Etty Hillesum e Edith Stein
IL CUORE MOLTIPLICATO DEL MONDO
"Fu
uno strano giorno quando arrivarono degli ebrei cattolici - o se si
preferisce dei cattolici ebrei- suore e preti con la stella gialla sui
loro abiti religiosi. Ricordo due giovani gemelli dagli identici, bei
visi scuri del ghetto e dagli occhi calmi e fanciulleschi sotto i loro
zuccotti, che raccontavano con cortesia e stupore di essere stati
portati via dalla messa alle quattro e mezzo di mattina, e di aver
mangiato cavolo rosso a Amersfoort". Così
scriveva Etty Hillesum in una lettera spedita da Amsterdam nel dicembre
1942, indirizzata a due sorelle
dell'Aia, e in cui si sofferma a lungo a descrivere la vita nel
campo di smistamento di Westerbork, al confine tra i Paesi Bassi e la
Germania.
I
cattolici ebrei che Etty descrive erano suore, preti e monaci di origine
ebraica. Il 1 agosto 1942 i tedeschi perpetrarono una retata di circa
300 ebrei cattolici in seguito alla protesta dell'arcivescovo Johannes
de Jong contro la persecuzione degli ebrei. Molti di questi
religiosi arrivarono a Westerbork nei giorni successivi. Tra
di loro c'era una monaca carmelitana, suor Teresa Benedetta della
Croce. Il suo vero nome era Edith Stein. All'arrivo a
Westerbork, alla registrazione di routine, uno degli agenti chiese ad Edith a quale confessione
religiosa appartenesse. Alla risposta di lei "Sono cattolica"
l'ufficiale arrabbiato replicò: "Niente affatto. Tu sei una
maledetta ebrea" . Nella
notte tra il 6 e il 7 agosto, ad un nuovo appello, Edith Stein risultò
tra i prigionieri destinati per la partenza ad Auschwitz. Il treno vi
giunse probabilmente la mattina del 9 agosto. Qui, solo gli uomini e le
donne al di sotto dei cinquant'anni furono destinati ai lavori forzati a
Birkenau. Edith Stein aveva 51 anni e la sua vita si concluse
quel giorno nella camera a gas. Nello
stesso luogo, il 30 novembre 1943, morì Etty Hillesum, all'età
di ventinove anni, a circa tre mesi dalla deportazione da Westerbork . Etty
Hillesum e Edith Stein: due donne, che si sfiorarono nello
spazio temporale di pochi giorni, e di cui forse, soltanto,
s’incrociarono brevemente gli sguardi per pochi attimi.
Successivamente, quando già Edith era andata verso il suo destino, Etty,
che andava annotando la propria interiore vicenda in un diario e nelle
lettere agli amici, ricordò quest’episodio e forse anche, senza però
trasmettere il suo pensiero alla penna, il volto di quella monaca,
filosofa e mistica, proclamata Santa cinquantasei anni dopo e cui Etty
stessa, una sconosciuta ebrea olandese, sarebbe stata paragonata.
Due donne - i cui destini difficilmente si sarebbero potuti incrociare,
se non altro perché Edith Stein era una claustrale -
s’incontrarono a ridosso di un treno in partenza, e poi
morirono nello stesso luogo. Per ognuna di loro, Westerbork fu soltanto
una tappa verso l'epilogo di un itinerario interiore che ebbe come suo
Golgota il campo di sterminio di Auschwitz.
"La nostra radice è Dio"
Accostando
le vite di Etty Hillesum ed Edith Stein pur nella loro
diversità, mi è sembrato esserci un grande "cuore" comune:
una profonda esperienza di Dio. Per entrambe, il nome di Dio diviene una
realtà sempre più grande nella loro vita, una presenza sempre più
preponderante nel loro essere: come un seme che diviene un arbusto, o
come un fiume le cui acque dapprima arrivano alle caviglie e poi alla
gola e oltre la testa. Si può dire che né Etty né Edith partano dal cercare Dio: entrambe lo incontrano, ospite interno sulla via dell'umano. L'adesione a Dio avviene in Edith chiaramente all'interno della tradizione ebraico - cristiana; dell'ebrea Etty, è stato ribadito il suo cammino senza né chiese né sinagoghe, il suo essere partita da un Dio senza nome, da un interlocutore interno invocato come la parte più vera e più profonda di sé, quella in cui "si riposa". Da che si autodefiniva "la ragazza che non sapeva inginocchiarsi", a ottobre del 1942 scrive di sé "la ragazza che ha imparato a pregare" e aggiunge: "E' il mio gesto più intimo, ancor più intimo dei gesti che ho per un uomo" . Lettrice
della Bibbia, di cui cita più volte specie i Vangeli, Etty ritrova in sé
un Dio la cui definizione non fu un suo problema, e la cui identità è
comunque evidente nei frutti della vita di questa giovane donna: amore
al nemico, desiderio di condividere e alleviare le sofferenze, amore per
la vita più forte di ogni morte. "La nostra radice è
Cristo", scriveva Edith Stein in una lettera dell'ultimo
periodo della sua vita ;
questo termine, al di là di ogni intento di cristianizzazione forzata
di Etty Hillesum, mi appare
come la configurazione ultima, l'ultima
stanza
del percorso esistenziale e conoscitivo di entrambe queste donne. E, in
qualche modo, nella propria anima, fu una claustrale anche Etty: "Ci
si può ritirare in una preghiera come nella cella di un convento" .
Dalla "cella" della propria interiorità ai lager di
Westerbork e Auschwitz per Etty, dalla cella del Carmelo alla stessa
Auschwitz per Edith, il cammino di queste donne va dall'interno verso
l'esterno (modalità esistenziale cara ad entrambe) lungo una strada di
assimilazione (consapevole in Edith, spontanea e non teorizzata in Etty)
alla modalità di un Altro, la cui identità è rivelata come apertura
all'altro: "Ho
spezzato il mio corpo come fosse pane e l'ho distribuito agli uomini.
Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo" . A
luglio del 1941 Etty scrive nel suo Diario: "Una volta che si
comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la
vita diventa un'unica, lunga passeggiata"
.
Nel 1931 Edith aveva scritto a una suora da Breslavia, della propria
esperienza di Dio, qualcosa di profondamente simile: "In fondo
ciò che devo dire è una piccola, semplice verità: come imparare a
vivere con la mano nella mano del Signore". Da
quale percorso queste due donne arrivano ad incontrare Dio? Etty cercava
di fare chiarezza nella propria interiorità, e in fondo cercava il
significato della propria umanità; quella di Edith
è una ricerca filosofica, nel senso che la domanda che la
sorregge è eminentemente filosofica, e come tale è finalizzata a
cercare risposte universali; e tuttavia tale ricerca, per la passione e
la serietà con la quale fu affrontata, verrà a coincidere col suo
cammino esistenziale e nell'esistenza troverà poi l'estrema traduzione.
Entrambe queste donne tuttavia, pur nella differenza di intento e di
percorso, si volgono alla
configurazione interiore dell'umano; la ricerca di Dio nasce in entrambe
come incessante ricerca
dell'essenziale. Siamo davanti a due persone la cui opzione
esistenziale fu, per così dire, in primo luogo volta all'interno, al
mondo dell'interiorità vissuto come determinante nell'autopercezione e
realizzazione di sé. "Dentro di me c'è una sorgente"
In
un passo del Diario, Etty scrive: "M'immagino che certe persone
preghino con gli occhi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sé.
Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo fra le mani, credo
che cerchino Dio dentro di sé"
.
Accosterei questa affermazione, corrispondente all'esperienza di Etty
(entro la seconda categoria menzionata) con una esperienza della vita di
Edith Stein, collocata tra gli episodi significativi delle tappe
della sua conversione al cattolicesimo. L'episodio, avvenuto
poco dopo la laurea, accadde a Heidelberg, dove Edith si fermò a
fare una sosta assieme a Pauline Reinach: "Entrammo -
racconta Edith - per qualche minuto nel Duomo e mentre eravamo lì in
rispettoso silenzio, entrò una donna con il cesto della spesa e si
inginocchiò in un banco per una breve preghiera. Per me era una cosa
del tutto nuova. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo
visitato ci si recava solo per la funzione religiosa. Qui invece
qualcuno era entrato nella chiesa vuota nel mezzo delle sue occupazioni
quotidiane, come per andare ad un colloquio confidenziale. Non ho mai
potuto dimenticarlo"
. Il
carattere intimamente interiore dell'esperienza di Dio - di cui
l'atteggiamento verso il mondo esterno personale e sociale fu una
conseguenza - è un tratto in comune tra la Hillesum e la Stein. Per
entrambe, la ricerca condotta con la passione e l'impegno della mente e
del cuore conduce all'incontro con Dio passando, concettualmente ed
esistenzialmente, per la parte più
intima di sé: "La parte più profonda di me, in cui riposo,
la chiamo Dio" scrive Etty .
Così Edith: "L'uomo che va in cerca della verità vive
soprattutto nel cuore della sua ricerca intellettiva; se mira
effettivamente alla verità come tale, egli è forse più vicino a Dio -
che è la stessa verità - e conseguentemente al suo proprio centro
intimo, di quello che non pensi".
Entrambe sono testimoni di un rapporto con Dio concepito come un
colloquio intimo. Il cuore moltiplicato del mondo
Uno
tra i più grandi punti di contatto tra Edith Stein e Etty
Hillesum è non solo nel luogo ma anche nella
"motivazione" della loro morte. Entrambe, pur avendo avuto
occasione di mettersi in salvo, portarono a compimento il proposito di
assumere fino in fondo il destino del proprio popolo. Entrambe dunque si
trovarono a vivere e a leggere quell'estrema destinazione della loro
vita come un evento di condivisione di un destino ultrapersonale. "Mi
si dice: una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo, hai
tanto da fare nella vita, hai ancora tanto da fare. Ma quel poco o quel
molto che ho da dare lo posso dare comunque, che sia in una piccola
cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento. E mi sembra
una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo
preziosi per condividere con gli altri un "destino di massa"
.
Etty rifiutò di sopravvivere alla tragedia dello sterminio di massa nel
senso che non trovò maggior valore nel salvare la propria vita fisica
piuttosto che mobilitarsi interamente - corpo e anima - in ciò che si
presentava .
"Quando dico che fuggire o nascondersi non ha il minimo senso,
che non ci sono scappatoie e che val meglio rimaner con gli altri e
cercare di essere per loro quel che ancora siamo in grado di essere,
sembra che io sia molto, troppo rassegnata (...). Ancora non ho trovato
il tono giusto per spiegare questo mio sentimento intatto e gioioso, in
cui sono compresi tutti i dolori e tutte le passioni" . La
motivazione di Edith Stein nel non sottrarsi ad Auschwitz si
inscrive nel cuore di due tradizioni: la condivisione del destino del
suo popolo in quanto ebrea e l'assunzione di questo destino su di sé in
quanto cristiana (alter-Christus). “Sotto la croce ho capito il destino del
popolo di Dio; ho pensato che quelli che capiscono che tutto questo è
la croce di Cristo dovrebbero prenderla su di sé a nome degli
altri"
.
Lasciando il Carmelo di Echt da dove erano venuti a prelevarla le SS,
disse alla sorella Rosa: "Vieni, andiamo per il nostro
popolo" . Loet
Swart fa dell'esperienza di Etty una lettura molto interessante,
estensibile a mio parere anche ad Edith Stein. Swart riprende dal
filosofo ebreo E. Levinas un concetto
appartenente in generale alla tradizione mistica ebraica, quello
della "sostituzione". Questo concetto si fonda sul senso
di responsabilità che, nel pensiero levinasiano, è l'appello più
urgente proveniente dalla semplice esistenza dell'altro. In aderenza con
la concezione levinasiana della responsabilità, Swart assume il
concetto di sostituzione nel senso di una coscienza che si pone al posto
di un'altra, senza che quest'ultima venga eliminata dal suo posto; in un
altro avviene il mio compimento, anche senza che io lo sappia: "La
sostituzione è una forma di partecipazione (...). Essa può avere come
conseguenza una solidarietà che conduce alla morte" .
Nella sostituzione si viene rimandati ad una realtà dove si è divenuti
anima del mondo: "L'uomo
come ardente scintilla, come nucleo intoccabile di umanità.
Fondamentale è una partecipazione mistica alla creazione, e dunque
anche al dolore"
.
Numerosi sono i passi del Diario
di Etty che fanno pensare al concetto di sostituzione, e valgono a
chiarificarlo: "Tutte le necessità notturne e le solitudini
dell'umanità sofferente passano all'improvviso con un dolore nauseante
attraverso questo mio piccolo cuore. Che cosa vado a mettermi sulle
spalle quest'inverno?"; e ancora: "Vorwegnehmen
(anticipare). Non conosco una buona traduzione olandese di questa
parola. Sono distesa qui da ieri sera, e intanto comincio ad assorbire
una piccola parte del gran dolore che deve essere assorbito su tutta la
terra. Comincio a mettere al coperto un po' del dolore che patiremo
quest'inverno" .E
altrove, rivolgendosi a Dio: "Ti sono così riconoscente perché
hai scelto proprio il mio cuore, di questi tempi, per fargli sopportare
tutto quanto"; "Il mio cuore è una chiusa in cui si
arresta un flusso ininterrotto di dolore".
Ad ulteriore spiegazione di questo concetto, Swart cita il romanzo di André
Schwartz-Bart L'ultimo dei
giusti in cui è narrata la storia della famiglia Levy, che ad ogni
generazione dà alla luce un giusto
(l'ultimo muore proprio ad Auschwitz): costui è il Lamed-waw
che prende su di sé la sofferenza, sale al cielo, la depone ai piedi
del Signore e ottiene il perdono, e la perpetuazione del mondo
nonostante tutti i peccati. Questa figura, che si riconnette al giusto
sofferente descritto dal profeta Isaia, è "il cuore
moltiplicato del mondo, in cui si versano i nostri dolori, come un
ricettacolo" .
Viene immediatamente in mente quell'essere cuore
pensante di Etty, quell'essere una regina
Ester di Edith. Non
c'è né in Etty né in Edith una sola parola di odio contro i
persecutori; Etty Hillesum è anzi "famosa" per la sua
posizione in materia, attestata da numerose affermazioni. Anche alla luce di ciò
acquistano pienamente senso le parole riferite ad Edith Stein: "Dal
silenzio del Carmelo al silenzio della deportazione [ella] ci indica la
strada della sostituzione: al posto dell'accusa dell'altro, c'è il
sostituirsi all'altro e il far sì che tutto quello che all'altro manca
gli arrivi da me" .
L'ultimo
scritto di Etty Hillesum è la cartolina postale che lanciò dal
treno diretto ad Auschwitz, e che fu poi raccolta da qualcuno dalla
strada ferrata, e spedita. Gli
ultimi scritti di Edith Stein sono una lettera scritta dal
Carmelo di Echt a luglio del 1942 e due telegrammi da Westerbork,
l'ultimo del 6 agosto, indirizzati alla madre priora del Carmelo, in cui
è contenuta la semplice richiesta di cose necessarie (calze di lana,
coperte).
E' stato scritto di Edith quello che è evidente anche in Etty: un aver
preso congedo dalla vita (per Edith anche dalla sua comunità) con riconoscenza, "con purezza e nobiltà d'animo, senza
alcuna retorica" e anzi con l'urgenza delle necessità del
quotidiano, di modo che - e questo è profondamente vero anche per Etty
- si avverte "la voce profonda dello spirito che, come diceva
Hegel, non fugge davanti al sensibile, ma in esso si trova a proprio
agio".
"Vi è un lungo cammino per arrivare a una vita che sia nelle
mani e venga dalle mani di Dio", scrive Edith Stein .
Mi pare che entrambe queste donne abbiano compiuto questo cammino, di
cui è sigillo il rispettivo congedo dalla vita. Aveva scritto Etty
Hillesum: "Se non potrò sopravvivere, allora si vedrà chi
sono da come morirò" .
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