9 aprile 2001

I cittadini della nostra Repubblica non possono restare indifferenti di fronte allo spettacolo, non definibile altrimenti che agghiacciante, della scelta dei candidati per le ormai imminenti elezioni politiche (e dei collegi nei quali collocarli)...

Identità Europea non è un movimento politico, ma i suoi membri sono cittadini della nostra Repubblica e, come tali, non possono restare indifferenti di fronte allo spettacolo, non definibile altrimenti che agghiacciante, della scelta dei candidati per le ormai imminenti elezioni politiche (e dei collegi nei quali collocarli).

In realtà la rissa da pollaio è stata talmente vergognosa che perfino i massimi esponenti dei raggruppamenti in lizza, ed in particolare dei due maggiori, l'Ulivo e la Casa della libertà, hanno avvertito la necessità di scusarsi di fronte agli elettori, scaricando la responsabilità dell'accaduto sulle imperfezioni della legge elettorale e promettendone sollecite e adeguate modificazioni.

Il guaio è che, da quanto si è sentito, le modificazioni saranno forse sollecite (ma è lecito dubitarne), ma certamente non adeguate.

In realtà il difetto sta nel manico, cioè nell'attuale legge elettorale maggioritaria a collegio uninominale, che tendenzialmente (ma in pratica la tendenza ha riscontro nella realtà, dal momento che i candidati dei gruppi minori non hanno possibilità di affermazione, salvo che accondiscendano a turpi accordi sottobanco) restringe in ogni collegio la disfida a due soli candidati, sicché ogni gruppo, polo, alleanza, società o cartello elettorale deve effettuare previamente la scelta del campione da gettare nell'arena, alla quale resta inevitabilmente estraneo il popolo detentore di una nominale sovranità, così ristretta a ben poco: il potere di attribuire all'uno o all'altro la palma della vittoria (in parole povere, il seggio parlamentare).

Potere tanto più residuale per il fatto che nella maggioranza dei casi la scelta è fra due sconosciuti, dei quali i cittadini elettori sanno soltanto che sono stati designati (quasi sempre dopo faticosi compromessi) da un rissoso comitato di oligarchi, sicché l'unico merito che possono vantare (sempre che in corso d'opera non rivelino tendenze transgeniche) è quello dei polli doc: una più o meno garantita appartenenza allo schieramento politico nei confronti del quale il cittadino elettore nutre qualche simpatia ovvero (forse più spesso) minore avversione.

Per fare un caso concreto, se sono esatte le anticipazioni giornalistiche nel mio collegio i due principali contendenti saranno un mastelliano e un socialista di osservanza craxiana. Dal momento che sono stati paracadutati entrambi da altre regioni e che i due partiti di appartenenza hanno in questa città scarso seguito (l'Udeur addirittura nessuno) il voto mio e, tranne scarse eccezioni, dei concittadini sarà determinato da fattori negativi: il maggiore o minore grado di sfiducia nei confronti dell'attuale governo di centro-sinistra o del vecchio partito socialista, rimasto legato nell'immaginario collettivo (poco importa se a torto o a ragione) agli scenari di Tangentopoli.

Ovviamente il ragionamento è ribaltabile per chi sceglie di "pensare positivo", ma con tutto l'ottimismo del mondo è evidente che nei confronti di due illustri sconosciuti la scelta "positiva" dipenderà esclusivamente dalle idee politico partitiche, cioè dalla fiducia che si nutre, per ragionamento, benefici ricevuti o condizionamenti psicologici, per l'insegna sotto la quale ciascuno dei due campioni milita. Ma allora, essendo questo tipo di scelta proprio del sistema proporzionale, che però affida all'elettore anche l'ulteriore scelta, nell'ambito di un nutrito elenco di personaggi, molti dei quali noti nel bene e nel male, non si vede perché lo si sia abbandonato a favore di un maggioritario a collegio uninominale, che riduce a termini quasi di beffa la sovranità popolare.

Qualcuno propone il correttivo della scelta dei candidati attraverso "primarie" obbligatorie per legge, ma si tratta di un meccanismo non solo difficile da far funzionare, ma suscettibile di arrecare danni perfino maggiori per l'impossibilità di garantire che il risultato non venga influenzato dalla partecipazione alle "primarie" di elettori favorevoli all'opposta parte politica (qualcosa di simile accadde in Francia, con esiti disastrosi per inevitabile crisi di fiducia, alla fine del XVIII secolo, quando si pretese di fare eleggere parroci e vescovi dai cittadini, inclusi non-cattolici, atei e miscredenti vari).

Unico vero rimedio il ritorno al sistema proporzionale, che, a scanso di ulteriori guai, sarebbe opportuno costituzionalizzare, soprattutto se si provvederà finalmente al varo di un'assemblea costituente, incaricata di riscrivere una Costituzione che reca la data del 1948, ma le cui origini politico e culturali risalgono, nel migliore dei casi, agli inizi dello scorso secolo.

Nell'attesa di questo ritorno, occorre (purtroppo) dare ragione all'amara constatazione dell'on. Bertinotti: viviamo in regime oligarchico.

La democrazia è sospesa.

 

 




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