Sono in pochi a voler ricordare
le migliaia di italiani uccisi dai comunisti del maresciallo Tito tra
il ’43 e il ‘45.
L e foibe, Basovizza, l'esodo.
L’esperienza triste della Seconda guerra mondiale e quella dello
sterminio di diversi milioni di ebrei hanno indotto il legislatore ad
istituire una giornata dedicata al ricordo.
È stata scelta una data più che simbolica: il 27 gennaio.
Proprio quel giorno del 1945 soldati russi penetrarono nel campo di
sterminio di Auschwitz. Qui, come in altri luoghi di supplizio –
si pensi alla Risiera di san Sabba a Trieste – si realizzarono
i propositi del pensiero criminale contenuti nel Mein Kampf.
In queste righe non si vogliono fare paragoni su chi per l’appartenenza
ad una razza, etnia, religione o nazionalità fu sacrificato in
nome dell’ideologia. Certo, lo sterminio di milioni di ebrei non
può essere dimenticato. Simboleggia la violenza contro la vita.
Purtroppo, non fu l’unica forma di attacco contro popolazioni
inermi, non fu l’unico episodio ad insanguinare il Novecento,
il secolo delle guerre e delle idee assassine, come qualche storico
ha affermato.
Le Foibe. In Italia, sul fronte orientale, quello di
Trieste, dell’area giuliana e goriziana, dell’Istria e della
Dalmazia dal 1943 e sino alla fine del secondo conflitto mondiale si
verificarono atti di violenza inaudita. Sono in pochi a parlare di Foibe
e dell’Esodo di centinaia di migliaia di italiani in seguito agli
accordi tra Italia e Jugoslavia per la spartizione e la concessione
dei territori dell’Istria, della Dalmazia e dei vari tentativi
di annettere Trieste proprio alla Jugoslavia del maresciallo Tito.
Sin dal 1942 il futuro boia di Pisino, Ivan Motiva, iniziò a
spostarsi da una parte all’altra dell’Istria, compilando
liste di italiani da eliminare e consentire così una rapida penetrazione
nel tessuto sociale dell’elemento slavo-comunista. All’indomani
dell’8 settembre 1943 le bande partigiane titine si resero protagoniste
di una invasione dell’Istria e proprio in quella prima occasione
fu collaudata la tecnica di eliminazione del nemico, che prevedeva l’utilizzo
delle “foibe”. Già, le “foibe”. Ma cosa
indica questo nome? Il termine “foiba”, prima delle atrocità
della guerra, apparteneva solo al vocabolario degli abitanti del Carso,
agli amanti della speleologia, ai geologi. Il roccioso altopiano del
Carso si estende su un vasto territorio della Venezia Giulia. Lo si
può paragonare ad una groviera per le tantissime voragini che
sprofondano per centinaia di metri nel sottosuolo. Si contano nella
zona circa 1700 di questi baratri, le foibe, appunto, che hanno inghiottito
negli anni migliaia di persone con i loro ricordi e le loro storie.
Il numero esatto delle vittime non sarà mai possibile stabilirlo.
Cinque, diecimila, forse ventimila persone sono finite in queste cavità,
che formano un vero e proprio mondo sotterraneo difficile da esplorare.
Le foibe sono diventate lo strumento di soppressione e la tomba di italiani
di ogni età ed estrazione sociale: civili, (donne, bambini, anziani,
agricoltori, pescatori, cittadini cattolici, ma anche molti ebrei),
gli odiati fascisti, antifascisti non comunisti e, soprattutto, i servitori
dello Stato, quello italiano, da indebolire e poi annichilire (carabinieri,
finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, appartenenti
alla Guardia civica).
Una seconda ondata di violenze si verificò nell’aprile
del 1945. le armate tedesche non poterono più opporsi alla potenza
degli Alleati. L’Italia, distrutta militarmente e lacerata da
una guerra tra connazionali – fascisti da una parte ed antifascisti
dall’altra -, era fiduciosa per il futuro: si prospettavano pace
e ricostruzione, compresa quella di una comune coscienza nazionale.
Le sofferenze, però, non erano destinate a finire per Trieste,
l’Istria e gli altri territori del confine orientale a causa degli
attacchi alle popolazioni locali da parte delle bande partigiane del
maresciallo Tito, che annoveravano tra le loro file non solo jugoslavi,
ma pure tanti italiani. I partigiani garibaldini comunisti furono zelanti
collaboratori del famigerato IX Corpus, la formazione militare della
resistenza slava. Il primo maggio 1945 le truppe comuniste titine fecero
il loro ingresso a Trieste e Gorizia e con l’appoggio dei collaborazionisti
italiani (i procedimenti giudiziari a carico di questi ultimi si sono
tutti conclusi senza una condanna) deportarono ed infoibarono migliaia
di persone.
Basovizza. Basovizza è situata a pochi chilometri
da Trieste. Nei pressi di questa cittadina fu scavato il “Pozzo
della miniera”, meglio conosciuto come “Foiba di Basovizza”.
Questa voragine non è una foiba naturale. Si tratta di un pozzo
profondo più di duecento metri e risalente all’inizio del
Novecento, allorché fu aperta una miniera di carbone. In realtà,
il carbone non fu mai estratto e l’imboccatura del pozzo rimase
aperta, consentendo di trasformarlo in una tomba. I “condannati”
a morte arrivavano su autocarri e con le mani legate da fili di ferro
o catene venivano spinti a gruppi nel vuoto. I primi, colpiti da raffiche
di mitra, si portavano tutti gli altri appresso. Chi non moriva subito,
dopo un volo anche di cento metri, era destinato a perire lentamente
per le fratture o le lacerazioni causate dalla roccia appuntita. Molte
vittime, prima del volo nel vuoto, vennero spogliate e seviziate. Il
giornale Libera stampa, datato primo agosto 1945, publicò un
documento in cui era scritto che “centinaia di cittadini vennero
trasportati nel cosiddetto Pozzo della Miniera, in località prossima
a Basovizza e fatti precipitare nell’abisso profondo duecentoquaranta
metri. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di
circa centoventi soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni
precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli”. Nello stesso
documento si legge che per recuperare i poveri resti delle persone uccise,
alcuni abitanti del posto chiesero alle autorità competenti di
inviare degli esperti. Si trattava di un’operazione estremamente
difficile per l’eccezionale profondità del pozzo, il numero
delle salme da estrarre e lo stato di putrefazione delle stesse.
È stato fatto un calcolo insolito e macabro per conoscere il
numero delle vittime di Basovizza. Considerando la profondità
della foiba prima e dopo la strage, da alcuni rilevamenti fu evidenziata
una differenza di circa trenta metri. Lo spazio volumetrico di trecento
metri cubi consentì di calcolare in modo approssimativo che in
quel posto morirono oltre duemila persone. Impressionante. Oggi la Foiba
di Basovizza e quella vicina di Monrupino, dove si verificarono analoghe
atrocità, sono monumenti nazionali.
I luoghi della vergogna non furono solo Basovizza e Monrupino. Si contano
altre trentasei foibe in territorio oggi non italiano, che inghiottirono
tra il 1943 ed il 1945 (e anche dopo) migliaia di persone. L’Abisso
di Semich, profondo 190 metri, “accolse” un centinaio di
sventurati. La gente del posto per giorni sentì le urla disperate
provenienti dalla cavità. Si trattava del vano tentativo di chi,
ancora in vita, cercava di attirare l’attenzione per essere tratto
in salvo.
L’Esodo. Un’altra pagina ignominiosa
della storia del confine orientale fu l’esodo di migliaia di italiani.
La Jugoslavia a guerra finita rivendicò molti dei territori nei
quali si scatenarono le violenze e dove vennero impiegate le Foibe.
Gli italiani di quelle zone erano indesiderati. Lo stesso leader comunista
italiano, Palmiro Togliatti, nella primavera del 1945 si espresse chiaramente:
i territori dell’Istria e della Dalmazia andavano ceduti alla
Jugoslavia del compagno Tito. Trieste, sempre secondo Togliatti, poiché
città in maggioranza comunista, doveva far parte del “paradiso”
che si stava costruendo nell’Est europeo. In alternativa poteva
essere ceduta Gorizia, popolata in prevalenza da slavi. Furono organizzate
manifestazioni del partito comunista contro i profughi italiani, che
si trovarono di fronte a questa scelta: vivere nella nuova Jugoslavia
di Tito o trasferirsi nel nostro Paese. Scelsero l’Italia e addirittura
in alcuni casi furono vilipesi ed insultati dagli uomini con le bandiere
rosse e i pugni chiusi per aver rifiutato di vivere in una nazione comunista.
Furono circa 350mila i profughi che si trasferirono in Italia dal 1945
e fino ai primi anni Sessanta. L’Esodo fu per un verso una scelta
di vita e libertà, per un altro un gesto d’amore ed un
nobile atto di fedeltà nei confronti dell’Italia. Troppe
volte dimentica dei suoi orgogliosi figli.
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