Itinerario "Sabato"

Testimonianza viva della storia dell'Irpinia

Itinerario di visita, con percorsi a scelta, di più giorni con possibilità di pernottamento.

SOLOFRA-ALTAVILLA IRPINA


Mezzi di trasporto: Treno/bici linea "Salerno-Avellino-Benevento" + Bici o Mountain Bike + autobus urbano "linea 01/ Atripalda -Avellino-Mercogliano" + Funicolare "Montevergine" o per tutto, Auto propria o in noleggio o Bus noleggiato (ove possibile)

Itinerario:

Mezzo di trasp.:Treno/bici Avellino-Solofra

Solofra: Collegiata di San Michele-Fontana dei 4 leoni-Palazzo Ducale

Mezzo di trasp.: Treno/bici Solofra-Serino

Serino :

I° itinerario (Serino) :Oratorio Pelosi-Castello Feudale (Sentiero Italia)- Castello d'Orano-Chiesa di San Francesco-Civita d'Ogliara
II° itinerario (Terminio) : Grotta S.Salvatore-Colla di Basso-Cima Terminio
III° itinerario (Santa Lucia di Serino)
Palazzo Moscati–Chiesa S.Maria della Sanità









Mezzo di trasp.:Treno/Bici Serino-Avellino

Avellino:

I° itinerario (Atripalda)
Scavi di Abellinum-Chiesa "Sant'Ippolisto"-Necropoli di Capo La Torre-Dogana dei Grani.
II ° Itinerario (Avellino Centro Storico) : Castello di Avellino-Palazzo De Conciliis-Duomo e cripta normanna-palazzo Greco-Torre dell'orologio-Palazzo della Dogana-Obelisco a Carlo II d'Asburgo-Fontana di Bellerofonte-Madonna di Costantinopoli-Fontana Tecta.
III° Itinerario (Avellino) : Chiesa delle Oblate- Palazzo Caracciolo-Palazzo della prefettura-Caffè lanzara-Palazzo de Peruta-Convitto Nazionale-Museo Irpino-Biblioteca Prov.le-carcere Borbonico
IV° itinerario (Mercogliano)
(Autobus Urbano "Linea 01"+Bici+Funicolare )
Palazzo Abbaziale di Loreto – Castello –Santuario di Montevergine

Mezzo di trasp.: Treno/bici Avellino-Prata P.U./Pratola S.

Prata P.U. :Basilica paleocristiana "Annunziata"

Pratola: Ruderi basilica "San Giovanni" –Dolmen Preistorico "Casa dell'Orco"

Mezzo di Trasp.:Treno/Bici Prata P.U. – Tufo

Tufo:Stabilimento Miniere Zolfo "Di Marzo"- Palazzo "Di Marzo"- Visita cantina sociale "Di Marzo"

Mezzo di Trasp.:Treno/bici Tufo-Altavilla Irpina

Altavilla Irpina:Chiesa di "San Bernardino"- Chiesa "Santa Maria Assunta" – Cripta/Museo civico "Gente Senza Storia" - Palazzo Comitale - Palazzo Caruso - Monastero dei Verginiani



Ecco delle Informazioni su di alcuni paesi:

Prata Principato Ultra

Storia
Le più antiche testimonianze di una frequentazione nel territorio pratese sono riferibili ad insediamenti e sepolcreti di età preromana (IV-III sec. A.C.) individuati sporadicamente in varie località e legati alla presenza di gruppi stabili di Samnites – Hirpini. L'età romana è invece attestata da numerosi ritrovamenti archeologici di ville rustiche, neocropoli esplorate finora nelle campagne circostanti l'odierno centro urbano e l'aria immediatamente antistante il complesso culturale e cimiteriale della Basilica dell'Annunziata. Quest'ultima rappresenta, con le vicine catacombe scavate nella roccia tufacea con tortuosi ambienti voltati del II-III sec. d.C., un vivo esempio della continuazione di vita nella zona dalla tarda età imperiale all'epoca della denominazione longobarda del ducato beneventano. Il toponimo del paese deriva dal latino Pratum (lett.prato, pianura) e da Principato Ultra, provincia a cui il borgo era in passato giurisdizionalmente legata. La prima notizia documentata del paese è riportata nelle Cronache di Falcone Beneventano, dove si parla di Ruggiero II il Normanno che ritornato dalla Sicilia nel 1134 prende d'assalto alcuni centri fortificati della media valle del Sabato, fra i quali era anche Prata, tenuta allora da un Guglielmo de Avenalia. Alla famiglia de Avenalia, il feudo appartenne fino agli inizi del XIII secolo. Nel 1239 al signore di Prata, di cui non si conosce il nome, l'imperatore Federico II di Svevia affidò la custodia del prigioniero milanese Giacomo Scanzo. Ad entrare in possesso del feudo nel 1271 fu un signore locale, Antonio de Prata. Nel 1343 il paese pervenne al nobile Lanzillo Minutolo, dal quale lo ottenne la figlia Giovanna, che portò nel 1372 Prata in dote al marito Giovanni Filangieri, futuro conte di Avellino.
Nel 1418 per volere di Giovanna II d'Angiò Prata fu donata al conte Sergiani Caracciolo, seguito dal primogenito Troiano Giacomo, duca di Melfi, il quale venne privato delle sue proprietà per aver preso parte alla fallita congiura dei Baroni contro re Alfonso d'Aragona. Verso la fine del secolo il feudo passò alla nobile famiglia Gargano di Aversa. Nel 1617 il feudo venne acquistato da Giovanni Andrea Cesarano, signore di Castelmuzzo, il quale trasmise l'investitura ai discendenti tra cui Francesco Domenico Cesarano, che lo vendette nel 1681 a Savino Zamagna, patrizio della repubblica di Ragusa. Dalla famiglia Zamagna il paese fu governato fino all'abolizione della feudalità (1806). Nel 1820 alcuni cittadini pratesi ebbero un ruolo importante nella rivolta antiborbonica guidata da Morelli e Silvati. Più tardi furono tutti condannati all'esilio della Gran Corte Criminale di Avellino.
Tradizione: il 19/04 a Prata Principato Ultra si tiene il "Volo dell'Angelo" , tradizionale manifestazione popolare e religiosa nei pressi della Basilica dell'Annunziata.


Cosa c'e da vedere

Basilica paleocristiana di Prata P.U.
Sulla sinistra del fiume sabato la Chiesa dell'Annunziata.
Il complesso religioso è stato costruito su preesistenti edifici paleocristiani nell'VIII secolo. La facciata della Chiesa, del tipo a capanna, presenta ai lati del portale due colonne frammentarie provenienti da costruzioni di età romana, con capitelli corinzi che reggono una arcata che inquadra una trifora. Nel frontone triangolare, incorniciato da una serie di dentelli d'angolo, è una piccola finestra con due colonnine monolitiche. Sul lato sinistro è la torre campanaria. L'interno, diviso in due corpi è ad una sola navata, con una cappella laterale destra settecentesca a cui segue il presbiterio, poggiante sul perimetro della chiesa primitiva, e la basilica longobarda voltate a botte con murature in opus vittatum (tufelli e laterizi). In fondo alla navata è l'originaria abside dalla pianta ellittica scavata nel tufo con al centro una nicchia semicircolare affrescata da un dipinto del XII secolo raffigurante la Vergine Orante, sorretta da una larga base visibile all'esterno. In ciascun lato dell'abside, a mezza altezza delle pareti, sono praticate tre arcatelle sorrette da piccole colonne tortili in terracotta, diverse fra di loro, di cui una è sostituita da un'arula in pietra di età repubblicana con breve iscrizione dedicata a Marte. Dalle aperture degli archetti si intravede un deambulatorio che corre intorno all'abside e da cui si accede a vari ambienti, dove si conservano tuttora resti geologici. Altri affreschi parietali con figure di Santi sono visibili all'interno della basilica, mentre una cripta sotterranea del VII-VIII secolo con scolatoi più cedersi sotto l'edificio attuale. Un cortile, nel quale si intravedono colonne, iscrizioni e materiali architettonici di età romana, separa la Chiesa dalle cosidette catacombe paleocristiane, sempre scavate nel tufo. In realtà si tratta, secondo recenti ipotesi, di un sepolcro ipogeo del II-III secolo d.C. la cui costruzione fu voluta da qualche nobile famiglia di proprietari terrieri della vicina Abellinum (l'odierna Atripalda) che aveva interessi nella zona. La cavità venne successivamente riutilizzata come luogo di sepoltura di un'altra famiglia poi convertitasi al nascente cristianesimo. In età longobarda la tomba venne frequentata come luogo di culto. Attualmente sono due ambienti, comunicanti fra di loro, con arcosoli su entrambi le pareti laterali e nella parte terminale un nicchia con incavo orizzontale. Possono inoltre ammirarsi due altarini, affreschi raffiguranti rispettivamente i SS.Pietro e Paolo, la Madonna ed un Angelo, sarcofagi in terra cotta ed un sarcofago in travertino con iscrizione latina di un Tito Nonio Proculo.
Messa la domenica ore 16. Per visitare entrambe rivolgersi a congregazione Picc. Apostole Redenzione (suore) tel. 961019.




Informazioni utili

Altitudine: m 312; staz. ferroviaria (a Km 2al centro)
Distanza Km da Avellino
Abitanti : Pratesi
Patrono: 25 luglio S.Giacomo Martire Apostolo.
Mercato: mercoledì.
Telefoni utili: Comune
Viale Municipio,4 tel. 0825/961004
Carabinieri
Via Roma tel. 0825/967055




Pratola Serra

Storia
Il nome deriva dalla zona chiamata Pioppi, caratterizzata da un altopiano per cui poi da scritti medievali era chiamata Loco Pratule, luogo di foraggio di cui Pratola Serra invece indicativa dalle colline in successione.
L'intera zona, territorio in età imperiale della colonia di Abellinum (l'odierna Atripalda), è stata frequentata stabilmente dall'epoca preromana all'età longobarda.
Una villa rustica è stata scoperta in località Pioppi, dove si è messo in luce anche un ambiente termale della seconda metà del II secolo d.C. Sempre in località Pioppi è la basilica di S.Giovanni del VII secolo d.C.
Pratola è stata dalle origini fino agli inizi del XV secolo un casale del Castello di Serra, seguendone le alterne vicende storiche e amministrative. Feudalmente sempre soggetta ad altri centri vicini, nel Settecento il luogo è ancora ricordato come "piccola terra" sulla strada regia per la Puglia. Quando poi l'importante via Napoli-Foggia acquistò importanza il borgo iniziò il suo sviluppo urbanistico ed economico divenendo però solo nel 1911 comune autonomo, a cui fu poi annessa come frazione la stessa Serra.
Fra i primi probabili signori longobardi di Pratola sono ricordati Madelfrido (1035), Adelfrido IV (1045) ed Umberto (1097). Da un atto notarile del 1131 sappiamo che ne era allora signore un certo Ugo de Serra, al quale successe nel 1146 il figlio Pietro, menzionato nel catalogo dei Baroni come subfeudatario di Elia Gesualdo. Nel 1195 il casale apparteneva a Pietro de Serra, che lo trasmise al primogenito Ugone. Forse a questo signore venne affidata dall'imperatore Federico II di Svevia, dopo la battaglia di Cortenuova, la custodia del prigioniero milanese Roberto Monteccolo.
Nel 1340 ne entrò in possesso il Gran Protonotario del Regno, Giovanni Grillo, dal quale lo ricevette in eredità Costanza Grillo. Da costei ottenne Pratola in via matrimoniale il napoletano Antonio Poderico. Alla famiglia Poderico ne rimase la signoria. Paolo Poderico nel 1586 fu costretto dal Tribunale Regio ad alienare tutte le sue proprietà feudali. Il paese venne allora acquistato dal conte di Montemiletto, Giovanni Battista de Tocco, dalla cui casata venne amministrato sino all'abolizione della feudalità (1806). Nel 1820 il centro fu sede di una vendita carbonara denominata "I figli della Madonna di Rigenerazione" e diede attraverso la partecipazione di numerosi pratolani un valido contributo ai moti rivoluzionari. La reazione antiborbonica portò comunque a dure condanne per i patrioti e all'occupazione del paese da parte di truppe austriache per circa sei anni. Durante i moti garibaldini del 1860 alcuni volontari del luogo presero anche parte alla nota battaglia campale del Volturno.




Cosa c'e da vedere

"Casa dell'orco"
Situata in località S.Michele, la cosidetta Casa dell'Orco è una semplice costruzione megalitica, specie di dolmen, che alcuni studiosi locali fanno risalire all'epoca preistorica. Sono tre pietre alte circa cinque metri e larghe 2, infisse nel terreno una dietro l'altra, "Menhir Alignement" questo è il luogo della leggenda dell'Orco, dove Silpa, patore, corona il suo amore con Matulpa ed uccide Cronopa, l'orco.

La leggenda della Casa dell'Orco
Silpa camminava col suo passo spavaldo attraverso i monti per trovare un pascolo migliore alle bestie che lo seguivano placide, il muso a terra, fra l'erba alta e i cespugli. Pecore ne portava più di mille. Solo percorreva le montagne, unica compagnia lo zufolo di canna, che s'era costruito egli stesso: si sentiva un miglio distante insinuarsi, dolce e tenace, tra le frustate, levarsi tra le foglie alte dei rami a gareggiare col canto degli uccelli. Da un mese soltanto s'era sposato. Aveva scelto Matulpa, la figlia di un pastore. Durante la sosta in una capanna, l'aveva vista chinarsi sulla fiamma, ad attizzare il fuoco per scaldargli la minestra. Le gote di Matulpa erano rosee, gli occhi lucenti, il seno colmo; era bella e dolce come una cerbiatta. Allo sguardo del giovane, che la folgorò, abbassò gli occhi, vermiglia sotto i riccioli neri che le ricadettero sulla fronte. La sera stessa furono concluse le nozze e Silpa se portò via, attraverso la campagna, che gli sembrò tutta una festa di voci e di sussurri. Quel giorno scendevano tra alte rocce in un terreno scosceso, che ogni tanto scopriva l'orizzonte e poi li inabbissava nelle gole. Un canto lugubre giunse al loro orecchio come portato dal vento. Incuriositi affrettarono il passo; ad un tratto uno spettacolo terrificante si scoperse ai loro occhi: alto e forte come il tronco di una quercia centenaria, un gigante stava dinanzi voltando loro le terga; un uomo piegato sopra un masso aspettava un colpo di scure che il gigante stava per vibrargli. Un centinaio di uomini, terrei nel volto,, gli occhi fissi sulla vittima, cantavano con le loro lugubri voci su note sempre uguali. La testa di Silpa comparve sul ciglio del fosso e il canto cessò d'improvviso. Di scatto il gigante si voltò, la vittima fuggì, e Silpa puntò l'arco: la freccia infallibile partì. Matupa fuggì con le pecore, e il gigante, colpito in un occhio, brancolando ed urlando da far tremare la montagna, fece due passì e stramazzò a terra. Silpa stava per seguire la moglie, ma quegli uomini avanzavano verso di lui con le braccia tese, i volti irradiati di gioia, chiamandolo liberatore. "Tu sei il nostro re – gli dicevano – resta con noi, ti serviremo, tutte queste terre saranno tue. Egli era Cronopa; abbiamo vissuto nel terrore, per saziarlo non bastava il lavoro delle nostre braccia, ogni anno sceglieva uno di noi e lo sacrificava per prendersi il suo fegato…". E si prostavano ai suoi piedi. Silpa, fiero del suo arco e delle frecce li guardava compassionevole e il suo cuore generoso si apriva all'amore verso quegli infelici e li rassicurava con le sue parole più buone. Ma un tratto, si ricordò della moglie e delle pecore. Si lanciò alla loro ricerca, seguito da quegli uomini, che gli furono appresso come segugi, spiando d'ogni dove. Delle pecore più nessuna traccia; la moglie fu trovata sbranata dai lupi. Silpa si sedette su di una pietra, abbandonò il capo sul pettoe un gran silenzio si fece intorno a lui. Si fece notte e Silpa non levò il capo dal petto né volle toccar cibo. Quegli uomini non l'abbandonarono e cantarono per lui sommessamente singhiozzando finchè, dopo notti e giorni senza toccar cibo, e senza dir parola, Silpa si distese a terra e trasse l'ultimo respiro.

La Basilica di S.Giovanni
La basilica di Pratola Serra sorse a circa un chilometro dall'altra: la prima a destra del fiume Sabato, su un altopiano oggi chiamato Pioppi; la seconda a sinistra dello stesso fiume. A Pioppi gli scavi, iniziati nel 1981, hanno riportato alla luce un edificio annesso ad altri locali che ci indicano l'esistenza di una comunità operosa e prospera. Infatti all'esterno della grande aula monoabsidata c'erano alcuni ambienti che venivano utilizzati dal clero o come sacrestia. Su questo altopiano di Pratola si sovrapposero nel passare degli anni una villa romana e una chiesa altomedievale con sepolcro e battistero. Infatti tra il II e il III secolo d.C. fu costruita sul pianoro di Pratola una villa rustica e a circa 200 m dalle strutture termali della villa, trovarono posto i magazzini e i granai. Proprio su quest'area fu costruita, dalla seconda metà del VI secolo in poi, la chiesa e furono restaurati alcuni ambienti della fattoria romana, che nell'alto medioevo continuarono ad essere abitati. La chiesa è costituita da un'auto monobsidata con anteposto un nartece per i neocatecumeni. L'ampia abside occupa quasi tutto il fronte dell'aula ed è profonda 4,20 m. l'aula contiene un ciborio, seguito da una scuola cantorum. Più a nord è stato individuato un sacello, forse una memoria, a pianta quadrata con tracce di un probabile protiro. Adiacente alla chiesa v'era il battistero a pianta quadrata ed absidato. A sud-ovest due vani costituivano forse la canonica. Ad est del battistero si individuava un altro locale. A circa 200 m hanno portato alla luce la zona delle terme della villa romana. Tra la fine del VI secolo e l'inizio del VII secolo abbiamo l'insediamento alto medievale longobardo in relazione all'occupazione e alla gestione del territorio durante la prima costituzione del Ducato di Benevento. La planimetria della chiesa richiama molto l'architettura del mondo tardo-imperiale romano. Infatti è nota l'origine delle basiliche altomedievali dalle grandiose architetture pubbliche e private di età imperiale. Questo fenomeno veniva alimentato sia dai Bizantini, sia dai Longobardi, accomunati dal desiderio di stabilire una continuità col mondo imperiale romano. La Basilica di San Giovanni di Pratola è una chiesa battesimale della fine del VI secolo e l'inizio del VII secolo. La tipologia delle tombe a casse di Tufo con lastroni di copertura riecheggia i sarcofagi romani. Una chiesa battesimale nell'alto medioevo era concepita come servizio per la comunità. Il VII fu il secolo della completa cristianizzazione delle popolazioni rurali e ciò avvenne attraverso la diffusione di chiese battesimali, anche di piccole dimensioni, dipendenti dai vescovi. Ma il San Giovanni di Pratola non rientra nel gruppo di queste piccole chiese di campagna; lo dimostrano il suo eccezionale sviluppo architettonico e i preziosi materiali funerari recuperati dalle tombe. Il nostro monumento dista circa da Atripalda circa 8 Km, appare isolato nelle campagne, ma nessuno dei suoi manufatti, dall'architettura ai doni funerari, consente di ritenerlo il prodotto di un ambiente rurale. La maggior parte delle tombe fu depredata durante l'età angioina, quando la zona fu rifrequentata, perché i doni funerari erano preziosi. Sono state recuperate sette croci d'argento e una d'oro, che insieme ai sudari dimostrano che gli inumati appartenevano ad una classe agitata. Proprio i tessuti del sudario, guarniti da motivi d'oro a zig zag, importati dall'oriente, più delle stesse croci di metallo nobile, rivelano la presenza tra i frequentanti il complesso ecclesiastico di signori eminenti, padroni della terra, personaggi e famiglie potenti.



ESEMPI E ANALOGIE
La cattedrale di Pratola da un punto di vista strutturale trova molte analogie con la cattedrale di Aeclanum, soprattutto con il battistero che però si presenta separato dal corpo della basilica e che forma cruciforme non solo internamente ma anche esternamente (mentre a Pratola è inserito un corpo triangolare). Tra l'altro anche la cattedrale di Aeclanum subì un processo simile a quello di Abbellinum, in quanto fu ricostruita, assieme alla città, attorno al XI secolo in una località diversa, a circa 3 Km dal sito originario. Altra cattedrale in Campania simile al San Giovanni si trova sull'Acropoli di Cuma costruita sulle rovine del cosidetto Tempio di Giove e in cui il battistero si trova in posizione intermedia tra la schola cantorum e il ciborio. Ma ciò che distingue la basilica di Pratola dalle altre è il contesto topografico. Non si tratta di una cattedrale cittadina. Nel contesto campano altomedievale non si trovano situazioni di cattedrali extra moenia, se si eccettua la testimonianza scritta della distribuzione di Nuceria a seguito della quale la cattedrale fu ricostruita a qualche chilometro dalle mura.

I CORREDI FUNERARI E LA MATRICE CULTURALE DELL'INSEDIAMENTO
I corredi funerari reperiti nelle tombe della basilica di Pratola comprendono brocchette con croci incise o colorate di rosso, vestiti piuttosto ricercati, monete, fibule e armi, croci astili di oro e d'argento. Dall'analisi dei materiali rinvenuti e da confronti con fonti scritte riportanti notizie sulle sepolture in periodo altomedioevale (ma non solo), appare evidente l'inserimento di San Giovanni in un mondo culturale bizantino-mediterraneo. I primi cristiani si facevano seppellire con le vesti con cui si erano battezzati; la consuetudine di porre una moneta nella tomba riporta a tradizioni ancora più antiche (il pagamento dell'obolo al traghettatore ultraterreno); le brocchette ricordano la sete dei morti, ma questa credenza è sincretizzata con il simbolo cristiano della croce e con il colore rosso, che ricorda il sangue, deposito dell'anima; le croci astili hanno una grande diffusione sia in oriente che in occidente.
Oggi tale insediamento è visitabile, anche se in abbandono una volta scavato.

Informazioni utili

Km dalla prov. 11
Altitudine: m 280;
Abitanti : Pratolani
Patrono: prima domenica di settembre: Maris SS.Addolorata.
Mercato: domenica
Fiere, feste e sagre: Lunedì albis: Madonna di Montevergine; 13 giugno: S.Antonio; 3 agosto:
S.Stefano; 13 dicembre: S.Lucia.

Telefoni utili: Carabinieri
Via Roma tel. 0825/967055
Municipio
Via Gustavo Picardo 0825/96704




Tufo

Storia

La zona è stata poco frequentata in età antica, anche se sporadiche presenze di sepolcreti del IV-III secolo a.C. e strutture riferibili a ville rustiche di età romana sono segnalate in alcune località del centro. Il nome attuale del paese deriva chiaramente dal latino Tofus (lett. Tufo, roccia composta da materiale vulcanico), termine trasformato foneticamente in Tufus, Tufo.
Il borgo è di origine longobarda e si trova menzionato per la prima volta in un atto di donazione del monastero di S.Sofia in Benevento del IX secolo. Dopo la caduta del ducato beneventano nel 1119, intorno alla fortezza venne costituendosi progressivamente il piccolo feudo, grazie anche all'intervento di un cavaliere di Roberto il Guiscardo, tal Ercole, che lo diede ben presto a Raone de Farneto.
Costui è ricordato nella cronaca di Falcone Beneventano (XII secolo) per aver respinto più volte i tentativi di assedio posti, da Roberto di Montefusco, che non riuscendo ad espugnare la fortezza, incendiò e saccheggiò tutta la campagna circostante l'abitato, durante la guerra di Guglielmo, duca di Puglia, e Giordano, conte di Ariano. A Raone de Farneto succete nel 1157 Enrico, signore Del Tufo. Nel 1239 al feudatario del castello locale, di cui non si conosce il nome, venne affidata dall'imperatore Federico II la custodia del prigioniero Milanese Gerardo de Aquando. Sempre la famiglia Del Tufo tenne il feudo durante la dominazione angioina. Nel 1423, durante il conflitto che vedeva contro Alfonso d'Aragona e Luigi II d'Angiò, il cui circuito murario difensivo del borgo venne distrutto dalle truppe aragonesi. Da Del Tufo nel 1572 il centro venne acquistato con assenso regio da Alfonso Marchese. Nel 1580 il paese fu venduto per dodicimila ducati a Marcantonio Del Tufo Marchese. Ultimo componente di questa famiglia che possedette il feudo fu Domenico Del Tufo, il quale nel 1716 per 49000 ducati diede le sue proprietà al conte Francesco Piatti, console di Venezia in Napoli.al ramo dei Piatti appartenne Rosa (1790). Costei, dopo aver ricevuto l'approvazione regia nel luglio 1791, fece dono del paese al Figlio Giovanni Capobianco, già marchese di Carife, che pose fine al dominio feudale nell'agosto 1806. Ai moti reazionari del 1820-21 e del 1847-48 parteciparono da Tufo alcuni componenti della famiglia Di Marzo, condannati duramente dal regime borbonico. Dopo l'unità d'Italia rapine, saccheggi ed incendi furono provocati nella zona dalle bande di briganti guidate dai famosi Cipriano La Gala, Caruso, Taddeo e Palumbo.







Cosa c'e da vedere

Palazzo di Marzo
Del forte di età romana non restano ormai più tracce. trasformato in un magnifico palazzo residenza verso gli inizi del XVII secolo, il castello è attualmente di proprietà dei nobili Di Marzo. Del centro architettonico si notano ancora una imponente torre cilindrica su alto basamento a scarpa, un portale interno rinascimentale, tratti delle cortine murarie del sistema difensivo di età aragonese riutilizzati come strutture basamentarie nei diversi rifacimenti avvenuti fra il XIV e XVIII, avanzi dell'ingresso al recinto e della corte interna. Una lunga scalea, partendo dalla costruzione oggi utilizzata dalle cantine enologiche Di Marzo, conduce ad un arco voltato a botte, da cui, dopo una stretta via lastricata con blocchetti di travertino, si giunge nella piazza centrale dell'antico borgo medioevale. L'imponente palazzo ottocentesco con alta torre cilindrica angolare conserva ancora le caratteristiche residenziali originarie, con gli ambienti interni fino alla metà del secolo ancora arredati da diverse opere d'arte e da pregevoli mobili antichi. Oggi la visita è possibile solo chiedendone il permesso agli ultimi eredi Di Marzo, ancora proprietari del palazzo, così come dello stabilimento di zolfo e dell'azienda agraria omonima.

Stabilimenti di zolfo
A pochi metri dallo scalo ferroviario si trova l'imponente complesso di archeologia industriale costituito dallo stabilimento delle miniere di Zolfo "Di Marzo", risalente al 1866, dove avveniva la molitura che trova in passato largo impegno nell'agricoltura. Mentre le miniere oggi sono state coperte, lo stabilimento oggi è visitabile chiamando la famiglia Di Marzo, al 0825 998022-998092 (fax 0825- 998383 ) Azienda Agraria Di Marzo (E'possibile prenotare una visita per la cantina sociale dell'azienda produttrice di Vino Greco di Tufo D.o.c.).

Le Miniere di Zolfo di Altavilla e Tufo
Alla fine del secolo 1800, declinate o ormai del tutto scomparse le attività manifatturiere ed artigianali (paste alimentari ad Avellino per esempio), l'industria moderna si affermò in Irpinia dopo l'Unità solo con le miniere di zolfo di Altavilla e Tufo.Lo sfruttamento delle miniere fu avviato tra il 1867 e 1870 con scarsi capitali, erogati da famiglie delle locale borghesia agraria e professionale, tra cui emersero subito, per vastità di vedute e per capacità imprenditoriali, i Di Marzo di tufo ed i Capone di Altavilla. A Vent'anni dalla scoperta, nel 1887 le due miniere impiegavano 380 operai e producevano 13.700 tonnellate di minerale, aumentando sensibilmente fino alla prima guerra mondiale. Mentre i Di Marzo riuscirono sin dall'inizio ad egemonizzare la società mineraria da loro costituita, divenendone gli unici proprietari, ad Altavilla si costituirono inizialmente due società, che si condussero concorrenza fino al 1878, quando si fusero creando la " Società delle Miniere Solfuree di Altavilla Irpina" guidata dall'intraprendenza di Federico Capone e dalla progettazione di Zampari, già progettista dell'Acquedotto Pugliese.Il Capone, superando non poche difficoltà, divenne leader della Società, e si lancio sulla individuazione di nuovi giacimenti minerari; aprì così una nuova miniera, la "Federico Capone" al posto della "Vittoria" ormai esaurita ed abbandonata, nel 1905.Nel 1918 si crea SAIM (Società Anonima Industrie Meridionali). Oggi la miniera di Altavilla è chiusa, così come lo stabilimento, mentre però svi è l'attività della insaccatura e del trasporto.

Informazioni Utili
Km dalla Provincia: 15
Alt. M 275; Staz. Ferr. Tufo scalo
Abitanti: Tufesi
Patrono : 8 Maggio San Michele Arcangelo
Fiere, feste e Sagre: festa Patronale con Dramma Sacro "S.Michele e la cacciata
degli angeli ribelli dal Paradiso"
Telefoni Utili : Biblioteca - via Santa Lucia - tel. 0825 998071
Municipio- via Santa Lucia – tel.0825-998071




Altavilla Irpina

Storia
Dalle recenti scoperte archeologiche e dalla relativa documentazione ricavata possiamo ben affermare che il territorio altavillese fu abitato dal IV secolo a.C. al VI sec.d.C. con una progressiva ed ininterrotta frequentazione continuatasi sino ai giorni nostri. Tracce sono state ritrovate a riguardo in località Monte Toro ed Ortolano. Evidentemente anche ai dominatori Romani l'importanza strategica del territorio di Altavilla doveva essere ben nota, proprio perché situata sulla strada che da Abelllinum conduceva a Beneventum, e perciò costituiva una validissima difesa naturale a guardia delle valli circostanti. E di questo ne furono ben consapevoli i Longobardi, a cui si deve il primitivo carattere urbanistico del Paese. Il centro è menzionato la prima volta con il nome di Altacauda da alcuni passi delle cronache del XII secolo, registrati da Falcone beneventano, e dal noto Catalogus Baronum. Una pergamena del 1200 conservata presso l'Archivio di Montevergine riporta invece il nome Altavilla , anche se è difficile spiegare il perché del passaggio. Nel marzo del 1134 l'abitato fu distrutto da Ruggero II, quando signore di Altavilla era Raone de Farneto, alleato e subfeudatario di Rainulfo, signore di Avellino. Più tardi lo stesso Ruggero II ordinò la riedificazione di una cinta muraria. Dal 1180 al 1238 il feudo fu in possesso di Riccardo, Rao ed Emma de Farneto. Nel 1232, infatti, i tre fratelli sono ancora menzionati in un diploma dell'Imperatore Federico II, conservato presso l'archivio di Montevergine (V.X, n.5). Verso la fine dello stesso secolo il paese fu acquistato dalla famiglia de Capua, che lo tenne fino al 1792. Fu proprio un nobile De Capua, Bartolomeo I (1248-1328), arcivescovo di Pisa, Protonotario del Regno e conte di Altavilla, a trasformare il vecchio nucleo fortificato in palazzo residenziale. Probabilmente tutti i successori di Bartolomeo I non vennero mai sul posto, governando da napoli, dove prestavano servizio presso la corte reale. Solo Andrea II de Capua, dopo il suo matrimonio con la ex regina, conosciuta come la regina infelice per essere stata ripudiata dal marito Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Costanza di Chiaromonte (!6/12/1396) alloggiò per qualche tempo nel paese, quets'ultima qui imparando ad amare il proprio marito (nasce da qui la Costanza del Palio dell'Anguria). Alla Morte dell'ultimo De Capua senza eredi, il feudo passò al Fisco Regio e poi aggregato come Università al Principato Ultra. Il paese subì saccheggi ad opera dei Francesi nel 1799 e fu devastato dalle alluvioni del 1875 e 1878. Nel 1862, con un decreto Regio, venne aggiunto ad Altavilla, il nome Irpina. L'economia gravita essenzialmente intorno all'agricoltura (Nocciole, castagne, vigneti di Greco d.o.c.) ed all'industria (Pelli, zolfo). Sorgenti di Acqua Minerale sorgono in località Pincera

VI NACQUERO
Beato Alberico Crescitelli (1863-1900) missionario in Cina (ricordato con un lapide lungo Corso Garibaldi) che, durante la rivoluzione dei BOXERS, fu prima torturato e poi decapitato il 21 luglio del 1900. Pio XII lo ha beatificato il 18 febbraio 1851





C'E DA VEDERE

I BATTENTI DI SAN PELLEGRINO
Ad Altavilla il 25 Agosto ha luogo la festa di san Pellegrino, che culmina con la caratteristica processione dei battenti : fedeli e devoti vestiti di bianco, provenienti anche dal Napoletano, che fin dalle prime ore del mattino giungono al santuario procedendo a piedi scalzi per diversi kilometri, portando ceri votivi ed intonando canti popolari . La divisa dei battenti consiste in camicia e mutandone bianchi, a foggia sette-ottocentesca. Completano la divisa due larghe fasce, rosse o azzurre, l'una a tracolla e l'altra intorno al fianco, con sopra impressi l'immagine del santo e dell'associazione di appartenenza. Non usano più flagellarsi il corpo (Donde il nome di "battenti", tradizione ancora viva però nella manifestazione analoga a Guardia San Framondi, nel Sannio) e non strisciano più la lingua sul pavimento della chiesa. Procedono quivi a carponi e col capo raso terra, sino all'altare del santo, portando in dono ceri, in segno di riconoscenza . C'è poi la tradizione che ogni genitore, una volta iniziato, deve portare il proprio figlio con se per iniziarlo. Non ci sono molte testimonianze dei battenti nel secolo scorso; le stesse associazioni sono sorte da una sessantina d'anni. Alcune sorgono prima della cerimonia, per sciogliersi dopo il rito del pellegrinaggio. Molte sono le squadre di battenti che si esibiscono, famosi sono quelli di "Santa Filomena" di Mugnano del Cardinale (Che sembrano abbiano ispirato quelli di Altavilla, data la presenza di famiglie di Mugnano, nel paese, nei primi anni del 1900), ed in ultimo poi si esibiscono quelli di Altavilla.



San Pellegrino
Nel 1780, da un cimitero romano di Ciriaca fu prelevato un corpo di un santo sulla cui urna era scritto "Peregrinus Martyr sub Commodo Imperatore Mactatus. A.D. CXCII" (192 A.C.). Fu portato in dono da Padre Giuseppe Crescitelli, di Altavilla Irpina , provinciale in Napoli dei Servi di Maria in Monteoliveto. Essendosi recato a Roma per il Capitolo Generale del suo Ordine, Padre Crescitelli rivolse una preghiera al Papa Pio VI di concedergli un "Corpo Santo ". Avuto l'assenso, si recò con Mons. Landini, assistente al soglio pontificio, per prelevare le reliquie.Nei documenti di trasmissione, si racconta che, nel corso della ricerca durata tre giorni, egli avvertì un insolito rumore da una delle urne cimiteriali, rumore che spinse a prendere poi l'urna di San Pellegrino . Prima di raggiungere la nuova sede, il santo sostò a Napoli, dove il Vescovo di Sant'Angelo dei Lombardi, Domenico Volpe, ricompose le ossa del martire in un simulacro, che venne poi trasportato a spalla ad Altavilla, dove fu colllocato temporaneamente ed accolto in pompa magna nella chiesa dell'Annunziata.

La Leggenda di San Bernandino da Siena
Questi nel maggio del 1440 si recava in Abruzzo con San Giacomo della Marca. Ad Altavilla i due sostarono. Una povera donna, nella cui casa si erano fermati per un breve riposo, era disperata perché non aveva nulla da offrire. San Bernandino fece allora il miracolo del Pane e del vino. La voce si sparse subito e la folla accorse festante, tant'è che lo accompagnarono sino al ponte sul Sabato, quando poi partì. Tale ponte oggi è conosciuto come Ponte dei santi.. A ricordo fu costruita una cappella, poi distrutta e ricostruita nel 1890. Vi era custodita una statua di Argento, trafugata dal saccheggio dei francesi del 1799.




PALAZZO COMITALE
Nel centro storico di Altavilla si trova quest'importante palazzo Aragonese (1283-1500)dei De Capua, costituito da due piani disposti su un corpo caratterizzato da due ali simmetriche rispetto all'asse principale e da un cortile intermedio. Vi è una scala a doppia rampa sullo sfondo del panorama e del giardino, All'ingresso, cui si accede con un imponente scalea, vi un portale in pietra vesuviana finemente scolpita da artigiani toscani, che realizzarono anche tutte le finestre a croce guelfa e le porte, decorati appunto con ornati in stile toscano. Al centro di ogni architrave vi è uno scudo inquadrante gli stemmi dei diversi titoli della famiglia De Capua. All'interno un cortile lastricato da cui si raggiunge "un terrazzato belvedere", anticamente coperto, ed il piano superiore, con i suoi ambienti signorili. A pianterreno vi sono un arcone, in stile catalano, e una piccola cappella detta di santa Croce. Abbandonato per un lungo periodo, il palazzo è stato utilizzato come carcere, lazzaretto, sede locale della scuola elementare. E' considerato uno dei più bei esempi di rinascimento italiano. Dovrebbe ospitare un museo archeologico dei reperti della media valle del Sabato.

CHIESA DELL'ASSUNTA
Gia Collegiata, di cui si ha notizia in un documento del 1118. La fabbrica attuale risale alla fine del XVIII secolo e mostra una pianta a croce latina con tre navate, cupola centrale e cripta. Sulla facciata principale, che, con l'annessa torre campanaria, costituita da tre livelli, occupa un intero settore della piazza, si può vedere, sul portale laterale sinistro, un bassorilievo cinquecentesco in bronzo raffigurante Cristo Portacroce, opera dello scultore irpino Donato Bruno. All'inerno sono visibili l'altare maggiore in marmo, con paliotto seicentesco, un crocifisso ligneo dipinto ed alcune statue ottocentesche tra cui raffiguranti San Bernardino e San Pellegrino.

 

MONASTERO DEI VERGINIANI
Situato all'ingresso dell'abitato, il monastero venne costruito fuori la cerchia delle mura verso la fine del '600 grazie a donazioni private. Oggi ospita gli uffici comunali. A pianta quadrilatera, con portico e chiostro, conserva all'ingresso un antico stemma sul portale in pietra con iscrizione MV, indicante l'appartenenza del fabbricato alla casa religiosa di MonteVergine. Sul lato destro dello stesso portale si legge la data 1691. Il chiostro presenta una cisterna rivestita da lastre in pietra scolpita. La costruzione fu voluta dal cardinale Orsini, poi Papa Benedetto XIII, che visitò più volte la fabbrica come testimonia l'epigrafe all'ingresso. Soppresso nel 1807, fu poi caserma e gendarmeria reale , sede del tribunale e complesso scolastico. Della Chiesa annessa al convento non restano più tracce (Abbattuta nel 1892). Intorno al chiostro vi sono i locali destinati originariamente alla cucina, alla legnaia ed ai cellari. Al Piano superiore lunghi corridoi a nord ed ad est mentre a sud ed ad ovest dodici ex celle, guardanti il giardino sottostante. Una visita al municipio consente di consultare gli Statuti di Altavilla nel "Capitulare Comitalis Curiae Altevillae" del 1576. Alcune disposizioni richiamano l'attenzione, ad esempio come quella che dispone il pagamento di una somma per danni presunti a carico di chi entri abusivamente in "Vigna non Vendemmiata".

CHIESA DELL'ANNUNZIATA
Edificata nel XV secolo, restano solo le cripte della struttura originaria. L'attuale fabbrica è quella settecentesca. Recenti lavori di restauro hanno messo in luce antichi affreschi con oggetti sacri, mentre lo stemma scolpito in pietra sul portale d'ingresso è del 1427. Grazioso è il campanile, con il quadrante dell'ottocentesco orologio civico. Lo stemma reca tre monti con una filza di nocciuole torrefatte, superiormente con l'iscrizione latina "Altavillensis Repubblica templum hoc Annuntiatae Virginis Juris Patronatus dicavit Anno Domini MCCCCXXIII" (1423). In origine era annesso un ospedale, unico ricovero del borgo per malati, orfani e pellegrini.
L'Interno presenta una sola navata decorata con stucchi settecenteschi e con altari coronati da strutture in legno ben scolpite .Vicino alla chiesa, testimonianza della vecchia cinta muraria ricostruita, la Torre Bruno, oggi di proprietà privata.

PALAZZO CARUSO
Costruito tra il 1860 ed il 1870 dalla famiglia omonima, è sede della locale biblioteca, la quale vanta un patrimonio librario di oltre 11.000 volumi. Al Palazzo si accede tramite un artistico portale in pietra scolpita, a cui segue un ampio cortile su cui affacciano i loggiati superiori: interessante è la presenza del Giardino, sopraelevato rispetto all'ingresso principale e caratterizzato anche da piante esotiche.

Tel. 0825-991010 (anche fax)
Lunedì-martedì-mercoledì-Venerdì ore 14,30-19,30
Giovedì-sabato ore 8,30-13,30


MUSEO CIVICO

Istituito di recente nella cripta della chiesa madre, ospita i reperti ed i
preziosi tessuti di epoca sette-ottocentesca, recuperati nel decennio
scorso dalla dr.ssa Portoghesi Lucia.

Palio dell'Anguria

Un corteo storico con figuranti vestiti di preziosi costumi di foggia medievale sfila per le vie del paese: Tra i figuranti spicca la regina Costanza di Chiaromonte, a cui dopo il corteo è dedicato il palio, la corsa che si tiene tra i paesi della valle del Sabato, a cavallo di un asino e cercando di portare sotto il braccio un anguria senza farla cadere.



INFORMAZIONI UTILI

Km dalla provincia: 17
Alt. 342
Stazione Ferroviaria a 4 Km dal centro
Abitanti. Altavillesi
Patrono: 20 maggio San Bernardino-24 Agosto San Pellegrino
Mercato: Domenica
Feste, ferie e sagre: fiera del bestiame (maggio), Palio dell'Anguria (18 Agosto)

Telefoni Utili
Carabinieri – Piazza mercato- tel 0825-994535
Municipio- P.za IV Novembre-tel 0825-9910099

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