Il
problema
dei
testi
scolastici
(soprattutto
di
storia,
ma
non
solo)
faziosi
fino
(e
oltre)
al
confine
del
vero
e
proprio
falso
esiste
ed
è
grave,
sicché
bene
si
è
fatto
a
portarlo
alla
luce,
in
modo
che
sia
possibile
adoperarsi
per
risolverlo
in
modo
corretto,
evitando
cioè
di
sostituire
ad
una
faziosità
un'altra
di
segno
opposto.
Si
può
dissentire
sul
modo
seguito
dal
consiglio
regionale
del
Lazio,
su
mozione
del
consigliere
Fabio
Rampelli,
per
proporlo,
ma
certamente
il
problema
dei
testi
scolastici
(soprattutto
di
storia,
ma
non
solo)
faziosi
fino
(e
oltre)
al
confine
del
vero
e
proprio
falso
esiste
ed
è
grave,
sicché
bene
si
è
fatto
a
portarlo
alla
luce,
in
modo
che
sia
possibile
adoperarsi
per
risolverlo
in
modo
corretto,
evitando
cioè
di
sostituire
ad
una
faziosità
un'altra
di
segno
opposto.
In
realtà
le
radici
del
problema
risalgono
assai
più
indietro
nel
tempo
(per
restare
al
nostro
paese,
quanto
meno
alla
proclamazione
del
Regno
d'Italia)
ed
investono
la
stessa
funzione
della
scuola,
alla
quale
l'ideologia
giacobina,
sostanzialmente
recepita
dalla
maggior
parte
degli
Stati
contemporanei
(certamente
dal
nostro),
attribuisce
il
compito
non
già
dell'istruzione,
ma
dell'indottrinamento
ideologico
delle
nuove
generazioni
non
importa
se
a
fini
nazional-patriottici
o
di
partito,
pur
se
lo
scopo
perseguito
può
comportare
un
diverso
grado
nel
giudizio,
comunque
di
disvalore,
da
parte
di
chi
ha
della
funzione
della
scuola
una
concezione
totalmente
diversa
e
addirittura
opposta.
In
sostanza
alla
funzione
di
indottrinamento
assegnata
alla
scuola
(verosimilmente
nel
suo
caso
in
senso
nazional-patriottico)
intendeva
riferirsi
già
Massimo
d'Azeglio,
quando,
subito
dopo
l'
unificazione
politica
della
penisola,
proclamava
che,
fatta
l'Italia,
occorreva
fare
gli
Italiani,
i
quali
in
realtà
erano
fatti
da
secoli,
ma,
per
la
massima
parte,
in
maniera
tutt'affatto
diversa
da
quella
occorrente
per
l'omologazione
alla
ideologia
del
nuovo
Stato.
Non
si
tratta
solo
di
d'Azeglio.
Nel
secolo
scorso,
e
ancora
nel
ventennio
fascista,
si
riconosceva
apertamente
essere
questo,
di
fabbrica
del
consenso,
assai
prima
dell'imparare
a
leggere
e
a
far
di
conto,
il
compito
fondamentale
della
scuola,
anche
se
si
preferiva
usare
espressioni
più
"politically
correct",
che
le
attribuivano
la
missione
di
educare
buoni
cittadini.
Termini
che
non
assumevano
tuttavia
significati
esattamente
uguali
nell'Italia
umbertina
e
in
quella
mussoliniana,
anche
se,
trattandosi
di
due
regimi
e
di
due
culture
figli
entrambi
del
Risorgimento,
le
differenze,
pur
notevoli,
non
erano
così
determinanti
da
escludere
la
sussistenza
di
una
base
comune.
Intendiamoci.
Anche
oggi
nulla
si
oppone
a
che
si
chieda
alla
scuola
di
educare
dei
buoni
cittadini
a
condizione
che
ci
si
intenda
sul
significato
del
termine
(al
quale
comunque,
proprio
per
evitare
equivoci,
sarebbe
di
gran
lunga
preferibile
sostituire
quello
di
persone,
di
esseri
umani)
e
dei
mezzi
attraverso
i
quali
conseguire
l'
auspicato
risultato.
Mezzi
che
non
possono
mai
discostarsi
dal
rispetto
assoluto
della
verità
oggettiva,
perché
soltanto
la
verità
rende
liberi
e,
quindi,
veri
uomini.
E'
vero.
Nessuno
è
oggi
tanto
ingenuo
da
credere
che
la
scrupolosa
aderenza
(non
importa
se
del
docente
o
del
cronista)
alla
realtà
dei
fatti
riferiti
sia
sufficiente
ad
escludere
la
possibilità
di
interpretazioni
diverse,
sia
in
buona
fede
sia
artificialmente
costruite
per
portare
acqua
al
mulino
di
una
determinata
ideologia,
tuttavia
è
certo
che
la
conoscenza
della
verità
dei
fatti,
anche
se
momentaneamente
oscurata
o
travisata,
possiede
comunque
forza
sufficiente
a
rendere
traballanti
e
malcerti
gli
edifici
e
le
sovrastrutture
dell'errore
o
dell'inganno
e
consente
il
recupero
critico
indispensabile
per
liberare
la
propria
mente
e
la
propria
coscienza,
in
altre
parole
per
trasformarsi
in
uomini
veramente
liberi,
perché
consapevoli,
e
consapevoli,
perché
liberi.
Ora,
venendo
alla
storia
o,
più
esattamente,
all'insegnamento
scolastico
della
storia,
che
costituisce
senza
dubbio
il
punto
di
massima
intensità
e
sofferenza
del
problema,
non
vale
invocare,
come
è
stato
fatto
dai
rappresentanti
della
cultura
azionista
e
marxista,
tuttora
dominante
in
Italia,
il
pericolo
della
censura
di
Stato,
per
negare
l'
irrimediabile
negatività,
proprio
ai
fini
educativi
del
buon
cittadino
(se
a
questo
termine
si
vuole
continuare
a
fare
riferimento),
di
una
storiografia
scolastica
che,
come
è
stato
rilevato,
si
è
spinta
tanto
oltre,
nei
casi
estremi,
da
definire
il
tiranno
comunista
Giuseppe
Stalin
"uomo
duro,
ma
giusto",
da
celare
(si
tratta
di
un
vero
e
proprio
falso
per
soppressione)
la
pagina
vergognosa
degli
"infoibamenti"
di
migliaia
di
italiani
ad
opera
dei
comunisti
titini
o
addirittura
da
attribuirli
a
rappresaglie
naziste,
da
pretende
che
i
"gulag"
sovietici
fossero
qualcosa
di
diverso
e
di
più
rispettabile
dei
"lager"
tedeschi.
Questo
per
restare
al
'900,
oggetto
principale,
secondo
la
riforma
scolastica
ulivista,
degli
studi
storici
nella
scuola.
Ma
anche
i
secoli
precedenti
sono
ricchi
di
esempi
altrettanto,
se
non
ancor
più
clamorosi.
Basti
pensare
alla
totale
cancellazione
dell'Insorgenza
(termine,
proprio
per
questo,
ancora
ignoto
ai
più,
che
definisce
uno
dei
più
grandi
fenomeni
di
massa
della
nostra
storia,
forse
il
più
grande
per
estensione
nel
tempo
e
nello
spazio:
la
resistenza,
a
volte
passiva,
più
spesso
armata,
delle
popolazioni
italiane
contro
l'invasione
degli
eserciti
e
delle
idee
rivoluzionarie
nel
periodo
1796-1814),
alla
criminalizzazione
dell'Armata
della
Santa
Fede
(un
episodio
dell'Insorgenza
che
non
è
stato
possibile
cancellare)
e
della
lotta
delle
popolazioni
meridionali
contro
la
conquista
"piemontese",
fino
a
non
pochi
anni
fa
criticata
anche
dalla
cultura
marxista,
allora
non
ancora
di
governo
(un
passaggio
che
spiega
molte
cose),
come
"guerra
coloniale".
Allora
che
fare?
E'
evidente
che
non
possiamo
essere
a
favore
di
una
qualsivoglia
forma
di
censura
noi
di
Identità
Europea,
che
siamo
appena
stati
vittime
di
un
violento
(quanto
meno
per
il
linguaggio
usato)
tentativo
di
imposizione
del
silenzio
da
parte,
oltre
che
di
esponenti
politici,
di
66
intellettuali
66
firmatari
di
un
manifesto-appello
contro
la
Mostra
"Un
tempo
da
riscrivere:
il
Risorgimento
italiano",
da
noi
organizzata,
alla
fine
dello
scorso
agosto,
nell'ambito
del
Meeting
riminese
di
Comunione
e
Liberazione,
che
certamente
la
maggior
parte
dei
firmaioli
(e
forse
tutti)
nemmeno
aveva
visto.
Occorre
far
lavorare
la
fantasia.
Un'ipotesi,
forse
trop-po
semplicistica,
ma
da
prendere
in
considerazione
se
non
si
troverà
qualcosa
di
meglio,
potrebbe
consistere
nella
costituzione
da
parte
delle
le
regioni
interessate
di
uno
o
più
"Osservatori
sui
libri
di
testo"
sul
genere
di
quello
già
esistente
per
iniziativa
privata,
che
periodicamente
pubblichino
un
bollettino
(da
diffondere
anche
via
Internet),
elencandovi
le
notizie
tenden-ziose
e
faziose,
le
omissioni,
i
falsi
rinvenuti
sui
libri
di
testo
in
uso
nelle
scuole
o
(è
sempre
meglio
prevenire)
proposti
ai
docenti
al
momento
della
scelta.
Nella
maggior
parte
dei
casi
(si
pensi
a
Stalin
"uomo
duro,
ma
giusto")
non
vi
sarebbe
nemmeno
bisogno
di
particolari
commenti,
essendo
sufficiente
riportare
testualmente
le
frasi
e
le
parole
degli
autori,
che
in
questo
modo,
se
sono
convinti
della
bontà
delle
loro
opinioni,
ben
lungi
dal
lamentarsi
di
questa
gratuita
pubblicità
a
cura
delle
pubbliche
istituzioni,
dovrebbero
essere
grati
a
chi
ne
cura
la
più
ampia
diffusione,
facendo
sapere
a
tutti
(per
restare
all'esempio)
che
Josef
Vissarionovic
Dzugasvili,
non
era
un
crudele
tiranno,
ma
un
giusto.
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