Se
si
vuole
che
gli
italiani
amino
la
Francia
(e
che
i
francesi
amino
l'Italia
davvero
e
non
solo
perché
lo
dice
Jospin)
è
necessario
che
entrambi
i
governi
si
adoperino
per
promuovere
una
vera
conoscenza
fra
i
due
popoli,
per
fare
in
modo,
per
quanto
ci
riguarda,
che
gli
italiani
comprendano
che
la
Francia
non
è
fatta
solo
di
messieurs
Chauvin
così
come
in
Italia
per
fortuna
non
esistono
soltanto
gli
intellettuali
arroganti
e
le
damazze
spocchiose
esibitisi
al
Salon.
Pare
che
il
governo
e
i
giornali
francesi,
che
pure
avevano
non
impedito
il
primo,
promosso
o,
quanto
meno,
approvato
gli
altri
la
manifestazione
antiberlusconiana,
ma,
di
fatto,
antitaliana,.
dal
momento
che
l'attuale
governo
è
stato
scelto
dal
popolo
italiano
organizzata
da
un
gruppetto
di
intellettuali
marxisti
e
di
madame
salottiere,
rossi
non
soltanto
di
vergogna
come
in
vece
volevano
far
credere,
in
occasione
dell'inaugurazione
del
Salone
del
Libro
di
Parigi,
pare
-dicevo-
che
i
suddetti
governo
e
giornali
(in
testa
"Le
Monde")
si
siano
pentiti,
nel
timore
di
ripercussioni
negative
in
Italia.
Se
si
tratta
dei
rapporti
fra
i
governi
di
due
paesi
chiamati
a
far
parte
della
comune
casa
europea,
ben
vengano
il
ravvedimento
specie
se
operoso
e
accompagnato
da
autentiche
scuse.
Ai
francesi
qualche
esercizio
di
umiltà
non
farà
certo
male.
Per
quanto
riguarda
invece
i
rapporti
fra
i
due
popoli
o,
come
forse
è
più
esatto
dire,
l'atteggiamento
spirituale
degli
italiani
nei
confronti
della
Francia
e
dei
francesi,
quanto
è
accaduto
al
Salone
non
ha
fatto
che
ribadireuna
situazione
che
si
protrae,
sempre
identica
ed
immutabile,
da
oltre
due
secoli.
Gli
intellettuali
e
le
madame
italiane
che
hanno
partecipato
alla
contestazione
non
sono
altro
che
i
tardivi
nipoti
di
quegli
intellettuali,
di
quei
ricchi
borghesi,
di
quelle
marchese
e
nobildonne
di
vario
genere
e
specie
che
nel
1796
si
posero
volonterosamente
al
servizio
degli
invasori
francesi
e
li
aiutarono
a
spogliare
chiese,
pinacoteche,
collezioni
pubbliche
e
private
di
quadri,
statue,
incunaboli,
libri,
oggetti
preziosi
di
ogni
genere
perché
venissero
caricati
sui
carriaggi
militari
con
destinazione
Parigi
(dove
in
non
piccola
parte
ancora
si
trovano).
Quegli
intellettuali
e
quelle
madame,
che
si
erano
autonominati
"patrioti"
e
tuttavia
applaudivano
alle
fucilazioni
dei
cosiddetti
"briganti",
cioè
dei
loro
compaesani
che
avevano
preso
le
armi
per
difendere
la
patria
contro
l'invasore
e
che,
come
proclamò
uno
di
loro,
il
ravennate
conte
Lovatelli,
a
un
ravveduto
sostenitore
dei
francesi,
che
gli
proponeva
di
battersi
per
l'indipendenza
italiana,
intendevano
mantenere
fede
al
giuramento
di
fedeltà
prestato
al
governo
francese.
Quanto
agli
altri,
al
popolo,
alla
gente
comune,
il
presidente
del
consiglio
Jospin
si
è
affrettato
a
proclamare
che
francesi
amano
l'Italia.
Difficile
dire
quanto
ci
sia
di
vero
in
affermazioni
evidentemente
dettate
da
considerazioni
politiche
e
dal
desiderio
di
rimediare
agli
insulti
risuonati
nel
Salone
parigino.
Certo
è
che,
viceversa,
gli
italiani
non
amano
troppo
la
Francia.
In
realtà
a
non
essere
amata
dalla
gente
semplice,
dall'uomo
della
strada
è
soltanto
una
certa
Francia,
esattamente
la
stessa
che
riscuote
invece
tanto
successo
e
suscita
tanto
amore
fra
gli
intellettuali
impegnati
e
le
damazze
con
l'uzzolo
della
politica
e
della
cultura.
La
Francia
dei
saccheggiatori
in
nome
della
libertà
e
dell'uguaglianza
(nella
mia
terra
-ma
credo
che
esista
qualcosa
di
simile
in
molte
regioni
italiane-
si
affermò
e
sopravvisse
a
lungo
il
detto
"Liberté,
fraternité,
egalité,
i
franzés
a
caval
e
nuitar
a
pé),
la
Francia
di
monsieur
Chauvin
e
dei
suoi
emuli,
pieni
di
boria
e
di
false
illusioni
di
superiorità.
Del
resto
non
si
possono
pretendere
dagli
italiani
eccessive
distinzioni
dal
momento
che
nel
corso
dei
duecento
anni
da
allora
trascorsi
gli
intellettuali
di
cui
sopra
hanno
sempre
preteso
che
l'unica
immagine
della
Francia
presentata
alla
conoscenza
e
all'ammirazione
fin
dai
banchi
di
scuola
fosse
soltanto
quella
che
gli
italiani,
pur
avendone
dimenticate
o
ricordandone
solo
confusamente
le
vere
ragioni,
tutte
sedimentate
però
nella
memoria
collettiva
del
popolo
e
nelle
coscienze,
sapevano
di
potere
forse
per
alcuni
aspetti
ammirare,
ma
certamente
non
amare.
Se
si
vuole
-e
sarebbe
importante
che,
al
di
là
delle
ipocrite
affermazioni
di
convenienza
politica,
lo
si
volesse
e
lo
si
realizzasse
da
una
parte
come
dell'altra-
che
gli
italiani
amino
la
Francia
(e
che
i
francesi
amino
l'Italia
davvero
e
non
solo
perché
lo
dice
Jospin
-ma,
come
ho
detto,
sullo
stato
attuale
dei
sentimenti
francesi
non
mi
sento
di
pronunciarmi-)
è
necessario
che
entrambi
i
governi
si
adoperino
per
promuovere
una
vera
conoscenza
fra
i
due
popoli,
per
fare
in
modo,
per
quanto
ci
riguarda,
che
gli
italiani
comprendano
che
la
Francia
non
è
fatta
solo
di
messieurs
Chauvin
così
come
in
Italia
per
fortuna
non
esistono
soltanto
gli
intellettuali
arroganti
e
le
damazze
spocchiose
esibitisi
al
Salon.
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