Non appena si scorre il testo basta un minimo di infarinatura giuridica per rendersi conto della pericolosità di una normativa che si trova in radicale contrasto con irrinunciabili principi fondamentali della nostra Costituzione...

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Il mandato di cattura europeo

Confesso che, come la maggior parte dei cittadini italiani, ma più colpevolmente di loro per il mestiere che faccio (e tuttavia meno colpevolmente di quei politici che ne invocano a gran voce l’applicazione e criticano il governo per le sue esitazioni), non avevo prestato la minima attenzione, finché non sono stato messo sull’avviso da un collega al quale mi uniscono anche stretti legami di parentela e di affetto, alla decisione-quadro adottata dal Consiglio dell’Ue sul mandato di arresto europeo. Tuttavia non appena si scorre il testo basta un minimo di infarinatura giuridica per rendersi conto della pericolosità di una normativa che sembra scritta per appagare i sogni di onnipotenza dell’aspirante giudice universale Balthazar Garzon e che comunque, al di là della battuta, si trova in radicale contrasto con irrinunciabili principi fondamentali della nostra Costituzione

Come si legge nelle considerazioni introduttive (paragrafo 5), è opinione del Consiglio dell’Unione che l’obiettivo di fare dell’Unione “uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia” comporti la soppressione dell’estradizione fra gli Stati membri e la sua sostituzione con un “sistema di consegna tra autorità giudiziarie”, che consenta di eliminare la complessità e i potenziali ritardi comportati dalla “consegna delle persone al fine di sottoporle all’azione penale e all’esecuzione delle sentenze di condanna”, permettendo la libera circolazione delle decisioni giudiziarie penali sia definitive, sia antecedenti alla sentenza (fuori luogo e quasi beffardo il richiamo alla libera circolazione dato che le decisioni circolano sì liberamente, ma le persone invece in vinculis ).

In realtà il nuovo sistema che vorrebbe creare spazi di libertà e di giustizia con un intensificato e, soprattutto, non controllato impiego delle manette, non si accorda per nulla con la Costituzione italiana a cominciare probabilmente dalla stessa soppressione dell’estradizione, da questa espressamente menzionata e che trova la sua regola base nell’art. 26, che consente l’estradizione del cittadino solo se espressamente prevista dalle convenzioni internazionali e la vieta per tutti quando si tratta di reati politici. Si potrebbe obiettare che, in fondo, la decisione del Consiglio equivale, dal più al meno, ad una convenzione internazionale. Le cose non sono però così semplici, perché non si conferisce dignità costituzionale ad una norma che abbia solo contenuto formale e possa essere aggirata con la semplice stipulazione di una convenzione quali che ne siano le regole.

Difatti, per restare al caso più evidente, nemmeno le convenzioni internazionali potrebbero superare il divieto di estradizione di chiunque, anche non cittadino, per i reati politici. Questo limite è invece completamente trascurato dal Consiglio, che include fra i fatti per i quali il mandato d’arresto europeo va automaticamente eseguito reati di natura quanto meno potenzialmente politica come non pochi dei fatti che possono essere ricompresi nella voce “terrorismo” o sotto la generica dizione di “razzismo e xenofobia”. Né varrebbe dire a titolo di giustificazione che si tratta di reati particolarmente odiosi. Per rendere possibile l’estradizione per un reato immensamente più grave quale è il genocidio si è dovuto fare ricorso ad una legge costituzionale (legge 21/6/1967 n. 1).

Ma il discorso è più ampio. Riguarda tutti i reati, politici e non politici e le stesse fondamenta del nostro sistema penale. Il legislatore ha ritenuto necessario attribuire rilievo costituzionale all’istituto dell’estradizione, perché ne sono direttamente e immediatamente coinvolti principi fondamentali evidenziati dalla Carta nell’art. 25, non per caso contiguo a quello riguardante l’estradizione. Si tratta di principi sanciti nella prima parte della Costituzione, quella che, ha detto il presidente della Repubblica, non può essere toccata, costituendo il fondamento, oltre che della nostra civiltà giuridica, della nostra democrazia. Non sarà male riportarne il testo:

“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge./Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso./Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.

Radicale ed irrimediabile la contraddizione con questi principi del mandato d’arresto europeo, in forza del quale chiunque si trova nel territorio dell’Unione può essere “estradato” (se si preferisce - ma anche la decisione quadro continua a utilizzare il termine “estradato” - arrestato e consegnato all’autorità di quello che per ora è pur sempre un altro Stato, con un diritto penale, sostanziale e processuale, a volte profondamente diverso) su richiesta di un qualsiasi giudice di qualunque Stato membro dovunque sia stato commesso il fatto addebitatogli, incluso il territorio dello Stato di cui è cittadino, e anche se il fatto stesso sia considerato perfettamente lecito dalla legge vigente nel luogo di commissione.

Disposizioni che annullano la garanzia del giudice naturale, perché, se è vero che giudice naturale è quello determinato dalla legge e che la competenza ad emettere il mandato d’arresto è attribuita a tutti i giudici europei da una legge (quella europea ed eventualmente quelle interne di ricezione), la garanzia si svuota di ogni significato se la legge individua una moltitudine di giudici naturali. Si potrebbe dire: tutti giudici naturali, nessun giudice naturale.

Ancora più devastante la violazione del secondo principio, già noto agli antichi romani, che lo traducevano nella formula, abbastanza semplice perché non importi tradurla, nullum crimen, nulla poena sine previa lege. E’ appunto in applicazione di questo principio che fino ad oggi i paesi civili si sono attenuti con rigore alla regola, cosiddetta della doppia incriminazione, che l’estradizione possa essere concessa solo se il fatto cui la richiesta si riferisce sia previsto come reato anche dalla legge dello Stato in cui si trova l’arrestato o il condannato. Ora l’art. 2 della decisione-quadro del Consiglio europeo legittima invece l’emissione del mandato d’arresto con esclusivo riferimento alla legislazione dello Stato emittente e alle pene da questo stabilite, mentre espressamente dispone che lo Stato richiesto deve, “indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato”, consegnare la persona quando questa sia sotto accusa o sia stata condannata per una delle 32 ipotesi di reato riportate nel 2 comma, formulate con una tale genericità da potere includere qualche centinaio di figure criminose (si pensi a tutte le diverse fattispecie concrete che possono essere ricomprese nella categorie “racket e estorsioni”, “riciclaggio di proventi di reato”, “criminalità informatica”, “terrorismo” ecc.).

C’è da chiedersi se di questa situazine si siano resi conto quanti, pur proclamandosi da sempre fedeli osservanti e paladini della nostra Costituzione, premono per una immediata adesione, che renda esecutivo l’arresto europeo già della data del 1° gennaio 2004, e sperare che si tratti di un eccesso di malinteso zelo europeistico.

Quanto meno, forse per accontentare la fretta che anima gli aspiranti giudici universali, si è messo il carro davanti ai buoi con una decisione che ha come proprio primo, logico presupposto l’unificazione del diritto penale sostanziale, ancora di là da venire

Nemmeno ci rassicura l’ultima parte del paragrafo 12 delle premesse, nella quale si legge: “La presente decisione quadro non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione”. Se con questo si vuol dire che l’esecuzione del mandato di arresto europeo non è poi così automatica come stabilito invece nelle norme ”precettive” della decisione-quadro e lo Stato richiesto può e deve esigere il rispetto delle “proprie” disposizioni sul giusto processo che nel nostro paese, che di recente le ha ulteriormente costituzionalizzate), includono tutti i principi appena rammentati (in prima linea il giudice naturale), non si eliminano affatto la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. In sostanza la decisione-quadro non modificherebbe, almeno per quanto riguarda l’Italia, se non nel nome, la situazione pre-esistente. Tuttavia le norme equivoche sono le più pericolose e nessuno ci garantisce che fra una “premessa” e un “precetto” non sia quest’ultimo a prevalere tanto più che meglio non contare sulla moderazione dei giudici universali. Sono in gioco valori essenziali come la libertà e la giustizia, meglio tenersi stretti senza equivoci alla Costituzione, anche per non indurre gli zeloti d’Europa nella tentazione di modificarla.

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Francesco Mario Agnoli
Il Mandato d'Arresto Europeo contro la Costituzione Italiana
ottobre 2003
 
 
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