Gennaro Grimolizzi
Foibe, una tragedia troppo scomoda
la Nuova Basilicata - 8 febbraio 2003
 
 

Sono in pochi a voler ricordare le migliaia di italiani uccisi dai comunisti del maresciallo Tito tra il ’43 e il ‘45.
L e foibe, Basovizza, l'esodo.

L’esperienza triste della Seconda guerra mondiale e quella dello sterminio di diversi milioni di ebrei hanno indotto il legislatore ad istituire una giornata dedicata al ricordo.
È stata scelta una data più che simbolica: il 27 gennaio. Proprio quel giorno del 1945 soldati russi penetrarono nel campo di sterminio di Auschwitz. Qui, come in altri luoghi di supplizio – si pensi alla Risiera di san Sabba a Trieste – si realizzarono i propositi del pensiero criminale contenuti nel Mein Kampf.
In queste righe non si vogliono fare paragoni su chi per l’appartenenza ad una razza, etnia, religione o nazionalità fu sacrificato in nome dell’ideologia. Certo, lo sterminio di milioni di ebrei non può essere dimenticato. Simboleggia la violenza contro la vita. Purtroppo, non fu l’unica forma di attacco contro popolazioni inermi, non fu l’unico episodio ad insanguinare il Novecento, il secolo delle guerre e delle idee assassine, come qualche storico ha affermato.


Le Foibe. In Italia, sul fronte orientale, quello di Trieste, dell’area giuliana e goriziana, dell’Istria e della Dalmazia dal 1943 e sino alla fine del secondo conflitto mondiale si verificarono atti di violenza inaudita. Sono in pochi a parlare di Foibe e dell’Esodo di centinaia di migliaia di italiani in seguito agli accordi tra Italia e Jugoslavia per la spartizione e la concessione dei territori dell’Istria, della Dalmazia e dei vari tentativi di annettere Trieste proprio alla Jugoslavia del maresciallo Tito.
Sin dal 1942 il futuro boia di Pisino, Ivan Motiva, iniziò a spostarsi da una parte all’altra dell’Istria, compilando liste di italiani da eliminare e consentire così una rapida penetrazione nel tessuto sociale dell’elemento slavo-comunista. All’indomani dell’8 settembre 1943 le bande partigiane titine si resero protagoniste di una invasione dell’Istria e proprio in quella prima occasione fu collaudata la tecnica di eliminazione del nemico, che prevedeva l’utilizzo delle “foibe”. Già, le “foibe”. Ma cosa indica questo nome? Il termine “foiba”, prima delle atrocità della guerra, apparteneva solo al vocabolario degli abitanti del Carso, agli amanti della speleologia, ai geologi. Il roccioso altopiano del Carso si estende su un vasto territorio della Venezia Giulia. Lo si può paragonare ad una groviera per le tantissime voragini che sprofondano per centinaia di metri nel sottosuolo. Si contano nella zona circa 1700 di questi baratri, le foibe, appunto, che hanno inghiottito negli anni migliaia di persone con i loro ricordi e le loro storie. Il numero esatto delle vittime non sarà mai possibile stabilirlo. Cinque, diecimila, forse ventimila persone sono finite in queste cavità, che formano un vero e proprio mondo sotterraneo difficile da esplorare.
Le foibe sono diventate lo strumento di soppressione e la tomba di italiani di ogni età ed estrazione sociale: civili, (donne, bambini, anziani, agricoltori, pescatori, cittadini cattolici, ma anche molti ebrei), gli odiati fascisti, antifascisti non comunisti e, soprattutto, i servitori dello Stato, quello italiano, da indebolire e poi annichilire (carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, appartenenti alla Guardia civica).
Una seconda ondata di violenze si verificò nell’aprile del 1945. le armate tedesche non poterono più opporsi alla potenza degli Alleati. L’Italia, distrutta militarmente e lacerata da una guerra tra connazionali – fascisti da una parte ed antifascisti dall’altra -, era fiduciosa per il futuro: si prospettavano pace e ricostruzione, compresa quella di una comune coscienza nazionale.
Le sofferenze, però, non erano destinate a finire per Trieste, l’Istria e gli altri territori del confine orientale a causa degli attacchi alle popolazioni locali da parte delle bande partigiane del maresciallo Tito, che annoveravano tra le loro file non solo jugoslavi, ma pure tanti italiani. I partigiani garibaldini comunisti furono zelanti collaboratori del famigerato IX Corpus, la formazione militare della resistenza slava. Il primo maggio 1945 le truppe comuniste titine fecero il loro ingresso a Trieste e Gorizia e con l’appoggio dei collaborazionisti italiani (i procedimenti giudiziari a carico di questi ultimi si sono tutti conclusi senza una condanna) deportarono ed infoibarono migliaia di persone.


Basovizza. Basovizza è situata a pochi chilometri da Trieste. Nei pressi di questa cittadina fu scavato il “Pozzo della miniera”, meglio conosciuto come “Foiba di Basovizza”. Questa voragine non è una foiba naturale. Si tratta di un pozzo profondo più di duecento metri e risalente all’inizio del Novecento, allorché fu aperta una miniera di carbone. In realtà, il carbone non fu mai estratto e l’imboccatura del pozzo rimase aperta, consentendo di trasformarlo in una tomba. I “condannati” a morte arrivavano su autocarri e con le mani legate da fili di ferro o catene venivano spinti a gruppi nel vuoto. I primi, colpiti da raffiche di mitra, si portavano tutti gli altri appresso. Chi non moriva subito, dopo un volo anche di cento metri, era destinato a perire lentamente per le fratture o le lacerazioni causate dalla roccia appuntita. Molte vittime, prima del volo nel vuoto, vennero spogliate e seviziate. Il giornale Libera stampa, datato primo agosto 1945, publicò un documento in cui era scritto che “centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto Pozzo della Miniera, in località prossima a Basovizza e fatti precipitare nell’abisso profondo duecentoquaranta metri. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa centoventi soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli”. Nello stesso documento si legge che per recuperare i poveri resti delle persone uccise, alcuni abitanti del posto chiesero alle autorità competenti di inviare degli esperti. Si trattava di un’operazione estremamente difficile per l’eccezionale profondità del pozzo, il numero delle salme da estrarre e lo stato di putrefazione delle stesse.
È stato fatto un calcolo insolito e macabro per conoscere il numero delle vittime di Basovizza. Considerando la profondità della foiba prima e dopo la strage, da alcuni rilevamenti fu evidenziata una differenza di circa trenta metri. Lo spazio volumetrico di trecento metri cubi consentì di calcolare in modo approssimativo che in quel posto morirono oltre duemila persone. Impressionante. Oggi la Foiba di Basovizza e quella vicina di Monrupino, dove si verificarono analoghe atrocità, sono monumenti nazionali.
I luoghi della vergogna non furono solo Basovizza e Monrupino. Si contano altre trentasei foibe in territorio oggi non italiano, che inghiottirono tra il 1943 ed il 1945 (e anche dopo) migliaia di persone. L’Abisso di Semich, profondo 190 metri, “accolse” un centinaio di sventurati. La gente del posto per giorni sentì le urla disperate provenienti dalla cavità. Si trattava del vano tentativo di chi, ancora in vita, cercava di attirare l’attenzione per essere tratto in salvo.

L’Esodo. Un’altra pagina ignominiosa della storia del confine orientale fu l’esodo di migliaia di italiani. La Jugoslavia a guerra finita rivendicò molti dei territori nei quali si scatenarono le violenze e dove vennero impiegate le Foibe. Gli italiani di quelle zone erano indesiderati. Lo stesso leader comunista italiano, Palmiro Togliatti, nella primavera del 1945 si espresse chiaramente: i territori dell’Istria e della Dalmazia andavano ceduti alla Jugoslavia del compagno Tito. Trieste, sempre secondo Togliatti, poiché città in maggioranza comunista, doveva far parte del “paradiso” che si stava costruendo nell’Est europeo. In alternativa poteva essere ceduta Gorizia, popolata in prevalenza da slavi. Furono organizzate manifestazioni del partito comunista contro i profughi italiani, che si trovarono di fronte a questa scelta: vivere nella nuova Jugoslavia di Tito o trasferirsi nel nostro Paese. Scelsero l’Italia e addirittura in alcuni casi furono vilipesi ed insultati dagli uomini con le bandiere rosse e i pugni chiusi per aver rifiutato di vivere in una nazione comunista.
Furono circa 350mila i profughi che si trasferirono in Italia dal 1945 e fino ai primi anni Sessanta. L’Esodo fu per un verso una scelta di vita e libertà, per un altro un gesto d’amore ed un nobile atto di fedeltà nei confronti dell’Italia. Troppe volte dimentica dei suoi orgogliosi figli.





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