del 1900 si inizia a recitare in teatro i "burattini in persona" che verranno poi ripresi da Bruno Lanzarini.

Non ho ancora detto nulla per quanto riguarda la recitazione, che è fondamentale; una buona recitazione salva anche da eventuali difetti. Se l’espressività è avvincente e… convincente il pubblico (nostro sovrano) è ben disposto ad accettare qualche piccolo errore.

Bisogna saper attrarre e convincere il pubblico, deve sentirsi partecipe delle vicende e quasi vivere la situazione con i personaggi. Allora l’attore vince! Questo insegnavo ai miei ragazzi nella filodrammatica, ma vale anche per un bravo burattinaio.

Vi sono quattro modi di recitare:

in teatro;

alla radio;

al cinema (e anche in televisione)

e con i burattini.

Recitare in teatro.

Se in palcoscenico una persona ha le doti naturali richieste, non credo sia tanto difficile imparare le tonalità di voce da usare. La grossa difficoltà è nel capire le inflessioni, quando si deve insistere su una certa parola, oppure sussurrarla; è una facoltà che, a parte ciò che viene detto dall’insegnante, si acquista con il tempo e la pazienza.

È importante capire come ci si deve muovere, vi sono esigenze che vanno assolutamente rispettate e tutto deve essere, per chi guarda, assolutamente naturale; spesso è la difficoltà più grande. Per il pubblico tutto deve svolgersi come una scena di vita quotidiana e questo discorso vale per ogni forma di spettacolo teatrale.

Pensate alle difficoltà delle storie antiche, con costumi, duelli, o alle opere liriche in cui chi canta deve fare, a volte, strani movimenti che non devono compromettere la recitazione o il canto, ma devono essere naturali. Il movimento e le pause nella recitazione sono di grande aiuto.

Questo è teatro e si può ben capire che fatica comporta una scuola di teatro che non è da sognare come una bella avventura, ma come un lavoro duro e costante; c’è sempre qualcosa da imparare e se non c’è una grande passione è meglio non cominciare nemmeno, ma questo discorso vale per ogni forma di spettacolo.

Recitare alla radio è molto diverso, non tanto per l’espressività della voce, ma quanto per l’interpretazione. Il pubblico radiofonico non vede il personaggio e la voce deve supplire e rendere maggiormente una interpretazione. C’è il rischio di scivolare nella cosiddetta "gigioneria" (come dicono i vecchi filodrammatici).

Occorre dosare tutto a puntino non essendoci il movimento e le pause e non è facile; assomiglia molto alla recitazione dei burattini che però è leggermente più accentuata e caricata in certi punti drammatici o comici, ma il tutto deve avere sempre una certa misura e buon gusto. In fin dei conti si devono animare dei pezzi di legno!

Per noi, che avevamo la filodrammatica, c’era un po’ la difficoltà di passare dal palcoscenico ai burattini o dai burattini al teatro, ma con qualche prova tutto avveniva naturalmente.

I burattini si recitavano per la stagione dal 15 maggio al 15 settembre poi dal mese di ottobre al mese di aprile si recitava in teatro.

Noi abbiamo lavorato per l’EIAR – Radio Bologna, di Piazza San Martino nel 1946-47. All’inizio della televisione, mio padre fu subito chiamato, ma non accettò. Per noi la televisione era una forte concorrenza. Mio padre diceva che gli studi televisivi erano un manicomio che non rispettava il vero teatro o l’artista e così, più tardi, la televisione ripiegò su mio cugino Presini, ma solo per fugaci apparizioni, perché non c’era "sostanza".

La recitazione nel cinema o in televisione è quasi (ma solo quasi!) uguale al teatro, dà la possibilità di maggiori scenografie e scene di massa, panorami, effetti speciali ecc., ma se si sbaglia una scena si può sempre rifare. Se una voce è brutta si può "doppiare". Se un panorama non c’è si può disegnare ecc. ecc. Ma se l’attore è un cane… cane resta! Povero teatro!

Mio padre diceva sempre una vecchia massima: "Arte, arte, quante porcherie si commettono in tuo nome!", e mio padre è morto nel 1974, pensate un po’ se vivesse ora, cosa direbbe? Apprezzerebbe solo i doppiatori italiani che sono sempre stati e sono ancora i migliori; molti attori fanno bella figura solo per merito della loro bravura.

Quante cose ci sarebbero ancora da dire sui vecchi burattinai bolognesi, ma ormai tutto si è confuso nella mescolanza che si vuole fare di tradizione, ricordi e modernismo; ripeto: povero teatro!

Cari signori e signore, se avete maltrattato artisti o poveri guitti, fate un esame di coscienza e da ora in poi, prima di scrivere qualcosa pensateci più di una volta e abbiate il coraggio di cercare la verità.

Voi che fate incontri o chi fa venire "i burattini dal mare", non permettete eresie come quella di un Dottor Balanzone che parla romagnolo e ha il mantello leopardato! Rispettate il teatro dell’arte e le sue maschere, oppure cambiate mestiere!

Lasciate in pace i poveri burattini nel loro panierone, lasciate in pace le favole e i sogni dei bambini. Non rovinate l’infanzia dei nostri bambini che è già anche troppo tormentata dal consumismo e dal materialismo.

Lasciate che il povero Fagiolino punisca ancora i cattivi e che le fate cullino ancora i sogni dei bambini. Con un po’ di sogni e di poesia il mondo sarà certo migliore.

Spero di aver dato una idea di che cosa era e sarebbe ancora il mio mestiere, quello del vero burattinaio bolognese.

 

Marisa Mandrioli

mandriolimarisa@libero.it