Itinerario
"Sabato"
Testimonianza viva
della storia dell'Irpinia
Itinerario di visita, con percorsi a scelta, di più giorni con
possibilità di pernottamento.
SOLOFRA-ALTAVILLA IRPINA
Mezzi di trasporto: Treno/bici linea
"Salerno-Avellino-Benevento" + Bici o Mountain Bike +
autobus urbano "linea 01/ Atripalda
-Avellino-Mercogliano" + Funicolare "Montevergine"
o per tutto, Auto propria o in noleggio o Bus noleggiato (ove
possibile)
Itinerario:
Mezzo di trasp.:Treno/bici Avellino-Solofra
Solofra: Collegiata di San Michele-Fontana dei 4 leoni-Palazzo
Ducale
Mezzo di trasp.: Treno/bici Solofra-Serino
Serino :
I° itinerario (Serino) :Oratorio Pelosi-Castello Feudale
(Sentiero Italia)- Castello d'Orano-Chiesa di San
Francesco-Civita d'Ogliara
II° itinerario (Terminio) : Grotta S.Salvatore-Colla di
Basso-Cima Terminio
III° itinerario (Santa Lucia di Serino)
Palazzo MoscatiChiesa S.Maria della Sanità
Mezzo di trasp.:Treno/Bici Serino-Avellino
Avellino:
I° itinerario (Atripalda)
Scavi di Abellinum-Chiesa "Sant'Ippolisto"-Necropoli di
Capo La Torre-Dogana dei Grani.
II ° Itinerario (Avellino Centro Storico) : Castello di
Avellino-Palazzo De Conciliis-Duomo e cripta normanna-palazzo
Greco-Torre dell'orologio-Palazzo della Dogana-Obelisco a Carlo
II d'Asburgo-Fontana di Bellerofonte-Madonna di
Costantinopoli-Fontana Tecta.
III° Itinerario (Avellino) : Chiesa delle Oblate- Palazzo
Caracciolo-Palazzo della prefettura-Caffè lanzara-Palazzo de
Peruta-Convitto Nazionale-Museo Irpino-Biblioteca Prov.le-carcere
Borbonico
IV° itinerario (Mercogliano)
(Autobus Urbano "Linea 01"+Bici+Funicolare )
Palazzo Abbaziale di Loreto Castello Santuario di
Montevergine
Mezzo di trasp.: Treno/bici Avellino-Prata P.U./Pratola S.
Prata P.U. :Basilica paleocristiana "Annunziata"
Pratola: Ruderi basilica "San Giovanni" Dolmen
Preistorico "Casa dell'Orco"
Mezzo di Trasp.:Treno/Bici Prata P.U. Tufo
Tufo:Stabilimento Miniere Zolfo "Di Marzo"- Palazzo
"Di Marzo"- Visita cantina sociale "Di Marzo"
Mezzo di Trasp.:Treno/bici Tufo-Altavilla Irpina
Altavilla Irpina:Chiesa di "San Bernardino"- Chiesa
"Santa Maria Assunta" Cripta/Museo civico
"Gente Senza Storia" - Palazzo Comitale - Palazzo
Caruso - Monastero dei Verginiani
Ecco delle Informazioni su di alcuni paesi:
Prata Principato Ultra
Storia
Le più antiche testimonianze di una frequentazione nel
territorio pratese sono riferibili ad insediamenti e sepolcreti
di età preromana (IV-III sec. A.C.) individuati sporadicamente
in varie località e legati alla presenza di gruppi stabili di
Samnites Hirpini. L'età romana è invece attestata da
numerosi ritrovamenti archeologici di ville rustiche, neocropoli
esplorate finora nelle campagne circostanti l'odierno centro
urbano e l'aria immediatamente antistante il complesso culturale
e cimiteriale della Basilica dell'Annunziata. Quest'ultima
rappresenta, con le vicine catacombe scavate nella roccia tufacea
con tortuosi ambienti voltati del II-III sec. d.C., un vivo
esempio della continuazione di vita nella zona dalla tarda età
imperiale all'epoca della denominazione longobarda del ducato
beneventano. Il toponimo del paese deriva dal latino Pratum
(lett.prato, pianura) e da Principato Ultra, provincia a cui il
borgo era in passato giurisdizionalmente legata. La prima notizia
documentata del paese è riportata nelle Cronache di Falcone
Beneventano, dove si parla di Ruggiero II il Normanno che
ritornato dalla Sicilia nel 1134 prende d'assalto alcuni centri
fortificati della media valle del Sabato, fra i quali era anche
Prata, tenuta allora da un Guglielmo de Avenalia. Alla famiglia
de Avenalia, il feudo appartenne fino agli inizi del XIII secolo.
Nel 1239 al signore di Prata, di cui non si conosce il nome,
l'imperatore Federico II di Svevia affidò la custodia del
prigioniero milanese Giacomo Scanzo. Ad entrare in possesso del
feudo nel 1271 fu un signore locale, Antonio de Prata. Nel 1343
il paese pervenne al nobile Lanzillo Minutolo, dal quale lo
ottenne la figlia Giovanna, che portò nel 1372 Prata in dote al
marito Giovanni Filangieri, futuro conte di Avellino.
Nel 1418 per volere di Giovanna II d'Angiò Prata fu donata al
conte Sergiani Caracciolo, seguito dal primogenito Troiano
Giacomo, duca di Melfi, il quale venne privato delle sue
proprietà per aver preso parte alla fallita congiura dei Baroni
contro re Alfonso d'Aragona. Verso la fine del secolo il feudo
passò alla nobile famiglia Gargano di Aversa. Nel 1617 il feudo
venne acquistato da Giovanni Andrea Cesarano, signore di
Castelmuzzo, il quale trasmise l'investitura ai discendenti tra
cui Francesco Domenico Cesarano, che lo vendette nel 1681 a
Savino Zamagna, patrizio della repubblica di Ragusa. Dalla
famiglia Zamagna il paese fu governato fino all'abolizione della
feudalità (1806). Nel 1820 alcuni cittadini pratesi ebbero un
ruolo importante nella rivolta antiborbonica guidata da Morelli e
Silvati. Più tardi furono tutti condannati all'esilio della Gran
Corte Criminale di Avellino.
Tradizione: il 19/04 a Prata Principato Ultra si tiene il
"Volo dell'Angelo" , tradizionale manifestazione
popolare e religiosa nei pressi della Basilica dell'Annunziata.
Cosa c'e da vedere
Basilica
paleocristiana di Prata P.U.
Sulla sinistra del fiume sabato la Chiesa dell'Annunziata.
Il complesso religioso è stato costruito su preesistenti edifici
paleocristiani nell'VIII secolo. La facciata della Chiesa, del
tipo a capanna, presenta ai lati del portale due colonne
frammentarie provenienti da costruzioni di età romana, con
capitelli corinzi che reggono una arcata che inquadra una
trifora. Nel frontone triangolare, incorniciato da una serie di
dentelli d'angolo, è una piccola finestra con due colonnine
monolitiche. Sul lato sinistro è la torre campanaria. L'interno,
diviso in due corpi è ad una sola navata, con una cappella
laterale destra settecentesca a cui segue il presbiterio,
poggiante sul perimetro della chiesa primitiva, e la basilica
longobarda voltate a botte con murature in opus vittatum (tufelli
e laterizi). In fondo alla navata è l'originaria abside dalla
pianta ellittica scavata nel tufo con al centro una nicchia
semicircolare affrescata da un dipinto del XII secolo
raffigurante la Vergine Orante, sorretta da una larga base
visibile all'esterno. In ciascun lato dell'abside, a mezza
altezza delle pareti, sono praticate tre arcatelle sorrette da
piccole colonne tortili in terracotta, diverse fra di loro, di
cui una è sostituita da un'arula in pietra di età repubblicana
con breve iscrizione dedicata a Marte. Dalle aperture degli
archetti si intravede un deambulatorio che corre intorno
all'abside e da cui si accede a vari ambienti, dove si conservano
tuttora resti geologici. Altri affreschi parietali con figure di
Santi sono visibili all'interno della basilica, mentre una cripta
sotterranea del VII-VIII secolo con scolatoi più cedersi sotto
l'edificio attuale. Un cortile, nel quale si intravedono colonne,
iscrizioni e materiali architettonici di età romana, separa la
Chiesa dalle cosidette catacombe paleocristiane, sempre scavate
nel tufo. In realtà si tratta, secondo recenti ipotesi, di un
sepolcro ipogeo del II-III secolo d.C. la cui costruzione fu
voluta da qualche nobile famiglia di proprietari terrieri della
vicina Abellinum (l'odierna Atripalda) che aveva interessi nella
zona. La cavità venne successivamente riutilizzata come luogo di
sepoltura di un'altra famiglia poi convertitasi al nascente
cristianesimo. In età longobarda la tomba venne frequentata come
luogo di culto. Attualmente sono due ambienti, comunicanti fra di
loro, con arcosoli su entrambi le pareti laterali e nella parte
terminale un nicchia con incavo orizzontale. Possono inoltre
ammirarsi due altarini, affreschi raffiguranti rispettivamente i
SS.Pietro e Paolo, la Madonna ed un Angelo, sarcofagi in terra
cotta ed un sarcofago in travertino con iscrizione latina di un
Tito Nonio Proculo.
Messa la domenica ore 16. Per visitare entrambe rivolgersi a
congregazione Picc. Apostole Redenzione (suore) tel. 961019.
Informazioni utili
Altitudine: m 312; staz. ferroviaria (a Km 2al centro)
Distanza Km da Avellino
Abitanti : Pratesi
Patrono: 25 luglio S.Giacomo Martire Apostolo.
Mercato: mercoledì.
Telefoni utili: Comune
Viale Municipio,4 tel. 0825/961004
Carabinieri
Via Roma tel. 0825/967055
Pratola Serra
Storia
Il nome deriva dalla zona chiamata Pioppi, caratterizzata da un
altopiano per cui poi da scritti medievali era chiamata Loco
Pratule, luogo di foraggio di cui Pratola Serra invece indicativa
dalle colline in successione.
L'intera zona, territorio in età imperiale della colonia di
Abellinum (l'odierna Atripalda), è stata frequentata stabilmente
dall'epoca preromana all'età longobarda.
Una villa rustica è stata scoperta in località Pioppi, dove si
è messo in luce anche un ambiente termale della seconda metà
del II secolo d.C. Sempre in località Pioppi è la basilica di
S.Giovanni del VII secolo d.C.
Pratola è stata dalle origini fino agli inizi del XV secolo un
casale del Castello di Serra, seguendone le alterne vicende
storiche e amministrative. Feudalmente sempre soggetta ad altri
centri vicini, nel Settecento il luogo è ancora ricordato come
"piccola terra" sulla strada regia per la Puglia.
Quando poi l'importante via Napoli-Foggia acquistò importanza il
borgo iniziò il suo sviluppo urbanistico ed economico divenendo
però solo nel 1911 comune autonomo, a cui fu poi annessa come
frazione la stessa Serra.
Fra i primi probabili signori longobardi di Pratola sono
ricordati Madelfrido (1035), Adelfrido IV (1045) ed Umberto
(1097). Da un atto notarile del 1131 sappiamo che ne era allora
signore un certo Ugo de Serra, al quale successe nel 1146 il
figlio Pietro, menzionato nel catalogo dei Baroni come
subfeudatario di Elia Gesualdo. Nel 1195 il casale apparteneva a
Pietro de Serra, che lo trasmise al primogenito Ugone. Forse a
questo signore venne affidata dall'imperatore Federico II di
Svevia, dopo la battaglia di Cortenuova, la custodia del
prigioniero milanese Roberto Monteccolo.
Nel 1340 ne entrò in possesso il Gran Protonotario del Regno,
Giovanni Grillo, dal quale lo ricevette in eredità Costanza
Grillo. Da costei ottenne Pratola in via matrimoniale il
napoletano Antonio Poderico. Alla famiglia Poderico ne rimase la
signoria. Paolo Poderico nel 1586 fu costretto dal Tribunale
Regio ad alienare tutte le sue proprietà feudali. Il paese venne
allora acquistato dal conte di Montemiletto, Giovanni Battista de
Tocco, dalla cui casata venne amministrato sino all'abolizione
della feudalità (1806). Nel 1820 il centro fu sede di una
vendita carbonara denominata "I figli della Madonna di
Rigenerazione" e diede attraverso la partecipazione di
numerosi pratolani un valido contributo ai moti rivoluzionari. La
reazione antiborbonica portò comunque a dure condanne per i
patrioti e all'occupazione del paese da parte di truppe
austriache per circa sei anni. Durante i moti garibaldini del
1860 alcuni volontari del luogo presero anche parte alla nota
battaglia campale del Volturno.
Cosa c'e da vedere
"Casa dell'orco"
Situata in località S.Michele, la cosidetta Casa dell'Orco è
una semplice costruzione megalitica, specie di dolmen, che alcuni
studiosi locali fanno risalire all'epoca preistorica. Sono tre
pietre alte circa cinque metri e larghe 2, infisse nel terreno
una dietro l'altra, "Menhir Alignement" questo è il
luogo della leggenda dell'Orco, dove Silpa, patore, corona il suo
amore con Matulpa ed uccide Cronopa, l'orco.
La leggenda della Casa dell'Orco
Silpa camminava col suo passo spavaldo attraverso i monti per
trovare un pascolo migliore alle bestie che lo seguivano placide,
il muso a terra, fra l'erba alta e i cespugli. Pecore ne portava
più di mille. Solo percorreva le montagne, unica compagnia lo
zufolo di canna, che s'era costruito egli stesso: si sentiva un
miglio distante insinuarsi, dolce e tenace, tra le frustate,
levarsi tra le foglie alte dei rami a gareggiare col canto degli
uccelli. Da un mese soltanto s'era sposato. Aveva scelto Matulpa,
la figlia di un pastore. Durante la sosta in una capanna, l'aveva
vista chinarsi sulla fiamma, ad attizzare il fuoco per scaldargli
la minestra. Le gote di Matulpa erano rosee, gli occhi lucenti,
il seno colmo; era bella e dolce come una cerbiatta. Allo sguardo
del giovane, che la folgorò, abbassò gli occhi, vermiglia sotto
i riccioli neri che le ricadettero sulla fronte. La sera stessa
furono concluse le nozze e Silpa se portò via, attraverso la
campagna, che gli sembrò tutta una festa di voci e di sussurri.
Quel giorno scendevano tra alte rocce in un terreno scosceso, che
ogni tanto scopriva l'orizzonte e poi li inabbissava nelle gole.
Un canto lugubre giunse al loro orecchio come portato dal vento.
Incuriositi affrettarono il passo; ad un tratto uno spettacolo
terrificante si scoperse ai loro occhi: alto e forte come il
tronco di una quercia centenaria, un gigante stava dinanzi
voltando loro le terga; un uomo piegato sopra un masso aspettava
un colpo di scure che il gigante stava per vibrargli. Un
centinaio di uomini, terrei nel volto,, gli occhi fissi sulla
vittima, cantavano con le loro lugubri voci su note sempre
uguali. La testa di Silpa comparve sul ciglio del fosso e il
canto cessò d'improvviso. Di scatto il gigante si voltò, la
vittima fuggì, e Silpa puntò l'arco: la freccia infallibile
partì. Matupa fuggì con le pecore, e il gigante, colpito in un
occhio, brancolando ed urlando da far tremare la montagna, fece
due passì e stramazzò a terra. Silpa stava per seguire la
moglie, ma quegli uomini avanzavano verso di lui con le braccia
tese, i volti irradiati di gioia, chiamandolo liberatore.
"Tu sei il nostro re gli dicevano resta con
noi, ti serviremo, tutte queste terre saranno tue. Egli era
Cronopa; abbiamo vissuto nel terrore, per saziarlo non bastava il
lavoro delle nostre braccia, ogni anno sceglieva uno di noi e lo
sacrificava per prendersi il suo fegato
". E si
prostavano ai suoi piedi. Silpa, fiero del suo arco e delle
frecce li guardava compassionevole e il suo cuore generoso si
apriva all'amore verso quegli infelici e li rassicurava con le
sue parole più buone. Ma un tratto, si ricordò della moglie e
delle pecore. Si lanciò alla loro ricerca, seguito da quegli
uomini, che gli furono appresso come segugi, spiando d'ogni dove.
Delle pecore più nessuna traccia; la moglie fu trovata sbranata
dai lupi. Silpa si sedette su di una pietra, abbandonò il capo
sul pettoe un gran silenzio si fece intorno a lui. Si fece notte
e Silpa non levò il capo dal petto né volle toccar cibo. Quegli
uomini non l'abbandonarono e cantarono per lui sommessamente
singhiozzando finchè, dopo notti e giorni senza toccar cibo, e
senza dir parola, Silpa si distese a terra e trasse l'ultimo
respiro.
La Basilica di S.Giovanni
La basilica di Pratola Serra sorse a circa un chilometro
dall'altra: la prima a destra del fiume Sabato, su un altopiano
oggi chiamato Pioppi; la seconda a sinistra dello stesso fiume. A
Pioppi gli scavi, iniziati nel 1981, hanno riportato alla luce un
edificio annesso ad altri locali che ci indicano l'esistenza di
una comunità operosa e prospera. Infatti all'esterno della
grande aula monoabsidata c'erano alcuni ambienti che venivano
utilizzati dal clero o come sacrestia. Su questo altopiano di
Pratola si sovrapposero nel passare degli anni una villa romana e
una chiesa altomedievale con sepolcro e battistero. Infatti tra
il II e il III secolo d.C. fu costruita sul pianoro di Pratola
una villa rustica e a circa 200 m dalle strutture termali della
villa, trovarono posto i magazzini e i granai. Proprio su
quest'area fu costruita, dalla seconda metà del VI secolo in
poi, la chiesa e furono restaurati alcuni ambienti della fattoria
romana, che nell'alto medioevo continuarono ad essere abitati. La
chiesa è costituita da un'auto monobsidata con anteposto un
nartece per i neocatecumeni. L'ampia abside occupa quasi tutto il
fronte dell'aula ed è profonda 4,20 m. l'aula contiene un
ciborio, seguito da una scuola cantorum. Più a nord è stato
individuato un sacello, forse una memoria, a pianta quadrata con
tracce di un probabile protiro. Adiacente alla chiesa v'era il
battistero a pianta quadrata ed absidato. A sud-ovest due vani
costituivano forse la canonica. Ad est del battistero si
individuava un altro locale. A circa 200 m hanno portato alla
luce la zona delle terme della villa romana. Tra la fine del VI
secolo e l'inizio del VII secolo abbiamo l'insediamento alto
medievale longobardo in relazione all'occupazione e alla gestione
del territorio durante la prima costituzione del Ducato di
Benevento. La planimetria della chiesa richiama molto
l'architettura del mondo tardo-imperiale romano. Infatti è nota
l'origine delle basiliche altomedievali dalle grandiose
architetture pubbliche e private di età imperiale. Questo
fenomeno veniva alimentato sia dai Bizantini, sia dai Longobardi,
accomunati dal desiderio di stabilire una continuità col mondo
imperiale romano. La Basilica di San Giovanni di Pratola è una
chiesa battesimale della fine del VI secolo e l'inizio del VII
secolo. La tipologia delle tombe a casse di Tufo con lastroni di
copertura riecheggia i sarcofagi romani. Una chiesa battesimale
nell'alto medioevo era concepita come servizio per la comunità.
Il VII fu il secolo della completa cristianizzazione delle
popolazioni rurali e ciò avvenne attraverso la diffusione di
chiese battesimali, anche di piccole dimensioni, dipendenti dai
vescovi. Ma il San Giovanni di Pratola non rientra nel gruppo di
queste piccole chiese di campagna; lo dimostrano il suo
eccezionale sviluppo architettonico e i preziosi materiali
funerari recuperati dalle tombe. Il nostro monumento dista circa
da Atripalda circa 8 Km, appare isolato nelle campagne, ma
nessuno dei suoi manufatti, dall'architettura ai doni funerari,
consente di ritenerlo il prodotto di un ambiente rurale. La
maggior parte delle tombe fu depredata durante l'età angioina,
quando la zona fu rifrequentata, perché i doni funerari erano
preziosi. Sono state recuperate sette croci d'argento e una
d'oro, che insieme ai sudari dimostrano che gli inumati
appartenevano ad una classe agitata. Proprio i tessuti del
sudario, guarniti da motivi d'oro a zig zag, importati
dall'oriente, più delle stesse croci di metallo nobile, rivelano
la presenza tra i frequentanti il complesso ecclesiastico di
signori eminenti, padroni della terra, personaggi e famiglie
potenti.
ESEMPI E ANALOGIE
La cattedrale di Pratola da un punto di vista strutturale trova
molte analogie con la cattedrale di Aeclanum, soprattutto con il
battistero che però si presenta separato dal corpo della
basilica e che forma cruciforme non solo internamente ma anche
esternamente (mentre a Pratola è inserito un corpo triangolare).
Tra l'altro anche la cattedrale di Aeclanum subì un processo
simile a quello di Abbellinum, in quanto fu ricostruita, assieme
alla città, attorno al XI secolo in una località diversa, a
circa 3 Km dal sito originario. Altra cattedrale in Campania
simile al San Giovanni si trova sull'Acropoli di Cuma costruita
sulle rovine del cosidetto Tempio di Giove e in cui il battistero
si trova in posizione intermedia tra la schola cantorum e il
ciborio. Ma ciò che distingue la basilica di Pratola dalle altre
è il contesto topografico. Non si tratta di una cattedrale
cittadina. Nel contesto campano altomedievale non si trovano
situazioni di cattedrali extra moenia, se si eccettua la
testimonianza scritta della distribuzione di Nuceria a seguito
della quale la cattedrale fu ricostruita a qualche chilometro
dalle mura.
I CORREDI FUNERARI E LA MATRICE CULTURALE DELL'INSEDIAMENTO
I corredi funerari reperiti nelle tombe della basilica di Pratola
comprendono brocchette con croci incise o colorate di rosso,
vestiti piuttosto ricercati, monete, fibule e armi, croci astili
di oro e d'argento. Dall'analisi dei materiali rinvenuti e da
confronti con fonti scritte riportanti notizie sulle sepolture in
periodo altomedioevale (ma non solo), appare evidente
l'inserimento di San Giovanni in un mondo culturale
bizantino-mediterraneo. I primi cristiani si facevano seppellire
con le vesti con cui si erano battezzati; la consuetudine di
porre una moneta nella tomba riporta a tradizioni ancora più
antiche (il pagamento dell'obolo al traghettatore ultraterreno);
le brocchette ricordano la sete dei morti, ma questa credenza è
sincretizzata con il simbolo cristiano della croce e con il
colore rosso, che ricorda il sangue, deposito dell'anima; le
croci astili hanno una grande diffusione sia in oriente che in
occidente.
Oggi tale insediamento è visitabile, anche se in abbandono una
volta scavato.
Informazioni utili
Km dalla prov. 11
Altitudine: m 280;
Abitanti : Pratolani
Patrono: prima domenica di settembre: Maris SS.Addolorata.
Mercato: domenica
Fiere, feste e sagre: Lunedì albis: Madonna di Montevergine; 13
giugno: S.Antonio; 3 agosto:
S.Stefano; 13 dicembre: S.Lucia.
Telefoni utili: Carabinieri
Via Roma tel. 0825/967055
Municipio
Via Gustavo Picardo 0825/96704
Tufo
Storia
La zona è stata poco frequentata in età antica, anche se
sporadiche presenze di sepolcreti del IV-III secolo a.C. e
strutture riferibili a ville rustiche di età romana sono
segnalate in alcune località del centro. Il nome attuale del
paese deriva chiaramente dal latino Tofus (lett. Tufo, roccia
composta da materiale vulcanico), termine trasformato
foneticamente in Tufus, Tufo.
Il borgo è di origine longobarda e si trova menzionato per la
prima volta in un atto di donazione del monastero di S.Sofia in
Benevento del IX secolo. Dopo la caduta del ducato beneventano
nel 1119, intorno alla fortezza venne costituendosi
progressivamente il piccolo feudo, grazie anche all'intervento di
un cavaliere di Roberto il Guiscardo, tal Ercole, che lo diede
ben presto a Raone de Farneto.
Costui è ricordato nella cronaca di Falcone Beneventano (XII
secolo) per aver respinto più volte i tentativi di assedio
posti, da Roberto di Montefusco, che non riuscendo ad espugnare
la fortezza, incendiò e saccheggiò tutta la campagna
circostante l'abitato, durante la guerra di Guglielmo, duca di
Puglia, e Giordano, conte di Ariano. A Raone de Farneto succete
nel 1157 Enrico, signore Del Tufo. Nel 1239 al feudatario del
castello locale, di cui non si conosce il nome, venne affidata
dall'imperatore Federico II la custodia del prigioniero Milanese
Gerardo de Aquando. Sempre la famiglia Del Tufo tenne il feudo
durante la dominazione angioina. Nel 1423, durante il conflitto
che vedeva contro Alfonso d'Aragona e Luigi II d'Angiò, il cui
circuito murario difensivo del borgo venne distrutto dalle truppe
aragonesi. Da Del Tufo nel 1572 il centro venne acquistato con
assenso regio da Alfonso Marchese. Nel 1580 il paese fu venduto
per dodicimila ducati a Marcantonio Del Tufo Marchese. Ultimo
componente di questa famiglia che possedette il feudo fu Domenico
Del Tufo, il quale nel 1716 per 49000 ducati diede le sue
proprietà al conte Francesco Piatti, console di Venezia in
Napoli.al ramo dei Piatti appartenne Rosa (1790). Costei, dopo
aver ricevuto l'approvazione regia nel luglio 1791, fece dono del
paese al Figlio Giovanni Capobianco, già marchese di Carife, che
pose fine al dominio feudale nell'agosto 1806. Ai moti reazionari
del 1820-21 e del 1847-48 parteciparono da Tufo alcuni componenti
della famiglia Di Marzo, condannati duramente dal regime
borbonico. Dopo l'unità d'Italia rapine, saccheggi ed incendi
furono provocati nella zona dalle bande di briganti guidate dai
famosi Cipriano La Gala, Caruso, Taddeo e Palumbo.
Cosa c'e da vedere
Palazzo di Marzo
Del forte di età romana non restano ormai più tracce.
trasformato in un magnifico palazzo residenza verso gli inizi del
XVII secolo, il castello è attualmente di proprietà dei nobili
Di Marzo. Del centro architettonico si notano ancora una
imponente torre cilindrica su alto basamento a scarpa, un portale
interno rinascimentale, tratti delle cortine murarie del sistema
difensivo di età aragonese riutilizzati come strutture
basamentarie nei diversi rifacimenti avvenuti fra il XIV e XVIII,
avanzi dell'ingresso al recinto e della corte interna. Una lunga
scalea, partendo dalla costruzione oggi utilizzata dalle cantine
enologiche Di Marzo, conduce ad un arco voltato a botte, da cui,
dopo una stretta via lastricata con blocchetti di travertino, si
giunge nella piazza centrale dell'antico borgo medioevale.
L'imponente palazzo ottocentesco con alta torre cilindrica
angolare conserva ancora le caratteristiche residenziali
originarie, con gli ambienti interni fino alla metà del secolo
ancora arredati da diverse opere d'arte e da pregevoli mobili
antichi. Oggi la visita è possibile solo chiedendone il permesso
agli ultimi eredi Di Marzo, ancora proprietari del palazzo, così
come dello stabilimento di zolfo e dell'azienda agraria omonima.
Stabilimenti di zolfo
A pochi metri dallo scalo ferroviario si trova l'imponente
complesso di archeologia industriale costituito dallo
stabilimento delle miniere di Zolfo "Di Marzo",
risalente al 1866, dove avveniva la molitura che trova in passato
largo impegno nell'agricoltura. Mentre le miniere oggi sono state
coperte, lo stabilimento oggi è visitabile chiamando la famiglia
Di Marzo, al 0825 998022-998092 (fax 0825- 998383 ) Azienda
Agraria Di Marzo (E'possibile prenotare una visita per la cantina
sociale dell'azienda produttrice di Vino Greco di Tufo D.o.c.).
Le Miniere di Zolfo di Altavilla e Tufo
Alla fine del secolo 1800, declinate o ormai del tutto scomparse
le attività manifatturiere ed artigianali (paste alimentari ad
Avellino per esempio), l'industria moderna si affermò in Irpinia
dopo l'Unità solo con le miniere di zolfo di Altavilla e Tufo.Lo
sfruttamento delle miniere fu avviato tra il 1867 e 1870 con
scarsi capitali, erogati da famiglie delle locale borghesia
agraria e professionale, tra cui emersero subito, per vastità di
vedute e per capacità imprenditoriali, i Di Marzo di tufo ed i
Capone di Altavilla. A Vent'anni dalla scoperta, nel 1887 le due
miniere impiegavano 380 operai e producevano 13.700 tonnellate di
minerale, aumentando sensibilmente fino alla prima guerra
mondiale. Mentre i Di Marzo riuscirono sin dall'inizio ad
egemonizzare la società mineraria da loro costituita,
divenendone gli unici proprietari, ad Altavilla si costituirono
inizialmente due società, che si condussero concorrenza fino al
1878, quando si fusero creando la " Società delle Miniere
Solfuree di Altavilla Irpina" guidata dall'intraprendenza di
Federico Capone e dalla progettazione di Zampari, già
progettista dell'Acquedotto Pugliese.Il Capone, superando non
poche difficoltà, divenne leader della Società, e si lancio
sulla individuazione di nuovi giacimenti minerari; aprì così
una nuova miniera, la "Federico Capone" al posto della
"Vittoria" ormai esaurita ed abbandonata, nel 1905.Nel
1918 si crea SAIM (Società Anonima Industrie Meridionali). Oggi
la miniera di Altavilla è chiusa, così come lo stabilimento,
mentre però svi è l'attività della insaccatura e del
trasporto.
Informazioni Utili
Km dalla Provincia: 15
Alt. M 275; Staz. Ferr. Tufo scalo
Abitanti: Tufesi
Patrono : 8 Maggio San Michele Arcangelo
Fiere, feste e Sagre: festa Patronale con Dramma Sacro
"S.Michele e la cacciata
degli angeli ribelli dal Paradiso"
Telefoni Utili : Biblioteca - via Santa Lucia - tel. 0825 998071
Municipio- via Santa Lucia tel.0825-998071
Altavilla Irpina
Storia
Dalle recenti scoperte archeologiche e dalla relativa
documentazione ricavata possiamo ben affermare che il territorio
altavillese fu abitato dal IV secolo a.C. al VI sec.d.C. con una
progressiva ed ininterrotta frequentazione continuatasi sino ai
giorni nostri. Tracce sono state ritrovate a riguardo in
località Monte Toro ed Ortolano. Evidentemente anche ai
dominatori Romani l'importanza strategica del territorio di
Altavilla doveva essere ben nota, proprio perché situata sulla
strada che da Abelllinum conduceva a Beneventum, e perciò
costituiva una validissima difesa naturale a guardia delle valli
circostanti. E di questo ne furono ben consapevoli i Longobardi,
a cui si deve il primitivo carattere urbanistico del Paese. Il
centro è menzionato la prima volta con il nome di Altacauda da
alcuni passi delle cronache del XII secolo, registrati da Falcone
beneventano, e dal noto Catalogus Baronum. Una pergamena del 1200
conservata presso l'Archivio di Montevergine riporta invece il
nome Altavilla , anche se è difficile spiegare il perché del
passaggio. Nel marzo del 1134 l'abitato fu distrutto da Ruggero
II, quando signore di Altavilla era Raone de Farneto, alleato e
subfeudatario di Rainulfo, signore di Avellino. Più tardi lo
stesso Ruggero II ordinò la riedificazione di una cinta muraria.
Dal 1180 al 1238 il feudo fu in possesso di Riccardo, Rao ed Emma
de Farneto. Nel 1232, infatti, i tre fratelli sono ancora
menzionati in un diploma dell'Imperatore Federico II, conservato
presso l'archivio di Montevergine (V.X, n.5). Verso la fine dello
stesso secolo il paese fu acquistato dalla famiglia de Capua, che
lo tenne fino al 1792. Fu proprio un nobile De Capua, Bartolomeo
I (1248-1328), arcivescovo di Pisa, Protonotario del Regno e
conte di Altavilla, a trasformare il vecchio nucleo fortificato
in palazzo residenziale. Probabilmente tutti i successori di
Bartolomeo I non vennero mai sul posto, governando da napoli,
dove prestavano servizio presso la corte reale. Solo Andrea II de
Capua, dopo il suo matrimonio con la ex regina, conosciuta come
la regina infelice per essere stata ripudiata dal marito Re
Ladislao d'Angiò Durazzo, Costanza di Chiaromonte (!6/12/1396)
alloggiò per qualche tempo nel paese, quets'ultima qui imparando
ad amare il proprio marito (nasce da qui la Costanza del Palio
dell'Anguria). Alla Morte dell'ultimo De Capua senza eredi, il
feudo passò al Fisco Regio e poi aggregato come Università al
Principato Ultra. Il paese subì saccheggi ad opera dei Francesi
nel 1799 e fu devastato dalle alluvioni del 1875 e 1878. Nel
1862, con un decreto Regio, venne aggiunto ad Altavilla, il nome
Irpina. L'economia gravita essenzialmente intorno all'agricoltura
(Nocciole, castagne, vigneti di Greco d.o.c.) ed all'industria
(Pelli, zolfo). Sorgenti di Acqua Minerale sorgono in località
Pincera
VI NACQUERO
Beato Alberico Crescitelli (1863-1900) missionario in Cina
(ricordato con un lapide lungo Corso Garibaldi) che, durante la
rivoluzione dei BOXERS, fu prima torturato e poi decapitato il 21
luglio del 1900. Pio XII lo ha beatificato il 18 febbraio 1851
C'E DA VEDERE
I BATTENTI DI SAN PELLEGRINO
Ad Altavilla il 25 Agosto ha luogo la festa di san Pellegrino,
che culmina con la caratteristica processione dei battenti :
fedeli e devoti vestiti di bianco, provenienti anche dal
Napoletano, che fin dalle prime ore del mattino giungono al
santuario procedendo a piedi scalzi per diversi kilometri,
portando ceri votivi ed intonando canti popolari . La divisa dei
battenti consiste in camicia e mutandone bianchi, a foggia
sette-ottocentesca. Completano la divisa due larghe fasce, rosse
o azzurre, l'una a tracolla e l'altra intorno al fianco, con
sopra impressi l'immagine del santo e dell'associazione di
appartenenza. Non usano più flagellarsi il corpo (Donde il nome
di "battenti", tradizione ancora viva però nella
manifestazione analoga a Guardia San Framondi, nel Sannio) e non
strisciano più la lingua sul pavimento della chiesa. Procedono
quivi a carponi e col capo raso terra, sino all'altare del santo,
portando in dono ceri, in segno di riconoscenza . C'è poi la
tradizione che ogni genitore, una volta iniziato, deve portare il
proprio figlio con se per iniziarlo. Non ci sono molte
testimonianze dei battenti nel secolo scorso; le stesse
associazioni sono sorte da una sessantina d'anni. Alcune sorgono
prima della cerimonia, per sciogliersi dopo il rito del
pellegrinaggio. Molte sono le squadre di battenti che si
esibiscono, famosi sono quelli di "Santa Filomena" di
Mugnano del Cardinale (Che sembrano abbiano ispirato quelli di
Altavilla, data la presenza di famiglie di Mugnano, nel paese,
nei primi anni del 1900), ed in ultimo poi si esibiscono quelli
di Altavilla.
San Pellegrino
Nel 1780, da un cimitero romano di Ciriaca fu prelevato un corpo
di un santo sulla cui urna era scritto "Peregrinus Martyr
sub Commodo Imperatore Mactatus. A.D. CXCII" (192 A.C.). Fu
portato in dono da Padre Giuseppe Crescitelli, di Altavilla
Irpina , provinciale in Napoli dei Servi di Maria in
Monteoliveto. Essendosi recato a Roma per il Capitolo Generale
del suo Ordine, Padre Crescitelli rivolse una preghiera al Papa
Pio VI di concedergli un "Corpo Santo ". Avuto
l'assenso, si recò con Mons. Landini, assistente al soglio
pontificio, per prelevare le reliquie.Nei documenti di
trasmissione, si racconta che, nel corso della ricerca durata tre
giorni, egli avvertì un insolito rumore da una delle urne
cimiteriali, rumore che spinse a prendere poi l'urna di San
Pellegrino . Prima di raggiungere la nuova sede, il santo sostò
a Napoli, dove il Vescovo di Sant'Angelo dei Lombardi, Domenico
Volpe, ricompose le ossa del martire in un simulacro, che venne
poi trasportato a spalla ad Altavilla, dove fu colllocato
temporaneamente ed accolto in pompa magna nella chiesa
dell'Annunziata.
La Leggenda di San Bernandino da Siena
Questi nel maggio del 1440 si recava in Abruzzo con San Giacomo
della Marca. Ad Altavilla i due sostarono. Una povera donna,
nella cui casa si erano fermati per un breve riposo, era
disperata perché non aveva nulla da offrire. San Bernandino fece
allora il miracolo del Pane e del vino. La voce si sparse subito
e la folla accorse festante, tant'è che lo accompagnarono sino
al ponte sul Sabato, quando poi partì. Tale ponte oggi è
conosciuto come Ponte dei santi.. A ricordo fu costruita una
cappella, poi distrutta e ricostruita nel 1890. Vi era custodita
una statua di Argento, trafugata dal saccheggio dei francesi del
1799.
PALAZZO COMITALE
Nel centro storico di Altavilla si trova quest'importante palazzo
Aragonese (1283-1500)dei De Capua, costituito da due piani
disposti su un corpo caratterizzato da due ali simmetriche
rispetto all'asse principale e da un cortile intermedio. Vi è
una scala a doppia rampa sullo sfondo del panorama e del
giardino, All'ingresso, cui si accede con un imponente scalea, vi
un portale in pietra vesuviana finemente scolpita da artigiani
toscani, che realizzarono anche tutte le finestre a croce guelfa
e le porte, decorati appunto con ornati in stile toscano. Al
centro di ogni architrave vi è uno scudo inquadrante gli stemmi
dei diversi titoli della famiglia De Capua. All'interno un
cortile lastricato da cui si raggiunge "un terrazzato
belvedere", anticamente coperto, ed il piano superiore, con
i suoi ambienti signorili. A pianterreno vi sono un arcone, in
stile catalano, e una piccola cappella detta di santa Croce.
Abbandonato per un lungo periodo, il palazzo è stato utilizzato
come carcere, lazzaretto, sede locale della scuola elementare. E'
considerato uno dei più bei esempi di rinascimento italiano.
Dovrebbe ospitare un museo archeologico dei reperti della media
valle del Sabato.
CHIESA DELL'ASSUNTA
Gia Collegiata, di cui si ha notizia in un documento del 1118. La
fabbrica attuale risale alla fine del XVIII secolo e mostra una
pianta a croce latina con tre navate, cupola centrale e cripta.
Sulla facciata principale, che, con l'annessa torre campanaria,
costituita da tre livelli, occupa un intero settore della piazza,
si può vedere, sul portale laterale sinistro, un bassorilievo
cinquecentesco in bronzo raffigurante Cristo Portacroce, opera
dello scultore irpino Donato Bruno. All'inerno sono visibili
l'altare maggiore in marmo, con paliotto seicentesco, un
crocifisso ligneo dipinto ed alcune statue ottocentesche tra cui
raffiguranti San Bernardino e San Pellegrino.
MONASTERO DEI
VERGINIANI
Situato all'ingresso dell'abitato, il monastero venne costruito
fuori la cerchia delle mura verso la fine del '600 grazie a
donazioni private. Oggi ospita gli uffici comunali. A pianta
quadrilatera, con portico e chiostro, conserva all'ingresso un
antico stemma sul portale in pietra con iscrizione MV, indicante
l'appartenenza del fabbricato alla casa religiosa di
MonteVergine. Sul lato destro dello stesso portale si legge la
data 1691. Il chiostro presenta una cisterna rivestita da lastre
in pietra scolpita. La costruzione fu voluta dal cardinale
Orsini, poi Papa Benedetto XIII, che visitò più volte la
fabbrica come testimonia l'epigrafe all'ingresso. Soppresso nel
1807, fu poi caserma e gendarmeria reale , sede del tribunale e
complesso scolastico. Della Chiesa annessa al convento non
restano più tracce (Abbattuta nel 1892). Intorno al chiostro vi
sono i locali destinati originariamente alla cucina, alla legnaia
ed ai cellari. Al Piano superiore lunghi corridoi a nord ed ad
est mentre a sud ed ad ovest dodici ex celle, guardanti il
giardino sottostante. Una visita al municipio consente di
consultare gli Statuti di Altavilla nel "Capitulare
Comitalis Curiae Altevillae" del 1576. Alcune disposizioni
richiamano l'attenzione, ad esempio come quella che dispone il
pagamento di una somma per danni presunti a carico di chi entri
abusivamente in "Vigna non Vendemmiata".
CHIESA DELL'ANNUNZIATA
Edificata nel XV secolo, restano solo le cripte della struttura
originaria. L'attuale fabbrica è quella settecentesca. Recenti
lavori di restauro hanno messo in luce antichi affreschi con
oggetti sacri, mentre lo stemma scolpito in pietra sul portale
d'ingresso è del 1427. Grazioso è il campanile, con il
quadrante dell'ottocentesco orologio civico. Lo stemma reca tre
monti con una filza di nocciuole torrefatte, superiormente con
l'iscrizione latina "Altavillensis Repubblica templum hoc
Annuntiatae Virginis Juris Patronatus dicavit Anno Domini
MCCCCXXIII" (1423). In origine era annesso un ospedale,
unico ricovero del borgo per malati, orfani e pellegrini.
L'Interno presenta una sola navata decorata con stucchi
settecenteschi e con altari coronati da strutture in legno ben
scolpite .Vicino alla chiesa, testimonianza della vecchia cinta
muraria ricostruita, la Torre Bruno, oggi di proprietà privata.
PALAZZO CARUSO
Costruito tra il 1860 ed il 1870 dalla famiglia omonima, è sede
della locale biblioteca, la quale vanta un patrimonio librario di
oltre 11.000 volumi. Al Palazzo si accede tramite un artistico
portale in pietra scolpita, a cui segue un ampio cortile su cui
affacciano i loggiati superiori: interessante è la presenza del
Giardino, sopraelevato rispetto all'ingresso principale e
caratterizzato anche da piante esotiche.
Tel. 0825-991010 (anche fax)
Lunedì-martedì-mercoledì-Venerdì ore 14,30-19,30
Giovedì-sabato ore 8,30-13,30
MUSEO CIVICO
Istituito di recente nella cripta della chiesa madre, ospita i
reperti ed i
preziosi tessuti di epoca sette-ottocentesca, recuperati nel
decennio
scorso dalla dr.ssa Portoghesi Lucia.
Palio dell'Anguria
Un corteo storico con figuranti vestiti di preziosi costumi di
foggia medievale sfila per le vie del paese: Tra i figuranti
spicca la regina Costanza di Chiaromonte, a cui dopo il corteo è
dedicato il palio, la corsa che si tiene tra i paesi della valle
del Sabato, a cavallo di un asino e cercando di portare sotto il
braccio un anguria senza farla cadere.
INFORMAZIONI UTILI
Km dalla provincia: 17
Alt. 342
Stazione Ferroviaria a 4 Km dal centro
Abitanti. Altavillesi
Patrono: 20 maggio San Bernardino-24 Agosto San Pellegrino
Mercato: Domenica
Feste, ferie e sagre: fiera del bestiame (maggio), Palio
dell'Anguria (18 Agosto)
Telefoni Utili
Carabinieri Piazza mercato- tel 0825-994535
Municipio- P.za IV Novembre-tel 0825-9910099