Franco Cardini
Globalizzazione - Miti ed eroi delle tute bianche visti da uno storico
 
28 giugno 2001 - L'Espresso
Se il 13 maggio avesse vinto la sinistra, la repressione che le tute bianche avrebbero subito sarebbe stata forse più dura, e mass media, politici, sindacati e piazze non avrebbero fiatato o quasi. Ma, col governo di centrodestra l'occasione è troppo ghiotta...

Mamma li Ciompi!
Esaltano i ribelli medievali. Ignorano Marx e l'antifascismo.
Spaventano sia Berlusconi che D'Alema…

Noi siamo nuovi, "Ma siamo quelli di sempre… Loro si dicono nuovi, ma non c'ingannano, sono quelli di sempre.
Oggi hanno un nuovo impero, su tutto l'orbe impongono nuove servitù della gleba, si pretendono padroni della terra e del mare. Contro di loro, ancora una volta, noi moltitudini ci solleveremo".
Così inizia un appello " Dalle moltitudini d'Europa in marcia verso l'Impero e verso Genova" che si legge nel sito

www.qwerg.com/tutebianche/it/maggio/index.html.

Proprio così, senza scherzi. Ed ebbene sì, non mi hanno convinto ma mi hanno commosso. Se la mia quasi calvizie di sessantenne mi permettesse di ascoltare solo le raisons du coeur, perdinci, sarei con loro con tutte le mie vecchie midolla reazionarie ed eversive, con tutte le mie vecchie ossa di sessantottino guevarista che non solo non si è pentito, ma anzi se ne vanta. C'è quasi tutto, nell'appello delle "moltitudini d'Europa in marcia contro l'impero e verso Genova" ch'è una dichiarazione di guerra delle tute bianche contro l'impero di Star Wars, quello Che Colpisce Ancora e che a sentire loro, ha colpito sempre, fin dalla notte dei tempi. L'appello è una dichiarazione di guerra. Politica e storica: ma anche transtorica e transpolitica, metastorica e metapolitica. I potenti della Terra riuniti a Genova per il G8 e i loro colti e strapaganti consulenti e collaboratori non si troveranno davanti solo il "popolo di Seattle", i ragazzini delle scuole, i ragazzacci dei centri sociali e un po' di disgraziati e di fricchettoni assortiti in vena di suonar chitarre e di spaccar vetrine. O meglio, quelli ci saranno, certo: ma con loro, dietro di loro, assieme a loro, dentro di loro marcerà un immenso Popolo di Morti. E il documento le passa in rassegna, queste armate coperte dalla polvere dei secoli e disperse dal vento della storia e le chiama per nome, con l'epica pignoleria dell'omerico "Catalogo delle Navi", e seguendo la nomenclatura proposta da "I fanatici dell'Apocalisse" di Norman Cohn.

Siamo quelli di sempre. Siamo i dannati della terra della Jacquerie, i ciompi di Firenze, i contadini inglesi di Wat Tyler e di John Ball, i taboriti di Jan Huss e di Jan Ziska, i 34 mila tedeschi del Tamburino di Nicklashausen, gli alsaziani della "Lega dello Scarpone", gli svevi del povero Konrad, i contadini ungheresi del 1514, la gente di Thomas Muentzer, i dannati della terra del Surrey, i servi della gleba e i cosacchi di Pugaciov, i sottoproletari inglesi di Ludd e di Swing, i precari del 1848, quelli della Comune di Parigi.

C'è qualche amateur di storia, nel piccolo popolo che vedremo sfilare, cantare, gridare e quasi certamente far qualcos'altro a Genova, mentre i signori del G8 celebreranno i loro riti severi e mondani. Gli uni spaccheranno qualche vetrina, forse qualche testa; gli altri stabiliranno come dovremo vivere, produrre, consumare, arricchire o impoverire nei prossimi anni. Non ha dubbi che l'antico e sempre nuovo esercito dei ribelli turberà i sonni del presidente Berlusconi, nelle prossime notti: Se il 13 maggio avesse vinto la sinistra, la repressione che le tute bianche avrebbero subito sarebbe stata forse più dura, e mass media, politici, sindacati e piazze non avrebbero fiatato o quasi. Ma, col governo di centrodestra l'occasione è troppo ghiotta.

Tutto ciò d'altronde è tattica politica e non lede la sostanza delle cose: Ch'è quella evidente, appunto, nell'appello delle "moltitudini d'Europa". Dove non solo manca qualunque cenno (e c'è chi se ne stupirà) all'antifascismo, ma dove gli eredi presunti del Sessantotto non evocano neppure un'idea o una suggestione che in qualche modo possa risalire anche indirettamente al vecchio Marx. Anzi. Questa gente, contro i padri storici della quale il dottor Lutero invocò la spada dei "buoni signori" tedeschi che li massacrasse "come cani rognosi", il vecchio Marx la disprezzerebbe. Questi sono o immaginano di esser e il Lumpenproletariat, il "proletariato straccione". Se una residua pruderie di sinistra non avesse impedito, gli estensori del documento avrebbero ben potuto citare, accanto alle plebi tedesche della Riforma o a quelle parigine della Comune, anche quelle della Vandea, i "briganti" italomeridionali, gli zapatisti e i cristeros messicani…

Non saranno i fratelli minori o i figli di Cipputi a protestare contro il G8; i colletti blu ormai portano il colletto bianco, giocano in Borsa, sparlano moderatamente della globalizzazione, ma ne godono i prodotti e sperano di vedersene cadere i frutti maturi sui loro conti di banca. D'Alema e Diliberto no possono dirlo a chiare lettere, ma più o meno condividono per i ragazzi dei centri sociali i sentimenti di Tremonti e di Gasparri. La globalizzazione e la sua onda lunga creano nuove trasversalità, nuove consonanze e dissonanze. Nuovi vincitori e nuovi perdenti, nuovi sfruttatori e nuovi sfruttati. Può anche darsi che il domani appartenga al signor Bush e al "Baffo" della Nike. Ma può anche darsi che si debba prestar maggior attenzione al maleducato malumore di Monsieur Bové e ai petulanti libroni di Miss Klein. Non è poi detto che le ragazze indonesiane e filippine accettino in eterno di fasi sfruttare senza capire che cosa sta succedendo, e che la coscienza etica dell'Occidente venga monopolizzata ancora a lungo dai soli ragazzacci di Seattle e di Genova e dalle loro magari scomposte razioni. Bentornato, intanto, generale Ludd.

 

 




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