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La terapia anticoagulante orale con warfarina nella prevenzione dell'ictus cerebrale e dell'embolia nella fibrillazione atriale

La Fibrillazione Atriale (FA) non valvolare, o non reumatica, è l'aritmia cardiaca più frequente nella popolazione adulta (14, 21) e rappresenta anche il motivo più frequente per il quale i medici prescrivono la terapia anticoagulante orale (TAO) a base di dicumarolici: warfarina e, meno frequentemente acenocumarolo, almeno in Italia.

La fibrillazione atriale non è proprio una condizione così benigna. Rispetto alla popolazione a ritmo sinusale, cioè con un ritmo cardiaco normale, un paziente con fibrilalzione atriale ha un rischio doppio di morte a qualsiasi età, indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio e dalle sue condizioni cardiovascolari (7). La fibrilalzione atriale condiziona pesantemente la morbilità, l' insorgenza cioè di altre malattie, e la mortalità delle persone che ne sono affette;peggiora la qualità di vita almeno nei due terzi dei pazienti sintomatici (12, 16).

Nei pazienti con fibrillazione atriale A i problemi principali sono essenzialmente la prevenzione della cardiomiopatia secondaria alla tachicardia e la prevenzione della formazione dei trombi negli atri e, quindi, dell'embolia sistemica, soprattutto dell'ischemia cerebrale:ictus, attacchi ischemici transitori TIA (22, 24).

La fibrillazione atriale è l'aritmia cardiaca più freqente, soprattutto nella popolazione anziana e comporta un aumentato rischio di ischemia e ictus cerebrale, e di mortalità rispetto alle persone che non hanno la fibrillazione. In molti di questi pazienti è indicata la scoagulazione con anticoagulanti orali. Trattasi di terpaia molto delicata non priva di rischi, che deve essere iniziata solo quando i benefici attesi sono superiori al rischio di emorragia

La TAO si è dimostrata efficace nella riduzione del rischio di embolica nella FA, per cui l'anticoagulazione è oggi raccomandabile nella maggior parte di questi pazienti (2, 17, 18) con esclusione, probabilmente dei pazienti di età <65 anni e/o senza fattori di rischio (3, 4, 11, 13).

Tuttavia, è opinione comune che solo ad una frazione dei pazienti che possono beneficiarne viene offerta l'anticoagulazione (12, 18, 24). I motivi dello scarso utilizzo nella pratica clinica corrente della terapia anticoagulante orale (TAO) sono stati ampiamente studiati (8-11) e sono discussi dettagliatamente in altra sezione (Vedere la sezione "Impiego clinico della TAO"). L'aumentato rischio di emorragie, particolarmente nei pazienti anziani, e la necessità del monitoraggio di laboratorio continuo della terapia, rappresentano probabilmente i principali ostacoli alla più ampia diffusione della TAO (11, 12, 15, 17) (vedere le sezioni "La terapia anticoagulante negli anziani" e "La terapia anticoagulante nei soggetti ad elevato rischio emorragico").

Affinché la decisione di iniziare la terapia anticoagulante sia assunta consapevolmente, si rende necessaria un'attentata disamina dei risultati ottenuti negli studi controllati sulla TAO nei pazienti con FA, nonché la stima del rischio di eventi embolici da una lato e del rischio emorragico dall'altro nel singolo paziente (6, 24) (vedere "la stratificazione del rischio, in seguito e la sezione "Analisi critica dei principali studi clinici della TAO nei pazienti con FA").

Anche le ripercussioni sulla qualità di vita del paziente, sulle sue abitudini dietetiche e le sue preferenze devono essere tenute in considerazione. Infatti, se le preferenze del paziente fossero adeguatamente contemplate nell'analisi decisionale sull'assunzione o meno della TAO, è probabile che un minor numero di soggetti la inizierebbe (23).

Come abbiamo già detto, uno dei rischi maggiori dei pazienti con FA è quello di avere un ictus cerebrale, particolarmente nei pazienti più anziani. Nello studio danese di Jorgensen et al (21) la frequenza dell'associazione FA-ictus aumentava con l'età dei pazienti passando da <2% nella popolazione di età <50 anni, al 15% nella decade 70-80 anni, al 28% negli ottantenni, al 40% negli ultranovantenni (21). Analoghi risultati sono stati ottenuti nel Framingham Study da Wolf et al (25), i quali, esaminando 5070 soggetti per un periodo di 37 anni, osservarono che l'incidenza dell'ictus aumentava di pari passo con l'aumentare dell'età, passando dall' 1,5% nel gruppo di età fra 50-59 anni al 23,5% nel gruppo 80- 89 anni. In questo studio la FA aumentava di 5 volte il rischio di ictus rispetto ai controlli senza FA (25). La maggior parte degli studi clinici sono stati condotti in pazienti con FA persistente o permanente. Anche se l'incidenza di embolia sembra essere più bassa in pazienti con FA parossistica, negli studi BAATAF e SPAF non furono osservate differenze significative del rischio nei due gruppi (1, 5, 20)

Meccanismi della formazione dei trombi nella fibrillazione atriale

I meccanismi che conferiscono un rischio aumentato di ictus e di embolia sistemica nella FA sono multipli, complessi ed in grado di interagire fra di loro. Essi sono discussi dettagliatamente altrove e soltanto brevemente saranno ricordati qui. (vedere "I meccanismi della trombogenesi nella fibrillazione atriale"). Lo stasi ematica, particolarmente nell'auricola atriale di sinistra (AAS), assieme all'attivazione del sistema emostatico nella FA, corrispondono a due dei fattori della triade di Virchow necessari per la formazione del trombo. L'importanza dell'ultimo fattore della triade, la lesione vasale (endocardica), non è stata ancora ben definita nella FA.

Stratificazione del rischio

Il rischio embolico assoluto varia da paziente a paziente a seconda dell'età e della coesistenza di altre patologie associate (19). Per esempio nel Framingham Study (25), in presenza di FA, nei pazienti con cardiopatia ischemica o scompenso cardiaco il rischio di ictus raddoppiava o triplicava, rispettivamente, in confronto ai pazienti con le stesse patologie ma a ritmo sinusale. Di conseguenza, stabilire quali pazienti fibrillanti devono essere avviati alla TAO, che si è dimostrata efficace nella riduzione del rischio di ictus nei pazienti fibrillanti, rappresenta un momento critico per il medico, che deve vagliare accuratamente le indicazioni alla TAO.

In breve il rischio di ictus è aumentato in presenza di uno o più dei seguenti fattori: età>65 anni, diabete mellito, ipertensione arteriosa, precedente ictus o TIA.

Questi 4 fattori sono stati riconosciuti un po' in tuti gli studi finora eseguiti. Altri fattori di rischio considerati importanti in alcuni ma non in tutti gli studi sono: ipertiroidismo, pregresso infarto del miocardio, sesso femminile >75 anni, scompenso cardiaco. Anche alcuni parametri ecocardiografici possono essere utili per calcolare il rischio e dividere i pazienti in gruppi o strati di rischio differente: dilatazione dell'atrio sinistro, diminuzione della funzione ventricolare sinistra e la presenza del cosiddetto ecocontrasto spontaneo, tutti aumentano il rischio di embolia.

I pazienti senza alcun fattore di rischio specie se di età <65 anni possono essere considerati a basso rischio di ictus (<1% all'anno) e trattati efficacemente con aspirina; gli altri pazienti a seconda del numero di fattori presenti sono considerati a rischio intermedio o elevato di ictus. I soggetti con rischio elevato (circa il 5% annuo) di ictusè probabile che traggano benefico dalla TAO che, in molti degli studi eseguiti si è rivelata più efficace dell'aspirina nella prevenzione degli eventi embolici. Questa maggiore efficacia è tuttavia in parte ridotta dal rischio di emorragie gravi,anche fatali. Il rischio, comunque, è inferiore al 5% annuo e quindi i benefici possono essere superiori rispetto ai rischi, almeno in questo gruppo di pazienti. Per i pazienti a rischio intermedio la scelta fra aspirina o TAO andrà ponderata attentamente a seconda della storia e delle condizioni cliniche del paziente.


Per saperne di più..

Consultate il sito Alcmeone


ULTIMO AGGIORNAMENTO: Lunedì 2 maggio 2004

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