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Lesioni da decubito

Almasi Patrizia, Bonanno Antonella, Franzoni Paola , Masa A.Maria

TRATTAMENTO DELLE LESIONI DA DECUBITO

 

L'ordine metodologico adottato per l'analisi del trattamento delle lesioni da decubito trova il suo presupposto nel concetto di stadiazione e muove dai principi della cicatrizzazione. E' stato quindi individuato il tipo di medicazione più idoneo per ogni lesione in funzione del suo stadio particolare. E' importante sottolineare che la guarigione di una lesione da decubito non avviene per regressione da uno stadio più avanzato a uno meno avanzato, bensì per processo di granulazione.

Nel trattamento delle lesioni da decubito è stato individuato sia un obiettivo generale che uno per ogni stadio. Il vantaggio di tale metodologia consiste essenzialmente nel permettere una valutazione della validità del trattamento effettuato poichè il mancato raggiungimento dell'obiettivo deve indurre a ricercare le cause in una delle fasi del trattamento.

Obiettivo generale: facilitare il processo di guarigione a qualsiasi stadio della lesione impedendone il peggioramento.

Vi sono due aspetti fondamentali nel trattamento delle lesioni da decubito di qualsiasi stadio:

- la gestione del dolore del paziente portatore di lesione;

- la decompressione della zona lesionata.

I pazienti portatori di lesioni da decubito possono manifestare dolore nella sede della lesione così come durante la medicazione. Il dolore è causato dai recettori presenti nelle strutture sottostanti l'epidermide. Risulta quindi fondamentale controllare ed alleviare il dolore usando protezioni adeguate della lesione, cambiando la postura o attraverso l'eventuale somministrazione di analgesici.

La decompressione della zona lesionata è il presupposto fondamentale per la cura di qualsiasi tipo di lesione. La riduzione della pressione nelle zone di appoggio si attua mediante un piano di mobilizzazione personalizzato che tenga in considerazione le problematiche assistenziali del paziente. Se la situazione patologica del paziente lo consente è da evitare una postura che poggi sulla lesione. Per attuare la decompressione nelle zone corporee in appoggio può rendersi utile l'adozione di ausili. Esistono in commercio ausili che riducono la compressione aumentando la superficie d'appoggio: materiali conformabili, statici (espansi, fibre cave, acqua, superfici ad aria non a cessione statiche). Altri ausili scaricano le pressioni in continuo (sovramaterassi ad aria a pressione alternata) o i più sofisticati scaricano le pressioni in continuo (sovramaterassi o materassi a reale perdita d'aria o i letti fluidizzati).Gli ausili vanno scelti in relazione al fabbisogno legato al rischio del paziente e soprattutto, per quanto riguarda quelli che riducono la pressione, non sostituiscono mai la mobilizzazione, bensì permettono di allungare i tempi di mobilizzazione.

 

I°Stadio

Obiettivo: ripristinare la vascolarizzazione e prevenire l'ulcerazione cutanea.

Il primo approccio terapeutico a una lesione da decubito consiste essenzialmente nella eliminazione della compressione locale, premessa indispensabile per ristabilire una buona perfusione ed ossigenazione tissutale, attraverso cambi di postura personalizzati. E' da ricordare che il massaggio, utilizzato frequentemente a questo stadio con l'obiettivo di favorire la rivascolarizzazione, è controindicato in quanto può ulteriormente aggravare il danno tissutale. Il massaggio profondo provoca infatti scollamento dei piani cutanei, ostacola la rigenerazione dei tessuti ed i processi di angiogenesi. Eseguito nelle zone perilesionali inibisce la riepitelizzazione poichè la manovra provoca scollamento delle bande di tessuto epiteliale che cercano di sostituire il tessuto leso. La vasodilatazione della zona, obiettivo che si vuole raggiungere mediante il massaggio, dura solo pochi minuti.

E' inoltre importante un'accurata, ma non aggressiva igiene della cute utilizzando detergenti che non alterino il pH fisiologicamente acido e che non rimuovano il film idrolipidico della superficie cutanea rendendola in tal modo meno idratata e quindi più fragile. Utile a questo scopo l'utilizzo di creme emollienti che promuovono il mantenimento dello strato idrolipidico e rendono in tal modo la cute più resistente ed elastica. Le sostanze barriera (creme a base di ossido di zinco, spray al silicone) proteggono la cute dalle sostanze irritanti e dalla macerazione. E' assolutamente controindicato l'utilizzo di soluzioni alcooliche che provocherebbero solo la disidratazione delle cute.

Il danno cutaneo a questo livello può essere minimizzato sia evitando gli sfregamenti tra la cute e il piano di appoggio durante le manovre di mobilizzazione, sia applicando particolari medicazioni idrocolloidali di tipo sottile o film membrana. Si tratta in questo caso di particolari pellicole trasparenti e permeabili all'ossigeno che, ricreando l'effetto barriera dell'epidermide, svolgono funzioni di protezione dell'integrità cutanea.

Se trattata correttamente, una lesione al primo stadio ha un rapido miglioramento e si eviterà un peggioramento in senso ulcerativo.

II° Stadio

Obiettivo: favorire la ricostruzione cutanea.

In una lesione da decubito al II° stadio, (naturalmente dopo aver eliminato la pressione locale), si procede con la detersione. Così facendo si ottiene una riduzione dell' inevitabile carica batterica presente sulla zona lesionata grazie all'azione meccanica del getto della soluzione impiegata. Sono adatte a questo scopo soluzioni di Fisiologica e Ringer lattato; quest'ultimo è preferibile per la maggior concentrazione di ioni potassio utili alla rigenerazione cellulare e alla sopravvivenza dei fibroblasti.

Dai concetti precedentemente esposti sul meccanismo di cicatrizzazione emerge la necessità di rivedere buona parte delle nostre tecniche riguardo alla medicazione di una lesione. Condizioni indispensabili per il fenomeno biologico della cicatrizzazione sono un ambiente umido, con il giusto gradiente di ossigeno e temperatura che si aggiri attorno ai 37 gradi.

Alla luce di tali considerazioni si comprende come sia da considerare concettualmente superata l'adozione di una medicazione asciutta. "...è fondamentale trattare la ferita con metodi moderni e rispettare determinati concetti di riparazione tissutale".(8) per promuovere infatti la migrazione cellulare è necessaria la presenza di tessuto vivente mentre in caso di crosta si verifica la migrazione delle cellule epiteliali al di sotto di questa, con conseguente ritardo del processo riparativo. "Al di sotto di un bendaggio occlusivo l'epidermide si muove su un tessuto umido ad una velocità di circa tre volte superiore rispetto a quanto si muova al di sotto di una crosta"(9). Nella fase di granulazione i macofagi in ambiente umido e relativamente caldo, si moltiplicano più facilmente e producono fattori che stimolano la formazione di nuovi capillari; inoltre durante la fase di epitelizzazione le cellule epiteliali migrano più velocemente in ambiente umido.

Risultano pertanto da abolire tutte quelle pratiche che conducano a tale situazione:

- pennellature con fucsina, mercurocromo...;

- esposizione ad una situazione di essiccamento delle lesione.

- utilizzo di garze iodoformiche (tra l'altro citotossiche).

Alla luce di quanto detto segue che per promuovere la ricostituzione cellulare, si devono utilizzare prodotti in grado di ricostruire l'ambiente idoneo. Particolarmente indicati sono i bendaggi idrocolloidali e le schiume in poliuretano.

Le medicazioni con idrocolloidi a matrice adesiva di contenimento, disponibili in diversi formati, esercitano la loro azione assorbendo gli essudati ed esercitando attività di controllo degli stessi. L'effetto di assorbenza lento e controllato fa in modo che a livello della lesione vi sia sempre il giusto grado di umidità e ne impedisce la macerazione dovuta all'eliminazione di vapore acqueo.

Il processo riparativo si avvia dopo l'applicazione della medicazione idrocolloidale mediante un'azione di detersione con asportazione del tessuto necrotico dato dall'accumulo di fibrina. Gli idrocolloidi entrano in simbiosi con gli essudati della lesione e con i prodotti di degradazione cellulare formando una gelatina che viene asportata ad ogni cambio di medicazione utilizzando soluzioni di fisiologica a getto. L'insorgenza di cattivo odore, che scompare del resto dopo il lavaggio, è da considerare normale poiché dipende dalla reazione tra essudato ed idrocolloide. Dopo l'asportazione del tessuto necrotico, successivamente alla prima medicazione, si può comunque riscontrare un aumento del diametro e profondità della lesione proprio a causa dell'azione di detersione indice di un corretto inizio del processo riparativo. Non si può vedere quanto realmente sia estesa un'ulcera prima che venga asportato il tessuto necrotico. Questa azione di fagocitosi dei detriti della lesione è assicurata dai macrofagi che trovano l'ambiente idoneo per temperatura, umidità ed ossigeno.

Altra caratteristica è l'effetto barriera a cui assolve la membrana esterna impermeabile sia ai germi che ai liquidi. Gli idrocolloidi garantiscono inoltre l'isolamento termico prevenendo l'evaporazione dell'essudato proteggono la ferita dal raffreddamento. Ci vogliono infatti 40 minuti affinché una ferita detersa torni alla temperatura normale e circa 3 ore affinché ricompaia la mitosi cellulare.

Le medicazioni con tali bendaggi diminuiscono la dolorabilità proteggendo le terminazioni nervose; l'asportazione infatti non causa traumi ai tessuti in via di rinnovamento.Il meccanismo della riduzione del dolore in ambiente umido non è ancora ben chiaro; una spiegazione potrebbe essere che gli idrocolloidi prevengono la disidratazione e il raffreddamento delle terminazioni nervose.

Grazie alla sua consistenza flessibile ed elastica questa medicazione si adatta bene a qualsiasi sede della lesione aderendovi perfettamente.

Da non sottovalutare è anche l'aspetto dei costi dato che la medicazione idrocolloidale va sostituita (cambio che deve avvenire quando la medicazione appare "diversa") con minore frequenza con conseguente diminuzione dei carichi di lavoro.

Alcuni idrocolloidi (medicazoni semiocclusive) hanno membrana semipermeabile che permette quindi il passaggio di ossigeno, di anidride carbonica e vapore acqueo come nell'epidermide; l'interfaccia della lesione viene quindi a mantenersi umida e nel contempo se ne impedisce la macerazione attraverso l'evaporazione del vapore acqueo ma nel contempo sono impermeabili alle sostanze liquide esterne e ai microrganismi.

Altri tipi di idrocolloidi (medicazioni occlusive) sono impermeabili all'ossigeno ambientale: segue da ciò che l'ossigeno necessario all'angiogenesi deriva dall'apporto ematico. Per effetto dell'occlusione consegue una caduta della pressione parziale di ossigeno a livello della lesione per cui viene richiamato nella zona l'afflusso di sangue necessario. Anche in questo caso viene impedita la macerazione della lesione, ma solo attraverso l'assorbimento dell'essudato da parte dell'idrocolloide.

Altro prodotto indicato per creare un ambiente umido sono le schiume poliuretaniche: sono dei sostituti dell'epidermide, permeabili sia all'ossigeno che all'anidride carbonica. Fungono da barriera per i microrganismi e permettono l'isolamento termico, hanno inoltre la proprietà di assorbire l'eccesso di essudato ed i componenti tossici favorendo la liquefazione dei detriti delle ferite. Le schiume sono indicate sia per lesioni di I e II stadio (non aderiscono al tessuto sano e grazie al loro effetto ammortizzante offrono una notevole protezione preservando il tessuto dai traumatismi), sia per lesioni di III e IV stadio in quanto possono assorbire anche noevoli quantità di essudato.

 

III° Stadio

Obiettivo: rimuovere il tessuto necrotico.

La presenza di tessuto necrotico impedisce la guarigione: se non viene rimosso, il tessuto sano sottostante non ha la possibilità di iniziare il processo di granulazione.

La rimozione dell'escara deve essere necessariamente di tipo chirurgico cui farà seguito un abbondante lavaggio con soluzione fisiologica o Ringer Lattato. La medicazione seguente all'asportazione chirurgica verrà effettuata utilizzando garze sterili al fine di controllare eventuali emorragie.

Per la detersione della lesione da residui necrotici è utile associare all'asportazione chirurgica la pulizia enzimatica con l'applicazione di sostanze proteolitiche in grado di sciogliere o ammorbidire quegli strati di fibrina e tessuto necrotico non asportabili chirurgicamente. L'utilizzo di questi prodotti deve essere effettuato con molta attenzione, evitandone il contatto con il tessuto sano, che verrebbe distrutto dalle proprietà enzimatiche degli stessi. L'esclusivo utilizzo dei prodotti enzimatici risulta inefficace a rimuovere escare secche ma è utile l'associazione della sostanza proteolitica con film membrana al fine di ammorbidire l'escara in preparazione alla toilette chirurgica: la presenza di umidità aumenta infatti l'attività enzimatica di tali sostanze.

Una sostanza ideale alla rimozione della necrosi è l'Idrogel, un nuovo prodotto indicato nella detersione di necrosi ed escare in quanto provoca un'idratazione massiva del tessuto necrotico, favorendo una rapida autolisi con contemporanea attivazione dei processi di riparazione senza intaccare il tessuto sano; il suo utilizzo nei tramiti fistolosi ne permette un drenaggio efficace; nel caso di ulcere deterse stimola il processo di granulazione.

Esiste anche l'associazione tra Idrogel e Alginato di calcio utile in caso di lesioni iperessudanti: il potere assorbente dell'alginato contiene i fenomeni di macerazione mentre l'idrogel ha un'efficace azione di debridement della fibrina.

Per quanto concerne l'impiego di disinfettanti le linee guida dell'AHCPR ne sconsigliano l'utilizzo vista la loro azione citotossica nei confronti del tessuto di granulazione (fibroblasti in particolare) che determina un ritardo nella produzione di collageno. I disinfettanti esercitano inoltre un'azione irritante nei confronti della rete capillare neoformatisi.

Viene ancora utilizzata frequentemente l'acqua ossigenata: va ricordato che tale sostanza distrugge il 50% delle cellule in via di riepitelizzazione e non sembra nemmeno comprovata la sua efficacia anche nei confronti delle infezioni sostenute da germi anaerobi a causa delle scarsità dei tempi di contatto.

Con tali premesse occorrerebbe bandire l'utilizzo dei disinfettanti ma, per esperienza diretta, nel trattamento di lesioni da decubito al III°- IV° stadio che presentavano zone di necrosi siamo giunte ad utilizzare determinati disinfettanti quali lo Iodopovidone (visto la sua efficacia sia come antibatterico che antimicotico) o la Clorexidina. Il motivo che ci ha condotto a rivedere tale comportamento nasce dall'esigenza primaria che occorra eliminare sì la necrosi ma anche contenere l'inevitabile aumento della carica batterica che ne consegue, senza dimenticare che un trattamento antibiotico sistemico in questa fase avrebbe, a livello locale, una scarsa azione determinata dalla limitata diffusione nel tessuto necrotico avascolarizzato.

Lo Iodopovidone è stato utilizzato anche con il preparato di Knutson (20 parti di zucchero, 5 parti di Betadine pomata, 2 parti di iodopovidone soluzione chirurgica). Tale preparato favorisce la detersione della lesione e stimola la granulazione grazie alla presenza dello zucchero che possiede qualità eutrofizzanti, deve essere utilizzato con particolare attenzione nei soggetti diabetici o con insufficienza renale; il suo utilizzo è bandito nei soggetti che presentino allergia allo iodio.

L'utilizzo del disinfettante dovrà cessare qualora si vedrà l'inizio del processo di riparazione che, ricordiamo, inizia dal fondo e dai bordi della lesione.

La reale efficacia degli antibiotici ad uso locale non è stata comprovata, poiché non penetrando in profondità non sono in grado di produrre il loro meccanismo di azione farmacologico; possono invece creare resistenze batteriche e ipersensibilità.

Una volta ottenuta la detersione della piaga si procede con la scelta del bendaggio occlusivo o semiocclusivo con l'utilizzo di idrocolloidi o schiume poliuretaniche.

In caso di ferite infette è consigliabile utilizzare medicazioni semiocclusive o schiume in poliuretano al fine di evitare sviluppo di batteri anaerobi.In questo caso è bene che la lesione venga monitorata con sostituzioni giornaliere e con tamponi colturali e biopsie cadenzate al fine di intervenire con terapia antibiotica sistemica mirata e con modificazioni nel tipo di trattamento locale.

Qualora la ferita fosse libera da residui necrotici e non presentasse segni di infezione si può applicare una medicazione di tipo occlusivo.

Con una medicazione avanzata si ottiene anche il controllo sulla sintomatologia dolorosa, spesso presente nelle ulcere a questo stadio, in quanto pare prevengano la disidratazione ed il raffreddamento delle terminazioni nervose. Qualora il paziente lamentasse dolore sarà opportuno informare il medico affnchè prescriva un farmaco antalgico appropiato. La riduzione del dolore è un altro fattore favorente il processo di guarigione delle ferite poichè in presenza di un dolore elevato si manifesta il fenomeno dellla vasocostrizione che provoca una diminuzione delll'apporto di ossigeno e delle sostanze necessarie al processo riparativo nella zona interessata dalla lesione.

Nel caso in cui la lesione presentasse delle cavità è opportuno zaffarla; qualora fosse anche secernete è bene ricorrere a falde di Alginato di calcio o di sodio senza comprimere.In caso di ferite in fase di granulazione si possono usare schiume poliuretaniche di tipo cavitario che, grazie alla loro particolare struttura, sono in grado di assorbire anche notevoli quantità di essudato favorendo il giusto grado di umidità ed impedendo che si formino raccolte ascessuali. Questo tipo di medicazioni possiedono una struttura morbida che si conforma facilmente alla cavità senza comprimere e senza aderire al tessuto neoformato.

E' importante sottolineare che non esiste un trattamento identico, valido per ogni lesione ma spesso occorre modificarlo anche nell'ambito della cura della medesima lesione per poter ottimizzare i risultati.

 

IV° Stadio

Obiettivo: controllo delle infezioni

La cura delle lesioni al IV° stadio è praticamente sovrapponibile a quella del III°: la differenza sostanziale consiste nel rischio maggiore di infezioni legato sia alla penetrazione della lesione verso le strutture profonde, sia alle condizioni maggiormente critiche del paziente. A questo stadio si rende maggiormente necessario un intervento di tipo multidisciplinare che coinvolga diverse figure professionali (l'internista, il dietologo..) a seconda delle diverse problematiche cliniche che il paziente presenta. E' altrettanto rilevante che venga attuato un piano di assistenza infermieristico, sia esso ospedaliero che, molto più spesso in ambito domiciliare volto a migliorare i deficit organici nel rispetto dei bisogni del paziente.

Il trattamento locale dopo la necessaria rimozione dell'escara (rimozione che deve essere effettuata in modo graduale, associando prodotti proteolitici o idrogel) prevede un'abbondante detersione con ringer lattato o fisiologica.

Per quanto concerne l'utilizzo del disinfettante riteniamo la sua applicazione necessaria in questa fase visto la presenza di infezione che potrebbe divenire sistemica.

In presenza di abbondante essudato è utile l'uso di alginato di calcio, materiale biodegradabile in grado di assorbire grandi quantità di essudato (assorbe 20 volte il proprio peso) mediante la trasformazione in gel; ciò favorisce il grado di umidità ottimale per avviare il processo di riparativo.Visto il maggior rischio di proliferazione batterica si consiglia di ricorrere a schiume di poliuretano o idrocolloidi semipermeabili.

Un parametro fondamentale per il paziente è il controllo del dolore (sicuramente ingravescente vista l'estensione della lesione ai piani più profondi) da effettuare con antidolorifici da somministrare in accordo con il medico curante.

E' in ogni caso auspicabile che la lesione non raggiunga questo stadio in quanto è indice del fallimento sia della prevenzione che del trattamento terapeutico degli stadi precedenti.

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(8) E.Ricci, R. Cassino, M.Nano, "Trattamento locale delle piaghe da decubito"

9) M.Y. Sieggreen "Guarigione delle ferite" p; 1017,in L'Assistenza infermieristica del Nord America Edizione italiana, Piccin Editore, Padova, 1988.

 

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