16 ottobre 2001

Naipaul è senza dubbio un autore alto, ma il Nobel a lui assegnato appare naturalmetne correlato agli eventi politici che corrono.

A parte anche l'infortunio con Dario Fo, le giurie del premio Nobel non hanno mai avuto molta fortuna (o capacità di gusto e discernimento), a differenza di quanto avviene per solito nell'ambito scientifico nell'individuare i vincitori nel campo letterario sicché nell'elenco de veri "immortali" gli scrittori e poeti che mai furono ritenuti degni di riceverlo sovrastano di gran lunga, in numero e qualità, quelli insigniti.

Tuttavia fino ad alcuni anni fa, senza escludere del tutto l'influenza di qualche considerazione politica (soprattutto in termini di equilibri territoriali), le scelte destinate a rivelarsi non propriamente azzeccate andavano comunque attribuite ad errori di gusto o ad eccessiva soggezione alle mode letterarie imperanti.

Da ultimo invece le scelte sembrano prescindere volutamente da ogni valutazione artistica-letteraria per privilegiare motivazioni diverse, certamente variabili nel tempo, ma comunque all'insegna della "politically correctness" del momento

Intendiamoci. Se paragonato a Dario Fo o anche, già parecchi gradini più su, a Salman Rushdie, l'ultimo premiato, Vidiahar Surajprasad Naipaul,è un gigante. Ciò non toglie che abbia ragione il nostro Ferdinando Camon a commentare: "Naipaul è senza dubbio un autore alto, ma il Nobel a lui assegnato appare naturalmetne correlato agli eventi politici che corrono.

Questa scelta mi conferma l'impressione che anche il Nobel, premio dei premi, va a rimorchio della storia e della politica". Sul piano più strettamente letterario pienamente meritevole di condivisione anche il giudizio del poeta Mario Luzi, che, oltre tutto, abbassa di qualche grado la "altezza" del premiato: "Ho letto qualch pagina di Naipaul e mi 'è sembrato uno scrittore di un certo livello, u narratore abbastanza fluido e immaginoso. Penso che lui sia uno scrittor meritevole del Nobel. Ma è anche vero che il livello che oggi ha il Nobel rende meritevole il 60 per cento di chi ha la penna in mano" (con un po di cattiveria, ci si potrebbe chiedere cosa e come mai scrive il residu 40% se non raggiunge nemmeno il livello di un 60% di cui fa parte di pieno diritto anche il nostro Dario Fo).

Scelta ispirata alla politica, quindi, e della peggiore, perché in questo caso la "politically correctness" coincide interamente con gli umor e le decisioni della più grande, e ormai unica, potenza mondiale: gli Stati Uniti d'America, all'insegna, quindi, dell'attaccare il cavallo dove vuole il padrone. Anche i più sprovveduti si rendono, difatti, conto che Naipaul non è stato affatto premiato per i suoi romanzi e racconti degli anni Cinquanta, ma per i suoi saggi o reportages di viaggio (a seconda di come li si vuole classificare), nei quali esprime un giudizio totalmente negativo su tutti i paesi del cosiddetto Terzo Mondo, inclusa l'India suo paese d'origine, ma in particolare sull'universo mussulmano e sui suoi abitatori.

Come se non bastasse Naipaul appartiene in tutto e per tutto, tranne che per l'accidente della nascita, al mondo e alla cultura anglofona, cioè a quel mondo che, al di là delle coalizioni di facciata, pur se diplomaticamente e politicamente di grande rilievo, messe insieme dal presidente Bush, è l'unico direttamente impegnato sul campo nella guerra contro l'Afganistan, almeno per il momento unico atto realizzato del più vasto conflitto contro il terrorismo internazionale, che molti (e forse, a giudicare da quanto scrive, Naipaul è fra questi) intendono (a seconda dei casi, con soddisfazione o con sdegno) come lo scontro dell'Occidente con l'Islam.

Per chi avesse bisogno di conferme, queste sono venute con l'attribuzione del Nobel per la pace all'ONU e al suo segretario Kofi Annan, anche se di per sé meno significative, dato che questo premio, conferito anche a noti terroristi più o meno pentiti (a volte assi meno che più), è sempre stato assegnato in base a considerazioni squisitamente politiche.

In certo senso si tratta di un premio di consolazione per i moloti schiaffi ricevuti, perché, se è vero che il nome dell'ONU viene da tutti invocato a copertura delle proprie decisioni, mai la sua influenza effettiva sul mondo è stata così bassa e la sua importanza screditata (basti pensare a quanto è avvenuto recentissimamente a Durban in occasione della conferenza sul razzismo o alle polemiche circa la destinazione della massima parte delle risorse economiche alle spese di rappresentanza e del personale) col suo ruolo trasformato in quello del notaio chiamato ad apporre il visto su decisioni prese in tutt'altre sedi (Casa Bianca, Pentagono, Nato e perfino comunità europea), oltre tutto con la piena consapevolezza che qualora saltasse l'uzzolo di rifiutarlo, se ne farebb tranquillamente a meno.

Del resto anche chi, per dovere d'ufficio o di schieramento politico, ha dovuto esprimersi a favore di questo conferimento, è stato costretto a richiamarsi non ai risultati, che non ci sono (difatti siamo in guerra), ma alle buone intenzioni o addirittura all'esigenza che una volta o l'altra le Nazioni Unite sappiano trasformarsi da organismo elefantiaco, spendaccione e parolaio (e in alcuni casi, come quello del sostegno, diretto e indirertto, alle campagne abortiste, addirittura dannoso)

Anche per questo sarebbe stato opportuno seguire il consiglio di Elena Bonner Sacharova, che suggeriva di non assegnare il premio, perché"il Nobel dovrebbe ricompensare i risultati, non i desideri. E in questo momento la pace non c'è".

 

 




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