SCUOLA MEDIA STATALE
"T. CAGGIANO"
TAURASI
ANNO SCOLASTICO 1999/2000 - CLASSE III A
LA VITE E IL VINO NEL TEMPO CON PARTICOLARE ATTENZIONE PER IL
TAURASI
(nota alla versione WEB: le immagini sono ridotte per necessità di velocità trasmissione e memoria)
COORDINATORI:
PROF.SSA CARMELINA IARROBINO
PROF. BALDINO PIZZANO
IMPAGINAZIONE:
PROF. BALDINO PIZZANO
PROF. ORAZIO MARANO
ANATRIELLO
Rocco
CASOLO Pasqualina
CASSANO Diego
COTUGNO Rita
D’ADDIECO Gaetano
DE PRISCO Mara
DE SIMONE Sonia
GAMBINO Mario
GUARENTE Cristina
PENTA Ida
PIZZANO Elena
PORCIELLO Francesco Antonio
TEDESCO Giuseppe
(nota alla versione WEB: Edizione web in HTML a cura di Stefano Casale)
PREFAZIONE
Da anni ormai si va affermando la consapevolezza che la scuola,
quale agenzia educativa, debba assumere un ruolo specifico nel
settore della cultura e della valorizzazione delle risorse
ambientali. Anche nella Scuola Media Statale "T. Caggiano"
di Taurasi è emersa e va crescendo nel tempo tale
consapevolezza, sostenuta dalla volontà di assumere
concretamente delle responsabilità educative. Di qui
l'iniziativa del presente testo. L'idea di realizzarlo è sorta
nelle ore di lezione in compresenza, allo scopo di lasciare una
traccia del lavoro svolto con gli allievi di terza media
nell'ambito dell'Offerta Formativa della scuola.
L'eterna domanda "se il vino faccia bene o male",
troppo scontata in un paese come Taurasi, terra del vino, ha
guidato sempre il nostro excursus storico-ambientale che non ha
eccessive pretese scientifiche. Tuttavia, se l'uomo di tutti i
tempi, considerato che il vino accompagna la storia umana dagli
albori della coltivazione, si è posto tale domanda, neppure oggi
è possibile dare ad essa risposta certa, ma il nostro lavoro di
ricerca ha consolidato il convincimento che il vino, se gustato
in giuste dosi, non nuoce.
Non a caso Pasquale Federico Prof. di Metodologia Clinica I
Facoltà di Medicina e Chirurgia - II Università di Napoli -
sosteneva che la stessa quantità può essere dannosa per un
soggetto e salubre per un altro, perché ognuno ha un suo
individuale bagaglio genetico.
"A dosi adeguate, egli diceva, stimola le proprietà
antiaterogene dell'organismo (sintesi dell'HDL-colesterolo,
diminuzione dell'aggregazione piastrinica, vasodilatazione), ha
effetto antidepressivo ed euforizzante (attraverso la sintesi
della serotonina e della dopamina), immunomodulante (sintesi di
ACTH e cortisolo) ed afrodisiaca (azione endocrino-metabolica e
vascolare).
A dosi maggiori, stimola i processi inversi per cui il risultato
ultimo è depressione, melanconia, stato confusionale e
degenerazione di vari organi e tessuti, tutti sintomi
caratteristici dell'etelismo".
Con l'invito proprio della Scuola Medica Salernitana "Vina
bibant homines, animantia cetera fontes" ripercorriamo la
storia vitivinicola di Taurasi.
TAURASI: Terra del vino: ieri, oggi e ….. domani.
In un contesto socio-culturale come quello odierno, così
complesso e diversificato e sempre più egemonizzato dal potere
dell'immagine e dall'apparire, un lavoro concreto di ricerca sul
territorio pone non pochi spunti di riflessione.
In primo luogo chiama il preadolescente ad essere egli stesso
"attore" delle sue conquiste culturali e del suo
interagire con la realtà circostante per capire il perché del
dipanarsi concreto della vita di un tempo e di quella di oggi.
In secondo luogo obbliga l'allievo a cercare risposte che, al di
là di ogni simulazione, lo coinvolgano operativamente per
accogliere il raggio riflesso del reale nella sua interezza, per
rappresentare e riprodurre concetti e realtà a lui vicine e
lontane e, soprattutto, per dominare e possedere "conoscenze"
e "competenze" acquisite dopo adeguata verifica
empirica, pertanto, certe e certificabili. In quest'ottica si è
mosso il prof, Baldino Pizzano, traducendo in realtà scientifica
quanto raccolto, analizzato e catalogato per elaborare un
percorso didattico proficuo, ben strutturato, perciò finalizzato
a restare nella mente del ragazzo come strategia di ricerca
scientifica capace di inverare, verificare e ricreare conquiste
conoscitive solide.
Complimenti, pertanto, vadano al docente che ha ideato e guidato
questo lavoro di ricerca, soprattutto, perché sotto la sua guida
i reali protagonisti hanno saputo cogliere il senso dell'attività
di studio legata alla scoperta di un mondo contadino che è stato
ed è ancora oggi reale ed affascinante allo stesso tempo.
Celebrare la vite ed il suo prodotto, il vino, è riscoprire lo
stesso mondo antico in cui fico, ulivo e vite erano sacri e
piantati nel Foro accanto alla stessa Via Sacra ove i loro
discendenti sono ancora oggi visibili, alle spalle della colonna
Foca, nei pressi del lapis niger.
Il Dirigente Scolastico
Prof. Angelo Di Talia
LA
VITE NELLA LEGGENDA E NELLA STORIA
***
La vite esisteva già nel giardino dell'Eden, se è vero che
Adamo, dopo il peccato, si rese conto della propria nudità e si
coprì con una foglia di tale pianta.
Da un'analisi di reperti fossili è emerso che la vite avrebbe
fatto la sua comparsa sulla Terra prima dell'uomo, nel periodo
Terziario, e sembra che sia stata la prima pianta coltivata e che
il suo frutto fosse gustato dall'uomo a volontà e non solo
quando il caso glielo mettesse a disposizione.
V. Hehn sostiene che la coltivazione della vite da vino abbia
avuto origine nella regione transcaucasica e che abbia trovato
diffusione attraverso quattro differenti itinerari: non solo per
mezzo degli scambi commerciali e delle migrazioni degli uomini,
ma anche con il contributo degli uccelli e di alcuni mammiferi.
Gli studiosi ritengono che la specie attuale si sia propagata in
Europa nell'ultimo periodo (120.000-100.000 anni fa) dalla
Colchide, regione situata a Sud-Est del mar Nero, sovrapponendosi
alle varietà di vitigni. Quindi non si sa con precisione quando
l'uomo conobbe la vite. Certo è che 3500 anni prima di Cristo la
vite era coltivata in Egitto, come testimoniano i calici con i
quali si offriva vino agli dei e un rilievo, scoperto a Tebe, in
cui sono raffigurati due schiavi che raccolgono grappoli d'uva
allo stesso modo dei viticoltori dei nostri giorni.
Il Cantico dei Cantici vanta il profumo delle vigne di Salomone e
lamenta le devastazioni ad opera delle volpi. Inoltre, la Bibbia
ci racconta che il patriarca Noè "che era agricoltore,
cominciò a lavorare la terra e piantò le vigne; e avendo bevuto
vino si inebriò e giacque scoperto nella sua tenda" (Genesi
cap. IX 20-21). La narrazione biblica fa riferimento all'Arca che
approdò in Turchia, sul monte Ararat, sulle cui pendici crescono
spontanee le viti.
Scena di vendemmia e di vinificazione (da una tomba della
necropoli di Tebe, sec XVI a. C.)
In Grecia
la vite si diffuse rapidamente tra il 1700 e il 1500 a.C.. In
Italia la vite è conosciuta da almeno 4000 anni. Nel V e IV
secolo a.C. l'agricoltura delle aree mediterranee registrò un
ulteriore progresso e maggiore diffusione (un ettaro di vigneto
italico riusciva a produrre anche 150 q. di uva); con
l'introduzione di nuovi metodi di coltura, divenne fiorente
soprattutto nell'Italia meridionale. L'importanza economica della
viticoltura nelle città della Magna Grecia è attestata dalla
raffigurazione del tralcio e del grappolo di vite sulle monete
dell'epoca; anche in un dramma di Neapolis, sul retro della testa
diademata di Partenope vi è un grappolo sul tralcio di vite.
Ai tempi di Roma, la vite e il vino erano diffusi ovunque;
l'Italia infatti si chiamava Enotria, cioè terra del vino. I
Romani impararono presto a selezionare alcune varietà pregiate
di viti, tra cui quelle che producevano il famoso Falerno. Un
periodo molto favorevole per la vite fu quello tra il XIII e il
XIV secolo, nell'epoca dei Comuni, quando i Signori curarono
l'incremento di una coltura molto redditizia. Un altro "magico
momento" per la coltivazione di questa pianta si ebbe con
l'introduzione in Europa, della vite americana che era immune
dagli attacchi della fillossera, insetto parassita che stava
infestando la vite europea. Oggi le varietà coltivate sono
migliaia. La maggior parte delle viti viene destinata alla
produzione di vini (bianchi, rosati e rossi) e di liquori (per
esempio il cognac e l'acquavite), ma si coltivano anche molte
varietà di viti per l'uva da tavola e l'uva da essiccare per
ottenere la cosiddetta uva passa (cioè appassita).
* Cfr. L. CRISPINO, Virtù Terapeutiche del Vino, ed. Centro di
Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli (SA), 1997.
**Cfr. G. BOREA, Il Vigneto Irpinia, Sellino & Barra, Pratola
Serra (AV), 1997.
Febbraio
Marzo
Aprile
Aprile
IL
VINO ATTRAVERSO I TEMPI * **
Il vino è presente nella vita dell'uomo da sempre e sempre è
stato adattato ai gusti dei mortali e degli dei. Era presente già
all'alba della storia; infatti le più antiche civiltà già lo
conoscevano e lo apprezzavano, ma chi l'abbia prodotto per primo
è un mistero mai emerso dalla notte dei tempi.
SUMERI
I primi popoli, però, che lasciarono dei reperti riguardanti il
vino furono i Sumeri, abitanti della Mesopotamia meridionale.
Nella vita sociale sumera il vino rivestiva un ruolo importante
ed aveva anche un intenso significato simbolico. Rendeva l'uomo
cosciente della sua mortalità e lo aiutava a superare ogni
dolore. Era considerato il consolatore dell'uomo ed il segno
dell'abbondanza e della prosperità, esso invitava a dimenticare
il male e a gioire di tutto ciò che era possibile. Già nel III
millennio a.C., come evidenzia l'epopea di Gilgamesh, il vino
prendeva quei caratteri che lo hanno accompagnato costantemente
attraverso il tempo. Insieme al pane e all'olio era considerato
uno degli alimenti basilari della tavola. Il fascino della
fermentazione era grande: era il segno che l'uomo sapeva
trasformare gli elementi offerti dall'ambiente. Per questo motivo
il vino era offerto agli dei nei banchetti votivi.
EGIZI
Gli antichi Egizi non furono i primi a coltivare la vite, ma
furono certamente i primi a descrivere e a celebrare con immagini
chiarissime i particolari della loro arte enologica. Chiara
testimonianza di questo sono le pitture murali delle tombe
dell'antica Tebe che illustrano la raccolta dell'uva, la
registrazione del raccolto, la pigiatura, l'atto dell'offerta del
mosto agli dei da parte del sacerdote, la chiusura delle anfore e
il trasporto del vino sul Nilo.
Ai tempi del nuovo regno, iniziato nel 1550 a.C., a cui risale la
famosa tomba di Tutankamon, le anfore del vino avevano etichette
precise quasi quanto quelle odierne. Erano specificati l'anno, il
vigneto, il proprietario e il capo cantiere.
In Egitto sia il vino che i vigneti erano dedicati alle divinità
e in particolare ad Osiride, dio della morte e della vite.
Il vino assunse una tale importanza in Egitto che la parola ERPI
(vino) veniva scritto in sei modi diversi a seconda della "denominazione
d'origine"
TRACI
Un altro popolo antico che considerò importante il vino fu
quello dei Traci che, però, non hanno lasciato tracce
sufficienti per la ricostruzione dei loro usi e costumi. Essi
abitavano i territori compresi tra il Danubio, il mar Egeo ed il
mar Nero; erano grandi amanti del vino che usavano bere senza
mescolarlo all'acqua in dei "corni" con i quali
brindavano alla fine di ogni banchetto. Anche il loro Dio più
famoso, il dio Eroe, era rappresentato con in mano una coppa in
cui, si pensa, ci fosse del vino. La viticoltura tracia era
localizzata nei Balcani; l'uva veniva pigiata in recipienti di
pietra ed il mosto veniva messo a fermentare in vasi di pietra o
di argilla. Dopo la fermentazione il vino veniva travasato in
otri di pelle di capra o in anfore di argilla.
GRECI
I Greci credevano che Dionisio, dio del vino, avesse origine
tracia. La civiltà greca fece del vino un elemento base
dell'alimentazione quotidiana per cui la vendemmia era
accompagnata da grossi festeggiamenti e la figura del dio
Dionisio diventò affascinante e misteriosa. Il vino costituiva
una merce importante per i Greci che lo esportavano nelle proprie
colonie, diffondendo nel contempo anche la loro filosofia del
vino, l'immagine che questo aveva assunto nella loro cultura e
tutte le usanze che lo vedevano protagonista.
Maggio
Maggio
Maggio
Giugno
VICINO
ORIENTE
Anche in Oriente la vite e il vino hanno avuto la loro importanza.
Infatti in Palestina
viene considerata una delle culle della viticoltura e
dell'enologia, si producevano vini forti e speziati, ma si
preferivano i vini vecchi e dolci. Il vino era ritenuto una
bevanda essenziale nella vita sociale e nelle cerimonie religiose
e gli si attribuivano proprietà medicinali; infatti, "i
saggi" affermavano che un vino molto vecchio recava
beneficio a tutto il corpo, soprattutto dopo i quaranta anni,
quando era meglio bere più vino e mangiare meno cibo.
VECCHIO TESTA MENTO
Anche il Vecchio Testamento fa delle affermazioni riguardanti il
vino, presentando la vite quale segno di saggezza, di prosperità
e di pace e sostenendo che il vino, il quale allieta il cuore
dell'uomo, è segno dello sguardo benevolo di Dio.
ROMANI
Un'altra civiltà che riservò un posto particolare alla vite e
al vino fu quella romana. L'Italia produceva uve molto pregiate
quali le Aniiae, le Apianae, le Euganiae e divenne un centro
importante per il commercio e la produzione del vino. Da qui la
produzione del vino si estese in tutto l'Impero romano. I Romani
effettuavano la vendemmia dal mese di agosto fino a novembre,
pigiavano le loro uve nel "calcatorium" e facevano
fermentare il mosto nei "dolia". Apprezzavano molto il
vino invecchiato; per cui, il loro vino più pregiato non veniva
mai bevuto prima di dieci anni di invecchiamento. In questa fase
i vini erano tenuti nel "fumarium", un locale che si
trovava nella parte alta della casa, dove giungevano i fumi
derivati dagli usi domestici, ma un altro modo di invecchiare il
vino era quello di una lunga esposizione al sole. I vini più
forti con gusto asprigno venivano corretti in vari modi, tra cui
l'annacquamento; per la diluizione veniva spesso usata la neve.
Prima di essere serviti a tavola, i vini venivano filtrati, cioè
venivano fatti passare nei "sacri vinai" che erano
delle sacche di lino intrise di oli aromatici. Per i Romani Bacco
era un eroe, un personaggio mitico protagonista di storie
favolose, ma non affascinante e misterioso come Dioniso per i
Greci, non era sentito cioè come un vero e proprio dio.
MEDIOEVO
Con la decadenza dell'Impero romano e l'arrivo di popolazioni
barbare la coltivazione della vite ebbe un grosso declino e fu
recuperata solo nel Medioevo,
Taurasi-Bassorilievo igneo avente ad oggetto Bacco contornato da
un tralcio di vite ricco di pampini e grappoli d'uva in omaggio
alla tradizione vinicola locale
periodo
in cui la diffusione dei vigneti era molto legata alla diffusione
del Cristianesimo. Infatti, i primi a riprendere il lavoro nelle
vigne furono i monaci, seguiti dai signori che nella produzione
di vino vedevano una buona fonte di guadagno, un segno di
prestigio e di agiatezza. Il vino ritornò sulle mense e il suo
consumo divenne di nuovo considerevole.
In questo periodo Bacco fu considerato ispiratore della mente e
del cuore e il vino fonte diretta di conoscenza e di ispirazione
artistica. Il verso del poeta, ad esempio, sarebbe risultato
migliore, se il vino che l'aveva ispirato fosse stato di ottima
qualità. Bacco, inoltre, leniva le pene e incoraggiava gli umori.
Nel Medioevo, però, non si sapeva conservare il vino e si beveva
quello dell'annata perdendo, così, il gusto per i vini rossi
invecchiati. Il vino, inoltre, non era sempre "purum et
gererosum" perché spesso veniva corretto con l'aggiunta di
miele, spezie ed erbe.
MONDO MODERNO
Tra il '500 e il '600 il vino fu ancora protagonista e fu
considerato come "oro da bere" come "liquore che
rallegra gli umori". In questo periodo il vino più famoso
era quello spagnolo giacchè proprio in Spagna aveva avuto inizio
la conservazione del vino in botti di legno, ma anche la Francia
avviava la produzione dello champagne. Con l'età moderna gli
interessi nei confronti del vino diventavano sempre maggiori
e anche il suo commercio diveniva più intenso. Gli Inglesi
iniziavano ad apprezzare il vino e, non essendo produttori, lo
importavano dalla Spagna, dalla Francia e dal Portogallo. In
questo periodo il vino fu al centro di indagini e discussioni da
parte di medici e filosofi. Si riteneva che il vino, preso con
moderazione, fosse utile nella cura di alcune malattie, che
rafforzasse lo stomaco, purificasse il sangue e aiutasse la
digestione. Il vino rappresentava la sola bevanda sana delle
classi popolari ed era fonte di grandiosa energia. Alla fine del
1700 si iniziò l'invecchiamento in bottiglia dei vini rossi. Fra
il 1850 e il 1870 l'oidio, la peronospera e la fillossera
infestarono le vigne europee e le distrussero. Per contrastare
queste malattie si ricorse a nuove tecniche d'innesto e a nuovi
mezzi chimici. Intanto, grazie all'iniziativa degli emigrati
europei, le viti e il vino si affermarono anche in nuovi paesi,
come negli Stati Uniti ed in particolare in California. Tra i XIX
ed il XX secolo l'enologia ha subito una profonda trasformazione,
grazie alle nuove scoperte scientifiche e alle nuove tecnologie.
Nuovi materiali, come l'acciaio inossidabile e l'alluminio, hanno
permesso nuove tecniche di produzione e di conservazione. Oggi il
vino è migliorato qualitativamente grazie alle nuove conoscenze,
ed è un elemento importante per l'economia.
* Cfr. J. HUGH, Il Vino (Storia Tradizione Cultura) Franco Muzzio
Ed., Borgo S. Dalmazzo (CN), 1994.
** Cfr. L. CRISPINO, op. cit.
"L'USO
TERAPEUTICO DEL VINO": DAL 4000 A.C. AD OGGI *
Il prodotto della "vitis
praevinifera" prima e, subito dopo, quello della "vitis vinifera linnaei"
presero a far parte vitale dei movimenti civili e religiosi per la forte
suggestione che esercitavano nel dissennare.
I Sumeri
(circa 4.000 a.c.) chiamavano il medico "azu", colui che preparava e
somministrava le porzioni, e con la parola "gestin" indicavano le bevande
alcooliche1. Nella medicina indù e in quella cinese il vino veniva usato come
medicamento, necessario a rinvigorire la salute ed a prolungare la vita. Dalla
Mesopotamia, dall'India e dalla Cina i rudimenti della medicina ben presto
arrivarono in Egitto; infatti, soggetti enologici figurano nelle tombe dei
Faraoni della XVIII dinastia periodo in cui venne introdotta l'offerta ai
defunti di piccoli vasi contenenti vini pregiati. Il papiro di Georg Ebers (Tebe
1550 a.c. Bibl. Univ. di Lipsia) è il più lungo dei papiri medici che tratta di
cure farmacologiche, nonché di incantesimi e formule magiche. Contiene circa
mille ricette in cui vengono adoperati il vino, la birra e l'uva (ad esempio,
per stimolare l'appetito: cuocere insieme carne, vino, birra dolce, fichi e
sedano, filtrare e bere per quattro giorni2). Il medico greco Asclepiade
affermava che il vino aveva una potenza quasi uguale a quella degli dei; egli ne
concedeva in abbondanza finanche ai frenetici perché ubriacandoli si conciliava
loro il sonno; concedeva il vino anche ai febbricitanti e in genere consigliava
vino diluito con acqua, spesso con acqua marina, sperando che "le punte dei sali
facessero più felicemente strada al vino per aprire i pori ostruiti". Nella cura
del catarro ne prescriveva dosi particolarmente generose e tale terapia si è
così tanto consolidata nella tradizione popolare che si ripete l'adagio "nel
catarro vino col carro"3. A Sparta venivano lavati col vino i neonati di sesso
maschile e l'uso di unzioni e di bagni trovò larga diffusione in tutta
l'antichità: "tali quelli di vino per riscaldare e corroborare i membri, e,
quando si volevano di più mite azione, Galeno e Dioscoride ci fanno conoscere
che si adoperavano di mosto". Plinio, infine, ci ricorda che M. Agrippa,
tormentato da un grave dolore ai piedi, se ne fosse liberato col fare agli arti
inferiori un bagno di aceto caldo4. Vini pesanti ed aromatici si usavano per
fare massaggi, per fortificare i muscoli degli atleti nel circo e dei soldati in
guerra; il vino caldo con infusi di cannella confortava i febbricitanti e,
mischiato
con miele ed altri prodotti, veniva utilizzato per combattere
l'anemia e la clorosi; e, ancora, era ritenuto, particolarmente
efficace per cicatrizzare le piaghe e per evitare le infezioni.
Ippocrate (460 - 377 a.C.), padre della medicina, teneva in gran
conto la forza guaritrice della natura (<<vis medicatrix
naturae>>) e consigliava ai malati aria pura, blandi
purganti, dieta sana, idromele, birra e vino. Scriveva che il
vino <<è cosa eccellente, adatta all'uomo e, in salute
come in malattia, viene assunto in modo appropriato…>>
e << il vino dolce è lassativo, il vino bianco è
diuretico. Il vino rosato e quello rosso forte sono più
nutrienti del bianco ma più pesanti ….. all'acqua, come
bevanda nelle malattie acute non saprei quali effetti
attribuire>>. Ancora suggeriva << in caso di dolore
agli occhi dare a bere vino puro ….>>,
<<strangurie e disurie si curano bevendo vino puro>>,
<<l'agitazione, lo sbadiglio, il brivido spariscono bevendo
vino mescolato con eguale parte di acqua>>5. Lo stesso
Platone considerava il vino come il maggior dono che gli dei
avessero elargito all'uomo ed Euripide (480 - 407 a.C.) diceva
che nessun farmaco potesse essere considerato più efficace del
vino perché "fuga gli affanni, produce oblio e sopore dei
mali che travagliano ogni giorno il nostro corpo". In quei
tempi era convinzione diffusa che il vino lenisse i dolori; anche
a Cristo, prima della crocifissione, fu dato da bere un miscuglio
di vino e fiele "affinchè rimanesse stordito e sentisse
meno dolore". Aulo Cornelio Celso, il cicerone dei medici,
prescriveva vino a scopo terapeutico per quasi tutte le malattie:
dalla tosse al mal di stomaco, agli avvelenamenti, quale
cicatrizzante emostatico, per la febbre terzana e quartana, e
persino per l'idrope e l'itterizia.
I reperti archeologici indicano che il vetro fece la sua
comparsa in Medio Oriente probabilmente in Fenicia, fra il 3500 e il 3000 a.
C.
Di certo la Siria e le regioni centrali della
Mesopotania furono importanti centri di produzione vetraria e i Fenici, grandi
navigatori, diffusero l'arte e la tecnica della lavorazione del vetro verso
Cipro, l'Egitto e le isole dell'Egeo.
I primi oggetti
realizzati furono i grani per collane, mentre i recipienti concavi non
comparvero prima del 1500 a. C.
Le antenate delle nostre
bottiglie risalgono al I secolo d. C. il periodo in cui fu inventato lo
strumento fondamentale dell'arte del vetro: la canna a soffio.
Galeno,
uno dei più illustri medici dell'antichità, acquisì un'eccellente clientela. Tra
i suoi pazienti ebbe anche Marco Aurelio che, sofferente da tempo, fu guarito da
foglie di spigo, applicate sul basso ventre, e col vino proveniente dalla
Sabina.
La medicina monastica, fondata da San Benedetto,
faceva largo uso di vino per lavare le ferite e per fare numerosi medicamenti.
San Benedetto di Aniane autorizzò gli stessi monaci a bere vini per "avere più
forze e sostenere le rigorose discipline".
La fama
raggiunta in quell'epoca dal vino è ben testimoniata da un episodio occorso
nell'888, quando il vescovo di Spoleto rifiutò di incoronare re dei Franchi
Guido da Spoleto, preferendogli Eude, perché <<non è degno di essere re
chi si accontenta di un pasto vile, senza vino>>.
Il più illustre medico arabo fu Avicenna che scrisse oltre
quaranta libri, nei quali non mancò di lodare l'uso del vino e delle tinture
vinose, nonostante il divieto agli osservanti islamici di far uso di questa
bevanda. Quasi contemporanei sono i precetti igienici raccolti nel "Regimen
Sanitatis" della Scuola Medica Salernitana, dove trova ampia indicazione un uso
morigerato del vino ("qui bene bibit, bene dormit; qui bene dormit, bene vivit")
sempre che sia "clarum, vetus, subtile, maturum"6.
Del
vino vengono apprezzate le proprietà nutritive <<vina rubentia … naturae
sunt valitura>>7 e <<sunt nutritiva plus dulcia candida
vina>>8. Il "De flore dietarum", anonima raccolta di precetti
igienico-alimentari della Scuola Salernitana, risalente al XIII secolo, dedica
un lungo paragrafo al vino. <<…Qualora il vino sia mediocre e si beva
misuratamente, secondo l'età, l'infermità o la buona salute, è sano. Al medico
d'altra parte è necessario che nel vino e nelle altre cose tenga sempre presente
il temperamento e la sovrabbondanza di umore di ciascun uomo. Il vino, bevuto
moderatamente come sopra dicemmo, conforta ed aumenta il calore naturale,
espelle la bile gialla col sudore e l'urina, riscaldando e inumidendo modera la
bile nera, ammorbidisce le membra irrigidite, indurite e secche per la fatica e
l'eccessiva stanchezza, toglie la spossatezza e ridona le forze ai malati,
ingrassa i corpi, rinforza l'energia e l'appetito, elimina la dilatazione e la
flatulenza. Ma, qualora si beva trascurando un ragionevole limite oppure fino
all'ebrietà, genera turbamento della mente, stoltezza, apoplessia, epilessia,
paralisi, tremore, spasmo e simili. Infatti, le vene ed i ventricoli del
cervello si riempiono e si spegne il calore naturale. Il vino bianco e corposo
nutre poco. Il bianco e delicato è abbastanza diuretico, di calore adeguato per
natura ed alleggerisce il dolore di
Luglio
Luglio
Agosto
Settembre
testa
dai vapori densi, giova ai nervi ed alle membra. Il vino nero, corposo ed acre,
è duro da digerire e genera sangue denso. Qualora venga dato ai giovani prima
del cibo è buono, infatti dispensa energia ed un nutrimento che si avvicina alla
carne porcina. Per i più anziani è inadatto prima e dopo il cibo. Il nero
corposo e dolce non è buono. Il vino rosso è più pregevole per regolare ed
aggiungere sangue e per rinforzare il calore naturale … Il vino rossicco,
corposo e profumato nutre male e fa sangue buono. Il vino corposo, rosso ed acre
è meno utile. Il vino citrino e delicato nutre poco, tuttavia è caldo; il
citrino corposo è caldissimo, penetrante e sale rapidamente alla testa; genera
ebbrezza qualora sia vecchio … Il bianchetto apre i pori, stura i canali delle
vene e rapidamente viene espulso. … Il vino limpido e profumato genera sangue
limpido e pervade, conforta il cuore, allieta lo spirito, scaccia la tristezza e
le difficoltà e si adatta ad ogni età e temperamento. Il vino cotto è sano… Il
vino di uve passe conforta lo stomaco… Il medico accorto, quando desidera
salvaguardare la salute di qualcuno, deve badare ad istruire nel bere secondo la
qualità naturale dell'uomo e del vino>>9.
Un
insolito uso del vino si rinviene nel <<Trattato della cura degli
occhi>>, scritto da Pietro Spano nella seconda metà del XIII secolo, nel
quale vengono descritti alcuni colliri preparati col vino. Ed il "Codice
Viennese 93" consiglia di porre in un'anfora <<tre libbre di scorza di
radice di mandragora e di vino dolce, che si pone a macerare il tutto, in vino
dolce. Chi deve essere operato dovrà bere tre calici di questa porzione, allo
scopo di non avvertire il dolore del taglio>>10.
Agli inizi del XIV secolo, Armando da Villanova, della
scuola di Montpellier, noto per aver curato Bonifacio VIII dalla calcolosi
renale, scrisse che <<alcuni pretendono sia bene per la salute ubriacarsi
di vino una o due volte al mese>> e descrisse le proprietà curative della
"aqua vitae", un liquido da lui ottenuto dalla distillazione del vino.
Nel XV secolo la terapia restò ancora più ancorata al
passato, con pozioni varie nelle quali rientrava il vino. I medici del XVI
secolo in molte opere trattarono questo argomento, tra cui è famoso il
"Simposium de vinis, S. De diversorum vini generum natura liber" di Giacomo
Profetto. Sante Lancerio, bottigliere personale di Papa Paolo III Farnese, nel
suo trattato sui vini usati alla corte papale, affermava che
Sua Santità beveva considerandoli medicamentosi, tra
l'altro, <<… la tonda per nutrimento del corpo… et della garba usava
gargarizzarsi per rosicare la flemma et collera. Del greco di Somma ne voleva
per bagnarsi gli occhi ogni mattina, et anco per bagnarsi le parti virili, ma
voleva che fosse di 6 o 8 anni, che era più perfetto… il vino Cosentino beveva
la sera quando andava a letto, perché li rosicasse la flemma et restringesse il
catarro… il vino Santo Severino del Regno di Napoli non beveva mai, ma diceva
essere buoni per li podagrosi, per assottigliare li humori grassi…>>11.
Nel secolo XVII ed anche nella prima metà del XVIII secolo
trovò largo spazio il ricorso al vino e un po' tutti i medicamenti venivano
diluiti nel vino, con il quale si lavavano anche le emorroidi; veniva anche
usato a clisteri nella cura della pleurite. Negli ospedali di Roma veniva
somministrato ai pazienti in forma di "zuppa di vino" e <<… il vino degli
infermi deve essere assaggiato prima dai medici onde controllare se i cantinieri
non abbiano avuto l'ardire di aggiungervi l'acqua>>12. Nella seconda metà
del XVIII secolo riprese l'uso del vino e i più noti medici consigliavano il
vino alle giovani affette da tubercolosi polmonare, agli anemici e nel
deperimento organico. Nel Regno d'Italia, al passaggio tra il XIX e il XX
secolo, particolarmente in alcune regioni del Sud, i ceti popolari, vivendo
spesso in condizioni di grave arretratezza economica, sociale e culturale,
maturarono il concetto di "demoiatrica", un connubio di medicina, superstizione
e di quella religiosità subalterna contraddistinta dagli accentuati caratteri di
esteriorità, paganesimo e magia. Tra le pratiche demoiatriche innumerevoli erano
volte a combattere la febbre della malaria. Lo stesso Mantegazza (1831 - 1910)
nei suoi "Elementi d'Igiene" scrisse che <<il vino è un vero rimedio nei
paesi infetti dalla malaria, specialmente quando s'accorda con una ricca
cucina>> e nel suo "Feste ed ebbrezze" enumerò gli effetti benefici del
vino:
<<Aumenta l'allegria
Previene i miasmi
Spinta
all'eroismo
Conforto ai dolori
Spinta alla benevolenza
Aumenta il
senso genitivo
Risparmia l'organismo
Spinta all'associazione
Rende facile
la loquela
Aumenta il lavoro muscolare
Eccita la fantasia e la memoria
Abbassa la temperatura nelle malattie
Aumenta momentaneamente la digestione
Risparmio provvisorio degli albuminoidi del corpo>>
Sul finire del XIX secolo il fermento d'uva fece il suo
ingresso in terapia acquistando ben presto credito come mezzo curativo di
disparate affezioni morbose. Progressivamente, con l'apertura delle grandi linee
di comunicazione e con l'incessante sviluppo tecnologico, si è instaurato un
sempre più competitivo rinnovamento dei sistemi produttivi ed un processo di
trasformazioni sociali, determinando, il lento e progressivo decadimento della
tradizionale famiglia patriarcale. Con la crisi della famiglia sono andati
scomparendo anche gli usi, che la caratterizzavano, e il vino è divenuto sempre
più una scelta di piacere e sempre meno un alimento ed un farmaco. Tuttavia
ancora nel primo dopoguerra, Brunton somministrava il vino nel corso di malattie
febbrili e di lunga durata con forte denutrizione. Ugualmente riteneva il vino
efficace in alcune malattie croniche come l'enfisema polmonare e l'insufficienza
cardiaca, nella febbre puerperale, nella difterite, nei morsi di serpenti ed
anche nella tubercolosi. Faceva, altresì, rilevare la grande utilità di piccole
dosi nei bambini scrofolosi e rachitici. Tuttavia, non più usato in modo
codificato, come presidio terapeutico, ha trovato ancora molti estimatori,
scienziati che ne hanno studiato i benefici e poeti che ne hanno cantato le
virtù.
Nel Cilento la miseria ha reso necessario
l'utilizzo del vino come alimento per le sue proprietà energetiche. Per Alberto
Fidanza il vino cilentano, <<per la sua genuinità, dopo un certo tempo si
trasforma in acqua ed anidride carbonica e contribuisce ad evitare le malattie
metaboliche>>. Infatti, è diffusa la massima <<… Se vuoi tener il
dottor fuori dalla finestra, bevi vino prima della minestra>>13,
consigliando con ciò di bere qualche dito di vino pochi minuti prima dei pasti,
come aperitivo.
Recenti studi effettuati nelle
Università americane e italiane hanno dimostrato che il
resveratrolo, un polifenolo nobile, prodotto dalla
macerazione alcolica delle uve rosse, aiuta le funzioni cardiache, previene
l'arteriosclerosi e i tumori e inoltre, sconfigge il virus dell'herpes
la Repubblica - Luglio 2000
Michael Eduwards Guida ai più importanti vini rossi del
mondo
Airone 235, novembre 2000
*
CRISPINO, op. cit.
1 P. DE MAURO, La Vigna e il Diavolo,
Rizzoli, Milano, 1976, p.176.
2 P. DE MAURO, op. cit.,
p.176.
3 S. DE RENZI, Storia della Medicina in Italia,
tipografia del Filiatre - Sebazio, Napoli, 1845. p.p. 198-199.
4 S. DE RENZI, op. cit., p.p. 344-345.
5 IPPOCRATE, Testi di Medicina Greca, BURT, Rizzoli, Milano,
1983.
6 Regimen Sanitatis Salerni, XIV, 49.
7 Regimen Sanitatis Salerni, VIII, 29-30.
8 Regimen Sanitatis Salerni, XI, 38.
9 P. CANTALUPO, Un Trattatelo Medievale Salernitano
sull'Alimentazione il "De Flora Dietarum" in "Annali Cilentani", quaderno 2,
1992, p.p.51-55.
10 R.M. SUOZZI, Le Piante Medicinali,
Newton Compton Ed. s.r.l., Roma, 1994, p. 68.
11 L. DE
VOTI, Il Vino di Roma, Newton Compton Ed. s.r.l., 1996,p.p. 18-19.
12 L. DE VOTI, op. cit., p. 55.
13 S.
DI BELLO, La Cucina del Cilento, Marotta Ed., Napoli, 1980, p.82.
L'ALCOOL: COS'È
L'alcool etilico, o etanolo, è una sostanza liquida ed
incolore che si forma per fermentazione di alcuni zuccheri semplici o per
distillazione del mosto fermentato.
LA FERMENTAZIONE
Il termine fermentazione
(dal latino fervere = bollire) è dovuto a Pasteur, il quale intese denominare in
tal modo le trasformazioni microbiologiche caratterizzate dal tumultuoso
ribollire del substrato organico, a causa dello svolgersi dei gas di reazione.
La più tipica fermentazione è quella alcolica, il cui prodotto principale è
"l'alcool etilico". Questo alcole è accompagnato dall'anidride carbonica che si
libera in gran parte durante il fenomeno fermentativo, producendo
un'effervescenza del liquido, cioè quasi un'ebollizione. L'andamento chimico
della fermentazione si può così rappresentare: C6 H12 O6 = 2CH3 CH2 OH + 2CO2.
Da questa equazione chimica si rileva che da una molecola di zucchero (glucosio
e fruttosio, i quali hanno la stessa formula bruta, perché ambedue monosaccardi,
cioè zuccheri con 6 atomi di carbonio) si formano due molecole di alcole etilico
e due di anidride carbonica. Per molto tempo l'equazione fu ritenuta esatta, ma
i moderni studi sulla chimica della fermentazione alcolica hanno dimostrato che,
insieme all'alcole e all'anidride carbonica, si formano altri prodotti
secondari, tra i quali la glicerina e l'acido acetico, per cui si è assodato che
il chimismo della fermentazione (o fatti chimici che avvengono durante la
fermentazione) è molto complesso, per la formazione di prodotti intermedi tra
gli zuccheri, l'alcole, l'anidride carbonica, la glicerina, ecc.. Passando dal
campo chimico a quello biologico, dobbiamo dire che la fermentazione alcolica,
al pari di tutte le altre, non è prodotta direttamente dai lieviti o fermenti,
ma da particolari enzimi o diastosi che vengono elaborati dalla cellula del
lievito. Sono questi enzimi che attaccano e demoliscono le molecole degli
zuccheri. Nel caso specifico della fermentazione alcolica, l'enzima che attacca
gli zuccheri prende il nome di zimosi alcolica o alcolosi. Ma, in realtà, questa
zimosi è costituita da diversi enzimi, ciascuno specializzato per una delle fasi
chimiche del complicato fenomeno fermentativo. E' la più importante della
fermentazione anaerobica che avviene in assenza di ossigeno.
L'ASSORBIMENTO DELL'ALCOOL NEL CORPO UMANO
NEL CORPO UMANO L'ALCOOL
SEGUE UN PERCORSO CHE PASSA ATTRAVERSO LE SEGUENTI FASI:
- VIENE DEGLUTITO;
- PASSA QUINDI NELLO STOMACO, DOVE VIENE PARZIALMENTE
ASSORBITO;
- L'ASSORBIMENTO MASSIMO SI VERIFICA
NELL'INTESTINO;
- ENTRA NELLA CIRCOLAZIONE SANGUIGNA,
PRODUCENDO VARI EFFETTI, TRA CUI I PIU' EVIDENTI SONO:
-
LA DILATAZIONE DEI VASI SANGUIGNI;
- IL RALLENTAMENTO DEI
MECCANISMI DI CONTROLLO DEL CERVELLO;
- VIENE OSSIDATO E
QUINDI ELIMINATO SOPRATTUTTO AD OPERA DEL FEGATO, CON UN PROCESSO ALQUANTO LENTO
(IN GENERE VENGONO ELIMINATI NON PIU' DI SETTE GRAMMI DI ALCOOL OGNI ORA).
Ebulliometro di Malligant per la determinazione del grado
alcolico del vino.
LE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO L'ASSORBIMENTO DELL'ALCOOL:
- l'assorbimento
dell'alcool è molto rapido a stomaco vuoto, cioè lontano dai pasti;
- al contrario, si rallenta l'azione dell'alcool mangiando
contemporaneamente cibi con alto contenuto di grassi (burro e olio) e proteine
(carne, pesce, formaggi, uova);
- l'anidride carbonica
accelera il passaggio dell'alcool dallo stomaco all'intestino e perciò i vini
frizzanti hanno un effetto molto rapido.
L'ALCOOL NELLA NOSTRA SOCIETÀ
L'uso dell'alcool nella
nostra società può essere paragonato all'uso della Coca-Cola, perché esso viene
commercializzato normalmente e può essere acquistato liberamente persino dai
ragazzini. Infatti, la nostra società non considera il suo uso una droga, in
quanto esso già da tempi remoti faceva parte della nostra cultura, anzi l'uso
dell'alcool è stato valorizzato come uno stimolante che ci induce ad essere
attivi e competitivi. Non è da sottovalutare il fatto che è un prodotto
commercializzato, pubblicizzato ed esaltato dai mass-media; anzi se è vero che
questi pubblicizzano le "morti per droga", mai parlano delle vittime
dell'alcool. Questa pubblicità negativa manderebbe in crisi molte industrie.
Eppure una persona che fa abuso di alcool è una persona dipendente che non sa
gestirsi, e pertanto se l'alcool è considerato da molti, per fortuna, una
cattiva abitudine, per altri è decisamente una droga legalizzata.
L'ALCOLISMO
L'alcolismo o Etilismo è la condizione in cui un individuo
ingerisce volontariamente una quantità eccessiva di alcool etilico. Esso può
comparire in forma acuta o in forma cronica. Nella forma acuta l'alcolismo si
manifesta con uno stato di ubriachezza; nella forma cronica si può trasformare
progressivamente in una vera e propria forma di tossicomania e può essere causa
di morte precoce. L'alcolismo è spesso dovuto a una combinazione di fattori di
natura diversa, di tipo psicologico, sociale e, a quanto sembra, ereditario. La
categoria di individui che viene colpita dall'alcolismo è quella degli adulti di
sesso maschile; in tempi recenti, comunque, il fenomeno si sta diffondendo anche
tra i giovani e le donne ed esso risulta in aumento in quasi tutte le regioni
degli Stati Uniti, dell'Europa, dei Paesi dell'ex Unione Sovietica e di quelli
in via di sviluppo. Diversamente dall'alcolismo in forma acuta, causato anche da
un solo episodio di forte assunzione di bevande alcoliche, l'alcoli-
smo in forma cronica, considerato per lungo tempo come la
conseguenza di un malessere psicosociale, è oggi ritenuto più correttamente una
malattia vera e propria. Esso ha in genere uno sviluppo lento che può durare
diversi anni. Nella fase iniziale si manifesta con l'eccessiva disponibilità
agli alcolici, che finisce per condizionare anche la scelta degli amici e delle
attività ricreative. Nelle bevande alcoliche, l'etilista cerca più un modo per
alterare volontariamente la propria coscienza che non la condivisione di un rito
o di una consuetudine sociale. L'alcool finisce per condizionare tutti gli
aspetti della vita quotidiana, assumendo un peso maggiore delle relazioni
interpersonali, del lavoro, dell'autostima e perfino della salute. Quando
l'assunzione di bevande alcoliche diventa una necessità, a cui l'uomo non può
più opporsi, in genere insorge una dipendenza fisica che spinge l'alcolista a
bere in continuazione per evitare i sintomi dell'astinenza. L'alcool produce
nell'organismo uno stato tossico generale, accompagnato da una situazione di
deperimento dovuta sia a insufficienza dell'apporto alimentare per inappetenza,
sia a riduzione dell'assorbimento e dell'utilizzazione degli alimenti
introdotti. Gli effetti dell'alcol comprendono una vasta gamma di disturbi a
carico di vari organi. Tra i più comuni vi sono quelli a carico del sistema
nervoso centrale e periferico, dell'esofago e dello stomaco, del fegato e del
pancreas, nonché del sistema circolatorio.
LUOGHI
COMUNI
1. L'alcool
riscalda V F
2. Il vino disseta V F
3. L'alcool fa bene al raffreddore V F
4. L'alcool fa sangue V F
5. L'alcool
fa digerire V F
6. L'alcool dà forza V F
7. L'alcool stimola e dà sicurezza V F
8. La birra fa latte V F
INDAGINE SUL CONSUMO DEI VINI
Intervista N. 1
1. Bevi vino?
Si.
2. Preferisci il bianco o il rosso?
Rosso.
3. Quando consumi il vino?
A pranzo e a cena.
4. Quanti
bicchieri di vino bevi in media al giorno?
Massimo
sei.
5. Produci del vino?
Si
6. Quanti quintali di vino produci all'anno?
Circa dieci quintali.
7. Allora sei
un esperto. Mi sai dire quando inizia la vendemmia?
Nel
mese di ottobre.
8. Come viene trattata la vite?
Tra dicembre e febbraio viene potata; circa quindici giorni
dopo la fioritura, che avviene in primavera, per combattere oidio e fillossera
viene trattata con prodotti chimici ogni sedici giorni massimo fino all'ultima
decade di luglio. Sono pochi oggi i contadini che usano prodotti naturali, tra i
quali lo zolfo.
9. Quanto dura la fermentazione?
Può durare da quattro a dodici giorni.
10. Cosa succede dopo la fermentazione?
Il vino viene tolto dai tini e viene messo in botti di
acciaio e poi in quelle di legno per favorire l'ossigenazione.
11. Come viene conservato?
In
primavera (la tradizione popolare vuole che si faccia in un giorno di sole) il
vino viene messo in bottiglie dove mantiene tutto il suo aroma. In seguito viene
conservato in cantine fresche, areate ed al riparo dalla luce.
12. Per quanto tempo può essere conservato il vino?
Per diverso tempo, se ha una buona percentuale di alcool
(almeno 12°).
13. Hai avuto qualche brutta esperienza
bevendo un po' di vino in più?
No, perché lo sopporto
bene.
14. Ma perché la gente beve?
La gente beve il vino perché lo gradisce, soprattutto se ha
un buon bicchiere come quello di Taurasi.
15. Conosci
nel tuo paese persone che fanno abuso di vino?
Si, tra
tante, troviamo molti giovani e anziani.
16. Secondo te,
un uso eccessivo di vino può essere una cattiva abitudine?
Si, perché chi si ubriaca può dar fastidio, in quanto non ha
più il controllo delle proprie azioni.
17. Secondo te,
quali bevande contengono alcool?
Liquori, birra e
vino.
18. Tutti coloro che bevono bevande alcoliche
possono essere considerati degli alcolisti?
Si.
19. Il vino nel passato era ritenuto un rimedio per tutti i
mali. Sei d'accordo?
Si.
20. Lo
sai che l'alcool introdotto nel nostro organismo ne altera le funzioni?
Si, ma solo se si esagera.
21. Sai
quali malattie può provocare?
Si, la cirrosi epatica.
22. Cosa pensi del vino? È una droga legalizzata?
No.
23. Hai pensato di smettere di
bere?
No.
Lavoro: contadino
Età: 50 anni
"Intervista" N.2
1. Che professione svolgi?
Muratore.
2. Quanti anni hai?
60 anni.
3. Bevi vino?
Si.
4. In che occasione bevi vino?
Durante i pasti (pranzo e cena), bevo di più nei giorni di
festa.
5. Quanto in media al giorno?
Sei, al massimo otto bicchieri.
6.
Quale vino preferisci? Quello che produci tu oppure quello comprato?
Quello prodotto da me.
7. Perché?
E' genuino, poiché non contiene nessun tipo di sostanze
chimiche.
8. In che quantità produci vino?
Circa 10 - 11 quintali l'anno.
9. E'
importante per te la produzione di vino?
Si.
10. Perché?
Per consumo personale e
per guadagno.
11. Il tuo vino "ubriaca"?
Un po', se ne bevi troppo.
12. A te è
mai capitato di ubriacarti?
Si.
13. Qual è il momento più bello per te nella produzione del
vino?
La vendemmia.
14. Qual è il
momento meno piacevole?
La macinatura perché è
faticosa.
15. Oltre al vino, bevi qualche altra sostanza
alcolica?
No.
16. Come ti senti,
dopo aver bevuto vino?
Con la testa fra le nuvole per
qualche minuto.
17. A che età hai iniziato a bere?
Ero grande, avevo già 22 anni.
18.
Dopo aver bevuto, senti per caso bruciore allo stomaco?
Si.
19. Sai quali malattie porta il
vino?
Si.
20. Una in
particolare?
La cirrosi epatica.
MASSIME
In vino veritas
CHI BEVE VINO PRIMA
dElla MINestra, SALUTA IL MEDICO DALLA FINESTRA
La botte piena e la moglie ubriaca
Il
vino deve stare nella botte
Ogni botte dà il vino che
contiene
Il vino amaro tienilo caro
San martino ogni mosto diventa vino
Bacco, tabacco e venere riducono l'uomo in cenere
A santa Giustina ogni uva è
medicina
Chi non beve in compagnia o è un ladro o è una
spia
Chi beve vino sale fin
sull'aventino
Chi beve vino campa cent'anni
Quando piove ad agosto, piove mosto
È
un piacere avere il vino per amico
Alla potatura la vite
dice "fammi povera che ti faccio ricco"
L'acqua fa male e il vino fa cantare
Cerchi di salvare il rubinetto e perdi il tino
TAURASI: AMBIENTE NATURALE
L'ager Hirpinus dei Latini
è contenuto nel territorio della provincia di Avellino.
Il paesaggio aspro dell'Irpinia si stempera in quello
collinare della vallata del fiume Calore, i cui colli sono la sede naturale
delle viti che producono Aglianico.
Tra questi colli
s'impone Taurasi, una cittadina che prende il nome dalla Sannitica Taurasis, di
cui porta lo stemma raffigurante il toro.
Secondo alcuni
il paese è così chiamato perché giace su una lingua di terra che il fiume Calore
ha inciso in forma di "Taurus".
Il paese per la natura
del terreno, per la vegetazione, per il clima, e, soprattutto per l'amore dei
cittadini per le proprie vigne, si è confermato nel tempo come terra "a
vocazione vitivinicola".
L'ambiente naturale, infatti, di
Taurasi offre un habitat favorevole alla coltivazione della vite in quanto i
colli hanno ottime esposizioni, sono compatti, formati da argille, nei diversi
aspetti scagliosi e fessurati, poveri di sostanze organiche, ma ricchi di
elementi potassici e fosfatici. L'humus di Taurasi (analisi del prof. C.
Violante) registra una media di 2,95; Azoto 0,276, sedimenti alluvionali e
matrice vulcanica.
La posizione geografica e le quote
altimetriche dei vigneti creano un microclima caratterizzato da inverni rigidi e
da estati mai troppo calde che fanno maturare lentamente l'uva consentendo una
vendemmia ritardata che si effettua a Novembre.
II
Carlucci1, agli inizi del secolo, scriveva che l'altitudine più propizia per la
coltivazione del vitigno aglianico si colloca tra i 200 e i 500 metri
(altitudine min. e max. di Taurasi 270 - 463 m).
A
contribuire alla bontà dell'aglianico non è da trascurare la presenza di fattori
diversi, il "quid" che sfugge all'osservazione scientifica e a quella pratica,
come si legge nella rivista "Economia Irpina" della Camera del Commercio del
1965, oltre al perfetto equilibrio tra terreno, clima e vitigno.
Il sistema di allevamento della vite privilegiato dai
contadini di Taurasi è quello "a Starseta", dal momento che la vite
dell'Aglianico ha uno sviluppo eccezionale non
(1) Carlucci (1856-1951): ampleologo che ha dato un grande
contributo alla viticultura campana.
Per la vita e le
opere si rimanda a pag. 98
solo nel tronco principale, ma anche nelle massicce tesole
che sono sollevate a raggiera e all'altezza di due e più metri, anche per
consentire la coltivazione del terreno sottostante.
"Baccus amat collem et saxa durissima.
I campi dai monti rimossi e le valli non acquose più
largamente vino danno, i colli fanno vini più nobili"
(Columella, De re rustica IV, 5).
"Se guardi con meraviglia il fertile suolo della soleggiata
Taurasi, lo vedi tutto ornato di vigne, paschi, campi di grano. Sono doni di
quel Toro celeste a te favorevole sotto il cui sguardo tutto germoglia e
verdeggia in brevissimo tempo sulla terra".
Anonimo del
Seicento
(Traduzione di mons. Antonio Gambino)
IL "TAURASI" NELLA
STORIA
II territorio di Taurasi insieme ad altri 16
comuni vicini costituisce la zona di produzione del D.O.C.G. "Taurasi". È un
grande titolo di merito per questo unico vino meridionale ad essere presente nel
Ghota dei vini italiani. Esso viene prodotto dal vitigno aglianico, progenie
della "vitis ellenica", secondo quanto è affermato dall'ampleografo Carlucci,
all'inizio del XX secolo, che ci fornisce la più precisa e valida descrizione
dell'aglianico.
Il Carlucci, in seguito a studi
approfonditi, giunge alla conclusione che tale vite era stata introdotta dai
Greci o Ellenici nel secolo VIII a.C. nelle loro colonie italiche e che la
trasformazione del nome "Hellenica" in "Hallanica" e quindi in Aglianico si deve
ricercare verso la fine del XV secolo, quando sul Regno di Napoli vi era il
dominio degli Aragonesi.
La coltivazione della "vitis
hellenica" dalle zone costiere (Napoli, Paestum, Velia,....) gradualmente venne
introdotta nelle zone interne (Sannio, Irpinia e Lucania) con un'accelerazione
tanto maggiore quanto più le popolazioni dell'entroterra prendevano atto che
essa cresceva rigogliosamente e dava un prodotto di ottima qualità.
Forse era già presente sul territorio dell'allora "Taurasi"
quando Lucio Cornelio Scipione Barbato nel 298 a. C. lo conquistò insieme al
Sannio e sottomise anche la Lucania.
Con maggiore
sicurezza la "vitis hellenica" si affermò con l'arrivo dei Romani; infatti, Tito
Livio, nel suo "Ab urbe condita", scrivendo di "Taurasia", la descrive come
"terra contornata da aree verdeggianti e da vigne opime"
Come abbiamo visto, la coltivazione della vite a Taurasi
viene da molto lontano, ma i primi documenti ufficiali che parlano della vite e
di vigne del nostro Comune sono alcune pergamene dell'Abbazia di Montevergine,
risalenti al XII e XIII secolo d.C. Esse riportano atti di donazione, di vendita
e di affitto; questi ultimi stipulati con diversi fittavoli e acquirenti di
Taurasi e del circondario. Poiché varie sono le località citate nelle pergamene,
si giunge alla conclusione che gli impianti di vigna erano diffusi su tutto il
territorio.
Risale, però, al 1177 il primo documento
ufficiale.
Aglianico
Abazia
di Montevergine
Pergamena n.616 -
anno 1177, (mese illeggibile). Ind. X
Taurasi
Dauferio, notaio di Taurasi
Cleopa,
giudice
Pietro, f. del q. Ursone Barursi, e sua moglie
Falegrima, abitanti in Taurasi, vendono a Leonardo "milite", f. del q. Radoaldo,
una vigna, congiunta con un po' di "aspro", sita nel territorio e pertinenze di
Taurasi (il luogo preciso è illeggibile), per il prezzo di 80 tarì salernitani
(Cand. VIII, 32).
Pergamena n.658 - anno 1179, novembre.
Ind. XIII
Taurasi
Dauferio,
notaio
Pietro, giudice
Il
presbitero Giovanni, f. del q. Roberto Salegrimo, abitante in Taurasi, fa
testamento, lasciando al monastero di Montevergine una casa "solariata" che egli
ha fuori le mura del castello di Taurasi, non molto lontano dalla porta
Sant'Angelo, e un po' di vigna "in lloco ubi alexandrialli dicitur" (Cand. VIII,
43).
Pergamena n. 1012 - anno
1197 (1195), febbraio. Ind. XV
Taurasi
Dauferio, notaio
Giovanni di
Mastr'Angelo, giudice
Giovanni de Dominico, f. del q.
Domenico, abitante nel castello di Taurasi, dona al cenobio di M.V. una vigna
nelle pertinenze di Taurasi, "in lloco ubi
puteus
gayferii dicitur" (Cand. VIII, 46)
Pergamena n. 1039 - anno 1198, ottobre. Ind. II
Taurasi
Dauferio, notaio
... f. del q. Roberto de Ariano, abitante nel castello di
Taurasi, procede ad una permuta col maestro Donato, dando un pezzo di terra, in
territorio e pertinenza di Taurasi, "in lloco ubi alle casaline dicitur" e
ricevendo un orto "in lloco ubi alle fontanelle dicitur", presso sua vigna
(Cand. VIII, 26).
Pergamena n.
1118 - anno 1201, febbraio. Ind. IV
Taurasi
Dauferio, notaio
Matteo, giudice
Giovanni f. di Malgerio, abitante nel castello di Taurasi,
vende a Giovanni di Montemarano una chiusa di vigna, in territorio di Taurasi,
nel luogo detto "casadaltu", per un'oncia d'oro e 12 tarì di Salerno (Cand.
VIII, 20).
Pergamena n. 1646 -
anno 1229, maggio. Ind. II - Federico imper. a. 9. Taurasi.
Raffredo, giudice di Acquaputida e notaio di Taurasi.
Ruggiero, giudice di Taurasi.
Giovanni, ab. di M.V., per mezzo di fra Giovanni da Eboli
("de Ebulo"), fra Riccardo, vestarario di M.V., e fra Martino, concede a Barbato
e ai suoi eredi una vigna in territorio e pertinenze di Taurasi, nel luogo detto
fontanelle, con patto di corrispondere la metà ("integram medietatem") sia per
la vigna che per gli altri frutti che vi sono dentro (Cand. VIII, 18).
Pergamena n. 1708 - anno 1231, novembre. Ind. V - Federico
Imp. a. 11.
Taurasi
Roffredo,
giudice di Acquaputida e notaio di Taurasi.
Roffredo,
giudice
Giovanni, ab. di M.V., concede a Giovanni de
Serino e ad Adenulfo, suo fratello, per 29 anni, un ortale in Taurasi, di
proprietà del monastero di M.V., sito nel luogo detto "a lu puzu ad viam
planam", con l'obbligo di piantarvi una vigna e degli olivi e altri alberi
fruttiferi, e corrispondere ogni anno la quarta dei frutti e la decima dei
seminati, contratto che viene stipulato davanti a don Giovanni da Eboli,
preposito di M.V., e don Riccardo, vestarario di M.V. (Cand. VIII, 15).
Museo della civiltà contadina di Somma Vesuviana - Trasporto
del vino -
Nella
prima metà del 1500 Santo Lancerio, bottigliere del papa Paolo III Farnese, il
più enofilo della storia dei successori di Pietro, scrisse la prima grande opera
sulla varietà dei vini italici e sul potere terapeutico di essi. Da tale opera
apprendiamo che S.S. degustava un vino specifico a seconda delle stagioni, delle
differenti occasioni e delle varie malattie e che considerava il "Taurasi", per
la sua digeribilità, "bevanda delli vecchi".
Sul finire
del secolo XVI Eleonora d'Este, figlia di Alfonso d'Este, duca di Ferrara, va
sposa a Carlo Gesualdo, principe di Taurasi-Gesualdo, che porta in dono alla
corte di Ferrara alcuni fusti o botti di vino Aglianico. La bontà del dono fa sì
che ogni anno per le occasioni più importanti "anfore" di terracotta, contenenti
vino invecchiato, raggiungano Casa d'Este.
Stemma di Carlo Gesualdo (a sinistra) e della moglie
Eleonora D'Este (a destra), posto sull'ingresso principale del palazzo
Baronale.
Comune Taurasi
Luogo Case D'Alto
Foglio 12
Particella 4
Proprietario Di Iorio Sabato
Vitigno
Siriga
Età presunta 250 anni
Lunghezza massima di una delle 5 tesole 8,30m., con 22
candelabri
Una
documentazione, decisamente più consistente, ha inizio nel secolo XVIII, con il
censimento di Carlo III in Taurasi, come si rileva nel testo "Taurasi" di A.
Ferri.
Considerazioni sui censimenti di Carlo III in
Taurasi (1750)
"ovunque però questi alberi erano
frammisti ad olmi intorno ai quali si avvolgevano in quel tempo rigogliosi
vigneti, che non venivano ne potati ne irrorati". Difatti, allora i vigneti
davano spontaneamente un prodotto abbondante tanto da ricavare da essi ben
10.000 quintali di vino che veniva in massima parte esportata per la sua ottima
qualità.
La conferma che a Taurasi, tra la fine
dell'XVIII e l'inizio del XIX secolo, c'era un'abbondante produzione di vino e
che esso era la maggior fonte di guadagno per la gente del luogo ci viene dalla
relazione del 9 marzo 1816 sottoscritta dal signor Vinaccia, in qualità di
controllore dei catasti e dal sindaco Scipione d'Indico.
Tratto dal processo verbale per la
divisione del territorio del
Comune di Taurasi
"Taurasi dista per circa miglia 12 di S. Angelo Lombardi;
miglia 12 di Ariano, miglia 12 d'Avellino e 40 di Napoli. Ha la strada rotabile,
che si dirama da quella Regia non lungi dal ponte Calore. La medesima reca molto
vantaggio alla popolazione per lo smaltimento del vino, che forma la rendita
massimale del paese".
Brocca per vino
Trapano a mano per praticare fori sulla botte
Successivamente, però, si registra una "decadenza del merito
e del valore" di tale prodotto, non perché scade in qualità, ma a causa delle
continue manipolazioni di sensali senza scrupolo, come si legge nella relazione
del Dott. Luigi Uberti al Sig. Intendente del Principato Ultra, (1827).
Le condizioni dell'Agricoltura Taurasina
"Resterebbe a parlare del vino, unico e prezioso frutto dei
nostri terreni, infelice e decadente del suo merito e del valore per opera di
certi sfacciati, ed insolenti, bricconi, i quali sotto il nome di sedicenti
sensali ne dispongono a lor talento, angariando compratori e venditori in mille
ed una maniera, ma di questo per noi Taurasini prezioso ed interessante prodotto
dei nostri terreni mi riservo darne parola dopo la vendemmia".
Dopo soli cinque anni, lo stesso Dott. L. Uberti trova
pregevole la qualità del prodotto come sostiene in una successiva relazione allo
stesso Intendente del Principato Ultra (1832).
Relazione
(dall'originale) del Dott. Luigi Uberti al
Sig.
Intendente del Principato Ultra
"I vini di Taurasi sono i
migliori, hanno molto alcool in sé".
Insieme alla qualità
si registra anche un incremento nella produzione, se si considera che in una
sola famiglia le botti utilizzate contengono una quantità di circa 2040 barili.
Se un barile corrisponde a 33,3 litri, la quantità nelle
botti è di 680 quintali. Questo è quanto risulta da un Istrumento di Divisione
del 14 agosto 1854 tra D. Ciriaco de Angelis e suo fratello D. Marciano de
Angelis fu D. Raimondo, redatto dal Notaio D. Gioacchino de Angelis.
Riprendendo il discorso sul merito e sulla qualità del
prodotto, al di là degli apprezzamenti dei Taurasini, rimane significativo il
saggio condotto dal prof. Carlucci, nel 1887, per la Scuola enologica di
Avellino.
"Con l'uva Aglianico ben matura, con il 22% di
glucosio, fu fatto nel 1887 il seguente saggio, avendosi avuto cura di eseguire
il diraspamento e di non prolungare il contatto con le vinacce: esso riuscì
pregevolissimo.
Dopo 3 anni di conservazione, fu
chiarificato e messo in bottiglia il vino ottenuto.
Dopo
un anno circa di conservazione in vetro, si osservò che si era spogliato di una
parte del suo colore, e prese la tinta rosso-rubino, con gli orli gialli e
sviluppo delicato di un profumo ben sensibile.
Il gusto,
pur conservando una leggerissima astringenza, divenne rotondo, morbido,
gradevole. In una parola il vino era certamente fine e con molta analogia con i
buonissimi vini vecchi del Novarese, con la differenza di una minore
ruvidezza.
Un secondo saggio fu fatto nella vendemmia del
1891. Si prepararono 60 ettolitri di vino speciale con uve ben mature di
Aglianico.
Di questo vino una parte fu venduta in botte
al secondo ed al terzo anno, altra parte invece fu conservata per tre anni in
botti e, dopo chiarificato due volte, fu imbottigliato in primavera ed in
autunno del 1894. Si misero da parte 4000 bottiglie. Quantunque il vino non sia
rimasto lungo tempo in bottiglia, oggi ha acquistato un profumo spiccato e
gradevole, tinta rosso-rubino con orlo giallo ambra ed è già un eccellente
prodotto commerciale. Tra un anno esso sarà certamente un vino anche di maggior
pregio.
Dagli studi numerosi sin qui fatti si possono
trovare le seguenti conclusioni pratiche: che l'Aglianico, coltivato in terreni
argillosi, meglio argillosi-calcarei, dà prodotti che possono acquistare
caratteri diversi
secondo la tecnica di preparazione e il
grado di invecchiamento. Esso si presta a dar cioè, da solo o misto ad altre uve
rosse, del vino da taglio o da mezzo taglio, eccellente mezzamente alcolico (13°
- 14°), fresco, sapido con colore rosso carico, vivo, stabilissimo, con schiuma
rossa.
Il Carlucci anticipa di circa un secolo il
disciplinare del vino D.O.C.G.
Processo di invecchiamento del Taurasi messo in atto dal
Prof. Carlucci negli anni 1887 e 1891.
- Le uve aglianico
ben mature con il 22% di glucosio.
- Invecchiamento di
tre anni in botte.
- Dopo un anno di conservazione in
bottiglia, il vino si presentava di colore rosso rubino, con gli orli gialli e
sviluppo delicato di un profumo ben sensibile. Il gusto, pur conservando una
leggerissima astringenza, divenne roton-do, morbido e gradevole.
Disciplinare di produzione del vino
D.O.C.G. "Taurasi" (1993)
- Le uve aglianico, destinate
alle vinificazioni, devono assicurare al vino "Taurasi" un titolo alcometrico
volumico minimo naturale del 11,50° e alla tipologia "riserva" un titolo
alcometrico volumico minimo naturale del 12° (20% di glucosio).
- Il vino a denominazione di origine controllata e garantita
"Taurasi" deve essere sottoposta ad un periodo di invecchiamento obbligatorio di
almeno tre anni, di cui almeno uno in botti di legno.
-
I vino D.O.C.G. Taurasi all'atto dell'im-missione al consumo deve rispondere
alle seguenti caratteristiche: colore rubino intenso, tendente al granado fino
ad acquistare riflessi arancione con l'invec-chiamento; odore: caratteristico
etero, gradevole più o meno intenso; sapore: asciutto, pieno, aromatico,
equili-brato con retrogusto delicato.
La botte,
così come la conosciamo, fu inventata dai Celti nel III secolo d.C.
Negli ultimi duemila anni l'arte del bottaio è rimasta
praticamente immutata.
Fra i reperti archeologici della
cultura di La Tène, in Svizzera, (V secolo a. C.) vi sono degli attrezzi di
ferro per lavorare il legno che non sarebbero fuori luogo nella bottega di un
bottaio dei giorni nostri.
"Verso sera il carro veniva riportato alla fattoria e l'uva
trasferita dalle tine ai tinozzi di cantina dove veniva pigiato con i piedi". -
Riproduzione di Guarente Cristina
Parimenti le tecniche del Carlucci per combattere la perenospera e lo oidio messe a punto nel 1983 risultano efficaci e praticate ancora dai contadini nel 2001.
Significativi sono gli apprezzamenti di tale prodotto da
parte di A. M. Iannacchini nell'opera scritta nel 1891 "Topografia della Storia
dell'Irpinia" Vol.III:
"Era già conosciuto......fin dai
tempi remoti ha goduto bella fama, come…., il Taurasino….. I nostri vini fanno
concorrenza ai migliori d'Italia...".
E di G.
Strafforelli nel 1898 in "La patria - Geografica dell'Italia":
Vino Taurasino
"Nelle buone annate il
vino è assai copioso e molto se ne esporta nelle province limitrofe, in quella
di Foggia principalmente coi nomi di vino Tauraso ed altri. Il migliore se ne
raccoglie nei comuni di Taurasi ….".
Interessante è,
peraltro, l'episodio riportato dal Dott. Gramignano nella rivista "Economia
Irpina" 1965 relativo all'incontro tra il Carducci ed un suo allievo, il prof.
Picciòla preside del Liceo Classico di Ancona, oriundo della Campania, di fronte
ad una bottiglia di autentico "Taurasi".
Ero studente di
quinta ginnasiale, in un periodo in cui tutti i giovani erano impastati,
conquisi, serrati, dalla poesia Carducciana. Il mio Preside era il Professore
Picciòla, egregio studioso, se non letterato, molto conosciuto. Egli era, però,
uno degli allievi preferiti da Carducci. Il Picciòla ci largiva spesso, con la
vivissima nostra soddisfazione, delle letture Carducciane. Ebbene ho vivissimo
nella memoria (ed è rimasta sempre al suo posto) un episodio che ci raccontò il
Picciòla. Questi era oriundo della Campania (non so di dove) e venuto in
possesso di una bottiglia di autentico Taurasi (che lui definiva: "vino
sopraffino"), in una delle molte visite che faceva, periodicamente, al Carducci
a Bologna, ospite di questi, portò la bottiglia in dono al poeta.
E' noto che Carducci fosse un bevitore, ma era, soprattutto,
un esperto di vini. Negli ultimi anni della sua vita Carducci fu colpito da
paresi alle gambe; aveva le braccia in buon movimento, ma le mani, con le dita
ingrossate nelle giunture, per l'invadente artrite, erano alquanto impedite.
Ripeto l'episodio che segue quasi con le stesse parole del Pro-
fessore Picciòla, come mi sono rimaste fisse nella mente,
per le tante volte che le ho ripetute col pensiero: "In fin di tavola offrii al
poeta mezzo bicchiere di vino Taurasi, che scintillò rossissimo, nel vetro che
lo conteneva. Il poeta aveva ancora degli occhi vivissimi, pieni di luce, su la
testa leonina! Levò la mano tremante, alzando il bicchiere contro luce, e disse
sorridendo: "Vedi com'è gaudioso?" "Un'aggettivazione -concludeva il Picciòla -
così precisa e pittoresca, per un vino trionfante, non poteva trovarla che
Carducci>>.
Una volta l'uva si trasportava così (Scultura di M.
Perspicace)
Alla
fine dell'800 si rileva un incremento nella produzione e nella
commercializzazione del vino nella media valle del Calore, ed in particolare in
Irpinia sia per l'apertura della linea ferroviaria Avellino - S. Venere,
(Rocchetta S. Antonio), denominata successivamente "Strada del vino" per la sua
funzione commerciale, sia per la richiesta di prodotti nelle aree dell'Italia
settentrionale e in Francia. Quest'ultima, carente di vino a causa della
Fillossera che aveva distrutto le sue vigne, si mostrò molto interessata al
Taurasi per la sua intensa colorazione, la pienezza del gusto, la sapidità ed i
profumi.Tuttavia ci sembra doveroso sottolineare che, nonostante l'incidenza
positiva della Ferrovia Ofantina
sulla
commercializzazione del prodotto, il Taurasi era già ampiamente conosciuto ed
apprezzato per le sue ottime qualità, come innanzi documentato e come confermato
nel numero unico della Ferrovia Ofantina del 27/10/1985, data di inaugurazione
della suddetta ferrovia.
IL
'900
L'inizio del secolo vede un
intensificarsi dell'attività commerciale a Taurasi come si evince dalla
documentazione delle famiglie Sacco, Silano e Tranfaglia.
FAMIGLIA SACCO
Bigliettino da visita: fine '800
Bigliettino da visita: inizio '900.
Cartolina postale anteriore al 1915.
La datazione dei suddetti documenti è stata dedotta dai dati anagrafici della famiglia e dall'intestazione di una lettera commerciale del Sig. Carlo Vedovelli, rappresentante della SOCIETA' PRODOTTI CHIMICI COLLA E CONCIMI di ROMA, alla famiglia Sacco, in data 24 agosto 1915.
Testimonianza di tale attività commerciale è la lettera, datata 09/02/1907, del Dottor Gennaro Cantisani al Sig. Sacco Rocco, riportata integralmente di seguito.
Altamente significativa è la "Bolla" di accompagnamento per fusti di vino che risale all'inizio del secolo, antecedente al 1913/1914, e che testimonia l'esportazione del "Taurasi" negli Stati Uniti d'America.
"ANTICO E PURO
Vino di Taurasi
Questo vino è l'originale e più antico vino di Taurasi.
Importato direttamente da Taurasi, Italia."
La datazione è stata ricavata dalla lettera del figlio di Rocco Sacco Francesco ad un importatore di vino americano, in data 9 agosto 1959.
L'attività commerciale della famiglia Sacco prosegue con i figli Gaetano e Francesco anche dopo la morte del Sig. Rocco, avvenuta il 31/01/1920, così come si deduce dal bigliettino da visita dei Fratelli Sacco
e dalla lettera dell'1/08/1949 inviata ai fratelli Sacco da Ettore Morera titolare della ditta "Produzione e commercio di vini" (Viterbo)
"Taurasi, lì 7/08/1949
Spett.le Ditta Ettore Moreno
I prezzi
odierno dei vini rossi che si praticano alla proprietà in questa piazza sono:
£ 450 il grado per i vini non inferiori a gradi 10.50 %,
£ 500 il grado per i vini non inferiori a gradi 11,00 e
£ 550 per i vini non inferiori a gradi 12,00, però di vini a
12 gradi non abbondano come quelli a gradi 10 ½ ed 11, malgrado vi sia quantità
limitata qualche po' di vino a gradi 12,70 % anche.
Inutile dirvi che le caratteristiche dei nostri vini sono le
migliori sotto ogni aspetto, sia per la bontà che per selezione e colore. Per la
quantità da voi indicata è facile accontentarvi.
Con la
speranza di intavolare un primo affare, gradite nos. saluti sentiti.
F.sco Sacco"
Minuta di risposta dei
fratelli Sacco a Ettore Morena
FAMIGLIA SILANO
La famiglia Silano, oltre a commerciare vino, ne era anche produttrice. Essa, infatti, era proprietaria di una vasta estensione di terreno "avvignato" in c/da Piano d'Angelo in Taurasi. La sua attività commerciale era a livello nazionale ed internazionale. Chiara testimonianza di ciò è quanto si legge sull'etichetta (Filiale di Domodossola) e sulla targa intestata che riservava un determinato spazio al prodotto (vino) nel porto commerciale di Portici.
FAMIGLIA TRANFAGLIA
Circa l'attività commerciale di questa famiglia sono stati rinvenuti documenti in casa di Guerriero Ennio
Insegna degli anni '30 di una fiaschetteria sita in via
Scarlati-Vomero (Napoli), gestita da Michele Tranfaglia.
Gran premio conferito a Tranfaglia Pasquale all'esposizione
italiana dei vini di Torino nel 1911
Al di là della documentazione riportata, si registrano, negli anni 1915-1932, scritture private con commercianti di province limitrofe.
In questa viene annotata la spedizione di quintali 311,21 del Sig. Simoniello Raffaele, commerciante in S. Angelo all'Esca e Taurasi (il suo deposito era ubicato nell'attuale via G. Verdi) al Sig. Luigi Parrucchini di Milano
A
conclusione di questo exceursus storico riportiamo un significativo episodio
riferito dal Dott. Gramignano, nella Rivista "Economia Irpina" relativo al prof.
Arturo Marescalchi.
Nel 1932 il prof. Arturo Marescalchi
era Ministro dell'Agricoltura. Ritengo che mai tanto eccelso posto fu occupato
da un uomo che possedeva una preparazione agricola eccezionale, forse il più
completo enologo che abbia avuto l'Italia; ottimo e suadente oratore, dalla
frase tornita, grammaticalmente perfetta, detta con voce centrale, robusta; e,
quello che non guasta, aveva un personale alto, slanciato, con viso simpatico,
incorniciato da una grande aureola di capelli bianchi ondulati.
Accettò l'invito mio, quale Direttore dell'allora Cattedra
Ambulante dell'Agricoltura e del Colonnello Raffaele Carpentiere della Milizia
Forestale, e venne in gita a visitare i lavori di rimboschimenti del Lago
Laceno.
Pranzo all'aperto, innanzi alla suggestiva
visione dell'anfiteatro dei meravigliosi boschi montani e della impareggiabile
Conca. Io avevo procurato i vini: bottiglie di Taurasi e di Greco di Tufo.
Alla fine del pranzo Marescalchi, parlò da par suo!
Purtroppo allora non esistevano i registratori. Né alcuno aveva pensato di far
intervenire uno stenografo. Fu un discorso da esempio oratorio e letterario.
Me ne è rimasto un grandissimo e nettissimo ricordo, insieme
a poche frasi precise. Soprattutto questa che, ora, calza a proposito:
<<mettendo da parte la mia modestia, ma sotto l'usbergo del mio rasposo
carattere Piemontese, devo asserire che di vini me ne intendo, e domandando
scusa ai miei Barbera e Barolo, devo dire che il Taurasi è il loro fratello
maggiore!>>.
Negli anni '30, come già un secolo
prima, i commercianti provocano un declassamento del vino "Taurasi", che già si
fregiava della dicitura "extra", come è possibile rilevare in alcuni articoli
del "Corriere dell'Irpinia" del geom. Camuso.
Quanto riferito nei suddetti articoli giustifica il D.M. del 15/10/1941, "….. che determina i vini che debbano essere considerati di produzione pregiata ai soli fini della disciplina dei prezzi e determina i prezzi stessi", in base al quale il "Taurasi", pur figurando tra i vini pregiati, si colloca solo nella terza categoria.
Tabella
annessa al D.M. del 15/10/1941, che determinava i vini rossi che dovevano essere
considerati pregiati ai fini della disciplina dei prezzi. Carta dei vini
D.O.C.eD.O.C.G.del 1995
Categoria extra
Barolo D.O.C.G.
Barbaresco
D.O.C.G.
S. Maddalena -----------
I categoria
Gattinara D.O.C.G.
Carena D.O.C.
Grignolino D.O.C.
Valtellina Superiore D.O.C.
Pollino
D.O.C.
S. Giustina -----------
Cabernet delle Venezie -----------
Chianti classico D.O.C.G.
Brunello di
Montalcino D.O.C.G.
Vin nobile di Montepulciano
D.O.C.G.
II categoria
Barbera
piemontese D.O.C.
Nebiolo D.O.C.
Fraiese D.O.C.
Bonarda D.O.C.
Valpolicella D.O.C.
Valpantena
D.O.C.
Bardolino ----------
Castelli Romani D.O.C.
Chianti
D.O.C.
Falerno D.O.C.
Faro rosso
D.O.C.
Etna rosso D.O.C.
Eloro
rosso D.O.C.
III categoria
Dolcetto piemontese D.O.C.
Colli
d'oltre Po Pavese -----------
Toroldevo di Mezzolombardo
-----------
Maranese di collina -----------
Colli Veronesi altre zone ----------
Marzenino delle Venezie ----------
Montecarlo rosso ---------
Lambrusco
di Sorbara D.O.C.
Cesanese di Piglio D.O.C.
Montepulciano d'Abruzzo D.O.C.
TAURASI D.O.C.G.
Vesuvio rosso
D.O.C.
Capri rosso D.O.C.
Ischia
D.O.C.
Castel del Monte D.O.C.
Legenda
D.O.C.G.: denominazione di origine controllata e
garantita.
D.O.C. : denominazione di origine controllata.
---------: non rientrano nelle prime due categorie.
LA MADONNA DELL'UVA (Quadro di P. Mignardi)
Altri articoli di giornali che parlano della festa dell'uva, di un corso di viticoltura e del "Taurasi".
Tabella
della variazione di prezzo (in £) al quintale dell'uva e del vino dal 1925 al
1950.
Tali dati sono stati tratti da registri di alcuni
commercianti e dai brogliacci della famiglia di Palermo Marciano.
Anno #
Uva # Vino
1925 # 84 - 90 # ?-?
1927 # 100 - 104 # 155 - 180
1928 #
100 - 103 # ?-?
1932 # ?-? # 50 - 53
1934 # ?-? # 104
1937 # ?-? # 65
1938 # 51 - 63 # ?-?
1939 # 41 - 55 #
110
1941 # ?-? # 240* - 323**
1947
# ?-? # 7800
1948 # ?-? # 7000
1949 # ?-? # 5500 - 6600
1950 # ?-? #
5150
*
Prezzo calmierato con D.L. del 15/10/1941.
** Prezzo
praticato in data antecedente al Decreto.
Già
nell'alto Medioevo il centro storico di Taurasi comincia ad assumere una
strutturazione urbanistica ben precisa che equivale presso a poco
all'attuale.
Ancora oggi le abitazioni del centro storico
conservano la cantina nella forma originale, per la cui costruzione si rimanda
allo studio dell'architetto Iannuzzi Gaetano, come riportato di seguito:
"La cantina taurasina nasce con l'abitazione. La natura del
sottosuolo consentiva di edificare direttamente sulla roccia senza necessità di
fondazioni, essendo essa affiorante in molti punti del promontorio. Eliminato il
cappellaccio superficiale, la natura particolare degli strati rocciosi
consentiva di asportare il materiale lapideo per poi utilizzarlo per le
strutture in elevazione. Gli strati di roccia calcarea corrono con andamento
inclinato compreso tra i 30° e i 45° circa in direzione sud-est nord-ovest.
Frequentemente si riscontra la presenza di materiale incoerente tra uno strato e
l'altro di roccia. Da ricerche effettuate e da semplici deduzioni ci è possibile
stabilire quale fosse il metodo costruttivo in uso per la realizzazione delle
cantine nella roccia nel C.A. Prima fase era quella dell'asportazione del
materiale incoerente in modo da creare un vuoto tra uno strato e l'altro di
roccia favorendo un indebolimento della base rocciosa e la conseguente rottura
della stessa con successiva asportazione del materiale cavato. L'invaso roccioso
veniva coperto utilizzando due tipologie costruttive: una che impiegava la volta
a botte, l'altra utilizzando il sistema con volta a crociera. La prima tipologia
veniva usata là dove le pareti rocciose si presentavano uniformi e pressoché
regolari. Mentre la seconda tipologia richiedeva la creazione di pilastri in
muratura per sopperire all'irregolarità e talvolta mancanza di spalle rocciose
in determinati punti. L'accesso mediante botole era favorito da scale ricavate
nella roccia stessa o talvolta poggianti su volte in muratura, una piccola
apertura consente l'aerazione o dal lato strada o dalla parte della strettoia
(sentina)".
L'esigenza di una cantina al passo con i
tempi moderni indusse il Consorzio per la viticoltura di Avellino nel 1932 a
comprare in Taurasi un terreno dell'estensione di 8000 m2, come si legge nella
voce N.66 del 19-03-1947. La costruzione di un enopolio aveva lo scopo di
valorizzare il prodotto e di apportare beneficio all'economia locale.Tale
iniziativa, però, restò imbrigliata nelle maglie della burocrazia. Ciò
nonostante, la speranza restò viva nei Taurasini; infatti, nel 1934 il Corriere
dell'Irpinia, su sollecitazione dell'allora podestà, scrisse della costruzione
di un laboratorio per la produzione del vino tipico locale.
Tale progetto fu ripreso dal dottor Gramignani
dell'Ispettorato Agrario di Avellino nel 1947, ma fu bocciato dalla Consulta. Il
motivo della bocciatura è spiegato dall'articolo di giornale riportato a fine
capitolo.
Bisognerà aspettare il 1959 per assistere alla
nascita della prima cantina sociale, di cui si allega fotocopia della bolletta
"provvisoria" n. 1
La
prima cantina aveva una capacità di circa 7.000 ettolitri e attrezzature
moderne: una pigiatrice, una diraspatrice della capacità lavorativa di 160 q.
all'ora, un locale per l'invecchiamento per oltre 500 quintali di vino, due
torchi idraulici, sistemi di motopompe per travasi, un'imbottigliatrice
automatica, un laboratorio, ecc…, organizzati secondo un criterio di completa
razionalità e funzionalità per quell'epoca.
Tale Cantina
Sociale sorse in un momento molto importante per l'ampliamento della viticoltura
nella provincia di Avellino, soprattutto in considerazione del fatto che in quel
periodo, in provincia, vi erano solo due vere e proprie cantine: quella
dell'Istituto Tecnico Agrario specializzato in viticoltura ed enologia e
l'Azienda Di Marzio di Tufo.
Cantina caratteristica
dell'Alto Medioevo con volta a botte su parete rocciosa.
L'attività della Cantina Sociale mirava soprattutto a dare
ai produttori nuovi indirizzi colturali e ad abituarli ad una produzione
collettiva, sconosciuta fino a quel momento, che garantisse la qualità costante
del vino "TAURASI" e la sua genuinità ad un prezzo concorrenziale. Purtroppo fu
chiusa dopo pochi anni perché, nonostante gli sforzi fatti, i produttori locali
rimasero legati alla produzione familiare e non acquisirono lo spirito
cooperativistico alla base di tale iniziativa.
Al suo
posto dal 1990 esiste un parco giochi.
Ex cantina sociale su viale F. Tedesco, già via Mirabella,
esterno.
Nel
1972 è stata aperta una seconda Cantina Sociale che si trova a circa due
chilometri dal paese. Essa è formata da due caseggiati: uno per l'Enopolio e uno
più piccolo per gli uffici.
L'enopolio è dotato di
attrezzature moderne: il bilico per pesare l'uva, due pigiatrici, una per le uve
bianche e una per le uve nere, una diraspatrice e la catena volante per il
trasporto del mosto nello stabilimento. Nell'Enopolio vi sono, poi, 79 vasche in
cemento, a due livelli, per una capacità complessiva di 20.000 q., alcune usate
per la fermentazione ed altre per la conservazione del vino.
Le vasche adibite alla fermentazione possono essere usate
anche per la conservazione del vino. Vi sono quattro torchi a vite senza fine e
un laboratorio chimico. Nel sotterraneo vi sono 36 botti di rovere (da hl. 20,
hl.40 e hl.80) per l'invecchiamento del vino D.O.C., per una capacità di 2080
quintali. Vi sono inoltre silos per la refrigerazione, la sterilizzazione e la
pastorizzazione del vino ed infine
Ex cantina sociale su viale F. Tedesco, già via Mirabella,
interno.
una
catena di imbottigliamento. L'ultima annata di lavorazione dell'Enopolio è stata
quella del 1979. La cantina sociale è stata chiusa nel 1980 per motivi simili a
quelli che causarono la chiusura della prima: scarso senso della cooperazione,
poco spirito di sacrificio dei soci, oneri troppo alti per la conduzione di una
cooperativa relativamente giovane.
Attualmente, già dal
1996, è gestita da una cooperativa con 152 iscritti.
I "VINARELLI" DI CAGGIANO
Gaetano
Marciano Caggiano nacque a Taurasi il 2/06/1921. Già nella prima giovinezza si
distingueva tra i coetanei per bontà e dedizione agli studi e amore verso la
famiglia. Giovanissimo iniziò la carriera di maestro nella Scuola Elementare.
Dal 1948 prestò servizio ininterrottamente nella Scuola di Taurasi per 20 anni.
Nell'anno scolastico 1968/69 si trasferì a Napoli dove restò in servizio fino al
1974 anno della sua morte.
All'attività di maestro
aggiunse, in Taurasi, quella di dirigente del Centro di lettura dal 1957 al
1965; fu anche presidente dell'Azione Cattolica e amministratore comunale,
ricoprendo la carica di Vice-Sindaco e distinguendosi quale sostenitore ed
innovatore delle tradizioni locali.
Nel 1970 fu
coadiuvatore-organizzatore del Congresso Nazionale per la Lotta contro la
Distrofia Muscolare.
Ideò, organizzò e sostenne la mostra
di pittura estemporanea "Taurasi terra del vino", la mostra di pittura
estemporanea di "Paternopoli" e la mostra di pittura internazionale di
"Sant'Agnello" (Sorrento).
Gaetano Caggiano, amato e
rispettato da tutti quelli che ebbero fortuna di conoscerlo in vita, per la sua
bontà, l'assiduo impegno in tutti i campi sociali, la scrupolosità
professionale, la competenza e l'entusiasmo nella sua opera di educatore e di
artista, raggiunse la notorietà nazionale grazie alle sue doti pittoriche.
Chiara testimonianza di questo sono i vari premi vinti, tra i tanti ricordiamo
la medaglia d'oro vinta nel 1974 alla collettiva di pittura sul tema "Scuola
mia" allestita presso il Provveditorato agli Studi di Napoli e il Circolo
Artistico in via Passina a Napoli, a lui intitolato. La sua pittura riscosse
successo per la naturalezza dei soggetti e per la sua morbidezza. Una novità
assoluta per l'arte di Caggiano è rappresentata dai "vinarelli", cioè dalle
numerose opere dipinte con il solo vino di Taurasi, già noto per la sua bontà,
ma che l'artista rese due volte famoso con le sue opere. La tecnica dei
vinarelli è decisamente nuova ed originale, infatti, essi sono cosi chiamati
perchè eseguiti con solo vino e opportuni fissanti. Essi sono il risultato di
anni di prova e di esperienze. Il Caggiano è l'unico a cimentarsi in questa
tecnica e bisogna riconoscere con risultati molto lusinghieri. Le composizioni
presentano varie intensità, diverse intonazioni. La raffigurazione di un tema è
basato sull'uso razionale di un certo tipo di vino caratte-
rizzato dall'annata, dalla gradazione e dai vari componenti.
Macchie dense, approfondite, lievi e sfumate a seconda della raffigurazione
risaltano su una matrice viola in tutte le sue gamme, ottenute dal bagno finale
cui vengono sottoposte. In alcune si osservano rigagnoli violacei che con le
loro volute danno quasi vita a personaggi, campagne ed aspetti vari della
natura. Sono vinarelli che "danno alla testa" perchè incidono profondamente
nell'animo dell'osservatore con la loro armonia e si distinguono per il loro
effetto decorativo. I fissativi aggiunti danno corpo e resistenza all'opera che,
col tempo, acquista tinte morbide e vellutate. Insomma è proprio un genere nuovo
e genuino, come deve essere obbligatoriamente il vino adoperato dal pittore.
LA NATIVITÀ (Vinarello di G. Caggiano)
BIASIOL
(1970): "Vino borbonico... dal sapore pieno e completo, di grande carattere".
HUGH JOHNSON (1971): "Thè strog dark monarch of the
Aglianico Family".
DESANA (1972): "Questo vino vanta
oggi un'invidiabile pubblicistica, perché è stato oggetto di un'approfondita
ricerca da parte di numerosi esperti del settore ... è indubbio che il vino
Taurasi può figurare alla pari con i vini di gran fama".
VERONELLI (1974): "All'assaggio mi esalto; per il colore
rosso rubino cui l'età ha dato vivida unghia ambrata; per il profumo caldo in
cui si sottolinea la marasca e la viola e lieve sentore di spezie; per il sapore
pieno, completo, autoritario; per il nerbo fitto e saldo; per la stoffa piena ed
elegante".
DALLAS (1974): "Accetta 10 anni in bottiglia
con facilità e con ottimi risultati. Un vino degno di essere ricercato".
F. CAMPANELLO (1976): "Ogni bottiglia è un francobollo raro,
il cui valore può salire alle stelle".
F. CAMPANELLO:
("LA BUONA ITALIA", RIZZOLI, MILANO 1977) "... Il Taurasi, altro vino "celeste",
ma rosso…... . Sembra di bere il più elegante dei vini piemontesi con una
delicatezza di sapore e di profumo sicuramente rari tra i vini del meridione.
RAVEGNANI (1980): "Ha una straordinaria caratteristica:
quella della longevità. Infatti, può invecchiare anche 20 o 30 anni in continua
ascesa... ".
MACHAMER(1980): "E' ricco e possiede un
aroma che rammenta le marasche; invecchia straordinariamente bene".
FINKEL (1981): "Superbo vino che migliora profondamente con
un prolungato invecchiamento... . Vino scioccante.... sembra vi sia qualcosa in
questo vino, per ora ignorato, che più l'invecchiamento è lungo più abbia
bisogno di respirare, raggiungendo il meglio dopo diverse ore".
GERS (1981): "Ha la sottigliezza e la delicatezza di un
Margaux e l'eleganza di un Brunelle... E' meraviglioso, oltre ogni elogio".
FINKEL (1982): "II Taurasi del 1968 è un gigante: dopo 14
anni di invecchiamento è ancora un adolescente..... Deve essere nato in una
straordinaria estate".
PRESTISIMONE:
(GIORNALISTA-SPORTSUD 14-9-1982) "II calcio, da queste nostre parti (AVELLINO)
rappresenta un'orgogliosa alzata di testa,…… visto che non abbiamo coscienza
nemmeno di un vino, il Taurasi, campione del mondo a New York sei mesi fa".
WOSCHEK (1983): "…. aroma che rammenta le ciliegie visciole
e le violette e un gusto pieno, forte e armoniosamente asciutto, che lascia in
bocca alla fine un aroma di bacche di bosco.... si può tranquillamente
accomunare ai grandi Burgunder e bordeaux".
MISTRETTA
(1984): "Una delle perle più smaglianti della nostra enologia.... E' tra i vini
più longevi d'Europa".
SUCKLLNG (l984): "Vino vigoroso,
vellutato, speziato, di violette... incluso nella pockef guida to the greatest
wine lists in America"
TAYLOR (1984): "Al pari di tutti i
grandi vini, più si odora più si è entusiasti. L'aroma evidenzia nettamente
quello delle marasche; .... il sapore persistente si dissolve in un grande
profumo di tabacco che permane per diversi minuti. Un vino impeccabile....".
HAZAN (l984): "Italien Wines". "Se il Taurasi fosse prodotto
a 40 miglia dalle Alpi, anziché a 40 miglia dal Vesuvio, verrebbe riconosciuto
universalmente come uno dei cinque o sei più prestigiosi vini italiani".
VERONELLI (1998): (Sapori di Fattoria, Pag.1, Internet) "II
Taurasi mi appassiona molto".
Rinde a
la 'otta piccola ce stace lo vino 'bbuono
LE PICCOLE COSE
SPESSO VALGONO DI PIÙ
Taurase,
ogne veppeta 'nu vaso
PER INDICARE LA BONTÀ DEL VINO DI
TAURASI
Chi vace a la cantina e
nun bbeve è 'cchiu fesso re chi lo crere
CHI VA IN
CANTINA VA PER BERE
Lo vino
'bbuono se venne senza frasca
QUANDO UNA MERCE È BUONA
NON HA BISOGNO DI ESSERE RECLAMIZZATA ED ESPOSTA
La carne fa carne, lo vino fa sanghe e la fatia face iettà
lo sanghe
ALIMENTAZIONE SANA E LAVORO MODERATO
Catarro: vino co 'lo carro
QUANDO SI È RAFFREDDATI È CONSIGLIABILE BERE MOLTO
A san martino accire lo purco e
'ngigne lo vino
A NOVEMBRE VINO NUOVO E CREDENZA PIENA
Chi zappa veve acqua e chi puta veve
vino
NON SEMPRE SI RICEVE SECONDO I PROPRI MERITI
"A
Taurasi"
Che brava gente tene 'stu paese:
bbona, gentile, affabile, curtese.
Se sente assieme all'aria 'mbarazzata
'na voce amica quase 'nnammurata.
Cca' tutto è bello, tutto è cchino 'e luce
tutto è 'nu quadro; è 'na canzone doce
ca trase dint' 'o core 'e chi ce vene
e 'o vino mette 'o ffuoco dint' 'e vvene.
'O verde, 'o sole e tanta brava gente
simpatica, ospitale ed accogliente,
me fanno di c' 'o core ca a Taurase
i' mme' mangiasse tutte quante 'e vase
Giuseppe Del Vecchio
"L'enopolio"
Esulta
di opimi tralci
coronato
il vecchio Bacco
nella nuova casa:
il celebre enopolio
della storica
Taurasi
che dal terreno aprico
e
fermeginoso
vino stilla purissimo
e gioioso
che il Taurasi dona
e beve
sente un'estasi
che aleggia dal sottile
tepore
di orabica sera.
Pasquale
Martiniello
"TAURASI TERRA DEL VINO"
Sulle rive
del nostro bel Calore
si stilla un balsamo, dolce liquore
chi l'assaggia grida: Evviva, Osanna!
Ecco dell'anima una dolce manna!
Bevetelo a grandi sorsi, a profusione
vuotate pur bottiglie e bottiglione,
vi da allegria, vi fa obliare tutto
quello che c'è nel cuore di triste e brutto.
Vi dico che è un tesoro se è genuino
questo liquore dolce taurasino,
che
medicamentoso, e sopraffino
e che d'Italia è il Re del
vino.
E quando lievemente scende al cuore
levando e spazzando ogni dolore,
accende gli occhi e come caldo raggio
in ogni cuore fa sbocciar maggio
Michelangelo de Angelis
Media "Teobaldo Caggiano"
La Scuola,
ricevuta in udienza dal Santo Padre, in occasione del Premio Nazionale della
Bontà "Ignazio Salvo" attribuito all'alunna Luana Santosuosso offre con profonda
riconoscenza il prodotto più nobile della sua terra.
RICONOSCIMENTI DEL "TAURASI"
1934 A. Jannaccone nel 1934 nella
relazione "I vini dell'avellinese" - a fini dell'applicazione della legge sui
vini tipici del 10/07/1930 - descrisse il Taurasi, il Fiano, il Greco e il
Partendo.
1941 Il D.M. del 15/10/1941 - determinazione dei vini di
produzione "pregiata" ai fini della disciplina dei prezzi - comprendeva tre vini
irpini: il Taurasi, il Fiano e il Greco.
1970 IL D.P.R. del 26/03/1970 - con
decorrenza 01/09/1970 - riconosce la denominazione di origine controllata - DOC
- al "Taurasi" ed approva il relativo disciplinare di produzione.
1993 Il D.M.
dell'11/03/1993 riconosce la denominazione di origine controllata e garantita -
DOCG - al "Taurasi".
MICHELE CARLUCCI *
<<Il Prof. Michele Carlucci uno dei più grandi Maestri
della Vitivinicultura Italiana e mondiale fu l'ampelografo che fornì la più
precisa descrizione del vitigno "Aglianico". Egli nacque nella vicina Ruoti (PZ)
1'8 novembre 1856 e, dedicatesi agli studi agrari, si laureava giovanissimo in
Scienze Agrarie a Portici nel 1878. Portato per gli studi egli scelse la
carriera scientifica, iniziando con l'assistentato presso la Cattedra di
Botanica e Patologia Vegetale di Portici, avendo per Maestro l'illustre
scienziato Orazio Comes. Fu un inizio felicissimo che lo introdusse tra i
maggiori scienziati interessati al campo agrario. E si distinse tanto, da essere
prescelto tra i giovani studiosi per un viaggio di studio in Italia, a
Conegliano, ed all'estero, in Germania, al fine di acquisire quelle notizie ed
esperienze sugli ordinamenti delle Scuole Agrarie, in vista di far sorgere nel
Mezzogiorno una Scuola di Viticoltura ed Enologia sull'esempio di quella di
Conegliano Veneto. E difatti, nel 1880 tenne a battesimo l'istituzione della
Scuola di Viticoltura e di Enologia di Avellino. [ …. ]
Per suo esclusivo merito la Scuola Enologica di Avellino
raggiunse nella fama le altre di più antiche e rinomate tradizioni, contribuendo
a creare una numerosa schiera di discepoli italiani e stranieri che hanno tenuto
alto il nome della Scuola con il loro apporto scientifico e tecnico nel campo
della viniviticoltura italiana e mondiale. Nel 1911, dopo più di 30 anni di
direzione della Scuola_di Avellino, appunto per le benemerenze acquisite, egli
fu chiamato ad altri più importanti compiti nazionali ed internazionali.
L'allora Ministero dell'Agricoltura lo nominò Ispettore Generale della
Viticoltura e delle Malattie delle Piante, carica importantissima per quei
tempi, alla quale si aggiunse quella di Commissario per i Consorzi
Antifìllosserici. Non espletò soltanto queste funzioni ma partecipò alla
stipulazione di numerosi ed impegnativi Trattati Commerciali con altri Paesi,
mettendosi in evidenza per le Sue particolari doti di competenza e di
negoziatore, guadagnandosi la fiducia e la stima dei componenti le Commissioni
Internazionali. Anche nel periodo bellico, quello della prima guerra mondiale,
si rese grandemente utile alla Patria in armi, quale Alto Consulente del
Ministero della Guerra per il rifornimento delle bevande vinose alle Truppe
mobilitate. La sua preparazione scientifica, la sua vasta cultura furono gli
elementi che gli propiziarono la dignità
dell'insegnamento universitario e nel 1926 gli fu affidato,
a Portici, il corso di Enologia, che mantenne fino al 1929, anno in cui si
ritirò a vita privata, per continuare a pubblicare memorie di carattere
vitivinicolo.
La sua vita terminò nel 1951, alla
veneranda età di 95 anni, e durante la sua lunga giornata di studioso pubblicò a
centinaia, su riviste e giornali, scritti ammirevoli per la profondità degli
argomenti trattati, a cui faceva riscontro la semplicità e la scorrevolezza
dell'esposizione. [ …. ]
Di lui così scrisse il
Dalmasso.
"Un saggio veramente
prezioso della Sua vasta cultura e della sua scrupolosità di studioso Egli ce
l'ha dato con la descrizione di vitigni della Campania da lui dettate per la
grande Ampelographie di Viala e Vermorel. Per ogni vitigno il Carlucci ha
composto una vera monografia completa, esauriente, definitiva, autentici modelli
del genere per la frettolosa e superficiale generazione dei nostri tempi, e di
cui quella sull'Aglianico rappresenta un'opera monumentale". [ …. ]
"Solo chi ebbe la ventura di
conoscerlo e di praticarlo può sapere quali tesori di nobiltà e di bontà
albergassero nella Sua anima luminosa; quali ricchezze racchiudesse dietro la
semplicità dei Suoi modi e della Sua parola, la Sua mente elettissima". [ …. ]
>>.
* Tratto dall'opera
"Michele Carlucci - Maestro di Viticoltura e Enologia", a cura di DOMENICO
MICHELE CARLUCCI, LUIGI CARLUCCI, GIACINTO DONNO, GERARDO SALINARDI. Ed.
Parenti, Firenze, 1980.