“Quella
potente, eterna corrente che è la vita…”
L’amore per la vita in Etty HillesumMaria Giovanna Noccelli |
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L’aspetto di Etty che forse maggiormente colpisce i lettori, e che riaffiora in continuazione nei suoi scritti, è la sua sconvolgente capacità di amare la vita e di saperne coglierne la bellezza in ogni circostanza. Verso
l’inizio del Diario Etty, ripensando alla fase precedente della propria
crescita interiore, segnata dal caos, manifesta già un certo grado di
risveglio e di grande maturità: “Debbo vincere quella paura indefinita
che mi porto dentro – scrive -.
La vita è difficile davvero, è una lotta di minuto in minuto, ma è una
lotta invitante. Una volta io mi immaginavo un futuro caotico perché mi
rifiutavo di vivere l’istante più prossimo. Ero come un bambino molto
viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza –
peraltro molto vaga – che in futuro sarei potuta diventare ‘qualcuno’
e che avrei realizzato qualcosa di ‘straordinario’, altre volte mi
ripigliava quella paura confusa che ‘sarei andata in malora lo stesso’.
Comincio a capire perché: mi rifiutavo di adempiere ai compiti che avevo
sotto gli occhi, mi rifiutavo di salire verso quel futuro di gradino in
gradino (…). Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo
la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella ‘vera’,
ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora
questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la
pena di viverla ora, oggi, in questo momento; e se sapessi di dover morire
domani direi: mi dispiace molto, ma così com’è stato, è stato un
bene”. “Vivere come un giglio nel campo”Pian
piano si fa strada e matura sempre più in lei questa profonda capacità di
vivere, sì che in tutto il Diario, pur nell’aumentare delle difficoltà e
dei dolori, la dichiarazione di amore per la vita è un ritornello costante.
Tra i numerosi pensieri solati, scritti di getto, nel diario, c’è questo:
“Vorrei
proprio vivere come i gigli nel campo. Se sapessimo capire il tempo presente
lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio nel campo” Etty,
pur nella sua piena partecipazione al dolore e all’orrore circostante,
aveva come una sorta di ‘terzo occhio’, quello dello spirito, che le
consentiva di vedere una verità non coincidente con la realtà: la
bellezza costante e tenacemente soggiacente della vita. Mantenne sempre
la capacità di vedere questa bellezza, di nominarla e di celebrarla: “Ho
una fiducia così grande: non nel senso che tutto andrà sempre bene nella
mia vita esteriore, ma nel senso che anche quando le cose mi andranno male,
io continuerò ad accettare questa vita come una cosa buona”;
poiché, continua altrove nel Diario,
“la coscienza del bene che c'è stato nella vita - anche nella mia
vita - non è stata soppiantata da tutte queste altre cose, anzi diventa
sempre più parte di me”;
“Voglio
stare in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è
bella”
.
“Eppure, alla sera tardi…”La
vita è drammatica, tragica, eppure sempre meravigliosa: “La miseria
che c'è qui - scrisse da
Westerbork - è veramente terribile; eppure, alla sera tardi, quando il
giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon
passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una
voce - non ci posso fare niente,
è così, è di una forza elementare - e questa voce dice: la vita è una
cosa splendida. Ho amato tanto la vita quando ero seduta alla mia scrivania
ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti, dai miei fiori. E là,
tra le baracche popolate di uomini scacciati e perseguitati, ho trovato la
conferma di questo amore”. Ma,
più in profondità, quello di Etty era, come lei stessa dice più volte, un
cuore troppo appassionato per
fermarsi ad un aspetto solo della vita. “La vita è infinitamente ricca
di sfumature”, scrive; “non può essere imprigionata né
semplificata”.
In una lettera all’uomo amato, scrive “la mia autenticità e il mio
amore hanno mille anni ed ogni giorno invecchiano di mille anni”
ed altrove, nel diario: “Sono già morta mille volte in mille campi di
concentramento”,
a significare l’estrema intensità con la quale viveva ogni cosa, e al
contempo la fine di ogni paura di fronte alla vita, il sentire in sé
quell’energia vitale, che è apertura, accettazione e amore, e che non può
travalicare i limiti della vita fisica. “La vita e la morte, il dolore
e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati nel camminare e il gelsomino
dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è
in me come un unico, potente insieme. Sembra un paradosso: se si esclude la
morte non si ha una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si
amplia e si arricchisce quest’ultima” .
“Suprema giustizia…”La
vita per Etty era infinitamente ricca perché tutto era sollecitazione
dell'umano nel suo livello più profondo e prezioso, più degno di questo
nome; tutto è una convocazione a una risposta, e anche ad una
trasformazione interiore del male in bene. La vita è come un tutto di cui
fanno parte (‘esistono allo stesso titolo’, ha detto S. Weil)
tanto le cose belle come i gelsomini, i campi di grano e l'arcobaleno
quanto i tedeschi e i campi di concentramento. “Suprema giustizia
–ha detto ancora S. Weil - è “l’accettazione della coesistenza
con noi di tutti gli esseri e di tutte le cose che di fatto esistono” . Ciò
non vuol dire porre il male sullo stesso piano del bene, o, peggio, darne
una giustificazione razionale, ma arrivare ad una comprensione della vita e
quindi ad una sua accettazione (che Etty distingue dalla mera rassegnazione) tanto profonda da non poter essere più giudicante;
tanto profonda da non da non poter richiedere più nulla che non
partecipazione. Colpisce la ricorrente farse di Etty, rivolta per lo più a
Dio ma anche in generale alla vita stessa nel suo insieme: “Sono
riconoscente”. E’ una espressione significativa, perché esprime
gratitudine – questo sentimento così difficile – ma anche,
etimologicamente, anche l’atteggiamento di chi, appunto, “ri-conosce”,
cioè si fa capace di vedere le cose sotto un’altra luce, di assumere
tutto sotto un’altra conoscenza. Viene qui in evidenza il significato
autentico del pensiero: “Pensare è apprendere lentamente, con
pazienza, intelligenza e amore
qualcosa che è già inscritto nella realtà delle cose, ma il cui disegno
misterioso emerge e si rivela solo a pochi”. “Un barlume di eternità…”La
singolare capacità di Etty di “vedere” la vita fa pensare a quanto già
affermato da Meister Eckhart, il grande mistico renano del 1300: “I
pensieri sono i nostri sensi interiori”, cioè è il nostro modo di
pensare che determina quello che cogliamo, è la nostra percezione e a
determinare la realtà (così anche il filosofo settecentesco Berkeley).
Etty all’inizio del suo cammino aveva chiaramente espresso la necessità
di trovare una forma, la propria forma;
successivamente ella arriva a tradurre esistenzialmente la grande verità
che il modo in cui guardiamo alle cose è la più potente forza per dare
forma alla nostra vita. Etty
scopre che la sorgente della capacità di vedere e amare la vita ognuno la
porta dentro di sé e diviene perciò capace di guardare ogni cosa con un
cuore trasfigurato, fino alle soglie del misticismo che rimane però in lei
costantemente intessuto nella vita. "Un barlume di eternità filtra
sempre più nelle mie piccole azioni e percezioni quotidiane. Sei seduta per
terra, in un angolino della stanza dell'uomo amato, rammendi delle calze e
allo stesso tempo sei seduta sulla riva di un mare immenso, e questo mare è
così limpido e trasparente che puoi distinguerne il fondo" .
Anche a Westerbork, cioè da un luogo di infinita miseria e desolazione,
dove tutto non era che bruttura estetica e morale, Etty mantiene il suo
sguardo trasfigurato, capace di rifare liricamente la realtà, come quando
una sera, guardando o ripensando ad una brutta baracca di deportati, annota:
“Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d'argento e di
eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio”.
In una preghiera esprime la consapevolezza del valore della capacità poetica che porta in sé, come parte della sua capacità di vedere la bellezza disseminata ovunque: “Dammi un piccolo verso al giorno, mio Dio, e se non potrò sempre scriverlo perché non ci sarà più carta e perché mancherà la luce, allora lo dirò piano, alla sera, al tuo gran cielo”. “Come la vita ha scritto a me…"Il
modo che aveva Etty di sentire la vita è presente anche nella sua morte, o
meglio influenzò quelle scelte che ne andarono a determinare la morte, per
esempio il rifiuto della smania di trovare sotterfugi di fuggire: “Se
tu dai importanza a te stesso – scrive - ti agiti e fai chiasso,
allora ti sfugge quella grande, potente, e eterna corrente, che è appunto
la vita. E’ proprio in questi momenti – e quanto ne sono riconoscente
– che ogni aspirazione personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio,
di conoscere si acquieta, e un piccolo pezzo d’eternità scende su di me
con un largo colpo d’ala” .
Per
Etty scrivere fu eminentemente il modo di rimanere in contatto con se stessa
e con la vita. E tuttavia un giorno deve riconoscere: “Una cosa è
certa: non potrò mai scrivere le cose come la vita le ha scritte per me, in
caratteri viventi. Ho letto tutto, con i miei occhi e con tutti i miei
sensi, ma non saprò mai raccontarlo allo stesso modo” .
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