ottobre 2002

Il problema dei testi scolastici (soprattutto di storia, ma non solo) faziosi fino (e oltre) al confine del vero e proprio falso esiste ed è grave, sicché bene si è fatto a portarlo alla luce, in modo che sia possibile adoperarsi per risolverlo in modo corretto, evitando cioè di sostituire ad una faziosità un'altra di segno opposto.

Si può dissentire sul modo seguito dal consiglio regionale del Lazio, su mozione del consigliere Fabio Rampelli, per proporlo, ma certamente il problema dei testi scolastici (soprattutto di storia, ma non solo) faziosi fino (e oltre) al confine del vero e proprio falso esiste ed è grave, sicché bene si è fatto a portarlo alla luce, in modo che sia possibile adoperarsi per risolverlo in modo corretto, evitando cioè di sostituire ad una faziosità un'altra di segno opposto.

In realtà le radici del problema risalgono assai più indietro nel tempo (per restare al nostro paese, quanto meno alla proclamazione del Regno d'Italia) ed investono la stessa funzione della scuola, alla quale l'ideologia giacobina, sostanzialmente recepita dalla maggior parte degli Stati contemporanei (certamente dal nostro), attribuisce il compito non già dell'istruzione, ma dell'indottrinamento ideologico delle nuove generazioni non importa se a fini nazional-patriottici o di partito, pur se lo scopo perseguito può comportare un diverso grado nel giudizio, comunque di disvalore, da parte di chi ha della funzione della scuola una concezione totalmente diversa e addirittura opposta.

In sostanza alla funzione di indottrinamento assegnata alla scuola (verosimilmente nel suo caso in senso nazional-patriottico) intendeva riferirsi già Massimo d'Azeglio, quando, subito dopo l' unificazione politica della penisola, proclamava che, fatta l'Italia, occorreva fare gli Italiani, i quali in realtà erano fatti da secoli, ma, per la massima parte, in maniera tutt'affatto diversa da quella occorrente per l'omologazione alla ideologia del nuovo Stato.

Non si tratta solo di d'Azeglio. Nel secolo scorso, e ancora nel ventennio fascista, si riconosceva apertamente essere questo, di fabbrica del consenso, assai prima dell'imparare a leggere e a far di conto, il compito fondamentale della scuola, anche se si preferiva usare espressioni più "politically correct", che le attribuivano la missione di educare buoni cittadini. Termini che non assumevano tuttavia significati esattamente uguali nell'Italia umbertina e in quella mussoliniana, anche se, trattandosi di due regimi e di due culture figli entrambi del Risorgimento, le differenze, pur notevoli, non erano così determinanti da escludere la sussistenza di una base comune.

Intendiamoci. Anche oggi nulla si oppone a che si chieda alla scuola di educare dei buoni cittadini a condizione che ci si intenda sul significato del termine (al quale comunque, proprio per evitare equivoci, sarebbe di gran lunga preferibile sostituire quello di persone, di esseri umani) e dei mezzi attraverso i quali conseguire l' auspicato risultato. Mezzi che non possono mai discostarsi dal rispetto assoluto della verità oggettiva, perché soltanto la verità rende liberi e, quindi, veri uomini.

E' vero. Nessuno è oggi tanto ingenuo da credere che la scrupolosa aderenza (non importa se del docente o del cronista) alla realtà dei fatti riferiti sia sufficiente ad escludere la possibilità di interpretazioni diverse, sia in buona fede sia artificialmente costruite per portare acqua al mulino di una determinata ideologia, tuttavia è certo che la conoscenza della verità dei fatti, anche se momentaneamente oscurata o travisata, possiede comunque forza sufficiente a rendere traballanti e malcerti gli edifici e le sovrastrutture dell'errore o dell'inganno e consente il recupero critico indispensabile per liberare la propria mente e la propria coscienza, in altre parole per trasformarsi in uomini veramente liberi, perché consapevoli, e consapevoli, perché liberi.

Ora, venendo alla storia o, più esattamente, all'insegnamento scolastico della storia, che costituisce senza dubbio il punto di massima intensità e sofferenza del problema, non vale invocare, come è stato fatto dai rappresentanti della cultura azionista e marxista, tuttora dominante in Italia, il pericolo della censura di Stato, per negare l' irrimediabile negatività, proprio ai fini educativi del buon cittadino (se a questo termine si vuole continuare a fare riferimento), di una storiografia scolastica che, come è stato rilevato, si è spinta tanto oltre, nei casi estremi, da definire il tiranno comunista Giuseppe Stalin "uomo duro, ma giusto", da celare (si tratta di un vero e proprio falso per soppressione) la pagina vergognosa degli "infoibamenti" di migliaia di italiani ad opera dei comunisti titini o addirittura da attribuirli a rappresaglie naziste, da pretende che i "gulag" sovietici fossero qualcosa di diverso e di più rispettabile dei "lager" tedeschi.

Questo per restare al '900, oggetto principale, secondo la riforma scolastica ulivista, degli studi storici nella scuola. Ma anche i secoli precedenti sono ricchi di esempi altrettanto, se non ancor più clamorosi. Basti pensare alla totale cancellazione dell'Insorgenza (termine, proprio per questo, ancora ignoto ai più, che definisce uno dei più grandi fenomeni di massa della nostra storia, forse il più grande per estensione nel tempo e nello spazio: la resistenza, a volte passiva, più spesso armata, delle popolazioni italiane contro l'invasione degli eserciti e delle idee rivoluzionarie nel periodo 1796-1814), alla criminalizzazione dell'Armata della Santa Fede (un episodio dell'Insorgenza che non è stato possibile cancellare) e della lotta delle popolazioni meridionali contro la conquista "piemontese", fino a non pochi anni fa criticata anche dalla cultura marxista, allora non ancora di governo (un passaggio che spiega molte cose), come "guerra coloniale".

Allora che fare?

E' evidente che non possiamo essere a favore di una qualsivoglia forma di censura noi di Identità Europea, che siamo appena stati vittime di un violento (quanto meno per il linguaggio usato) tentativo di imposizione del silenzio da parte, oltre che di esponenti politici, di 66 intellettuali 66 firmatari di un manifesto-appello contro la Mostra "Un tempo da riscrivere: il Risorgimento italiano", da noi organizzata, alla fine dello scorso agosto, nell'ambito del Meeting riminese di Comunione e Liberazione, che certamente la maggior parte dei firmaioli (e forse tutti) nemmeno aveva visto.

Occorre far lavorare la fantasia. Un'ipotesi, forse trop-po semplicistica, ma da prendere in considerazione se non si troverà qualcosa di meglio, potrebbe consistere nella costituzione da parte delle le regioni interessate di uno o più "Osservatori sui libri di testo" sul genere di quello già esistente per iniziativa privata, che periodicamente pubblichino un bollettino (da diffondere anche via Internet), elencandovi le notizie tenden-ziose e faziose, le omissioni, i falsi rinvenuti sui libri di testo in uso nelle scuole o (è sempre meglio prevenire) proposti ai docenti al momento della scelta.

Nella maggior parte dei casi (si pensi a Stalin "uomo duro, ma giusto") non vi sarebbe nemmeno bisogno di particolari commenti, essendo sufficiente riportare testualmente le frasi e le parole degli autori, che in questo modo, se sono convinti della bontà delle loro opinioni, ben lungi dal lamentarsi di questa gratuita pubblicità a cura delle pubbliche istituzioni, dovrebbero essere grati a chi ne cura la più ampia diffusione, facendo sapere a tutti (per restare all'esempio) che Josef Vissarionovic Dzugasvili, non era un crudele tiranno, ma un giusto.




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