SCUOLA MEDIA STATALE
"T. CAGGIANO"
TAURASI
ANNO SCOLASTICO 1999/2000 - CLASSE III A
LA VITE E IL VINO NEL TEMPO CON PARTICOLARE ATTENZIONE PER IL TAURASI

(nota alla versione WEB: le immagini sono ridotte per necessità di velocità trasmissione e memoria)

 

COORDINATORI:
PROF.SSA CARMELINA IARROBINO
PROF. BALDINO PIZZANO

IMPAGINAZIONE:
PROF. BALDINO PIZZANO
PROF. ORAZIO MARANO

 

CLASSE III A

ANATRIELLO Rocco
CASOLO Pasqualina
CASSANO Diego
COTUGNO Rita
D’ADDIECO Gaetano
DE PRISCO Mara
DE SIMONE Sonia
GAMBINO Mario
GUARENTE Cristina
PENTA Ida
PIZZANO Elena
PORCIELLO Francesco Antonio
TEDESCO Giuseppe

(nota alla versione WEB: Edizione web in HTML a cura di Stefano Casale)

PREFAZIONE

Da anni ormai si va affermando la consapevolezza che la scuola, quale agenzia educativa, debba assumere un ruolo specifico nel settore della cultura e della valorizzazione delle risorse ambientali. Anche nella Scuola Media Statale "T. Caggiano" di Taurasi è emersa e va crescendo nel tempo tale consapevolezza, sostenuta dalla volontà di assumere concretamente delle responsabilità educative. Di qui l'iniziativa del presente testo. L'idea di realizzarlo è sorta nelle ore di lezione in compresenza, allo scopo di lasciare una traccia del lavoro svolto con gli allievi di terza media nell'ambito dell'Offerta Formativa della scuola.
L'eterna domanda "se il vino faccia bene o male", troppo scontata in un paese come Taurasi, terra del vino, ha guidato sempre il nostro excursus storico-ambientale che non ha eccessive pretese scientifiche. Tuttavia, se l'uomo di tutti i tempi, considerato che il vino accompagna la storia umana dagli albori della coltivazione, si è posto tale domanda, neppure oggi è possibile dare ad essa risposta certa, ma il nostro lavoro di ricerca ha consolidato il convincimento che il vino, se gustato in giuste dosi, non nuoce.
Non a caso Pasquale Federico Prof. di Metodologia Clinica I Facoltà di Medicina e Chirurgia - II Università di Napoli - sosteneva che la stessa quantità può essere dannosa per un soggetto e salubre per un altro, perché ognuno ha un suo individuale bagaglio genetico.
"A dosi adeguate, egli diceva, stimola le proprietà antiaterogene dell'organismo (sintesi dell'HDL-colesterolo, diminuzione dell'aggregazione piastrinica, vasodilatazione), ha effetto antidepressivo ed euforizzante (attraverso la sintesi della serotonina e della dopamina), immunomodulante (sintesi di ACTH e cortisolo) ed afrodisiaca (azione endocrino-metabolica e vascolare).
A dosi maggiori, stimola i processi inversi per cui il risultato ultimo è depressione, melanconia, stato confusionale e degenerazione di vari organi e tessuti, tutti sintomi caratteristici dell'etelismo".
Con l'invito proprio della Scuola Medica Salernitana "Vina bibant homines, animantia cetera fontes" ripercorriamo la storia vitivinicola di Taurasi.

TAURASI: Terra del vino: ieri, oggi e ….. domani.

In un contesto socio-culturale come quello odierno, così complesso e diversificato e sempre più egemonizzato dal potere dell'immagine e dall'apparire, un lavoro concreto di ricerca sul territorio pone non pochi spunti di riflessione.
In primo luogo chiama il preadolescente ad essere egli stesso "attore" delle sue conquiste culturali e del suo interagire con la realtà circostante per capire il perché del dipanarsi concreto della vita di un tempo e di quella di oggi.
In secondo luogo obbliga l'allievo a cercare risposte che, al di là di ogni simulazione, lo coinvolgano operativamente per accogliere il raggio riflesso del reale nella sua interezza, per rappresentare e riprodurre concetti e realtà a lui vicine e lontane e, soprattutto, per dominare e possedere "conoscenze" e "competenze" acquisite dopo adeguata verifica empirica, pertanto, certe e certificabili. In quest'ottica si è mosso il prof, Baldino Pizzano, traducendo in realtà scientifica quanto raccolto, analizzato e catalogato per elaborare un percorso didattico proficuo, ben strutturato, perciò finalizzato a restare nella mente del ragazzo come strategia di ricerca scientifica capace di inverare, verificare e ricreare conquiste conoscitive solide.
Complimenti, pertanto, vadano al docente che ha ideato e guidato questo lavoro di ricerca, soprattutto, perché sotto la sua guida i reali protagonisti hanno saputo cogliere il senso dell'attività di studio legata alla scoperta di un mondo contadino che è stato ed è ancora oggi reale ed affascinante allo stesso tempo. Celebrare la vite ed il suo prodotto, il vino, è riscoprire lo stesso mondo antico in cui fico, ulivo e vite erano sacri e piantati nel Foro accanto alla stessa Via Sacra ove i loro discendenti sono ancora oggi visibili, alle spalle della colonna Foca, nei pressi del lapis niger.

Il Dirigente Scolastico
Prof. Angelo Di Talia

LA VITE NELLA LEGGENDA E NELLA STORIA ***

La vite esisteva già nel giardino dell'Eden, se è vero che Adamo, dopo il peccato, si rese conto della propria nudità e si coprì con una foglia di tale pianta.
Da un'analisi di reperti fossili è emerso che la vite avrebbe fatto la sua comparsa sulla Terra prima dell'uomo, nel periodo Terziario, e sembra che sia stata la prima pianta coltivata e che il suo frutto fosse gustato dall'uomo a volontà e non solo quando il caso glielo mettesse a disposizione.
V. Hehn sostiene che la coltivazione della vite da vino abbia avuto origine nella regione transcaucasica e che abbia trovato diffusione attraverso quattro differenti itinerari: non solo per mezzo degli scambi commerciali e delle migrazioni degli uomini, ma anche con il contributo degli uccelli e di alcuni mammiferi. Gli studiosi ritengono che la specie attuale si sia propagata in Europa nell'ultimo periodo (120.000-100.000 anni fa) dalla Colchide, regione situata a Sud-Est del mar Nero, sovrapponendosi alle varietà di vitigni. Quindi non si sa con precisione quando l'uomo conobbe la vite. Certo è che 3500 anni prima di Cristo la vite era coltivata in Egitto, come testimoniano i calici con i quali si offriva vino agli dei e un rilievo, scoperto a Tebe, in cui sono raffigurati due schiavi che raccolgono grappoli d'uva allo stesso modo dei viticoltori dei nostri giorni.
Il Cantico dei Cantici vanta il profumo delle vigne di Salomone e lamenta le devastazioni ad opera delle volpi. Inoltre, la Bibbia ci racconta che il patriarca Noè "che era agricoltore, cominciò a lavorare la terra e piantò le vigne; e avendo bevuto vino si inebriò e giacque scoperto nella sua tenda" (Genesi cap. IX 20-21). La narrazione biblica fa riferimento all'Arca che approdò in Turchia, sul monte Ararat, sulle cui pendici crescono spontanee le viti.


Scena di vendemmia e di vinificazione (da una tomba della necropoli di Tebe, sec XVI a. C.)

In Grecia la vite si diffuse rapidamente tra il 1700 e il 1500 a.C.. In Italia la vite è conosciuta da almeno 4000 anni. Nel V e IV secolo a.C. l'agricoltura delle aree mediterranee registrò un ulteriore progresso e maggiore diffusione (un ettaro di vigneto italico riusciva a produrre anche 150 q. di uva); con l'introduzione di nuovi metodi di coltura, divenne fiorente soprattutto nell'Italia meridionale. L'importanza economica della viticoltura nelle città della Magna Grecia è attestata dalla raffigurazione del tralcio e del grappolo di vite sulle monete dell'epoca; anche in un dramma di Neapolis, sul retro della testa diademata di Partenope vi è un grappolo sul tralcio di vite.
Ai tempi di Roma, la vite e il vino erano diffusi ovunque; l'Italia infatti si chiamava Enotria, cioè terra del vino. I Romani impararono presto a selezionare alcune varietà pregiate di viti, tra cui quelle che producevano il famoso Falerno. Un periodo molto favorevole per la vite fu quello tra il XIII e il XIV secolo, nell'epoca dei Comuni, quando i Signori curarono l'incremento di una coltura molto redditizia. Un altro "magico momento" per la coltivazione di questa pianta si ebbe con l'introduzione in Europa, della vite americana che era immune dagli attacchi della fillossera, insetto parassita che stava infestando la vite europea. Oggi le varietà coltivate sono migliaia. La maggior parte delle viti viene destinata alla produzione di vini (bianchi, rosati e rossi) e di liquori (per esempio il cognac e l'acquavite), ma si coltivano anche molte varietà di viti per l'uva da tavola e l'uva da essiccare per ottenere la cosiddetta uva passa (cioè appassita).
* Cfr. L. CRISPINO, Virtù Terapeutiche del Vino, ed. Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli (SA), 1997.
**Cfr. G. BOREA, Il Vigneto Irpinia, Sellino & Barra, Pratola Serra (AV), 1997.


Febbraio


Marzo


Aprile


Aprile

IL VINO ATTRAVERSO I TEMPI * **

Il vino è presente nella vita dell'uomo da sempre e sempre è stato adattato ai gusti dei mortali e degli dei. Era presente già all'alba della storia; infatti le più antiche civiltà già lo conoscevano e lo apprezzavano, ma chi l'abbia prodotto per primo è un mistero mai emerso dalla notte dei tempi.
SUMERI
I primi popoli, però, che lasciarono dei reperti riguardanti il vino furono i Sumeri, abitanti della Mesopotamia meridionale. Nella vita sociale sumera il vino rivestiva un ruolo importante ed aveva anche un intenso significato simbolico. Rendeva l'uomo cosciente della sua mortalità e lo aiutava a superare ogni dolore. Era considerato il consolatore dell'uomo ed il segno dell'abbondanza e della prosperità, esso invitava a dimenticare il male e a gioire di tutto ciò che era possibile. Già nel III millennio a.C., come evidenzia l'epopea di Gilgamesh, il vino prendeva quei caratteri che lo hanno accompagnato costantemente attraverso il tempo. Insieme al pane e all'olio era considerato uno degli alimenti basilari della tavola. Il fascino della fermentazione era grande: era il segno che l'uomo sapeva trasformare gli elementi offerti dall'ambiente. Per questo motivo il vino era offerto agli dei nei banchetti votivi.
EGIZI

Gli antichi Egizi non furono i primi a coltivare la vite, ma furono certamente i primi a descrivere e a celebrare con immagini chiarissime i particolari della loro arte enologica. Chiara testimonianza di questo sono le pitture murali delle tombe dell'antica Tebe che illustrano la raccolta dell'uva, la registrazione del raccolto, la pigiatura, l'atto dell'offerta del mosto agli dei da parte del sacerdote, la chiusura delle anfore e il trasporto del vino sul Nilo.
Ai tempi del nuovo regno, iniziato nel 1550 a.C., a cui risale la famosa tomba di Tutankamon, le anfore del vino avevano etichette precise quasi quanto quelle odierne. Erano specificati l'anno, il vigneto, il proprietario e il capo cantiere.
In Egitto sia il vino che i vigneti erano dedicati alle divinità e in particolare ad Osiride, dio della morte e della vite.


Il vino assunse una tale importanza in Egitto che la parola ERPI (vino) veniva scritto in sei modi diversi a seconda della "denominazione d'origine"

TRACI
Un altro popolo antico che considerò importante il vino fu quello dei Traci che, però, non hanno lasciato tracce sufficienti per la ricostruzione dei loro usi e costumi. Essi abitavano i territori compresi tra il Danubio, il mar Egeo ed il mar Nero; erano grandi amanti del vino che usavano bere senza mescolarlo all'acqua in dei "corni" con i quali brindavano alla fine di ogni banchetto. Anche il loro Dio più famoso, il dio Eroe, era rappresentato con in mano una coppa in cui, si pensa, ci fosse del vino. La viticoltura tracia era localizzata nei Balcani; l'uva veniva pigiata in recipienti di pietra ed il mosto veniva messo a fermentare in vasi di pietra o di argilla. Dopo la fermentazione il vino veniva travasato in otri di pelle di capra o in anfore di argilla.
GRECI
I Greci credevano che Dionisio, dio del vino, avesse origine tracia. La civiltà greca fece del vino un elemento base dell'alimentazione quotidiana per cui la vendemmia era accompagnata da grossi festeggiamenti e la figura del dio Dionisio diventò affascinante e misteriosa. Il vino costituiva una merce importante per i Greci che lo esportavano nelle proprie colonie, diffondendo nel contempo anche la loro filosofia del vino, l'immagine che questo aveva assunto nella loro cultura e tutte le usanze che lo vedevano protagonista.


Maggio


Maggio


Maggio


Giugno

VICINO ORIENTE
Anche in Oriente la vite e il vino hanno avuto la loro importanza. Infatti in Palestina
viene considerata una delle culle della viticoltura e dell'enologia, si producevano vini forti e speziati, ma si preferivano i vini vecchi e dolci. Il vino era ritenuto una bevanda essenziale nella vita sociale e nelle cerimonie religiose e gli si attribuivano proprietà medicinali; infatti, "i saggi" affermavano che un vino molto vecchio recava beneficio a tutto il corpo, soprattutto dopo i quaranta anni, quando era meglio bere più vino e mangiare meno cibo.
VECCHIO TESTA MENTO
Anche il Vecchio Testamento fa delle affermazioni riguardanti il vino, presentando la vite quale segno di saggezza, di prosperità e di pace e sostenendo che il vino, il quale allieta il cuore dell'uomo, è segno dello sguardo benevolo di Dio.
ROMANI
Un'altra civiltà che riservò un posto particolare alla vite e al vino fu quella romana. L'Italia produceva uve molto pregiate quali le Aniiae, le Apianae, le Euganiae e divenne un centro importante per il commercio e la produzione del vino. Da qui la produzione del vino si estese in tutto l'Impero romano. I Romani effettuavano la vendemmia dal mese di agosto fino a novembre, pigiavano le loro uve nel "calcatorium" e facevano fermentare il mosto nei "dolia". Apprezzavano molto il vino invecchiato; per cui, il loro vino più pregiato non veniva mai bevuto prima di dieci anni di invecchiamento. In questa fase i vini erano tenuti nel "fumarium", un locale che si trovava nella parte alta della casa, dove giungevano i fumi derivati dagli usi domestici, ma un altro modo di invecchiare il vino era quello di una lunga esposizione al sole. I vini più forti con gusto asprigno venivano corretti in vari modi, tra cui l'annacquamento; per la diluizione veniva spesso usata la neve. Prima di essere serviti a tavola, i vini venivano filtrati, cioè venivano fatti passare nei "sacri vinai" che erano delle sacche di lino intrise di oli aromatici. Per i Romani Bacco era un eroe, un personaggio mitico protagonista di storie favolose, ma non affascinante e misterioso come Dioniso per i Greci, non era sentito cioè come un vero e proprio dio.
MEDIOEVO
Con la decadenza dell'Impero romano e l'arrivo di popolazioni barbare la coltivazione della vite ebbe un grosso declino e fu recuperata solo nel Medioevo,


Taurasi-Bassorilievo igneo avente ad oggetto Bacco contornato da un tralcio di vite ricco di pampini e grappoli d'uva in omaggio alla tradizione vinicola locale

periodo in cui la diffusione dei vigneti era molto legata alla diffusione del Cristianesimo. Infatti, i primi a riprendere il lavoro nelle vigne furono i monaci, seguiti dai signori che nella produzione di vino vedevano una buona fonte di guadagno, un segno di prestigio e di agiatezza. Il vino ritornò sulle mense e il suo consumo divenne di nuovo considerevole.
In questo periodo Bacco fu considerato ispiratore della mente e del cuore e il vino fonte diretta di conoscenza e di ispirazione artistica. Il verso del poeta, ad esempio, sarebbe risultato migliore, se il vino che l'aveva ispirato fosse stato di ottima qualità. Bacco, inoltre, leniva le pene e incoraggiava gli umori. Nel Medioevo, però, non si sapeva conservare il vino e si beveva quello dell'annata perdendo, così, il gusto per i vini rossi invecchiati. Il vino, inoltre, non era sempre "purum et gererosum" perché spesso veniva corretto con l'aggiunta di miele, spezie ed erbe.
MONDO MODERNO

Tra il '500 e il '600 il vino fu ancora protagonista e fu considerato come "oro da bere" come "liquore che rallegra gli umori". In questo periodo il vino più famoso era quello spagnolo giacchè proprio in Spagna aveva avuto inizio la conservazione del vino in botti di legno, ma anche la Francia avviava la produzione dello champagne. Con l'età moderna gli interessi nei confronti del vino diventavano sempre maggiori
e anche il suo commercio diveniva più intenso. Gli Inglesi iniziavano ad apprezzare il vino e, non essendo produttori, lo importavano dalla Spagna, dalla Francia e dal Portogallo. In questo periodo il vino fu al centro di indagini e discussioni da parte di medici e filosofi. Si riteneva che il vino, preso con moderazione, fosse utile nella cura di alcune malattie, che rafforzasse lo stomaco, purificasse il sangue e aiutasse la digestione. Il vino rappresentava la sola bevanda sana delle classi popolari ed era fonte di grandiosa energia. Alla fine del 1700 si iniziò l'invecchiamento in bottiglia dei vini rossi. Fra il 1850 e il 1870 l'oidio, la peronospera e la fillossera infestarono le vigne europee e le distrussero. Per contrastare queste malattie si ricorse a nuove tecniche d'innesto e a nuovi mezzi chimici. Intanto, grazie all'iniziativa degli emigrati europei, le viti e il vino si affermarono anche in nuovi paesi, come negli Stati Uniti ed in particolare in California. Tra i XIX ed il XX secolo l'enologia ha subito una profonda trasformazione, grazie alle nuove scoperte scientifiche e alle nuove tecnologie. Nuovi materiali, come l'acciaio inossidabile e l'alluminio, hanno permesso nuove tecniche di produzione e di conservazione. Oggi il vino è migliorato qualitativamente grazie alle nuove conoscenze, ed è un elemento importante per l'economia.
* Cfr. J. HUGH, Il Vino (Storia Tradizione Cultura) Franco Muzzio Ed., Borgo S. Dalmazzo (CN), 1994.
** Cfr. L. CRISPINO, op. cit.

"L'USO TERAPEUTICO DEL VINO": DAL 4000 A.C. AD OGGI *

Il prodotto della "vitis praevinifera" prima e, subito dopo, quello della "vitis vinifera linnaei" presero a far parte vitale dei movimenti civili e religiosi per la forte suggestione che esercitavano nel dissennare.
I Sumeri (circa 4.000 a.c.) chiamavano il medico "azu", colui che preparava e somministrava le porzioni, e con la parola "gestin" indicavano le bevande alcooliche1. Nella medicina indù e in quella cinese il vino veniva usato come medicamento, necessario a rinvigorire la salute ed a prolungare la vita. Dalla Mesopotamia, dall'India e dalla Cina i rudimenti della medicina ben presto arrivarono in Egitto; infatti, soggetti enologici figurano nelle tombe dei Faraoni della XVIII dinastia periodo in cui venne introdotta l'offerta ai defunti di piccoli vasi contenenti vini pregiati. Il papiro di Georg Ebers (Tebe 1550 a.c. Bibl. Univ. di Lipsia) è il più lungo dei papiri medici che tratta di cure farmacologiche, nonché di incantesimi e formule magiche. Contiene circa mille ricette in cui vengono adoperati il vino, la birra e l'uva (ad esempio, per stimolare l'appetito: cuocere insieme carne, vino, birra dolce, fichi e sedano, filtrare e bere per quattro giorni2). Il medico greco Asclepiade affermava che il vino aveva una potenza quasi uguale a quella degli dei; egli ne concedeva in abbondanza finanche ai frenetici perché ubriacandoli si conciliava loro il sonno; concedeva il vino anche ai febbricitanti e in genere consigliava vino diluito con acqua, spesso con acqua marina, sperando che "le punte dei sali facessero più felicemente strada al vino per aprire i pori ostruiti". Nella cura del catarro ne prescriveva dosi particolarmente generose e tale terapia si è così tanto consolidata nella tradizione popolare che si ripete l'adagio "nel catarro vino col carro"3. A Sparta venivano lavati col vino i neonati di sesso maschile e l'uso di unzioni e di bagni trovò larga diffusione in tutta l'antichità: "tali quelli di vino per riscaldare e corroborare i membri, e, quando si volevano di più mite azione, Galeno e Dioscoride ci fanno conoscere che si adoperavano di mosto". Plinio, infine, ci ricorda che M. Agrippa, tormentato da un grave dolore ai piedi, se ne fosse liberato col fare agli arti inferiori un bagno di aceto caldo4. Vini pesanti ed aromatici si usavano per fare massaggi, per fortificare i muscoli degli atleti nel circo e dei soldati in guerra; il vino caldo con infusi di cannella confortava i febbricitanti e, mischiato
con miele ed altri prodotti, veniva utilizzato per combattere l'anemia e la clorosi; e, ancora, era ritenuto, particolarmente efficace per cicatrizzare le piaghe e per evitare le infezioni. Ippocrate (460 - 377 a.C.), padre della medicina, teneva in gran conto la forza guaritrice della natura (<<vis medicatrix naturae>>) e consigliava ai malati aria pura, blandi purganti, dieta sana, idromele, birra e vino. Scriveva che il vino <<è cosa eccellente, adatta all'uomo e, in salute come in malattia, viene assunto in modo appropriato…>> e << il vino dolce è lassativo, il vino bianco è diuretico. Il vino rosato e quello rosso forte sono più nutrienti del bianco ma più pesanti ….. all'acqua, come bevanda nelle malattie acute non saprei quali effetti attribuire>>. Ancora suggeriva << in caso di dolore agli occhi dare a bere vino puro ….>>, <<strangurie e disurie si curano bevendo vino puro>>, <<l'agitazione, lo sbadiglio, il brivido spariscono bevendo vino mescolato con eguale parte di acqua>>5. Lo stesso Platone considerava il vino come il maggior dono che gli dei avessero elargito all'uomo ed Euripide (480 - 407 a.C.) diceva che nessun farmaco potesse essere considerato più efficace del vino perché "fuga gli affanni, produce oblio e sopore dei mali che travagliano ogni giorno il nostro corpo". In quei tempi era convinzione diffusa che il vino lenisse i dolori; anche a Cristo, prima della crocifissione, fu dato da bere un miscuglio di vino e fiele "affinchè rimanesse stordito e sentisse meno dolore". Aulo Cornelio Celso, il cicerone dei medici, prescriveva vino a scopo terapeutico per quasi tutte le malattie: dalla tosse al mal di stomaco, agli avvelenamenti, quale cicatrizzante emostatico, per la febbre terzana e quartana, e persino per l'idrope e l'itterizia.


I reperti archeologici indicano che il vetro fece la sua comparsa in Medio Oriente probabilmente in Fenicia, fra il 3500 e il 3000 a. C.
Di certo la Siria e le regioni centrali della Mesopotania furono importanti centri di produzione vetraria e i Fenici, grandi navigatori, diffusero l'arte e la tecnica della lavorazione del vetro verso Cipro, l'Egitto e le isole dell'Egeo.
I primi oggetti realizzati furono i grani per collane, mentre i recipienti concavi non comparvero prima del 1500 a. C.
Le antenate delle nostre bottiglie risalgono al I secolo d. C. il periodo in cui fu inventato lo strumento fondamentale dell'arte del vetro: la canna a soffio.

Galeno, uno dei più illustri medici dell'antichità, acquisì un'eccellente clientela. Tra i suoi pazienti ebbe anche Marco Aurelio che, sofferente da tempo, fu guarito da foglie di spigo, applicate sul basso ventre, e col vino proveniente dalla Sabina.
La medicina monastica, fondata da San Benedetto, faceva largo uso di vino per lavare le ferite e per fare numerosi medicamenti. San Benedetto di Aniane autorizzò gli stessi monaci a bere vini per "avere più forze e sostenere le rigorose discipline".
La fama raggiunta in quell'epoca dal vino è ben testimoniata da un episodio occorso nell'888, quando il vescovo di Spoleto rifiutò di incoronare re dei Franchi Guido da Spoleto, preferendogli Eude, perché <<non è degno di essere re chi si accontenta di un pasto vile, senza vino>>.
Il più illustre medico arabo fu Avicenna che scrisse oltre quaranta libri, nei quali non mancò di lodare l'uso del vino e delle tinture vinose, nonostante il divieto agli osservanti islamici di far uso di questa bevanda. Quasi contemporanei sono i precetti igienici raccolti nel "Regimen Sanitatis" della Scuola Medica Salernitana, dove trova ampia indicazione un uso morigerato del vino ("qui bene bibit, bene dormit; qui bene dormit, bene vivit") sempre che sia "clarum, vetus, subtile, maturum"6.
Del vino vengono apprezzate le proprietà nutritive <<vina rubentia … naturae sunt valitura>>7 e <<sunt nutritiva plus dulcia candida vina>>8. Il "De flore dietarum", anonima raccolta di precetti igienico-alimentari della Scuola Salernitana, risalente al XIII secolo, dedica un lungo paragrafo al vino. <<…Qualora il vino sia mediocre e si beva misuratamente, secondo l'età, l'infermità o la buona salute, è sano. Al medico d'altra parte è necessario che nel vino e nelle altre cose tenga sempre presente il temperamento e la sovrabbondanza di umore di ciascun uomo. Il vino, bevuto moderatamente come sopra dicemmo, conforta ed aumenta il calore naturale, espelle la bile gialla col sudore e l'urina, riscaldando e inumidendo modera la bile nera, ammorbidisce le membra irrigidite, indurite e secche per la fatica e l'eccessiva stanchezza, toglie la spossatezza e ridona le forze ai malati, ingrassa i corpi, rinforza l'energia e l'appetito, elimina la dilatazione e la flatulenza. Ma, qualora si beva trascurando un ragionevole limite oppure fino all'ebrietà, genera turbamento della mente, stoltezza, apoplessia, epilessia, paralisi, tremore, spasmo e simili. Infatti, le vene ed i ventricoli del cervello si riempiono e si spegne il calore naturale. Il vino bianco e corposo nutre poco. Il bianco e delicato è abbastanza diuretico, di calore adeguato per natura ed alleggerisce il dolore di


Luglio


Luglio


Agosto


Settembre

testa dai vapori densi, giova ai nervi ed alle membra. Il vino nero, corposo ed acre, è duro da digerire e genera sangue denso. Qualora venga dato ai giovani prima del cibo è buono, infatti dispensa energia ed un nutrimento che si avvicina alla carne porcina. Per i più anziani è inadatto prima e dopo il cibo. Il nero corposo e dolce non è buono. Il vino rosso è più pregevole per regolare ed aggiungere sangue e per rinforzare il calore naturale … Il vino rossicco, corposo e profumato nutre male e fa sangue buono. Il vino corposo, rosso ed acre è meno utile. Il vino citrino e delicato nutre poco, tuttavia è caldo; il citrino corposo è caldissimo, penetrante e sale rapidamente alla testa; genera ebbrezza qualora sia vecchio … Il bianchetto apre i pori, stura i canali delle vene e rapidamente viene espulso. … Il vino limpido e profumato genera sangue limpido e pervade, conforta il cuore, allieta lo spirito, scaccia la tristezza e le difficoltà e si adatta ad ogni età e temperamento. Il vino cotto è sano… Il vino di uve passe conforta lo stomaco… Il medico accorto, quando desidera salvaguardare la salute di qualcuno, deve badare ad istruire nel bere secondo la qualità naturale dell'uomo e del vino>>9.
Un insolito uso del vino si rinviene nel <<Trattato della cura degli occhi>>, scritto da Pietro Spano nella seconda metà del XIII secolo, nel quale vengono descritti alcuni colliri preparati col vino. Ed il "Codice Viennese 93" consiglia di porre in un'anfora <<tre libbre di scorza di radice di mandragora e di vino dolce, che si pone a macerare il tutto, in vino dolce. Chi deve essere operato dovrà bere tre calici di questa porzione, allo scopo di non avvertire il dolore del taglio>>10.
Agli inizi del XIV secolo, Armando da Villanova, della scuola di Montpellier, noto per aver curato Bonifacio VIII dalla calcolosi renale, scrisse che <<alcuni pretendono sia bene per la salute ubriacarsi di vino una o due volte al mese>> e descrisse le proprietà curative della "aqua vitae", un liquido da lui ottenuto dalla distillazione del vino.
Nel XV secolo la terapia restò ancora più ancorata al passato, con pozioni varie nelle quali rientrava il vino. I medici del XVI secolo in molte opere trattarono questo argomento, tra cui è famoso il "Simposium de vinis, S. De diversorum vini generum natura liber" di Giacomo Profetto. Sante Lancerio, bottigliere personale di Papa Paolo III Farnese, nel suo trattato sui vini usati alla corte papale, affermava che
Sua Santità beveva considerandoli medicamentosi, tra l'altro, <<… la tonda per nutrimento del corpo… et della garba usava gargarizzarsi per rosicare la flemma et collera. Del greco di Somma ne voleva per bagnarsi gli occhi ogni mattina, et anco per bagnarsi le parti virili, ma voleva che fosse di 6 o 8 anni, che era più perfetto… il vino Cosentino beveva la sera quando andava a letto, perché li rosicasse la flemma et restringesse il catarro… il vino Santo Severino del Regno di Napoli non beveva mai, ma diceva essere buoni per li podagrosi, per assottigliare li humori grassi…>>11.
Nel secolo XVII ed anche nella prima metà del XVIII secolo trovò largo spazio il ricorso al vino e un po' tutti i medicamenti venivano diluiti nel vino, con il quale si lavavano anche le emorroidi; veniva anche usato a clisteri nella cura della pleurite. Negli ospedali di Roma veniva somministrato ai pazienti in forma di "zuppa di vino" e <<… il vino degli infermi deve essere assaggiato prima dai medici onde controllare se i cantinieri non abbiano avuto l'ardire di aggiungervi l'acqua>>12. Nella seconda metà del XVIII secolo riprese l'uso del vino e i più noti medici consigliavano il vino alle giovani affette da tubercolosi polmonare, agli anemici e nel deperimento organico. Nel Regno d'Italia, al passaggio tra il XIX e il XX secolo, particolarmente in alcune regioni del Sud, i ceti popolari, vivendo spesso in condizioni di grave arretratezza economica, sociale e culturale, maturarono il concetto di "demoiatrica", un connubio di medicina, superstizione e di quella religiosità subalterna contraddistinta dagli accentuati caratteri di esteriorità, paganesimo e magia. Tra le pratiche demoiatriche innumerevoli erano volte a combattere la febbre della malaria. Lo stesso Mantegazza (1831 - 1910) nei suoi "Elementi d'Igiene" scrisse che <<il vino è un vero rimedio nei paesi infetti dalla malaria, specialmente quando s'accorda con una ricca cucina>> e nel suo "Feste ed ebbrezze" enumerò gli effetti benefici del vino:
<<Aumenta l'allegria
Previene i miasmi
Spinta all'eroismo
Conforto ai dolori
Spinta alla benevolenza
Aumenta il senso genitivo
Risparmia l'organismo
Spinta all'associazione
Rende facile la loquela
Aumenta il lavoro muscolare
Eccita la fantasia e la memoria
Abbassa la temperatura nelle malattie
Aumenta momentaneamente la digestione
Risparmio provvisorio degli albuminoidi del corpo>>
Sul finire del XIX secolo il fermento d'uva fece il suo ingresso in terapia acquistando ben presto credito come mezzo curativo di disparate affezioni morbose. Progressivamente, con l'apertura delle grandi linee di comunicazione e con l'incessante sviluppo tecnologico, si è instaurato un sempre più competitivo rinnovamento dei sistemi produttivi ed un processo di trasformazioni sociali, determinando, il lento e progressivo decadimento della tradizionale famiglia patriarcale. Con la crisi della famiglia sono andati scomparendo anche gli usi, che la caratterizzavano, e il vino è divenuto sempre più una scelta di piacere e sempre meno un alimento ed un farmaco. Tuttavia ancora nel primo dopoguerra, Brunton somministrava il vino nel corso di malattie febbrili e di lunga durata con forte denutrizione. Ugualmente riteneva il vino efficace in alcune malattie croniche come l'enfisema polmonare e l'insufficienza cardiaca, nella febbre puerperale, nella difterite, nei morsi di serpenti ed anche nella tubercolosi. Faceva, altresì, rilevare la grande utilità di piccole dosi nei bambini scrofolosi e rachitici. Tuttavia, non più usato in modo codificato, come presidio terapeutico, ha trovato ancora molti estimatori, scienziati che ne hanno studiato i benefici e poeti che ne hanno cantato le virtù.
Nel Cilento la miseria ha reso necessario l'utilizzo del vino come alimento per le sue proprietà energetiche. Per Alberto Fidanza il vino cilentano, <<per la sua genuinità, dopo un certo tempo si trasforma in acqua ed anidride carbonica e contribuisce ad evitare le malattie metaboliche>>. Infatti, è diffusa la massima <<… Se vuoi tener il dottor fuori dalla finestra, bevi vino prima della minestra>>13, consigliando con ciò di bere qualche dito di vino pochi minuti prima dei pasti, come aperitivo.
Recenti studi effettuati nelle Università americane e italiane hanno dimostrato che il
resveratrolo, un polifenolo nobile, prodotto dalla macerazione alcolica delle uve rosse, aiuta le funzioni cardiache, previene l'arteriosclerosi e i tumori e inoltre, sconfigge il virus dell'herpes



la Repubblica - Luglio 2000


Michael Eduwards Guida ai più importanti vini rossi del mondo


Airone 235, novembre 2000

* CRISPINO, op. cit.
1 P. DE MAURO, La Vigna e il Diavolo, Rizzoli, Milano, 1976, p.176.
2 P. DE MAURO, op. cit., p.176.
3 S. DE RENZI, Storia della Medicina in Italia, tipografia del Filiatre - Sebazio, Napoli, 1845. p.p. 198-199.
4 S. DE RENZI, op. cit., p.p. 344-345.
5 IPPOCRATE, Testi di Medicina Greca, BURT, Rizzoli, Milano, 1983.
6 Regimen Sanitatis Salerni, XIV, 49.
7 Regimen Sanitatis Salerni, VIII, 29-30.
8 Regimen Sanitatis Salerni, XI, 38.
9 P. CANTALUPO, Un Trattatelo Medievale Salernitano sull'Alimentazione il "De Flora Dietarum" in "Annali Cilentani", quaderno 2, 1992, p.p.51-55.
10 R.M. SUOZZI, Le Piante Medicinali, Newton Compton Ed. s.r.l., Roma, 1994, p. 68.
11 L. DE VOTI, Il Vino di Roma, Newton Compton Ed. s.r.l., 1996,p.p. 18-19.
12 L. DE VOTI, op. cit., p. 55.
13 S. DI BELLO, La Cucina del Cilento, Marotta Ed., Napoli, 1980, p.82.

L'ALCOOL: COS'È

L'alcool etilico, o etanolo, è una sostanza liquida ed incolore che si forma per fermentazione di alcuni zuccheri semplici o per distillazione del mosto fermentato.

LA FERMENTAZIONE

Il termine fermentazione (dal latino fervere = bollire) è dovuto a Pasteur, il quale intese denominare in tal modo le trasformazioni microbiologiche caratterizzate dal tumultuoso ribollire del substrato organico, a causa dello svolgersi dei gas di reazione. La più tipica fermentazione è quella alcolica, il cui prodotto principale è "l'alcool etilico". Questo alcole è accompagnato dall'anidride carbonica che si libera in gran parte durante il fenomeno fermentativo, producendo un'effervescenza del liquido, cioè quasi un'ebollizione. L'andamento chimico della fermentazione si può così rappresentare: C6 H12 O6 = 2CH3 CH2 OH + 2CO2. Da questa equazione chimica si rileva che da una molecola di zucchero (glucosio e fruttosio, i quali hanno la stessa formula bruta, perché ambedue monosaccardi, cioè zuccheri con 6 atomi di carbonio) si formano due molecole di alcole etilico e due di anidride carbonica. Per molto tempo l'equazione fu ritenuta esatta, ma i moderni studi sulla chimica della fermentazione alcolica hanno dimostrato che, insieme all'alcole e all'anidride carbonica, si formano altri prodotti secondari, tra i quali la glicerina e l'acido acetico, per cui si è assodato che il chimismo della fermentazione (o fatti chimici che avvengono durante la fermentazione) è molto complesso, per la formazione di prodotti intermedi tra gli zuccheri, l'alcole, l'anidride carbonica, la glicerina, ecc.. Passando dal campo chimico a quello biologico, dobbiamo dire che la fermentazione alcolica, al pari di tutte le altre, non è prodotta direttamente dai lieviti o fermenti, ma da particolari enzimi o diastosi che vengono elaborati dalla cellula del lievito. Sono questi enzimi che attaccano e demoliscono le molecole degli zuccheri. Nel caso specifico della fermentazione alcolica, l'enzima che attacca gli zuccheri prende il nome di zimosi alcolica o alcolosi. Ma, in realtà, questa zimosi è costituita da diversi enzimi, ciascuno specializzato per una delle fasi chimiche del complicato fenomeno fermentativo. E' la più importante della fermentazione anaerobica che avviene in assenza di ossigeno.


L'ASSORBIMENTO DELL'ALCOOL NEL CORPO UMANO

NEL CORPO UMANO L'ALCOOL SEGUE UN PERCORSO CHE PASSA ATTRAVERSO LE SEGUENTI FASI:
- VIENE DEGLUTITO;

- PASSA QUINDI NELLO STOMACO, DOVE VIENE PARZIALMENTE ASSORBITO;
- L'ASSORBIMENTO MASSIMO SI VERIFICA NELL'INTESTINO;
- ENTRA NELLA CIRCOLAZIONE SANGUIGNA, PRODUCENDO VARI EFFETTI, TRA CUI I PIU' EVIDENTI SONO:
- LA DILATAZIONE DEI VASI SANGUIGNI;
- IL RALLENTAMENTO DEI MECCANISMI DI CONTROLLO DEL CERVELLO;
- VIENE OSSIDATO E QUINDI ELIMINATO SOPRATTUTTO AD OPERA DEL FEGATO, CON UN PROCESSO ALQUANTO LENTO (IN GENERE VENGONO ELIMINATI NON PIU' DI SETTE GRAMMI DI ALCOOL OGNI ORA).


Ebulliometro di Malligant per la determinazione del grado alcolico del vino.

LE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO L'ASSORBIMENTO DELL'ALCOOL:

- l'assorbimento dell'alcool è molto rapido a stomaco vuoto, cioè lontano dai pasti;
- al contrario, si rallenta l'azione dell'alcool mangiando contemporaneamente cibi con alto contenuto di grassi (burro e olio) e proteine (carne, pesce, formaggi, uova);
- l'anidride carbonica accelera il passaggio dell'alcool dallo stomaco all'intestino e perciò i vini frizzanti hanno un effetto molto rapido.

L'ALCOOL NELLA NOSTRA SOCIETÀ

L'uso dell'alcool nella nostra società può essere paragonato all'uso della Coca-Cola, perché esso viene commercializzato normalmente e può essere acquistato liberamente persino dai ragazzini. Infatti, la nostra società non considera il suo uso una droga, in quanto esso già da tempi remoti faceva parte della nostra cultura, anzi l'uso dell'alcool è stato valorizzato come uno stimolante che ci induce ad essere attivi e competitivi. Non è da sottovalutare il fatto che è un prodotto commercializzato, pubblicizzato ed esaltato dai mass-media; anzi se è vero che questi pubblicizzano le "morti per droga", mai parlano delle vittime dell'alcool. Questa pubblicità negativa manderebbe in crisi molte industrie. Eppure una persona che fa abuso di alcool è una persona dipendente che non sa gestirsi, e pertanto se l'alcool è considerato da molti, per fortuna, una cattiva abitudine, per altri è decisamente una droga legalizzata.

L'ALCOLISMO

L'alcolismo o Etilismo è la condizione in cui un individuo ingerisce volontariamente una quantità eccessiva di alcool etilico. Esso può comparire in forma acuta o in forma cronica. Nella forma acuta l'alcolismo si manifesta con uno stato di ubriachezza; nella forma cronica si può trasformare progressivamente in una vera e propria forma di tossicomania e può essere causa di morte precoce. L'alcolismo è spesso dovuto a una combinazione di fattori di natura diversa, di tipo psicologico, sociale e, a quanto sembra, ereditario. La categoria di individui che viene colpita dall'alcolismo è quella degli adulti di sesso maschile; in tempi recenti, comunque, il fenomeno si sta diffondendo anche tra i giovani e le donne ed esso risulta in aumento in quasi tutte le regioni degli Stati Uniti, dell'Europa, dei Paesi dell'ex Unione Sovietica e di quelli in via di sviluppo. Diversamente dall'alcolismo in forma acuta, causato anche da un solo episodio di forte assunzione di bevande alcoliche, l'alcoli-
smo in forma cronica, considerato per lungo tempo come la conseguenza di un malessere psicosociale, è oggi ritenuto più correttamente una malattia vera e propria. Esso ha in genere uno sviluppo lento che può durare diversi anni. Nella fase iniziale si manifesta con l'eccessiva disponibilità agli alcolici, che finisce per condizionare anche la scelta degli amici e delle attività ricreative. Nelle bevande alcoliche, l'etilista cerca più un modo per alterare volontariamente la propria coscienza che non la condivisione di un rito o di una consuetudine sociale. L'alcool finisce per condizionare tutti gli aspetti della vita quotidiana, assumendo un peso maggiore delle relazioni interpersonali, del lavoro, dell'autostima e perfino della salute. Quando l'assunzione di bevande alcoliche diventa una necessità, a cui l'uomo non può più opporsi, in genere insorge una dipendenza fisica che spinge l'alcolista a bere in continuazione per evitare i sintomi dell'astinenza. L'alcool produce nell'organismo uno stato tossico generale, accompagnato da una situazione di deperimento dovuta sia a insufficienza dell'apporto alimentare per inappetenza, sia a riduzione dell'assorbimento e dell'utilizzazione degli alimenti introdotti. Gli effetti dell'alcol comprendono una vasta gamma di disturbi a carico di vari organi. Tra i più comuni vi sono quelli a carico del sistema nervoso centrale e periferico, dell'esofago e dello stomaco, del fegato e del pancreas, nonché del sistema circolatorio.


LUOGHI COMUNI

1. L'alcool riscalda V F
2. Il vino disseta V F
3. L'alcool fa bene al raffreddore V F
4. L'alcool fa sangue V F
5. L'alcool fa digerire V F
6. L'alcool dà forza V F
7. L'alcool stimola e dà sicurezza V F
8. La birra fa latte V F

INDAGINE SUL CONSUMO DEI VINI
Intervista N. 1

1. Bevi vino?
Si.
2. Preferisci il bianco o il rosso?
Rosso.
3. Quando consumi il vino?
A pranzo e a cena.
4. Quanti bicchieri di vino bevi in media al giorno?
Massimo sei.
5. Produci del vino?
Si
6. Quanti quintali di vino produci all'anno?
Circa dieci quintali.
7. Allora sei un esperto. Mi sai dire quando inizia la vendemmia?
Nel mese di ottobre.
8. Come viene trattata la vite?
Tra dicembre e febbraio viene potata; circa quindici giorni dopo la fioritura, che avviene in primavera, per combattere oidio e fillossera viene trattata con prodotti chimici ogni sedici giorni massimo fino all'ultima decade di luglio. Sono pochi oggi i contadini che usano prodotti naturali, tra i quali lo zolfo.
9. Quanto dura la fermentazione?
Può durare da quattro a dodici giorni.
10. Cosa succede dopo la fermentazione?
Il vino viene tolto dai tini e viene messo in botti di acciaio e poi in quelle di legno per favorire l'ossigenazione.
11. Come viene conservato?
In primavera (la tradizione popolare vuole che si faccia in un giorno di sole) il vino viene messo in bottiglie dove mantiene tutto il suo aroma. In seguito viene conservato in cantine fresche, areate ed al riparo dalla luce.
12. Per quanto tempo può essere conservato il vino?
Per diverso tempo, se ha una buona percentuale di alcool (almeno 12°).
13. Hai avuto qualche brutta esperienza bevendo un po' di vino in più?
No, perché lo sopporto bene.
14. Ma perché la gente beve?
La gente beve il vino perché lo gradisce, soprattutto se ha un buon bicchiere come quello di Taurasi.
15. Conosci nel tuo paese persone che fanno abuso di vino?
Si, tra tante, troviamo molti giovani e anziani.
16. Secondo te, un uso eccessivo di vino può essere una cattiva abitudine?
Si, perché chi si ubriaca può dar fastidio, in quanto non ha più il controllo delle proprie azioni.
17. Secondo te, quali bevande contengono alcool?
Liquori, birra e vino.
18. Tutti coloro che bevono bevande alcoliche possono essere considerati degli alcolisti?
Si.
19. Il vino nel passato era ritenuto un rimedio per tutti i mali. Sei d'accordo?
Si.
20. Lo sai che l'alcool introdotto nel nostro organismo ne altera le funzioni?
Si, ma solo se si esagera.
21. Sai quali malattie può provocare?
Si, la cirrosi epatica.
22. Cosa pensi del vino? È una droga legalizzata?
No.
23. Hai pensato di smettere di bere?
No.
Lavoro: contadino
Età: 50 anni





"Intervista" N.2
1. Che professione svolgi?
Muratore.
2. Quanti anni hai?
60 anni.
3. Bevi vino?
Si.
4. In che occasione bevi vino?
Durante i pasti (pranzo e cena), bevo di più nei giorni di festa.
5. Quanto in media al giorno?
Sei, al massimo otto bicchieri.
6. Quale vino preferisci? Quello che produci tu oppure quello comprato?
Quello prodotto da me.
7. Perché?
E' genuino, poiché non contiene nessun tipo di sostanze chimiche.
8. In che quantità produci vino?
Circa 10 - 11 quintali l'anno.
9. E' importante per te la produzione di vino?
Si.
10. Perché?
Per consumo personale e per guadagno.
11. Il tuo vino "ubriaca"?
Un po', se ne bevi troppo.
12. A te è mai capitato di ubriacarti?
Si.
13. Qual è il momento più bello per te nella produzione del vino?
La vendemmia.
14. Qual è il momento meno piacevole?
La macinatura perché è faticosa.
15. Oltre al vino, bevi qualche altra sostanza alcolica?
No.
16. Come ti senti, dopo aver bevuto vino?
Con la testa fra le nuvole per qualche minuto.
17. A che età hai iniziato a bere?
Ero grande, avevo già 22 anni.
18. Dopo aver bevuto, senti per caso bruciore allo stomaco?
Si.
19. Sai quali malattie porta il vino?
Si.
20. Una in particolare?
La cirrosi epatica.

MASSIME

In vino veritas
CHI BEVE VINO PRIMA dElla MINestra, SALUTA IL MEDICO DALLA FINESTRA

La botte piena e la moglie ubriaca
Il vino deve stare nella botte
Ogni botte dà il vino che contiene
Il vino amaro tienilo caro
San martino ogni mosto diventa vino
Bacco, tabacco e venere riducono l'uomo in cenere

A santa Giustina ogni uva è medicina
Chi non beve in compagnia o è un ladro o è una spia

Chi beve vino sale fin sull'aventino
Chi beve vino campa cent'anni
Quando piove ad agosto, piove mosto
È un piacere avere il vino per amico
Alla potatura la vite dice "fammi povera che ti faccio ricco"

L'acqua fa male e il vino fa cantare
Cerchi di salvare il rubinetto e perdi il tino


TAURASI: AMBIENTE NATURALE

L'ager Hirpinus dei Latini è contenuto nel territorio della provincia di Avellino.
Il paesaggio aspro dell'Irpinia si stempera in quello collinare della vallata del fiume Calore, i cui colli sono la sede naturale delle viti che producono Aglianico.
Tra questi colli s'impone Taurasi, una cittadina che prende il nome dalla Sannitica Taurasis, di cui porta lo stemma raffigurante il toro.
Secondo alcuni il paese è così chiamato perché giace su una lingua di terra che il fiume Calore ha inciso in forma di "Taurus".
Il paese per la natura del terreno, per la vegetazione, per il clima, e, soprattutto per l'amore dei cittadini per le proprie vigne, si è confermato nel tempo come terra "a vocazione vitivinicola".
L'ambiente naturale, infatti, di Taurasi offre un habitat favorevole alla coltivazione della vite in quanto i colli hanno ottime esposizioni, sono compatti, formati da argille, nei diversi aspetti scagliosi e fessurati, poveri di sostanze organiche, ma ricchi di elementi potassici e fosfatici. L'humus di Taurasi (analisi del prof. C. Violante) registra una media di 2,95; Azoto 0,276, sedimenti alluvionali e matrice vulcanica.
La posizione geografica e le quote altimetriche dei vigneti creano un microclima caratterizzato da inverni rigidi e da estati mai troppo calde che fanno maturare lentamente l'uva consentendo una vendemmia ritardata che si effettua a Novembre.
II Carlucci1, agli inizi del secolo, scriveva che l'altitudine più propizia per la coltivazione del vitigno aglianico si colloca tra i 200 e i 500 metri (altitudine min. e max. di Taurasi 270 - 463 m).
A contribuire alla bontà dell'aglianico non è da trascurare la presenza di fattori diversi, il "quid" che sfugge all'osservazione scientifica e a quella pratica, come si legge nella rivista "Economia Irpina" della Camera del Commercio del 1965, oltre al perfetto equilibrio tra terreno, clima e vitigno.
Il sistema di allevamento della vite privilegiato dai contadini di Taurasi è quello "a Starseta", dal momento che la vite dell'Aglianico ha uno sviluppo eccezionale non

(1) Carlucci (1856-1951): ampleologo che ha dato un grande contributo alla viticultura campana.
Per la vita e le opere si rimanda a pag. 98


solo nel tronco principale, ma anche nelle massicce tesole che sono sollevate a raggiera e all'altezza di due e più metri, anche per consentire la coltivazione del terreno sottostante.

"Baccus amat collem et saxa durissima.
I campi dai monti rimossi e le valli non acquose più largamente vino danno, i colli fanno vini più nobili"
(Columella, De re rustica IV, 5).


"Se guardi con meraviglia il fertile suolo della soleggiata Taurasi, lo vedi tutto ornato di vigne, paschi, campi di grano. Sono doni di quel Toro celeste a te favorevole sotto il cui sguardo tutto germoglia e verdeggia in brevissimo tempo sulla terra".
Anonimo del Seicento
(Traduzione di mons. Antonio Gambino)

IL "TAURASI" NELLA STORIA
II territorio di Taurasi insieme ad altri 16 comuni vicini costituisce la zona di produzione del D.O.C.G. "Taurasi". È un grande titolo di merito per questo unico vino meridionale ad essere presente nel Ghota dei vini italiani. Esso viene prodotto dal vitigno aglianico, progenie della "vitis ellenica", secondo quanto è affermato dall'ampleografo Carlucci, all'inizio del XX secolo, che ci fornisce la più precisa e valida descrizione dell'aglianico.
Il Carlucci, in seguito a studi approfonditi, giunge alla conclusione che tale vite era stata introdotta dai Greci o Ellenici nel secolo VIII a.C. nelle loro colonie italiche e che la trasformazione del nome "Hellenica" in "Hallanica" e quindi in Aglianico si deve ricercare verso la fine del XV secolo, quando sul Regno di Napoli vi era il dominio degli Aragonesi.
La coltivazione della "vitis hellenica" dalle zone costiere (Napoli, Paestum, Velia,....) gradualmente venne introdotta nelle zone interne (Sannio, Irpinia e Lucania) con un'accelerazione tanto maggiore quanto più le popolazioni dell'entroterra prendevano atto che essa cresceva rigogliosamente e dava un prodotto di ottima qualità.
Forse era già presente sul territorio dell'allora "Taurasi" quando Lucio Cornelio Scipione Barbato nel 298 a. C. lo conquistò insieme al Sannio e sottomise anche la Lucania.
Con maggiore sicurezza la "vitis hellenica" si affermò con l'arrivo dei Romani; infatti, Tito Livio, nel suo "Ab urbe condita", scrivendo di "Taurasia", la descrive come "terra contornata da aree verdeggianti e da vigne opime"
Come abbiamo visto, la coltivazione della vite a Taurasi viene da molto lontano, ma i primi documenti ufficiali che parlano della vite e di vigne del nostro Comune sono alcune pergamene dell'Abbazia di Montevergine, risalenti al XII e XIII secolo d.C. Esse riportano atti di donazione, di vendita e di affitto; questi ultimi stipulati con diversi fittavoli e acquirenti di Taurasi e del circondario. Poiché varie sono le località citate nelle pergamene, si giunge alla conclusione che gli impianti di vigna erano diffusi su tutto il territorio.
Risale, però, al 1177 il primo documento ufficiale.


Aglianico

Abazia di Montevergine

Pergamena n.616 - anno 1177, (mese illeggibile). Ind. X
Taurasi
Dauferio, notaio di Taurasi
Cleopa, giudice
Pietro, f. del q. Ursone Barursi, e sua moglie Falegrima, abitanti in Taurasi, vendono a Leonardo "milite", f. del q. Radoaldo, una vigna, congiunta con un po' di "aspro", sita nel territorio e pertinenze di Taurasi (il luogo preciso è illeggibile), per il prezzo di 80 tarì salernitani (Cand. VIII, 32).
Pergamena n.658 - anno 1179, novembre. Ind. XIII
Taurasi
Dauferio, notaio
Pietro, giudice
Il presbitero Giovanni, f. del q. Roberto Salegrimo, abitante in Taurasi, fa testamento, lasciando al monastero di Montevergine una casa "solariata" che egli ha fuori le mura del castello di Taurasi, non molto lontano dalla porta Sant'Angelo, e un po' di vigna "in lloco ubi alexandrialli dicitur" (Cand. VIII, 43).

Pergamena n. 1012 - anno 1197 (1195), febbraio. Ind. XV
Taurasi
Dauferio, notaio
Giovanni di Mastr'Angelo, giudice
Giovanni de Dominico, f. del q. Domenico, abitante nel castello di Taurasi, dona al cenobio di M.V. una vigna nelle pertinenze di Taurasi, "in lloco ubi
puteus gayferii dicitur" (Cand. VIII, 46)

Pergamena n. 1039 - anno 1198, ottobre. Ind. II
Taurasi
Dauferio, notaio
... f. del q. Roberto de Ariano, abitante nel castello di Taurasi, procede ad una permuta col maestro Donato, dando un pezzo di terra, in territorio e pertinenza di Taurasi, "in lloco ubi alle casaline dicitur" e ricevendo un orto "in lloco ubi alle fontanelle dicitur", presso sua vigna (Cand. VIII, 26).

Pergamena n. 1118 - anno 1201, febbraio. Ind. IV
Taurasi
Dauferio, notaio
Matteo, giudice
Giovanni f. di Malgerio, abitante nel castello di Taurasi, vende a Giovanni di Montemarano una chiusa di vigna, in territorio di Taurasi, nel luogo detto "casadaltu", per un'oncia d'oro e 12 tarì di Salerno (Cand. VIII, 20).

Pergamena n. 1646 - anno 1229, maggio. Ind. II - Federico imper. a. 9. Taurasi.
Raffredo, giudice di Acquaputida e notaio di Taurasi.
Ruggiero, giudice di Taurasi.
Giovanni, ab. di M.V., per mezzo di fra Giovanni da Eboli ("de Ebulo"), fra Riccardo, vestarario di M.V., e fra Martino, concede a Barbato e ai suoi eredi una vigna in territorio e pertinenze di Taurasi, nel luogo detto fontanelle, con patto di corrispondere la metà ("integram medietatem") sia per la vigna che per gli altri frutti che vi sono dentro (Cand. VIII, 18).
Pergamena n. 1708 - anno 1231, novembre. Ind. V - Federico Imp. a. 11.
Taurasi
Roffredo, giudice di Acquaputida e notaio di Taurasi.
Roffredo, giudice
Giovanni, ab. di M.V., concede a Giovanni de Serino e ad Adenulfo, suo fratello, per 29 anni, un ortale in Taurasi, di proprietà del monastero di M.V., sito nel luogo detto "a lu puzu ad viam planam", con l'obbligo di piantarvi una vigna e degli olivi e altri alberi fruttiferi, e corrispondere ogni anno la quarta dei frutti e la decima dei seminati, contratto che viene stipulato davanti a don Giovanni da Eboli, preposito di M.V., e don Riccardo, vestarario di M.V. (Cand. VIII, 15).


Museo della civiltà contadina di Somma Vesuviana - Trasporto del vino -

Nella prima metà del 1500 Santo Lancerio, bottigliere del papa Paolo III Farnese, il più enofilo della storia dei successori di Pietro, scrisse la prima grande opera sulla varietà dei vini italici e sul potere terapeutico di essi. Da tale opera apprendiamo che S.S. degustava un vino specifico a seconda delle stagioni, delle differenti occasioni e delle varie malattie e che considerava il "Taurasi", per la sua digeribilità, "bevanda delli vecchi".
Sul finire del secolo XVI Eleonora d'Este, figlia di Alfonso d'Este, duca di Ferrara, va sposa a Carlo Gesualdo, principe di Taurasi-Gesualdo, che porta in dono alla corte di Ferrara alcuni fusti o botti di vino Aglianico. La bontà del dono fa sì che ogni anno per le occasioni più importanti "anfore" di terracotta, contenenti vino invecchiato, raggiungano Casa d'Este.


Stemma di Carlo Gesualdo (a sinistra) e della moglie Eleonora D'Este (a destra), posto sull'ingresso principale del palazzo Baronale.


Comune Taurasi
Luogo Case D'Alto
Foglio 12
Particella 4
Proprietario Di Iorio Sabato
Vitigno Siriga
Età presunta 250 anni
Lunghezza massima di una delle 5 tesole 8,30m., con 22 candelabri

Una documentazione, decisamente più consistente, ha inizio nel secolo XVIII, con il censimento di Carlo III in Taurasi, come si rileva nel testo "Taurasi" di A. Ferri.
Considerazioni sui censimenti di Carlo III in Taurasi (1750)
"ovunque però questi alberi erano frammisti ad olmi intorno ai quali si avvolgevano in quel tempo rigogliosi vigneti, che non venivano ne potati ne irrorati". Difatti, allora i vigneti davano spontaneamente un prodotto abbondante tanto da ricavare da essi ben 10.000 quintali di vino che veniva in massima parte esportata per la sua ottima qualità.
La conferma che a Taurasi, tra la fine dell'XVIII e l'inizio del XIX secolo, c'era un'abbondante produzione di vino e che esso era la maggior fonte di guadagno per la gente del luogo ci viene dalla relazione del 9 marzo 1816 sottoscritta dal signor Vinaccia, in qualità di controllore dei catasti e dal sindaco Scipione d'Indico.

Tratto dal processo verbale per la divisione del territorio del
Comune di Taurasi
"Taurasi dista per circa miglia 12 di S. Angelo Lombardi; miglia 12 di Ariano, miglia 12 d'Avellino e 40 di Napoli. Ha la strada rotabile, che si dirama da quella Regia non lungi dal ponte Calore. La medesima reca molto vantaggio alla popolazione per lo smaltimento del vino, che forma la rendita massimale del paese".


Brocca per vino


Trapano a mano per praticare fori sulla botte

Successivamente, però, si registra una "decadenza del merito e del valore" di tale prodotto, non perché scade in qualità, ma a causa delle continue manipolazioni di sensali senza scrupolo, come si legge nella relazione del Dott. Luigi Uberti al Sig. Intendente del Principato Ultra, (1827).
Le condizioni dell'Agricoltura Taurasina
"Resterebbe a parlare del vino, unico e prezioso frutto dei nostri terreni, infelice e decadente del suo merito e del valore per opera di certi sfacciati, ed insolenti, bricconi, i quali sotto il nome di sedicenti sensali ne dispongono a lor talento, angariando compratori e venditori in mille ed una maniera, ma di questo per noi Taurasini prezioso ed interessante prodotto dei nostri terreni mi riservo darne parola dopo la vendemmia".
Dopo soli cinque anni, lo stesso Dott. L. Uberti trova pregevole la qualità del prodotto come sostiene in una successiva relazione allo stesso Intendente del Principato Ultra (1832).
Relazione (dall'originale) del Dott. Luigi Uberti al
Sig. Intendente del Principato Ultra
"I vini di Taurasi sono i migliori, hanno molto alcool in sé".
Insieme alla qualità si registra anche un incremento nella produzione, se si considera che in una sola famiglia le botti utilizzate contengono una quantità di circa 2040 barili.
Se un barile corrisponde a 33,3 litri, la quantità nelle botti è di 680 quintali. Questo è quanto risulta da un Istrumento di Divisione del 14 agosto 1854 tra D. Ciriaco de Angelis e suo fratello D. Marciano de Angelis fu D. Raimondo, redatto dal Notaio D. Gioacchino de Angelis.

Riprendendo il discorso sul merito e sulla qualità del prodotto, al di là degli apprezzamenti dei Taurasini, rimane significativo il saggio condotto dal prof. Carlucci, nel 1887, per la Scuola enologica di Avellino.
"Con l'uva Aglianico ben matura, con il 22% di glucosio, fu fatto nel 1887 il seguente saggio, avendosi avuto cura di eseguire il diraspamento e di non prolungare il contatto con le vinacce: esso riuscì pregevolissimo.
Dopo 3 anni di conservazione, fu chiarificato e messo in bottiglia il vino ottenuto.
Dopo un anno circa di conservazione in vetro, si osservò che si era spogliato di una parte del suo colore, e prese la tinta rosso-rubino, con gli orli gialli e sviluppo delicato di un profumo ben sensibile.
Il gusto, pur conservando una leggerissima astringenza, divenne rotondo, morbido, gradevole. In una parola il vino era certamente fine e con molta analogia con i buonissimi vini vecchi del Novarese, con la differenza di una minore ruvidezza.
Un secondo saggio fu fatto nella vendemmia del 1891. Si prepararono 60 ettolitri di vino speciale con uve ben mature di Aglianico.
Di questo vino una parte fu venduta in botte al secondo ed al terzo anno, altra parte invece fu conservata per tre anni in botti e, dopo chiarificato due volte, fu imbottigliato in primavera ed in autunno del 1894. Si misero da parte 4000 bottiglie. Quantunque il vino non sia rimasto lungo tempo in bottiglia, oggi ha acquistato un profumo spiccato e gradevole, tinta rosso-rubino con orlo giallo ambra ed è già un eccellente prodotto commerciale. Tra un anno esso sarà certamente un vino anche di maggior pregio.
Dagli studi numerosi sin qui fatti si possono trovare le seguenti conclusioni pratiche: che l'Aglianico, coltivato in terreni argillosi, meglio argillosi-calcarei, dà prodotti che possono acquistare caratteri diversi
secondo la tecnica di preparazione e il grado di invecchiamento. Esso si presta a dar cioè, da solo o misto ad altre uve rosse, del vino da taglio o da mezzo taglio, eccellente mezzamente alcolico (13° - 14°), fresco, sapido con colore rosso carico, vivo, stabilissimo, con schiuma rossa.
Il Carlucci anticipa di circa un secolo il disciplinare del vino D.O.C.G.

Processo di invecchiamento del Taurasi messo in atto dal Prof. Carlucci negli anni 1887 e 1891.
- Le uve aglianico ben mature con il 22% di glucosio.
- Invecchiamento di tre anni in botte.
- Dopo un anno di conservazione in bottiglia, il vino si presentava di colore rosso rubino, con gli orli gialli e sviluppo delicato di un profumo ben sensibile. Il gusto, pur conservando una leggerissima astringenza, divenne roton-do, morbido e gradevole.

Disciplinare di produzione del vino D.O.C.G. "Taurasi" (1993)
- Le uve aglianico, destinate alle vinificazioni, devono assicurare al vino "Taurasi" un titolo alcometrico volumico minimo naturale del 11,50° e alla tipologia "riserva" un titolo alcometrico volumico minimo naturale del 12° (20% di glucosio).
- Il vino a denominazione di origine controllata e garantita "Taurasi" deve essere sottoposta ad un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno tre anni, di cui almeno uno in botti di legno.
- I vino D.O.C.G. Taurasi all'atto dell'im-missione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche: colore rubino intenso, tendente al granado fino ad acquistare riflessi arancione con l'invec-chiamento; odore: caratteristico etero, gradevole più o meno intenso; sapore: asciutto, pieno, aromatico, equili-brato con retrogusto delicato.




La botte, così come la conosciamo, fu inventata dai Celti nel III secolo d.C.
Negli ultimi duemila anni l'arte del bottaio è rimasta praticamente immutata.
Fra i reperti archeologici della cultura di La Tène, in Svizzera, (V secolo a. C.) vi sono degli attrezzi di ferro per lavorare il legno che non sarebbero fuori luogo nella bottega di un bottaio dei giorni nostri.


"Verso sera il carro veniva riportato alla fattoria e l'uva trasferita dalle tine ai tinozzi di cantina dove veniva pigiato con i piedi". - Riproduzione di Guarente Cristina

Parimenti le tecniche del Carlucci per combattere la perenospera e lo oidio messe a punto nel 1983 risultano efficaci e praticate ancora dai contadini nel 2001.

Significativi sono gli apprezzamenti di tale prodotto da parte di A. M. Iannacchini nell'opera scritta nel 1891 "Topografia della Storia dell'Irpinia" Vol.III:
"Era già conosciuto......fin dai tempi remoti ha goduto bella fama, come…., il Taurasino….. I nostri vini fanno concorrenza ai migliori d'Italia...".
E di G. Strafforelli nel 1898 in "La patria - Geografica dell'Italia":
Vino Taurasino
"Nelle buone annate il vino è assai copioso e molto se ne esporta nelle province limitrofe, in quella di Foggia principalmente coi nomi di vino Tauraso ed altri. Il migliore se ne raccoglie nei comuni di Taurasi ….".
Interessante è, peraltro, l'episodio riportato dal Dott. Gramignano nella rivista "Economia Irpina" 1965 relativo all'incontro tra il Carducci ed un suo allievo, il prof. Picciòla preside del Liceo Classico di Ancona, oriundo della Campania, di fronte ad una bottiglia di autentico "Taurasi".
Ero studente di quinta ginnasiale, in un periodo in cui tutti i giovani erano impastati, conquisi, serrati, dalla poesia Carducciana. Il mio Preside era il Professore Picciòla, egregio studioso, se non letterato, molto conosciuto. Egli era, però, uno degli allievi preferiti da Carducci. Il Picciòla ci largiva spesso, con la vivissima nostra soddisfazione, delle letture Carducciane. Ebbene ho vivissimo nella memoria (ed è rimasta sempre al suo posto) un episodio che ci raccontò il Picciòla. Questi era oriundo della Campania (non so di dove) e venuto in possesso di una bottiglia di autentico Taurasi (che lui definiva: "vino sopraffino"), in una delle molte visite che faceva, periodicamente, al Carducci a Bologna, ospite di questi, portò la bottiglia in dono al poeta.
E' noto che Carducci fosse un bevitore, ma era, soprattutto, un esperto di vini. Negli ultimi anni della sua vita Carducci fu colpito da paresi alle gambe; aveva le braccia in buon movimento, ma le mani, con le dita ingrossate nelle giunture, per l'invadente artrite, erano alquanto impedite. Ripeto l'episodio che segue quasi con le stesse parole del Pro-
fessore Picciòla, come mi sono rimaste fisse nella mente, per le tante volte che le ho ripetute col pensiero: "In fin di tavola offrii al poeta mezzo bicchiere di vino Taurasi, che scintillò rossissimo, nel vetro che lo conteneva. Il poeta aveva ancora degli occhi vivissimi, pieni di luce, su la testa leonina! Levò la mano tremante, alzando il bicchiere contro luce, e disse sorridendo: "Vedi com'è gaudioso?" "Un'aggettivazione -concludeva il Picciòla - così precisa e pittoresca, per un vino trionfante, non poteva trovarla che Carducci>>.


Una volta l'uva si trasportava così (Scultura di M. Perspicace)

Alla fine dell'800 si rileva un incremento nella produzione e nella commercializzazione del vino nella media valle del Calore, ed in particolare in Irpinia sia per l'apertura della linea ferroviaria Avellino - S. Venere, (Rocchetta S. Antonio), denominata successivamente "Strada del vino" per la sua funzione commerciale, sia per la richiesta di prodotti nelle aree dell'Italia settentrionale e in Francia. Quest'ultima, carente di vino a causa della Fillossera che aveva distrutto le sue vigne, si mostrò molto interessata al Taurasi per la sua intensa colorazione, la pienezza del gusto, la sapidità ed i profumi.Tuttavia ci sembra doveroso sottolineare che, nonostante l'incidenza positiva della Ferrovia Ofantina
sulla commercializzazione del prodotto, il Taurasi era già ampiamente conosciuto ed apprezzato per le sue ottime qualità, come innanzi documentato e come confermato nel numero unico della Ferrovia Ofantina del 27/10/1985, data di inaugurazione della suddetta ferrovia.

IL '900

L'inizio del secolo vede un intensificarsi dell'attività commerciale a Taurasi come si evince dalla documentazione delle famiglie Sacco, Silano e Tranfaglia.

FAMIGLIA SACCO


Bigliettino da visita: fine '800


Bigliettino da visita: inizio '900.


Cartolina postale anteriore al 1915.

La datazione dei suddetti documenti è stata dedotta dai dati anagrafici della famiglia e dall'intestazione di una lettera commerciale del Sig. Carlo Vedovelli, rappresentante della SOCIETA' PRODOTTI CHIMICI COLLA E CONCIMI di ROMA, alla famiglia Sacco, in data 24 agosto 1915.

Testimonianza di tale attività commerciale è la lettera, datata 09/02/1907, del Dottor Gennaro Cantisani al Sig. Sacco Rocco, riportata integralmente di seguito.




Altamente significativa è la "Bolla" di accompagnamento per fusti di vino che risale all'inizio del secolo, antecedente al 1913/1914, e che testimonia l'esportazione del "Taurasi" negli Stati Uniti d'America.


"ANTICO E PURO
Vino di Taurasi
Questo vino è l'originale e più antico vino di Taurasi.
Importato direttamente da Taurasi, Italia."

La datazione è stata ricavata dalla lettera del figlio di Rocco Sacco Francesco ad un importatore di vino americano, in data 9 agosto 1959.

L'attività commerciale della famiglia Sacco prosegue con i figli Gaetano e Francesco anche dopo la morte del Sig. Rocco, avvenuta il 31/01/1920, così come si deduce dal bigliettino da visita dei Fratelli Sacco


e dalla lettera dell'1/08/1949 inviata ai fratelli Sacco da Ettore Morera titolare della ditta "Produzione e commercio di vini" (Viterbo)



"Taurasi, lì 7/08/1949
Spett.le Ditta Ettore Moreno
I prezzi odierno dei vini rossi che si praticano alla proprietà in questa piazza sono:
£ 450 il grado per i vini non inferiori a gradi 10.50 %,
£ 500 il grado per i vini non inferiori a gradi 11,00 e
£ 550 per i vini non inferiori a gradi 12,00, però di vini a 12 gradi non abbondano come quelli a gradi 10 ½ ed 11, malgrado vi sia quantità limitata qualche po' di vino a gradi 12,70 % anche.
Inutile dirvi che le caratteristiche dei nostri vini sono le migliori sotto ogni aspetto, sia per la bontà che per selezione e colore. Per la quantità da voi indicata è facile accontentarvi.
Con la speranza di intavolare un primo affare, gradite nos. saluti sentiti.
F.sco Sacco"
Minuta di risposta dei fratelli Sacco a Ettore Morena

FAMIGLIA SILANO

La famiglia Silano, oltre a commerciare vino, ne era anche produttrice. Essa, infatti, era proprietaria di una vasta estensione di terreno "avvignato" in c/da Piano d'Angelo in Taurasi. La sua attività commerciale era a livello nazionale ed internazionale. Chiara testimonianza di ciò è quanto si legge sull'etichetta (Filiale di Domodossola) e sulla targa intestata che riservava un determinato spazio al prodotto (vino) nel porto commerciale di Portici.

FAMIGLIA TRANFAGLIA

Circa l'attività commerciale di questa famiglia sono stati rinvenuti documenti in casa di Guerriero Ennio


Insegna degli anni '30 di una fiaschetteria sita in via Scarlati-Vomero (Napoli), gestita da Michele Tranfaglia.


Gran premio conferito a Tranfaglia Pasquale all'esposizione italiana dei vini di Torino nel 1911

Al di là della documentazione riportata, si registrano, negli anni 1915-1932, scritture private con commercianti di province limitrofe.

In questa viene annotata la spedizione di quintali 311,21 del Sig. Simoniello Raffaele, commerciante in S. Angelo all'Esca e Taurasi (il suo deposito era ubicato nell'attuale via G. Verdi) al Sig. Luigi Parrucchini di Milano

A conclusione di questo exceursus storico riportiamo un significativo episodio riferito dal Dott. Gramignano, nella Rivista "Economia Irpina" relativo al prof. Arturo Marescalchi.
Nel 1932 il prof. Arturo Marescalchi era Ministro dell'Agricoltura. Ritengo che mai tanto eccelso posto fu occupato da un uomo che possedeva una preparazione agricola eccezionale, forse il più completo enologo che abbia avuto l'Italia; ottimo e suadente oratore, dalla frase tornita, grammaticalmente perfetta, detta con voce centrale, robusta; e, quello che non guasta, aveva un personale alto, slanciato, con viso simpatico, incorniciato da una grande aureola di capelli bianchi ondulati.
Accettò l'invito mio, quale Direttore dell'allora Cattedra Ambulante dell'Agricoltura e del Colonnello Raffaele Carpentiere della Milizia Forestale, e venne in gita a visitare i lavori di rimboschimenti del Lago Laceno.
Pranzo all'aperto, innanzi alla suggestiva visione dell'anfiteatro dei meravigliosi boschi montani e della impareggiabile Conca. Io avevo procurato i vini: bottiglie di Taurasi e di Greco di Tufo.
Alla fine del pranzo Marescalchi, parlò da par suo! Purtroppo allora non esistevano i registratori. Né alcuno aveva pensato di far intervenire uno stenografo. Fu un discorso da esempio oratorio e letterario.
Me ne è rimasto un grandissimo e nettissimo ricordo, insieme a poche frasi precise. Soprattutto questa che, ora, calza a proposito: <<mettendo da parte la mia modestia, ma sotto l'usbergo del mio rasposo carattere Piemontese, devo asserire che di vini me ne intendo, e domandando scusa ai miei Barbera e Barolo, devo dire che il Taurasi è il loro fratello maggiore!>>.
Negli anni '30, come già un secolo prima, i commercianti provocano un declassamento del vino "Taurasi", che già si fregiava della dicitura "extra", come è possibile rilevare in alcuni articoli del "Corriere dell'Irpinia" del geom. Camuso.

Quanto riferito nei suddetti articoli giustifica il D.M. del 15/10/1941, "….. che determina i vini che debbano essere considerati di produzione pregiata ai soli fini della disciplina dei prezzi e determina i prezzi stessi", in base al quale il "Taurasi", pur figurando tra i vini pregiati, si colloca solo nella terza categoria.

Tabella annessa al D.M. del 15/10/1941, che determinava i vini rossi che dovevano essere considerati pregiati ai fini della disciplina dei prezzi. Carta dei vini D.O.C.eD.O.C.G.del 1995
Categoria extra
Barolo D.O.C.G.
Barbaresco D.O.C.G.
S. Maddalena -----------
I categoria
Gattinara D.O.C.G.
Carena D.O.C.
Grignolino D.O.C.
Valtellina Superiore D.O.C.
Pollino D.O.C.
S. Giustina -----------
Cabernet delle Venezie -----------
Chianti classico D.O.C.G.
Brunello di Montalcino D.O.C.G.
Vin nobile di Montepulciano D.O.C.G.
II categoria
Barbera piemontese D.O.C.
Nebiolo D.O.C.
Fraiese D.O.C.
Bonarda D.O.C.
Valpolicella D.O.C.
Valpantena D.O.C.
Bardolino ----------
Castelli Romani D.O.C.
Chianti D.O.C.
Falerno D.O.C.
Faro rosso D.O.C.
Etna rosso D.O.C.
Eloro rosso D.O.C.
III categoria
Dolcetto piemontese D.O.C.
Colli d'oltre Po Pavese -----------
Toroldevo di Mezzolombardo -----------
Maranese di collina -----------
Colli Veronesi altre zone ----------
Marzenino delle Venezie ----------
Montecarlo rosso ---------
Lambrusco di Sorbara D.O.C.
Cesanese di Piglio D.O.C.
Montepulciano d'Abruzzo D.O.C.
TAURASI D.O.C.G.
Vesuvio rosso D.O.C.
Capri rosso D.O.C.
Ischia D.O.C.
Castel del Monte D.O.C.

Legenda
D.O.C.G.: denominazione di origine controllata e garantita.
D.O.C. : denominazione di origine controllata.
---------: non rientrano nelle prime due categorie.


LA MADONNA DELL'UVA (Quadro di P. Mignardi)

Altri articoli di giornali che parlano della festa dell'uva, di un corso di viticoltura e del "Taurasi".

Tabella della variazione di prezzo (in £) al quintale dell'uva e del vino dal 1925 al 1950.
Tali dati sono stati tratti da registri di alcuni commercianti e dai brogliacci della famiglia di Palermo Marciano.

Anno # Uva # Vino
1925 # 84 - 90 # ?-?
1927 # 100 - 104 # 155 - 180
1928 # 100 - 103 # ?-?
1932 # ?-? # 50 - 53
1934 # ?-? # 104
1937 # ?-? # 65
1938 # 51 - 63 # ?-?
1939 # 41 - 55 # 110
1941 # ?-? # 240* - 323**
1947 # ?-? # 7800
1948 # ?-? # 7000
1949 # ?-? # 5500 - 6600
1950 # ?-? # 5150

* Prezzo calmierato con D.L. del 15/10/1941.
** Prezzo praticato in data antecedente al Decreto.

LE CANTINE DI TAURASI

Già nell'alto Medioevo il centro storico di Taurasi comincia ad assumere una strutturazione urbanistica ben precisa che equivale presso a poco all'attuale.
Ancora oggi le abitazioni del centro storico conservano la cantina nella forma originale, per la cui costruzione si rimanda allo studio dell'architetto Iannuzzi Gaetano, come riportato di seguito:
"La cantina taurasina nasce con l'abitazione. La natura del sottosuolo consentiva di edificare direttamente sulla roccia senza necessità di fondazioni, essendo essa affiorante in molti punti del promontorio. Eliminato il cappellaccio superficiale, la natura particolare degli strati rocciosi consentiva di asportare il materiale lapideo per poi utilizzarlo per le strutture in elevazione. Gli strati di roccia calcarea corrono con andamento inclinato compreso tra i 30° e i 45° circa in direzione sud-est nord-ovest. Frequentemente si riscontra la presenza di materiale incoerente tra uno strato e l'altro di roccia. Da ricerche effettuate e da semplici deduzioni ci è possibile stabilire quale fosse il metodo costruttivo in uso per la realizzazione delle cantine nella roccia nel C.A. Prima fase era quella dell'asportazione del materiale incoerente in modo da creare un vuoto tra uno strato e l'altro di roccia favorendo un indebolimento della base rocciosa e la conseguente rottura della stessa con successiva asportazione del materiale cavato. L'invaso roccioso veniva coperto utilizzando due tipologie costruttive: una che impiegava la volta a botte, l'altra utilizzando il sistema con volta a crociera. La prima tipologia veniva usata là dove le pareti rocciose si presentavano uniformi e pressoché regolari. Mentre la seconda tipologia richiedeva la creazione di pilastri in muratura per sopperire all'irregolarità e talvolta mancanza di spalle rocciose in determinati punti. L'accesso mediante botole era favorito da scale ricavate nella roccia stessa o talvolta poggianti su volte in muratura, una piccola apertura consente l'aerazione o dal lato strada o dalla parte della strettoia (sentina)".
L'esigenza di una cantina al passo con i tempi moderni indusse il Consorzio per la viticoltura di Avellino nel 1932 a comprare in Taurasi un terreno dell'estensione di 8000 m2, come si legge nella voce N.66 del 19-03-1947. La costruzione di un enopolio aveva lo scopo di valorizzare il prodotto e di apportare beneficio all'economia locale.Tale iniziativa, però, restò imbrigliata nelle maglie della burocrazia. Ciò nonostante, la speranza restò viva nei Taurasini; infatti, nel 1934 il Corriere dell'Irpinia, su sollecitazione dell'allora podestà, scrisse della costruzione di un laboratorio per la produzione del vino tipico locale.
Tale progetto fu ripreso dal dottor Gramignani dell'Ispettorato Agrario di Avellino nel 1947, ma fu bocciato dalla Consulta. Il motivo della bocciatura è spiegato dall'articolo di giornale riportato a fine capitolo.
Bisognerà aspettare il 1959 per assistere alla nascita della prima cantina sociale, di cui si allega fotocopia della bolletta "provvisoria" n. 1

La prima cantina aveva una capacità di circa 7.000 ettolitri e attrezzature moderne: una pigiatrice, una diraspatrice della capacità lavorativa di 160 q. all'ora, un locale per l'invecchiamento per oltre 500 quintali di vino, due torchi idraulici, sistemi di motopompe per travasi, un'imbottigliatrice automatica, un laboratorio, ecc…, organizzati secondo un criterio di completa razionalità e funzionalità per quell'epoca.
Tale Cantina Sociale sorse in un momento molto importante per l'ampliamento della viticoltura nella provincia di Avellino, soprattutto in considerazione del fatto che in quel periodo, in provincia, vi erano solo due vere e proprie cantine: quella dell'Istituto Tecnico Agrario specializzato in viticoltura ed enologia e l'Azienda Di Marzio di Tufo.



Cantina caratteristica dell'Alto Medioevo con volta a botte su parete rocciosa.

L'attività della Cantina Sociale mirava soprattutto a dare ai produttori nuovi indirizzi colturali e ad abituarli ad una produzione collettiva, sconosciuta fino a quel momento, che garantisse la qualità costante del vino "TAURASI" e la sua genuinità ad un prezzo concorrenziale. Purtroppo fu chiusa dopo pochi anni perché, nonostante gli sforzi fatti, i produttori locali rimasero legati alla produzione familiare e non acquisirono lo spirito cooperativistico alla base di tale iniziativa.
Al suo posto dal 1990 esiste un parco giochi.


Ex cantina sociale su viale F. Tedesco, già via Mirabella, esterno.

Nel 1972 è stata aperta una seconda Cantina Sociale che si trova a circa due chilometri dal paese. Essa è formata da due caseggiati: uno per l'Enopolio e uno più piccolo per gli uffici.
L'enopolio è dotato di attrezzature moderne: il bilico per pesare l'uva, due pigiatrici, una per le uve bianche e una per le uve nere, una diraspatrice e la catena volante per il trasporto del mosto nello stabilimento. Nell'Enopolio vi sono, poi, 79 vasche in cemento, a due livelli, per una capacità complessiva di 20.000 q., alcune usate per la fermentazione ed altre per la conservazione del vino.
Le vasche adibite alla fermentazione possono essere usate anche per la conservazione del vino. Vi sono quattro torchi a vite senza fine e un laboratorio chimico. Nel sotterraneo vi sono 36 botti di rovere (da hl. 20, hl.40 e hl.80) per l'invecchiamento del vino D.O.C., per una capacità di 2080 quintali. Vi sono inoltre silos per la refrigerazione, la sterilizzazione e la pastorizzazione del vino ed infine


Ex cantina sociale su viale F. Tedesco, già via Mirabella, interno.

una catena di imbottigliamento. L'ultima annata di lavorazione dell'Enopolio è stata quella del 1979. La cantina sociale è stata chiusa nel 1980 per motivi simili a quelli che causarono la chiusura della prima: scarso senso della cooperazione, poco spirito di sacrificio dei soci, oneri troppo alti per la conduzione di una cooperativa relativamente giovane.
Attualmente, già dal 1996, è gestita da una cooperativa con 152 iscritti.




I "VINARELLI" DI CAGGIANO

Gaetano Marciano Caggiano nacque a Taurasi il 2/06/1921. Già nella prima giovinezza si distingueva tra i coetanei per bontà e dedizione agli studi e amore verso la famiglia. Giovanissimo iniziò la carriera di maestro nella Scuola Elementare. Dal 1948 prestò servizio ininterrottamente nella Scuola di Taurasi per 20 anni. Nell'anno scolastico 1968/69 si trasferì a Napoli dove restò in servizio fino al 1974 anno della sua morte.
All'attività di maestro aggiunse, in Taurasi, quella di dirigente del Centro di lettura dal 1957 al 1965; fu anche presidente dell'Azione Cattolica e amministratore comunale, ricoprendo la carica di Vice-Sindaco e distinguendosi quale sostenitore ed innovatore delle tradizioni locali.
Nel 1970 fu coadiuvatore-organizzatore del Congresso Nazionale per la Lotta contro la Distrofia Muscolare.
Ideò, organizzò e sostenne la mostra di pittura estemporanea "Taurasi terra del vino", la mostra di pittura estemporanea di "Paternopoli" e la mostra di pittura internazionale di "Sant'Agnello" (Sorrento).
Gaetano Caggiano, amato e rispettato da tutti quelli che ebbero fortuna di conoscerlo in vita, per la sua bontà, l'assiduo impegno in tutti i campi sociali, la scrupolosità professionale, la competenza e l'entusiasmo nella sua opera di educatore e di artista, raggiunse la notorietà nazionale grazie alle sue doti pittoriche. Chiara testimonianza di questo sono i vari premi vinti, tra i tanti ricordiamo la medaglia d'oro vinta nel 1974 alla collettiva di pittura sul tema "Scuola mia" allestita presso il Provveditorato agli Studi di Napoli e il Circolo Artistico in via Passina a Napoli, a lui intitolato. La sua pittura riscosse successo per la naturalezza dei soggetti e per la sua morbidezza. Una novità assoluta per l'arte di Caggiano è rappresentata dai "vinarelli", cioè dalle numerose opere dipinte con il solo vino di Taurasi, già noto per la sua bontà, ma che l'artista rese due volte famoso con le sue opere. La tecnica dei vinarelli è decisamente nuova ed originale, infatti, essi sono cosi chiamati perchè eseguiti con solo vino e opportuni fissanti. Essi sono il risultato di anni di prova e di esperienze. Il Caggiano è l'unico a cimentarsi in questa tecnica e bisogna riconoscere con risultati molto lusinghieri. Le composizioni presentano varie intensità, diverse intonazioni. La raffigurazione di un tema è basato sull'uso razionale di un certo tipo di vino caratte-
rizzato dall'annata, dalla gradazione e dai vari componenti. Macchie dense, approfondite, lievi e sfumate a seconda della raffigurazione risaltano su una matrice viola in tutte le sue gamme, ottenute dal bagno finale cui vengono sottoposte. In alcune si osservano rigagnoli violacei che con le loro volute danno quasi vita a personaggi, campagne ed aspetti vari della natura. Sono vinarelli che "danno alla testa" perchè incidono profondamente nell'animo dell'osservatore con la loro armonia e si distinguono per il loro effetto decorativo. I fissativi aggiunti danno corpo e resistenza all'opera che, col tempo, acquista tinte morbide e vellutate. Insomma è proprio un genere nuovo e genuino, come deve essere obbligatoriamente il vino adoperato dal pittore.


LA NATIVITÀ (Vinarello di G. Caggiano)

HANNO DETTO DEL TAURASI

BIASIOL (1970): "Vino borbonico... dal sapore pieno e completo, di grande carattere".
HUGH JOHNSON (1971): "Thè strog dark monarch of the Aglianico Family".
DESANA (1972): "Questo vino vanta oggi un'invidiabile pubblicistica, perché è stato oggetto di un'approfondita ricerca da parte di numerosi esperti del settore ... è indubbio che il vino Taurasi può figurare alla pari con i vini di gran fama".
VERONELLI (1974): "All'assaggio mi esalto; per il colore rosso rubino cui l'età ha dato vivida unghia ambrata; per il profumo caldo in cui si sottolinea la marasca e la viola e lieve sentore di spezie; per il sapore pieno, completo, autoritario; per il nerbo fitto e saldo; per la stoffa piena ed elegante".
DALLAS (1974): "Accetta 10 anni in bottiglia con facilità e con ottimi risultati. Un vino degno di essere ricercato".
F. CAMPANELLO (1976): "Ogni bottiglia è un francobollo raro, il cui valore può salire alle stelle".
F. CAMPANELLO: ("LA BUONA ITALIA", RIZZOLI, MILANO 1977) "... Il Taurasi, altro vino "celeste", ma rosso…... . Sembra di bere il più elegante dei vini piemontesi con una delicatezza di sapore e di profumo sicuramente rari tra i vini del meridione.
RAVEGNANI (1980): "Ha una straordinaria caratteristica: quella della longevità. Infatti, può invecchiare anche 20 o 30 anni in continua ascesa... ".
MACHAMER(1980): "E' ricco e possiede un aroma che rammenta le marasche; invecchia straordinariamente bene".
FINKEL (1981): "Superbo vino che migliora profondamente con un prolungato invecchiamento... . Vino scioccante.... sembra vi sia qualcosa in questo vino, per ora ignorato, che più l'invecchiamento è lungo più abbia bisogno di respirare, raggiungendo il meglio dopo diverse ore".
GERS (1981): "Ha la sottigliezza e la delicatezza di un Margaux e l'eleganza di un Brunelle... E' meraviglioso, oltre ogni elogio".
FINKEL (1982): "II Taurasi del 1968 è un gigante: dopo 14 anni di invecchiamento è ancora un adolescente..... Deve essere nato in una straordinaria estate".
PRESTISIMONE: (GIORNALISTA-SPORTSUD 14-9-1982) "II calcio, da queste nostre parti (AVELLINO) rappresenta un'orgogliosa alzata di testa,…… visto che non abbiamo coscienza nemmeno di un vino, il Taurasi, campione del mondo a New York sei mesi fa".
WOSCHEK (1983): "…. aroma che rammenta le ciliegie visciole e le violette e un gusto pieno, forte e armoniosamente asciutto, che lascia in bocca alla fine un aroma di bacche di bosco.... si può tranquillamente accomunare ai grandi Burgunder e bordeaux".
MISTRETTA (1984): "Una delle perle più smaglianti della nostra enologia.... E' tra i vini più longevi d'Europa".
SUCKLLNG (l984): "Vino vigoroso, vellutato, speziato, di violette... incluso nella pockef guida to the greatest wine lists in America"
TAYLOR (1984): "Al pari di tutti i grandi vini, più si odora più si è entusiasti. L'aroma evidenzia nettamente quello delle marasche; .... il sapore persistente si dissolve in un grande profumo di tabacco che permane per diversi minuti. Un vino impeccabile....".
HAZAN (l984): "Italien Wines". "Se il Taurasi fosse prodotto a 40 miglia dalle Alpi, anziché a 40 miglia dal Vesuvio, verrebbe riconosciuto universalmente come uno dei cinque o sei più prestigiosi vini italiani".
VERONELLI (1998): (Sapori di Fattoria, Pag.1, Internet) "II Taurasi mi appassiona molto".

PROVERBI TAURASINI

Rinde a la 'otta piccola ce stace lo vino 'bbuono
LE PICCOLE COSE SPESSO VALGONO DI PIÙ

Taurase, ogne veppeta 'nu vaso
PER INDICARE LA BONTÀ DEL VINO DI TAURASI

Chi vace a la cantina e nun bbeve è 'cchiu fesso re chi lo crere
CHI VA IN CANTINA VA PER BERE

Lo vino 'bbuono se venne senza frasca
QUANDO UNA MERCE È BUONA NON HA BISOGNO DI ESSERE RECLAMIZZATA ED ESPOSTA

La carne fa carne, lo vino fa sanghe e la fatia face iettà lo sanghe
ALIMENTAZIONE SANA E LAVORO MODERATO

Catarro: vino co 'lo carro
QUANDO SI È RAFFREDDATI È CONSIGLIABILE BERE MOLTO

A san martino accire lo purco e 'ngigne lo vino
A NOVEMBRE VINO NUOVO E CREDENZA PIENA

Chi zappa veve acqua e chi puta veve vino
NON SEMPRE SI RICEVE SECONDO I PROPRI MERITI

IL "TAURASI" IN PROSA

"A Taurasi"
Che brava gente tene 'stu paese:
bbona, gentile, affabile, curtese.
Se sente assieme all'aria 'mbarazzata
'na voce amica quase 'nnammurata.
Cca' tutto è bello, tutto è cchino 'e luce
tutto è 'nu quadro; è 'na canzone doce
ca trase dint' 'o core 'e chi ce vene
e 'o vino mette 'o ffuoco dint' 'e vvene.
'O verde, 'o sole e tanta brava gente
simpatica, ospitale ed accogliente,
me fanno di c' 'o core ca a Taurase
i' mme' mangiasse tutte quante 'e vase
Giuseppe Del Vecchio

"L'enopolio"
Esulta
di opimi tralci
coronato
il vecchio Bacco
nella nuova casa:
il celebre enopolio
della storica Taurasi
che dal terreno aprico
e fermeginoso
vino stilla purissimo
e gioioso
che il Taurasi dona
e beve
sente un'estasi
che aleggia dal sottile
tepore
di orabica sera.
Pasquale Martiniello

"TAURASI TERRA DEL VINO"
Sulle rive del nostro bel Calore
si stilla un balsamo, dolce liquore
chi l'assaggia grida: Evviva, Osanna!
Ecco dell'anima una dolce manna!
Bevetelo a grandi sorsi, a profusione
vuotate pur bottiglie e bottiglione,
vi da allegria, vi fa obliare tutto
quello che c'è nel cuore di triste e brutto.
Vi dico che è un tesoro se è genuino
questo liquore dolce taurasino,
che medicamentoso, e sopraffino
e che d'Italia è il Re del vino.
E quando lievemente scende al cuore
levando e spazzando ogni dolore,
accende gli occhi e come caldo raggio
in ogni cuore fa sbocciar maggio
Michelangelo de Angelis


Media "Teobaldo Caggiano"
La Scuola, ricevuta in udienza dal Santo Padre, in occasione del Premio Nazionale della Bontà "Ignazio Salvo" attribuito all'alunna Luana Santosuosso offre con profonda riconoscenza il prodotto più nobile della sua terra.

RICONOSCIMENTI DEL "TAURASI"

1934 A. Jannaccone nel 1934 nella relazione "I vini dell'avellinese" - a fini dell'applicazione della legge sui vini tipici del 10/07/1930 - descrisse il Taurasi, il Fiano, il Greco e il Partendo.


1941 Il D.M. del 15/10/1941 - determinazione dei vini di produzione "pregiata" ai fini della disciplina dei prezzi - comprendeva tre vini irpini: il Taurasi, il Fiano e il Greco.


1970 IL D.P.R. del 26/03/1970 - con decorrenza 01/09/1970 - riconosce la denominazione di origine controllata - DOC - al "Taurasi" ed approva il relativo disciplinare di produzione.


1993 Il D.M. dell'11/03/1993 riconosce la denominazione di origine controllata e garantita - DOCG - al "Taurasi".

MICHELE CARLUCCI *

<<Il Prof. Michele Carlucci uno dei più grandi Maestri della Vitivinicultura Italiana e mondiale fu l'ampelografo che fornì la più precisa descrizione del vitigno "Aglianico". Egli nacque nella vicina Ruoti (PZ) 1'8 novembre 1856 e, dedicatesi agli studi agrari, si laureava giovanissimo in Scienze Agrarie a Portici nel 1878. Portato per gli studi egli scelse la carriera scientifica, iniziando con l'assistentato presso la Cattedra di Botanica e Patologia Vegetale di Portici, avendo per Maestro l'illustre scienziato Orazio Comes. Fu un inizio felicissimo che lo introdusse tra i maggiori scienziati interessati al campo agrario. E si distinse tanto, da essere prescelto tra i giovani studiosi per un viaggio di studio in Italia, a Conegliano, ed all'estero, in Germania, al fine di acquisire quelle notizie ed esperienze sugli ordinamenti delle Scuole Agrarie, in vista di far sorgere nel Mezzogiorno una Scuola di Viticoltura ed Enologia sull'esempio di quella di Conegliano Veneto. E difatti, nel 1880 tenne a battesimo l'istituzione della Scuola di Viticoltura e di Enologia di Avellino. [ …. ]
Per suo esclusivo merito la Scuola Enologica di Avellino raggiunse nella fama le altre di più antiche e rinomate tradizioni, contribuendo a creare una numerosa schiera di discepoli italiani e stranieri che hanno tenuto alto il nome della Scuola con il loro apporto scientifico e tecnico nel campo della viniviticoltura italiana e mondiale. Nel 1911, dopo più di 30 anni di direzione della Scuola_di Avellino, appunto per le benemerenze acquisite, egli fu chiamato ad altri più importanti compiti nazionali ed internazionali. L'allora Ministero dell'Agricoltura lo nominò Ispettore Generale della Viticoltura e delle Malattie delle Piante, carica importantissima per quei tempi, alla quale si aggiunse quella di Commissario per i Consorzi Antifìllosserici. Non espletò soltanto queste funzioni ma partecipò alla stipulazione di numerosi ed impegnativi Trattati Commerciali con altri Paesi, mettendosi in evidenza per le Sue particolari doti di competenza e di negoziatore, guadagnandosi la fiducia e la stima dei componenti le Commissioni Internazionali. Anche nel periodo bellico, quello della prima guerra mondiale, si rese grandemente utile alla Patria in armi, quale Alto Consulente del Ministero della Guerra per il rifornimento delle bevande vinose alle Truppe mobilitate. La sua preparazione scientifica, la sua vasta cultura furono gli elementi che gli propiziarono la dignità
dell'insegnamento universitario e nel 1926 gli fu affidato, a Portici, il corso di Enologia, che mantenne fino al 1929, anno in cui si ritirò a vita privata, per continuare a pubblicare memorie di carattere vitivinicolo.
La sua vita terminò nel 1951, alla veneranda età di 95 anni, e durante la sua lunga giornata di studioso pubblicò a centinaia, su riviste e giornali, scritti ammirevoli per la profondità degli argomenti trattati, a cui faceva riscontro la semplicità e la scorrevolezza dell'esposizione. [ …. ]
Di lui così scrisse il Dalmasso.

"Un saggio veramente prezioso della Sua vasta cultura e della sua scrupolosità di studioso Egli ce l'ha dato con la descrizione di vitigni della Campania da lui dettate per la grande Ampelographie di Viala e Vermorel. Per ogni vitigno il Carlucci ha composto una vera monografia completa, esauriente, definitiva, autentici modelli del genere per la frettolosa e superficiale generazione dei nostri tempi, e di cui quella sull'Aglianico rappresenta un'opera monumentale". [ …. ]

"Solo chi ebbe la ventura di conoscerlo e di praticarlo può sapere quali tesori di nobiltà e di bontà albergassero nella Sua anima luminosa; quali ricchezze racchiudesse dietro la semplicità dei Suoi modi e della Sua parola, la Sua mente elettissima". [ …. ] >>.

* Tratto dall'opera "Michele Carlucci - Maestro di Viticoltura e Enologia", a cura di DOMENICO MICHELE CARLUCCI, LUIGI CARLUCCI, GIACINTO DONNO, GERARDO SALINARDI. Ed. Parenti, Firenze, 1980.