Diario 1941-1943

DAL DIARIO DI ETTY HILLESUM - 1941

Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1996,

 

“Avanti, allora!”

“Domenica 9 marzo. Avanti, allora! E’ un momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe (…). Mi sento così impacciata, non ho il coraggio di lasciarmi andare (...). E’ come nel rapporto sessuale (…): l’amore sembra perfetto allora, e invece rimane una Spielerei [passatempo] che gira attorno alle cose essenziali, mentre qualcosa resta bloccato nel profondo di me stessa (…). Quando si tratta di problemi della vita, posso spesso apparire come una persona ‘superiore’: eppure, nel profondo di me stessa, io sono prigioniera di un gomitolo aggrovigliato, e con tutta la mia chiarezza di pensiero a volte non sono altro che un povero diavolo impaurito” (pag. 23).  

“E’ spuntato il pensiero liberatorio…”

Ieri pomeriggio abbiamo scorso insieme le note che mi aveva dato. Quando siamo arrivati alla frase: basta che esista una sola persona degna di essere chiamata tale da poter credere negli uomini, nell’umanità, m’è venuto spontaneo di buttargli le braccia al collo. E’ un problema attuale: il grande odio per i tedeschi che ci avvelena l’animo (…). Ed ecco che improvvisamente è spuntato il pensiero liberatorio, simile a un esitante giovanissimo stelo in un deserto d’erbacce: se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. E’ una malattia dell’anima” (pag. 29-30).  

 "Ora comincio con la calza"

“L'ordine gerarchico all'interno della mia vita è un po' cambiato. Una volta preferivo cominciare a stomaco vuoto con Dostoevskij o con Hegel, e a tempo perso, quand'ero nervosa, mi capitava di rammendare una calza, se proprio non si poteva fare altrimenti. Ora comincio con la calza, nel senso più letterale della parola, e poi pian piano, passando attraverso le altre incombenze quotidiane, salgo verso la cima, dove ritrovo i poeti e i pensatori” (pag. 32).

 “Ora vivo e respiro con la mia anima”

Mille catene sono state spezzate, respiro di nuovo liberamente, mi sento in forze e mi guardo intorno con occhi raggianti. E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto e la mia ricchezza interiore è immensa. Ora vivo  e respiro con la mia anima (…). Ora che le mie forze interiori hanno potuto organizzarsi, esse hanno anche cominciato a lottare contro il mio desiderio di avventure e contro la mia curiosità erotica, che s’interessa a molti uomini” (pag. 35).

 “Vedi, se domani finisse tutto…”

“Debbo vincere quella paura indefinita che mi porto dentro. La vita è difficile davvero, è una lotta di minuto in minuto, ma è una lotta invitante. Una volta io mi immaginavo un futuro caotico perché mi rifiutavo di vivere l’istante più prossimo. Ero come un bambino molto viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza – peraltro molto vaga – che in futuro sarei potuta diventare ‘qualcuno’ e che avrei realizzato qualcosa di ‘straordinario’, altre volte mi ripigliava quella paura confusa che ‘sarei andata in malora lo stesso’. Comincio a capire perché: mi rifiutavo di adempiere ai compiti che avevo sotto gli occhi, mi rifiutavo di salire verso quel futuro di gradino in gradino (…). Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella ‘vera’, ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena di viverla ora, oggi, in questo momento; e se sapessi di dover morire domani direi: mi dispiace molto, ma così com’è stato, è stato un bene (…). Ricordo una sera d’estate, eravamo seduti fuori (…): vedi, se domani finisse tutto, non me ne farei un gran problema…” (pag. 38).  

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“Devo badare a tendermi in contatto con questo quaderno, vale a dire con me stessa…” (pag. 39).

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 “Vivere pienamente…”

“E’ tutto un mondo che va a pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora andrò avanti anch’io (…). Dobbiamo tenerci in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà, non si può vivere solo con le verità eterne, così rischieremmo di fare la politica degli struzzi. Vivere pienamente, verso l’esterno come verso l’interno (…): considera tutto come un bel compito per te stessa (…). Domani si lavora di nuovo, alla scienza, alla casa, a me stessa: non si può trascurare nulla e non si può neppure prendersi troppo sul serio, buonanotte” (pag. 45).

 “Mi sento come un campo di battaglia”

“Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno d’aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione di ‘sfasciarmi’ sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all’improvviso mi ha permesso di andare avanti, con maggior forza. Ho provato a guardare in faccia il ‘dolore’ dell’umanità (…), mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni dei problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Questi problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire (…). Non ci si può però sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre un campo di battaglia: dobbiamo poter recuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi, la nostra vita limitata…” (pag. 48-49).

 “Devo trovare la mia forma”

“Sono agitata, di una bizzarra, diabolica, irrequietezza che potrebbe anche essere produttiva se sapessi che farmene (…). Mio Dio, prendimi nella tua grande mano e fammi tuo strumento, fa’ che io possa scrivere! (…) mi sono resa conto che non si può spigare l’essere umano con nessuna formula psicologica: solo l’artista è in grado di rendere ciò che resta d’irrazionale nell’uomo. Non so come andrà a finire questo mio scrivere. Tutto è ancora caotico, non ho abbastanza fiducia in me stessa, o, piuttosto, non sento ancora la necessità di dire qualcosa. Aspetterò ancora, fin quando tutto verrà fuori spontaneamente e troverà una forma: prima, però, devo trovare io stessa una forma, la mia forma” (pag. 50).

 “C’erano campi di grano…”

“A Deventer le mie giornate erano come grandi pianure illuminate dal sole, ogni giornata era un tutto ininterrotto, mi sentivo in contatto con Dio e con tutti gli uomini – probabilmente, perché non vedevo quasi nessuno. C’erano campi di grano che non dimenticherò mai e dove mi sarei inginocchiata, c’era l’Ijssel, coi parasoli colorati, il tetto coperto di canne, i pazienti cavalli. E poi il sole, che assorbivo da tutti i pori…”.

“A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza di secoli sublimata sugli scaffali lungo i muri, e con la vista che spazia su campi di grano, e devono anche ondeggiare al vento. Lì vorrei sprofondarmi nei secoli, e in me stessa. E alla lunga troverei pace e chiarezza. Ma questo non è poi tanto difficile. E’ qui, ora, in questo luogo e in questo tempo, che devo trovare chiarezza e pace e equilibrio. Devo buttarmi  e ributtarmi nella realtà, devo confrontarmi con tutto ciò che incontro sul mio cammino, devo accogliere e nutrire il mondo esterno col mio mondo interno e viceversa, ma tutto è terribilmente difficile e proprio per questo mi sento così oppressa” (pag. 51).

 “Devi confrontarti con questi tempi orribili”

“Devi confrontarti con questi tempi orribili e cercare una risposta alle numerose questioni di vita e di morte che essi ti pongono. E allora forse troverai risposta ad alcune di esse, non solo per te ma anche per gli altri. A volte mi sento come un palo ritto in un mare infuriato, fra le onde che lo battono da ogni parte. Ma io rimango ben ferma…voglio continuare e vivere pienamente” (pag. 56-57).

 “Io vengo da questo caos”

“A volte che credo che sia questo il mio compito: chiarire nella mia testa, e col tempo descrivere, tutto ciò che accade intorno a me. Povera testa e povero cuore, quante cose avete da digerire! Ricca testa e ricco cuor, e avete però una bella vita! (…) In ogni caso, io vengo da questo caos, ed è mio compito portarmi più in alto. A volte siamo così distratti e sconvolti da ciò che ci capita, che poi fatichiamo a trovare noi stessi. Eppure si deve (…). E’ in te che le cose devono venire in chiaro, non sei tu che devi perderti nelle cose (…). Ma il fatto è che la vita è composta di contraddizioni, che queste vanno accettate tutte come sue parti integranti….” (pag. 57).

 “Dentro di me c’è una sorgente”

“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda, e in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo” (pag. 60).

 “Ora conosco la mia cura ”

Ora conosco la mia cura: accoccolarmi in un angolino e ascoltare quel che ho dentro, ben raccolta in me stessa. Tanto, col pensiero non ci arriverò mai. Pensare è una bella, superba occupazione quando studi, ma non puoi ‘pensarti fuori’ da uno stato d’animo penoso. Allora devi fare altro, farti passiva e ascoltare, riprendere contatto con un frammento d’eternità” (pag. 61).

 “Lasciarti abbracciare dalla vita”

“Ecco la tua malattia: pretendi di rinchiude vita nelle tue formule, di abbracciare tutti i fenomeni della vita con la tua mente, invece di lasciarti abbracciare dalla vita. Va bene che tu affacci la tua testa in cielo, ma non che tu cacci il cielo nella tua testa. Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com’è. È un atteggiamento alquanto dispotico” (pag. 64).

 “Dentro di me c’è una melodia…”

“Dentro di me c’è una melodia che a volte vorrebbe tanto essere tradotta in parole sue, Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia, e non so che altro, rimane soffocata e nascosta. A volte mi svuota completamente. E poi mi colma di nuovo di una musica dolce e  malinconica.

A volte vorrei rifugiarmi con tutto quel che ho dentro in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. E’ proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, un rifugio per sé…” (pag. 67).

 “Paura di vivere…”

“Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura” (pag. 70).

 “La ragazza che non sapeva inginocchiarsi…”

 Da qualche parte in me ci sono una malinconia, una tenerezza e anche un po’ di saggezza che cercano una forma. A volte mi passano dentro dialoghi, immagini e figure, atmosfere. Questo improvviso affiorare di qualcosa che dovrà diventare la mia verità. Questo amore per gli altri che dovrà essere conquistato – non nella politica o in un partito, ma in me stessa. C’è ancora una falsa timidezza che mi impedisce di confessarlo. La ragazza che non sapeva inginocchiarsi e che pure lo aveva imparato, sul ruvido tappeto di cocco di una disordinata camera da bagno. Ma sono faccende intime, più intime di quelle de sesso” (pag. 72-73).

 “Per questa stanza chiara e spaziosa…”

‘La sua vita maturava lentamente verso il proprio compimento’. A volte sento così. Se solo fosse vero! Questa vasta giornata è tutta mia: scivolerò in essa molto dolcemente, senza nervosismo e senza fretta. Riconoscenza, un’improvvisa e consapevole riconoscenza per questa stanza chiara e spaziosa col largo divano, la scrivania coi libri, l’uomo tranquillo che è vecchio e giovanissimo al tempo stesso (…). Ma soprattutto ancora quella chiarezza e pace e fiducia in me stessa. Come se, trovandomi in un fitto bosco, d’un tratto giunga a un luogo aperto, in cui possa coricarmi sulla schiena a riposare e a guardare il cielo” (pag. 73).

“Quel che ho borbottato allora"

Qualcosa mi succedendo e non so se si tratti di un semplice stato d’animo o di un fatto importante. Mi sembra di reggermi di nuovo su me stessa. Sono un po’ più autonoma e indipendente. Ieri sera pedalavo per la fredda e buia Larissestraat — se solo potessi ripetere tutto quel che ho borbottato allora:

Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vi cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò ancora accettare l’irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. E dovunque mi troverò, io cercherò d’irraggiare po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantarmi di questo ‘amore’. Non so se lo possiedo. Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente. A volte credo di desiderare l’isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini,  e in questo mondo. E lo farò, malgrado la stanchezza e il senso di ribellione che ogni tanto mi prendono. Prometto di vivere questa vita fino in fondo, di andare avanti…” (pag. 74).

 

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“Certe volte mi capita di pensare: la mia vita è sbagliata, c’è un errore.

Ma questo capita solo quando ci si fa una determinata idea della vita, rispetto a cui può apparire sbagliato come realmente viviamo” (pag. 75).

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 “E’ una questione fondamentale”

E’ una questione fondamentale, importante e difficile: nel proprio cuore voler bene ai propri genitori. Cioè perdonarli per tutte le difficoltà che ti hanno creato semplicemente con la loro esistenza: difficoltà nell’attaccamento come nella repulsione, e nel peso della loro vita complicata che s’aggiunge alla tua”.

“Molte persone sono troppo ristrette, troppo chiuse nelle loro idee e così, educando i figli, li legano a loro volta. Da noi era proprio il contrario. Mi sembra che i miei genitori siano stati sempre più sopraffatti dal­l’infinita complicazione di questa vita, e che non sia­no mai stati in grado di fare una scelta. Hanno la­sciato troppa libertà di movimento ai loro figli, non potevano offrirci nessun punto d’appoggio, dato che non ne avevano mai trovato uno per sé; e non pote­vano contribuire alla nostra formazione perché non si erano mai trovati una forma.

Ora capisco sempre meglio il nostro compito: è quello di permettere ai loro poveri talenti, dispersi senza forma e riposo, di crescere, di maturare, e di trovare la loro forma in noi" (pag. 78-79).

 

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“Ho la sensazione che dentro di me si compia un mistero di cui nessuno sa nulla…(pag. 84).

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“Quando l’alba s’affaccia grigia e silenziosa alle mie pallide finestre…”

“Ci si lamenta di come fa buio al mattino. Per me, invece, è spesso l’ora migliore del giorno – quando l’alba s’affaccia grigia e silenziosa alle mie pallide finestre. In quel grigiore e silenzio c’è allora una macchia luminosa e violenta, la piccola lampada velata che rischiara il grande piano scuro della mia scrivania (…). Stamattina una profonda tranquillità. Proprio come una tempesta che s’è calmata. Mi accorgo che questo stato d’animo si ripete ogni volta: dopo dieci giorni di vita interiore terribilmente intensa, ricerca di chiarezza, doglie patite per sentimenti e pensieri che non sono affatto pronti per nascere, enormi pretese da parte mia, la ricerca di una propria forma che diventa di un’importanza capitale, ecc. ecc. ecc. – ecco che tutto quest’affanno, improvvisamente, mi cade di dosso (…). Sento allora di essere tutt’uno con la vita. Inoltre: che non sono io individualmente a volere o a dovere fare questo e quello, ma che la vita è grande e buona e attraente ed eterna – e se tu ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente e eterna corrente che è appunto la vita. E’ proprio in questi momenti – e quanto ne sono riconoscente – che ogni aspirazione personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio, di conoscere e di sapere si acquieta, e un piccolo pezzo d’eternità scende su di me con un largo colpo d’ala” (pag. 85).

“Al ritmo che ti porti dentro”

“E che importa se studio una pagina di libro in più o in meno? Purché tu viva dando ascolto al ritmo che ti porti dentro – a ciò che sale dal fondo di te stessa.

L’unica sicurezza su come tu ti debba comportare ti può venire dalle sorgenti che zampillano nel profondo di te stessa.

E io lo dico ora con tutta umiltà e riconoscenza e sincerità, anche se so bene che tornerò ad essere suscettibile e ribelle: Dio mio, ti ringrazio perché mi hai creata così come sono. Ti ringrazio perché talvolta posso essere così colma di vastità, quella vastità che poi non è nient’altro che il mio essere ricolma di te (…). E ora presto a sparecchiare la tavola della colazione e a preparare ancora un momento la lezione per Levi e devo anche mettere un po’ di colore sulla bocca” (pag. 86-87).

“Quel gesto così intimo…”

Ieri sera, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel mezzo di questa grande stanza, tra le sedie di ac­ciaio sulla stuoia chiara. Un gesto spontaneo: spinta a terra da qualcosa che era più forte di me. Tempo fa mi ero detta: mi esercito nell’inginocchiarmi. Esitavo ancora troppo davanti a questo gesto che è così intimo come i gesti dell’amore, di cui pure non si può parlare se non si è poeti” (pag. 87).

“Quello che s’innalza dentro”

“E ora mi capita di dovermi inginocchiare di colpo davanti al mio letto, persino in una fredda notte d’inverno. Ascoltarsi dentro. Non lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma da quello che s’innalza dentro” (pag. 93).

“Il coraggio di dirlo”

Qualche volta ho la sensazione di avere Dio dentro di me, aveva detto un paziente a S., per esempio quando ascolto la Matthaus Passion. E S. aveva risposto all’incirca che «in quei momenti lui era in contatto diretto con le forze creative e cosmiche che operano in ogni persona »; e che « questo princi­pio creativo era in definitiva una parte di Dio, si do­veva avere solo il coraggio di dirlo ».

Queste parole mi accompagnano già da settimane: si deve avere anche il coraggio di dirlo. Avere il co­raggio di pronunciare il nome di Dio" (pag. 87).

 “Il giorno continuerà a crescere”

“Ora sono le nove e mezzo di mattina, Han russa là dietro con un suono piano e familiare, nella stanza in penombra. La mattina domenicale grigia e silenziosa sta crescendo e facendosi giorno chiaro, il giorno continuerà a crescere diventando sera, e io cresco con essi. In questi ultimi tre giorni è come se io fossi passata attraverso un processo di maturazione di anni” (pag. 88). 

 

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