30 novembre 2001

Lasci stare il "risorgimento", signor Presidente e parliamo insieme di "rivincita" morale, civile, religiosa che la nostra Italia merita e di cui tutti, insieme, vogliamo essere artefici operosi, senza nostalgie per un passato non troppo antico, che ha assai poco da insegnarci"...

Il presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi si adopera molto per ristabilire quei sentimenti che un tempo si chiamavano "amor di patria" e "orgoglio nazionale" e che oggi si potrebbero definire, con termini di maggiore "politically correctness" sensi di identità e di appartenenza alla comunità italiana..
Lo scopo è certamente nobile e merita di essere condiviso. Purtroppo non altrettanto adeguati sono i mezzi scelti per raggiungerlo: in sostanza il ripescaggio delle memorie, ma, meglio si direbbe, degli stantii miti risorgimentali.
Se, nonostante un secolo e mezzo di tambureggiante propaganda scolastica il Risorgimento non solo non ha prodotto il risultato voluto, ma è stato segno assai più di divisione che di unità, è quanto mai improbabile che possa riuscirvi oggi in un ambiente culturale assai più critico e disincantato di quello di un tempo.

Del resto, se indubbiamente il Risorgimento ha prodotto l'unità politica del Paese, altrettanto certamente sia la sua realizzazione sia la sua celebrazione sono contrassegnati non dall'unione, ma dalla contrapposizione: il Settentrione contro il Meridione, i laici contro i cattolici, il Re contro il Papa, l'establishment politico-culturale, tutto o quasi di matrice massonica, contro la Chiesa cattolica, la borghesia ricca contro il popolo e vano e controproducente è il tentativo di accantonare queste caratteristiche di quello che fu comunque un fenomeno "contro".
Come ha puntualmente ricordato proprio a proposito di questi tentativi presidenziali, lo storico Giorgio Rumi, la politica non può pretendere di riscrivere la storia..

Merita a questo proposito di essere conosciuta nei suoi passaggi esenziali la lettera aperta indirizzata proprio in questi giorni al presidente Ciampi da mons. Andrea Gemma, vescovo di Isernia. Lettera che, se pur non condivisibile, a mio parere, nella parte in cui sembra auspicare che tutta la storia di quel periodo venga sepolta nell'oblio, mentre per superare l'antica frattura è indispensabile conoscerla nella sua verità (del resto mons. Gemma è il primo ad esserne convinto se invita il presidente Ciampi a leggere il libro di Angela Pellicciari e gli promette l'invio di un altro, opera di un sacerdote della sua diocesi), è significativa dei rischi che si corrono infilandosi nel vicolo cieco del restauro di mediocri miti dai piedi d'argilla, per di più ormai definitivamente screditati grazie al coraggioso lavoro della più recente storiografia (e usiamo pure la terribile parola: "revisionista" ).

Ma ecco la lettera.

"Signor Presidente,
"perdoni l'iniziativa, che so attuata anche da altri e ciò mi conferma nella necessità di levare la voce perché certi luoghi comuni, ormai diventati insopportabili, non continuino ad ingannare i semplici.
"Partecipavo con gioia ed intima partecipazione alla "festa dell'unità d'Italia e delle forze armate" il 4 novembre scorso. Avevamo insieme pregato in Cattedrale - anche per Lei signor Presidente - e ci eravamo recati al monumento ai caduti in una mattinata piena di sole.
"Tutto bello, tutto coralmente sentito, compreso l'inno nazionale d'Italia. Poi, la doccia fredda: il suo messaggio, signor Presidente. Alti pensieri, nobili richiami, doverosa partecipazione. In questo contesto tanto elevato, l'accenno al Risorgimento e, addirittura, a quel Garibaldi che, creda, ad Isernia, è tristemente famoso, insieme alle sue truppe mercenarie.
"Ah, no, signor Presidente, quel richiamo a una storia, per fortuna quasi dimenticata, è stato proprio fuori luogo.
"Creda - e glielo dice un pastore della Chiesa cattolica - nessuno di noi vuole tornare indietro di centocinquant'anni, se non altro per non riaprire le piaghe sanguinanti; nessuno di noi vuole ripristinare il regno di Napoli e la dinastia borbonica, dalla quale peraltro il Sud ha ricevuto grandi benefici; nessuno di noi vuole rimettere in piedi lo Stato pontificio, sottratto al legittimo sovrano, con guerra non dichiarata e quindi contro lo "ius gentium", plurisecolare; nessuno di noi vuole frazionare l'Italia (semmai ci penserà qualche porzione della nostra classe dirigente); ma nessuno ci potrà convincere della bellezza esaltante di un'azione che a suo tempo, tutta l'Europa, per non dire il mondo intero, ha stigmatizzato coralmente; nessuno potrà accettare l'accomodante esaltazione di un avventuriero armato che con le sue truppe mise a ferro e fuoco le pacifiche zone del Sud, tra cui la mia città episcopale. Le teste tagliate degli iserniani esposte al pubblico ludibrio sono su
stampe e documenti dell'epoca che Ella stessa potrà reperire.
"Nessuno di noi vuole rivangare il passato, signor Presidente, soprattutto un tale passato… Non lo può fare nemmeno Lei, travisando la storia.
"Su casi del genere gli antichi nostri avi dicevano saggiamente: "Parce sepultis!".
"Per carità, signor Presidente, non ci costringa a tirar fuori dagli armadi del cosiddetto risorgimento certi scheletri ripugnanti. Cerchiamo insieme di costruire un'Italia migliore, insieme ai nostri giovani, i quali conoscono la storia e guardano al futuro, senza ripristinare insopportabili travisamenti di una storia che ormai i più avveduti conoscono. Le suggerisco, al riguardo, la lettura di un simpatico libro di una giovane studiosa d'Italia: "Risorgimento da riscrivere".
"E poi, appena sarà pronto, Le invierò, in omaggio per la sua segreteria, un libro che un mio presbitero ha scritto e per il quale ha già ottenuto un plauso internazionale.
"Lasci stare il "risorgimento", signor Presidente e parliamo insieme di "rivincita" morale, civile, religiosa che la nostra Italia merita e di cui tutti, insieme, vogliamo essere artefici operosi, senza nostalgie per un passato non troppo antico, che ha assai poco da insegnarci".

Nient'altro da aggiungere.

 




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La restaurazione risorgimentalista del presidente Ciampi

Francesco Mario Agnoli

 

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