aprile 2002

Se si vuole che gli italiani amino la Francia (e che i francesi amino l'Italia davvero e non solo perché lo dice Jospin) è necessario che entrambi i governi si adoperino per promuovere una vera conoscenza fra i due popoli, per fare in modo, per quanto ci riguarda, che gli italiani comprendano che la Francia non è fatta solo di messieurs Chauvin così come in Italia per fortuna non esistono soltanto gli intellettuali arroganti e le damazze spocchiose esibitisi al Salon.

Pare che il governo e i giornali francesi, che pure avevano non impedito il primo, promosso o, quanto meno, approvato gli altri la manifestazione antiberlusconiana, ma, di fatto, antitaliana,. dal momento che l'attuale governo è stato scelto dal popolo italiano organizzata da un gruppetto di intellettuali marxisti e di madame salottiere, rossi non soltanto di vergogna come in vece volevano far credere, in occasione dell'inaugurazione del Salone del Libro di Parigi, pare -dicevo- che i suddetti governo e giornali (in testa "Le Monde") si siano pentiti, nel timore di ripercussioni negative in Italia.
Se si tratta dei rapporti fra i governi di due paesi chiamati a far parte della comune casa europea, ben vengano il ravvedimento specie se operoso e accompagnato da autentiche scuse. Ai francesi qualche esercizio di umiltà non farà certo male.
Per quanto riguarda invece i rapporti fra i due popoli o, come forse è più esatto dire, l'atteggiamento spirituale degli italiani nei confronti della Francia e dei francesi, quanto è accaduto al Salone non ha fatto che ribadireuna situazione che si protrae, sempre identica ed immutabile, da oltre due secoli.
Gli intellettuali e le madame italiane che hanno partecipato alla contestazione non sono altro che i tardivi nipoti di quegli intellettuali, di quei ricchi borghesi, di quelle marchese e nobildonne di vario genere e specie che nel 1796 si posero volonterosamente al servizio degli invasori francesi e li aiutarono a spogliare chiese, pinacoteche, collezioni pubbliche e private di quadri, statue, incunaboli, libri, oggetti preziosi di ogni genere perché venissero caricati sui carriaggi militari con destinazione Parigi (dove in non piccola parte ancora si trovano).
Quegli intellettuali e quelle madame, che si erano autonominati "patrioti" e tuttavia applaudivano alle fucilazioni dei cosiddetti "briganti", cioè dei loro compaesani che avevano preso le armi per difendere la patria contro l'invasore e che, come proclamò uno di loro, il ravennate conte Lovatelli, a un ravveduto sostenitore dei francesi, che gli proponeva di battersi per l'indipendenza italiana, intendevano mantenere fede al giuramento di fedeltà prestato al governo francese.
Quanto agli altri, al popolo, alla gente comune, il presidente del consiglio Jospin si è affrettato a proclamare che francesi amano l'Italia. Difficile dire quanto ci sia di vero in affermazioni evidentemente dettate da considerazioni politiche e dal desiderio di rimediare agli insulti risuonati nel Salone parigino. Certo è che, viceversa, gli italiani non amano troppo la Francia. In realtà a non essere amata dalla gente semplice, dall'uomo della strada è soltanto una certa Francia, esattamente la stessa che riscuote invece tanto successo e suscita tanto amore fra gli intellettuali impegnati e le damazze con l'uzzolo della politica e della cultura. La Francia dei saccheggiatori in nome della libertà e dell'uguaglianza (nella mia terra -ma credo che esista qualcosa di simile in molte regioni italiane- si affermò e sopravvisse a lungo il detto "Liberté, fraternité, egalité, i franzés a caval e nuitar a pé), la Francia di monsieur Chauvin e dei suoi emuli, pieni di boria e di false illusioni di superiorità.
Del resto non si possono pretendere dagli italiani eccessive distinzioni dal momento che nel corso dei duecento anni da allora trascorsi gli intellettuali di cui sopra hanno sempre preteso che l'unica immagine della Francia presentata alla conoscenza e all'ammirazione fin dai banchi di scuola fosse soltanto quella che gli italiani, pur avendone dimenticate o ricordandone solo confusamente le vere ragioni, tutte sedimentate però nella memoria collettiva del popolo e nelle coscienze, sapevano di potere forse per alcuni aspetti ammirare, ma certamente non amare.
Se si vuole -e sarebbe importante che, al di là delle ipocrite affermazioni di convenienza politica, lo si volesse e lo si realizzasse da una parte come dell'altra- che gli italiani amino la Francia (e che i francesi amino l'Italia davvero e non solo perché lo dice Jospin -ma, come ho detto, sullo stato attuale dei sentimenti francesi non mi sento di pronunciarmi-) è necessario che entrambi i governi si adoperino per promuovere una vera conoscenza fra i due popoli, per fare in modo, per quanto ci riguarda, che gli italiani comprendano che la Francia non è fatta solo di messieurs Chauvin così come in Italia per fortuna non esistono soltanto gli intellettuali arroganti e le damazze spocchiose esibitisi al Salon.

 




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