La musica nella storia atriana.

di Marco Della Sciucca

La musica è un'arte. Atri è ormai universalmente definita una città d'arte. Atri è dunque una città anche musicale? A giudicare dalle testimonianze storiche in nostro possesso, il sillogismo si rivela subito esatto.
Sicuramente vi fu musica nel grandissimo teatro romano recentemente rinvenuto nei pressi del quartiere di San Domenico, ma i primi documenti che ci attestano con precisione una produzione musicale in città risalgono al Medioevo, cioè al periodo storico a cui si fanno risalire le prime testimonianze musicali inequivocabili dell'Occidente. I manoscritti pergamenacei (per lo più codici liturgici miniati) conservati presso il Museo Capitolare sono lì ad illustrarci una produzione fiorentissima di canto gregoriano nei monasteri e nelle chiese cittadine.
I documenti più antichi sono soprattutto frammenti che vanno dal X al XIII secolo: sono giunti fino a noi grazie al fatto che i monaci medievali riutilizzavano i fogli di pergamena di libri ormai vecchi e smembrati per farne fogli di guardia, cioè copertine atte a garantire una migliore conservazione di codici più recenti, magari del XIV o XV secolo. Una pratica che potrebbe oggi sbalordirci, magari scandalizzarci (smembrare un codice per farne copertine!), ma che era necessità inesorabile nel Medioevo, se si pensa al costo altissimo della pergamena (per un codice erano necessarie le pelli di un intero gregge di pecore!).
Lo studio di questi frammenti da parte dei musicologi ha condotto a ipotesi storiche che vedono Atri come uno dei centri più fiorenti di canto gregoriano dell'Italia centrale. Quasi certamente era presente in Atri uno scriptorium, cioè un centro scrittorio in cui vari monaci specializzati provvedevano a redigere con arte calligrafica e con preziosissime miniature i vari codici in uso nella liturgia. L'analisi paleografica dei frammenti, cioè l'osservazione delle caratteristiche grafiche ricorrenti della scrittura testuale e di quella musicale, rivela la presenza di influssi stilistici prevalentemente dall'area laziale e da quella beneventana. Ma vi fu spazio anche per un'originale creazione locale di melodie, se pensiamo che, tra i fogli di guardia del codice A 18, è presente un ciclo di Antifone (canti eseguiti durante i momenti di preghiera della liturgia delle ore) per la festa dell'Assunzione che rappresentano un vero e proprio unicum nella produzione complessiva di canto gregoriano. Peraltro, la festa dell'Assunzione (15 agosto) è una festa tipicamente atriana ed è tutt'oggi celebrata in Atri con una speciale liturgia (per es. l'apertura della Porta santa della Cattedrale, voluta da una bolla pontificia del .....), con fastose manifestazioni laiche, nonché con un'importante fiera cittadina di origini antichissime.
La tradizione gregoriana continuò naturalmente nei secoli XIV e XV e sono numerosi i codici, questa volta integri, che vedono la presenza di scrittura musicale per i canti delle varie celebrazioni liturgiche.
Anche l'Ars Nova, cioè quel periodo della storia della musica a cavallo tra '300 e '400 caratterizzato da una innovativa produzione polifonica, è testimoniata in Atri. Nell'Archivio Capitolare è infatti conservato un frammento manoscritto rarissimo, e studiatissimo in tutto il mondo, di Zachara da Teramo, uno dei massimi esponenti europei della cultura musicale del tempo. Vi è contenuto il Gloria Micinella, unitamente ad un'altra composizione anonima coeva. Altra testimonianza musicale del tempo è la presenza di un importante musicista, Nicolaus Cicci Tange, maestro di cappella della regina Giovanna a Napoli, morto il 13 febbraio 1370 e ricordato nel Necrologium adriense pubblicato dal Bindi (il Necrologium segnala anche un altro musicista del XV sec., Johannes Berardinus Jancanus, morto il 3 luglio 1440).
Ma è solo nel '500 che le testimonianze della vita musicale ad Atri si fanno numerose e puntuali. In primo luogo è da ricordare il vivissimo interesse musicale per l'ars musica da parte della famiglia che governava la città ormai da circa due secoli, gli Acquaviva. Basti pensare al VII duca d'Atri, Andrea Matteo III, che scrisse addirittura un trattato di teoria musicale, inserito nel proprio Commentario al De virtute morali di Plutarco, pubblicato nel 1526 nella propria tipografia di famiglia; o a suo figlio, Giovan Antonio Donato, poeta, ma anche virtuoso del liuto ed improvvisatore eccelso. Con interessi così spiccati per la musica, è chiaro che non potevano mancare a corte, tra filosofi, letterati, uomini di scienza ed artisti tra i più importanti della cultura rinascimentale (si pensi a Pontano, Sannazaro, De Ferrariis Galateo, Cantalicio, Gravina, Raffaello, Tiziano, De Litio, etc.), anche musicisti insigni, tra i quali ricordiamo i nomi di Rinaldo Del Mel, Cesare Tudino, Ippolito Sabino, Philippe Rogier, Giovan Domenico Montella, Scipione Dentice, Ambrosio Cremonese. Risale a questi anni la creazione del teatro di corte del palazzo atriano degli Acquaviva, dove si presume venissero allestiti importanti spettacoli in cui la musica aveva un ruolo non secondario. Il teatro occupava un salone sito al piano terra del palazzo, sul lato sinistro del cortile interno (oggi risulta diviso in più stanze): "Consiste in un vasto salone, ove v'è piantato un teatro di tavole con cinque scene per ordine, dipinte sopra tela e il Duomo che è addietro altre due scene et altro Duomo sopra carta, dipinto con cieli consimili, ha sua stanza dietro, per uso dei rappresentanti ... Vi sono undeci ordini di sedili di legname e un tavolato che divide già il Teatro e della Platea per sedere i musici. Nella testa vi è un palchettone con tre ordini di sedili di legname, et a man sinistra di detto Teatro, accosto alla bocca d'opera, vi è altro palchetto con due scanni di legno coverti di vacchetta solo il piano di sopra [forse i posti riservati alla famiglia ducale]" (dagli Atti per il Regio Fisco sopra il sequestro generale et annotazione di beni ritrovati nell'eredità della quondam ill'ma Duchessa d'Atri, 1760, Napoli, Arch. di Stato). Ma questo aspetto della vita musicale presso la corte degli Acquaviva d'Atri non è stato ancora ben approfondito dagli studiosi: è quindi necessario rivolgerci, per avere notizie un po' più dettagliate, all'altro polo politico-culturale della città, quello della Cattedrale, considerando anche che vi era una sorta di fluida continuità culturale tra corte e chiesa.
Le carte dell'Archivio capitolare ci consegnano un lungo elenco di compositori, organisti, maestri di cappella, cantori e organari (non vi mancano poi quelli di coloro che erano addetti ad alzare i mantici dell'organo!). Già nella prima metà del '500 era attiva una schola cantorum istituita da Iulio Quinto Fileon (forse un fiammingo?), musicista e canonico della Cattedrale morto il 4 dicembre 1560, nel cui ambito, forse, si forgiarono le abilità musicali di Giovan Valerio Corvo, canonicus et musicus (morto l'8 luglio 1578), di Cesare Tudino e di tanti altri. Il primo a ricevere l'appellativo di "maestro di cappella" fu un tal messer Adriano, presente in Cattedrale dal 1593, forse identificabile con Adriano Della Rota, noto musicista di Ortona. Il titolo passò poi, nel '98, a Feliciano Caporicci e, quindi, ad una lunga schiera di compositori che vi si alternarono fino alla prima metà del nostro secolo.
Il periodo barocco è sicuramente, musicalmente parlando, il meno indagato dagli studiosi, ma si può presumere che l'attività musicale procedesse florida nei due centri di potere, quello laico e quello religioso, quindi con un buon numero di musicisti di corte e musicisti della cappella (che non di rado erano gli stessi). Naturalmente anche le confraternite religiose, numerose in Atri, avevano un proprio ampio repertorio musicale. Sicuramente i generi dominanti furono quello operistico (a corte) e le cosiddette azioni sacre (in ambito religioso), sorta di dramma in musica ispirato alla vita dei santi o al testo biblico. Fatto sta che i due più antichi libretti ritrovati in Abruzzo sono entrambi relativi ad azioni sacre eseguite in Atri: Il martirio di san Pietro principe degli Apostoli, componimento drammatico cantato in Atri nell'anno 1739 e Il Sisara, azione sacra per la solenne monacazione dell'eccellentissime signore D. Maria Luisa e D. Maria Michele Caracciolo Dè Principi di Santo Buono, cantata in Atri nell'anno 1740, entrambe con testo di Domenico Ravizza di Lanciano. Ma già nel 1627 si eseguiva (come ci testimonia il Toppi) L'Atriana incognita, commedia (musicale?) su testo dell'atriano Francesco Gasbarrino.Questa drammaturgia nascente trovò quindi nel Settecento una più compiuta realizzazione con l'infittirsi delle collaborazioni tra librettisti e musicisti, con una certa produzione melodrammatica dai tratti e contenuti a volte spiccatamente locali, ma sempre perfettamente in linea con i criteri formali ed estetici dell'"avanguardia" musicale europea. Si pensi al librettista atriano Stefano Ferrante o Ferranti (mutò il suo cognome in Serrario, mentre in Arcadia fu Terisbo Cratideo, morto il 4-X-1790) che, professore di Etica e Diritto di natura in convitti e collegi gesuiti abruzzesi, amico del Metastasio, forse musicista egli stesso e portavoce di una cultura arcade ed illuminista di grande interesse artistico, fu autore di drammi che catalizzarono l'interesse di numerosi importanti musicisti, reinvestendo così l'Abruzzo di un clima di intensa e vivace attività culturale.
I nomi dei musicisti rimangono invece sconosciuti dal momento che, generalmente, il musicista seicentesco era considerato alla stregua di un tecnico, più che di un artista vero e proprio. Inoltre ciò che ci è pervenuto non è certo la musica, ma esclusivamente i testi letterari, i libretti, strumenti indispensabili al pubblico per la comprensione delle trame teatrali. Più difficile è capire dove fosse rappresentata un'azione come Atri liberata dagli Unni, rappresentata ad Atri nel 1836, su musiche di Camillo Bruschelli, maestro di cappella della Cattedrale Aprutina e del Real Collegio di Teramo. Certo è che tra XVIII e XIX secolo era certamente attivo un teatro situato al posto dell'attuale palazzo dell'orfanotrofio "Cardinal Cicada".
Una rapida scorsa, parziale tra l'altro, al fondo dei manoscritti musicali dell'Archivio capitolare di Atri, che è quasi esclusivamente ottocentesco, è stata sufficiente per comprendere alcuni meccanismi di produzione musicale della cappella della Cattedrale. Vi è ad esempio una busta contenente solo composizioni anonime e senza data, più o meno della seconda metà del secolo. Il che lascerebbe pensare che la composizione di brani sacri per ogni occasione importante dell'anno liturgico fosse una normale attività di routine del maestro di cappella, che il più delle volte era superfluo segnalare con nome, cognome e data. Ma i manoscritti musicali ci fanno comprendere anche quanto fossero contigui il mondo ecclesiastico e quello civile, se troviamo a volte brani religiosi (di maestri di cappella o di altri musicisti come Luigi e Paolo Sagaria, Domenico Quercetti Consacra, Benedetto Visocchi, Giustino Lambra, Giacomo Zucchi, D. Achilli, F. Baroni, Cellini, Dati, Ambrogio Lombardi, Carlo Rovere, Vecchiotti, Aristotele Pacini, E. Bertini, Baviera, Capocci, G. Rossi, G. Pardi, etc.) accompagnati da relative trascrizioni per banda, o se rintracciamo brani scritti appositamente per feste civili. Ci dicono molto anche degli organici strumentali utilizzati nelle chiese. Vi sono partiture che prevedono vere e proprie orchestre con archi al completo, flauti, clarinetti, fagotti, corni, oltre a masse corali, soprattutto virili ma anche di voci bianche, e a cantanti solisti. Il rinvenimento, nello stesso archivio, di vari manoscritti contenenti materiale didattico sull'orchestrazione, sull'armonia, etc., lascerebbe supporre che la cappella della Cattedrale di Atri svolgesse, fra le sue funzioni, anche quella di scuola musicale - difficile capire a quale livello.
Il grande sviluppo ottocentesco del melodramma fu il motivo del sorgere di numerosi teatri in tutto l'Abruzzo. Il "Comunale" di Atri sorse nel 1881 e sostituì il teatro sopra citato, ormai obsoleto e in precarie condizioni di stabilità. Fu voluto dalla massoneria locale in posizione frontale rispetto alla Cattedrale, quasi in atto di sfida nei confronti del potere religioso: si inseriva degnamente, nonostante il relativo decadimento culturale della cittadina nell'800, in quella gloriosa tradizione teatrale iniziata col teatro cinquecentesco del palazzo dei duchi Acquaviva d'Aragona.
In genere i maestri direttori e concertatori, a volte artisti di prestigio nazionale ma anche internazionale, venivano da fuori, unitamente ad alcuni solisti di fama riconosciuta. La città provvedeva invece alle masse orchestrali e corali, agli scenografi, i macchinisti e spesso al maestro sostituto, che poteva essere un musicista locale di rilievo, per esempio il maestro di cappella del Duomo o il direttore della locale banda.
Oltre al teatro e alle cappelle, in Atri quale vita musicale si conduceva? Vi erano dei modi alternativi di far musica? Certamente sì, per quanto i generi melodrammatico e sacro fossero quelli dominanti e, per così dire, ufficiali.
Non dobbiamo però dimenticare i salotti mondani dell'aristocrazia del tempo. Vi troviamo nobildonne appassionate di musica, ma anche musiciste esse stesse, come Sofia Acquaviva, che "scriveva prose e versi in italiano ed in francese con forbita facilità, dipingeva all'olio ed all'acquerello, suonava il piano, cantava con voce dolcissima e con grande espressione". Ma anche
tra le famiglie benestanti la musica è un arricchimento culturale inderogabile, con le romanze da salotto alla Tosti, per quanto molta musica da camera di quel periodo consisteva in adattamenti e trascrizioni strumentali da melodrammi di successo. Dunque un dilettantismo senza alcuna connotazione negativa, piuttosto come fluido circuito di cultura musicale diffusa, che poi si traduceva in circuito economico-commerciale con il mercato e la vendita di prodotti editoriali e di strumenti musicali.
In realtà, la vita quotidiana non era fatta sempre di concerti, di serate alla moda, di spettacoli e manifestazioni. Tutt'altro. Vi erano infatti gli svaghi musicali della popolazione, che consistevano nel cantare accompagnandosi magari con il mandolino o con la chitarra (nei centri urbani) e con il 'du bbotte' assieme al tamburello e ad altri strumenti ritmici nelle campagne; a Natale si sentivano gli zampognari. Vi erano i canti di tradizione orale delle feste contadine per i raccolti, i canti, le filastrocche e gli stornelli delle donne durante i loro lavori domestici, canti di attesa, di speranza, di gioia, i canti religiosi, le serenate cantate dai ragazzi sotto i balconi delle ragazze.
E vi era ancora la banda, vero motivo di vanto del popolo atriano, che rappresentava l'identità culturale forse più connaturata con la situazione socio-culturale cittadina nell'800.
Quella di Atri fu una delle bande più antiche d'Abruzzo. Sorta nel 1809, fu anche centro di formazione musicale per i giovani, in ciò ponendosi al fianco della scuola musicale della cappella della Cattedrale. Fino agli anni '50 del nostro secolo la banda ha rappresentato l'istituzione musicale più importante della città, una città che, è bene ricordarlo, non viveva più da tempo i fasti culturali di cui si era ornata nei secoli precedenti.

Furono direttori della banda di Atri i maggiori maestri della scena abruzzese, ma una citazione a parte merita la figura di Antonio Di Jorio, musicista tra i più importanti dell'Abruzzo del '900, che profuse per Atri le sue migliori energie negli anni in cui vi risiedette, ma anche nei successivi anni del suo esilio romagnolo a Rimini, quando faceva sovente ritorno nella cittadina amata. E Atri ne ricambia oggi l'affetto con una corale che porta il suo nome e con un istituendo archivio che ospiterà manoscritti, edizioni, documenti ed altri oggetti che furono di proprietà del maestro.
Proprio l'attività corale è quella che ancor oggi prosegue la tradizione musicale atriana, se pensiamo all'attuale presenza di tre valenti gruppi corali, in particolare della Schola cantorum "Aristotele Pacini", impegnata nei servizi liturgici delle maggiori solennità nella Cattedrale, ma anche in tournée di concerti in tutta Italia. La pratica strumentale è invece quasi del tutto assente in città, se si eccettuano i casi di studio privato di uno strumento musicale. La presenza dell'associazione musicale "Cesare Tudini" garantisce però stagioni concertistiche di buona qualità che la popolazione atriana ha dimostrato in questi ultimi anni di gradire sempre di più con un'affluenza ai concerti costantemente cospicua.
Certo, il popolo atriano sente su di sé il peso di una tradizione importante e con esso la necessità di un riscatto culturale di cui la musica potrebbe rappresentare un momento fondamentale e primario. Ma per arrivare a ciò v'è bisogno, tra i governanti della città, di menti illuminate e lungimiranti come non sono mancate nei secoli scorsi. Noi crediamo fermamente in questo riscatto.

CESARE TUDINO

(COMPOSITORE ATRIANO DEL XVI SECOLO)


Nulla sappiamo della sua data di nascita né di quella di morte, ma i dati in nostro possesso ci fanno ritenere che sia nato in Atri (dove è testimoniato che vi fossero diversi parenti) intorno agli anni '30 del Cinquecento ed ivi morto dopo il 1590, anno di pubblicazione, a Venezia, della sua ultima raccolta di musiche. Per quanto riguarda la sua formazione musicale si ritiene che sia avvenuta nella sua stessa città, nella scuola musicale della Cattedrale, istituita nella prima metà del '500 da Julio Quintio Fileon. Non si esclude però che sia stato puer cantor in San Giovanni in Laterano in Roma, nelle cui carte d'archivio risulta appunto in tale veste, nel 1543, un tal Cesare soprano. L'ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che in seguito, negli anni 1558-59, il Tudino prestò sicuramente la sua opera di organista nella Basilica romana. Fu canonico nella Cattedrale di Atri dove operò per alterni periodi come musicista dal 1552 al 1588. Fu musico probabilmente presso la corte dei Trivulzi, marchesi di Vigevano, e sicuramente presso quella degli Acquaviva ad Atri, dedicando al duca Giovan Girolamo Acquaviva Il primo libro delli soi madrigali a 5 voci, stampato a Roma il 9 gennaio 1564, e al duca Alberto il primo libro delle Missæ Quinque Vocum, stampato da Vincenti a Venezia nel 1589.

Oltre a tali opere, di lui ci rimangono (sparsi in biblioteche ed archivi di tutta Europa ed America): Li madrigali a Note Bianche et Negre cromatiche et Napolitane a 4, Venezia, Scotto, 1554; Mottettorum quinque vocibus Liber primus, Venezia, Vincenti, 1588; Magnificat omnitonum a 4 e a 8 voci, Venezia, Vincenti, 1590. Molte sue canzoni "alla napolitana" sono comprese in antologie dell'epoca. Inoltre, presso la Staats-und Stadtbibliothek di Augsburg, sono conservate alcune sue opere manoscritte. Ne testimoniano la fortuna presso i suoi contemporanei la grande importanza delle cariche avute, il prestigio dei tipografi che ne stamparono le opere, nonché, fatto unico nella storia musicale rinascimentale, una lapide marmorea conservata nel Museo Capitolare di Atri, che riproduce un canone a quattro voci del musicista, dedicato a S. Cecilia (1577).