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Parte Prima: Introduzione. Fallimento del modello agricolo industriale Parte Seconda: Principi per il passaggio ad un sistema agricolo e alimentare ecologicamente e socialmente sostenibile Parte Terza: Alternative già esistenti all’agricoltura industriale Parte quarta: Regolamenti commerciali necessari per raggiungere gli obiettivi della commissione internazionale sul futuro del cibo e dell’agricoltura Conclusioni: Sintesi degli Emendamenti alle Regole Commerciali per un mondo sostenibile e più equo INTRODUZIONE: FALLIMENTO DEL MODELLO AGRICOLO INDUSTRIALE La spinta crescente verso l’industrializzazione e la globalizzazione del mondo agricolo e dell’approvvigionamento alimentare mette in pericolo il futuro dell’umanità e il mondo naturale. Efficienti sistemi agricoli costruiti dalle comunità indigene locali hanno alimentato gran parte del mondo per millenni, mantenendo l’integrità ecologica e continuano a farlo in molte parti del pianeta. Ma oggi vengono rapidamente sostituiti da sistemi di monocolture e tecnologie controllati dalle multinazionali e orientate alle esportazioni. Questi sistemi di gestione a distanza incidono negativamente sulla salute pubblica, sulla qualità alimentare e nutritiva, sulle forme tradizionali di sussistenza (sia agricole che artigianali) e sulle culture indigene e locali, accelerando l’indebitamento di milioni di agricoltori e la loro separazione dalle terre che hanno tradizionalmente nutrito intere popolazioni, comunità e famiglie. Questa transizione aumenta la fame, i senza tetto, la disperazione ed i suicidi fra i contadini. Nel contempo degrada anche i processi su cui si basa la vita sul pianeta ed aumenta l’alienazione della gente dalla natura e dai legami storici, culturali e naturali degli agricoltori e di tutti gli altri con le fonti di cibo e sussistenza. Contribuisce, infine, a distruggere le basi economiche e culturali delle società, minaccia la sicurezza e la pace e crea un ambiente che favorisce la disintegrazione sociale e la violenza. Gli interventi tecnologici, venduti dalle multinazionali, come panacea per la soluzione di tutti i problemi di “inefficienza della produzione su piccola scala”, e presumibilmente come rimedio alla fame nel mondo, hanno avuto esattamente l’effetto opposto. Dalla Rivoluzione Verde, alla Rivoluzione Biotecnologica, all’attuale spinta all’irradiazione degli alimenti, le intrusioni della tecnologia industriale nei sistemi tradizionali e naturali di produzione locale hanno aumentato la vulnerabilità degli ecosistemi. Hanno prodotto l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo e stanno diffondendo un nuovo tipo di inquinamento genetico, da organismi geneticamente modificati. Queste tecnologie e monocolture sostenute e volute dalle multinazionali inaspriscono gravemente i cambiamenti climatici sul pianeta con la loro forte dipendenza dai carburanti fossili e l’emissione di gas nocivi ed altre sostanze. Quest’ultimo fenomeno da solo – il cambiamento del clima - rischia di mettere a repentaglio l’intero fondamento naturale delle produzioni agro-alimentari, ponendo le basi di conseguenze catastrofiche nel prossimo futuro. In più, se si contano i costi sociali ed ecologici e le immense sovvenzioni necessarie, i sistemi di agricoltura industriale non hanno certo aumentato l’efficienza della produzione. E non hanno nemmeno ridotto la fame: al contrario. Hanno comunque stimolato la crescita e concentrazione di pochi colossi multinazionali agrofinanziari che controllano la produzione globale, a danno dei produttori locali di alimenti, della disponibilità di cibo e della sua qualità, oltreché della capacità di comunità e nazioni di arrivare all’autosufficienza negli alimenti strategici. Le tendenze negative della seconda metà del secolo scorso sono state accelerate dai recenti regolamenti commerciali e finanziari redatti da burocrazie globali di istituzioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale ed il Codex Alimentarius, tra gli altri. Queste istituzioni hanno trasformato in leggi le politiche finalizzate a servire gli interessi delle multinazionali agricole facendo prevalere questi interessi su tutti gli altri, abolendo i diritti degli agricoltori e dei consumatori e riducendo in maniera drastica i poteri degli stati di regolamentare il commercio internazionale sulle loro frontiere, applicando le restrizioni adeguate alle proprie comunità. Per esempio, le norme dell’Accordo sui Diritti di Proprietà Intellettuale relativi al Commercio del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), hanno consentito alle multinazionali agricole di impadronirsi di gran parte delle risorse primarie di semi, alimenti e terreni agricoli a livello mondiale. La globalizzazione dei regimi di brevetto compiacenti con gli interessi delle multinazionali ha anche direttamente intaccato gli specialissimi diritti, originari e tradizionali, degli agricoltori, per esempio, di conservare i propri semi e proteggere le varietà indigene che le popolazioni rurali hanno sviluppato nei millenni. Altre norme del WTO incoraggiano, attraverso sovvenzioni statali, il dumping delle esportazioni di prodotti agricoli dai paesi industrializzati, aumentando dunque le immense difficoltà dei piccoli produttori agricoli dei paesi poveri a sopravvivere economicamente. L’esplosione del commercio a distanza di prodotti alimentari, generato dal sostegno alle produzioni per l’esportazione, ha un legame diretto con l’incremento del consumo di carburanti fossili per i trasporti, e contribuisce ulteriormente a cambiare il clima e ad espandere infrastrutture ecologicamente devastanti nelle aree indigene e naturali, con gravi conseguenze ambientali. L’intero processo di conversione dalla produzione alimentare su piccola scala per le comunità locali, alla produzione specializzata su larga scala per l’esportazione, ha portato anche al declino di tradizioni, culture, piaceri, e moltissime forme di collaborazione e convivialità, collegate per secoli ai circuiti locali di produzione e mercati comunitari. Ciò ha ristretto molto l’esperienza della produzione alimentare diretta e le gioie, a lungo celebrate, di condividere gli alimenti prodotti a livello locale su terre locali. Nonostante le considerazioni di cui sopra, c’è un numero crescente di motivi per essere ottimisti. Migliaia di nuove iniziative stanno fiorendo nel mondo per promuovere l’agricoltura ecologica, la difesa dei piccoli agricoltori, la produzione di alimenti sani, sicuri, culturalmente diversificati e la regionalizzazione della distribuzione, del commercio e della vendita. Una migliore agricoltura non solo è possibile ma si sta già realizzando. Per tutti questi motivi, ed altri ancora, dichiariamo la nostra ferma opposizione alla industrializzazione e globalizzazione della produzione alimentare ed il nostro impegno a sostenere il passaggio a tutte le alternative di produzioni sostenibili, appropriate alle specificità locali e su piccola scala in armonia con i principi che seguono. PRINCIPI PER IL PASSAGGIO A UN SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE ECOLOGICAMENTE E SOCIALMENTE SOSTENIBILE 1) Obbiettivo finale 2) Il cibo è un diritto umano 3) L’agricoltura decentrata è efficente e produttiva 4) Persone e non multinazionali nelle campagne 5) Sovranità alimentare 6) Applicazione del Principio di precauzione 7) Alcune tecnologie diminuiscono la sicurezza alimentare 8) Obbligo di proteggere la biodiversità e la salute dell’ecosistema 9) Diritto all’Identità Culturale e Indigena 10) Trattamento umano degli animali 11) Diritto di controllare ed godere del patrimonio di conoscenza
locale 12) Rapporto fondamentale tra Agricoltori e Ambiente 13) Diritto di conoscere e scegliere 14) Commercio volontario, equo e sostenibile 15) Divieto di brevetto o monopolio sugli esseri viventi 16) Parzialità del WTO, del Codex e altri a favore delle
multinazionali 17) Promozione del principio di sussidiarietà: parzialità
a favore delle realtà locali 18) Condizioni minime e non tetto massimo per gli standard di
sicurezza 19) Protezione dal Dumping commerciale 20) Cambiamenti compatibili 21) Adozione di questi principi Le parti che seguono illustrano esempi di attività positive in
corso, che applicano già alcuni di questi principi, e proposte
specifiche di nuove regole di governo commerciale in armonia con questi
obiettivi.
ALTERNATIVE GIA’ OPERATIVE ALL’AGRICOLTURA INDUSTRIALE In ogni continente, le comunità stanno richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica sugli effetti devastanti dei sistemi alimentari ed agricoli controllati dalle grandi imprese multinazionali, che hanno trasformato l’agricoltura in industria di estrazione ed il cibo in un grande rischio per la salute. Stanno emergendo movimenti – molti dei quali in più paesi e tra loro collegati – che ristabiliscono i legami storici tra cibo, agricoltura e valori collettivi. Questi movimenti riportano il cibo e la sua produzione a riprendere il giusto posto nella cultura e nella natura – dopo una devastante estraniazione che emerge come aberrazione dell’esperienza umana. Qui disponiamo soltanto dello spazio per accennare alla svolta che questi movimenti hanno apportato negli ultimi decenni. Il fatto che ben poche di queste novità sarebbe stato possibile prevederle dovrebbe far esitare chiunque sostiene che l’agricoltura industriale costituisce l’inevitabile futuro. Il cambiamento – un cambiamento molto rapido – è possibile. Per l’esattezza, è già in corso. Quelli che seguono sono alcuni esempi delle aree in cui le cose stanno rapidamente cambiando: Democratizzazione dell’accesso alla terra. Per tanto tempo si è riconosciuto che l’accesso alla terra della popolazione rurale povera del mondo fosse la chiave per porre fine alla fame e alla povertà, ma molti credevano che la riforma fosse politicamente impossibile. Questo accadeva in Brasile, dove meno del due percento dei proprietari terrieri possedeva metà del terreno coltivabile (la maggior parte del quale lasciato inutilizzato), dove anche piccole assemblee venivano proibite e i tentativi di cambiamento puniti con la violenza. Oggi, tuttavia, questo Paese è alla guida del processo di democratizzazione dell’accesso alla terra. Negli ultimi 20 anni, il Movimento dei Lavoratori senza Terra, definito con la sigla portoghese MST, ha contribuito all’insediamento di un quarto di milione di famiglie, già senza terra, su 8 milioni di ettari in quasi tutti gli stati del Brasile. Sfruttando una clausola della nuova costituzione che dà mandato al governo di ridistribuire le terre inutilizzate, l’MST si è servito della disobbedienza civile per far rispettare questo mandato. Le quasi 3000 nuove comunità che aderiscono al MST stanno creando
migliaia di nuove attività economiche e di scuole. I benefici della
riforma agraria possono essere misurati in termini di reddito annuale
dei nuovi coloni, che è pari a quasi quattro volte lo stipendio
minimo, mentre i braccianti senza terra percepiscono attualmente soltanto
il 70% dello stipendio minimo. La mortalità infantile tra le famiglie
destinatarie della riforma agraria è diminuita ad appena la metà
della media nazionale. Le stime di costo per la creazione di un posto
di lavoro nel settore commerciale in Brasile superano da due a venti volte
il costo che si dovrebbe sostenere per insediare una famiglia disoccupata
sulla terra con la riforma agraria. Il processo di democratizzazione per
garantire l’accesso alla terra funziona. Democratizzare l’accesso al credito. Per molto tempo i banchieri hanno sostenuto che i poveri rappresentano un rischio inaccettabile di insolvenza. Ma questa barriera sta per crollare. Vent’anni fa, in Bangladesh, la Grameen Bank ha messo a punto un sistema di credito rurale non basato sulla garanzia patrimoniale, ma sulla responsabilità congiunta di piccoli gruppi. Il programma di microcredito della Grameen Bank, destinato a 2,5 milioni di persone in villaggi rurali, per lo più donne, è stato adottato in 58 paesi. Con un tasso di restituzione del prestito di gran lunga superiore alle banche tradizionali, il processo di democratizzazione per garantire l’accesso alle risorse d’investimento si sta dimostrando possibile. Il ripristino del legame tra città e campagna, consumatore e produttore. In ogni continente sono in corso misure pratiche per rendere possibile la produzione locale per uso locale. Le campagne di “acquisto dei prodotti locali” affascinano i consumatori in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Un’importante innovazione è rappresentata dal movimento per un’agricoltura sostenuta dalla comunità (CSA), nel quale agricoltori e consumatori si collegano tra loro e condividono i rischi. I consumatori acquistano una “quota” all’inizio della stagione, che dà loro il diritto di usufruire dei frutti del lavoro degli agricoltori. I movimenti CSA sono nati a metà degli anni ’60 in Germania, Svizzera e Giappone. Diciassette anni fa, non vi era alcun CSA negli Stati Uniti; attualmente ce ne sono oltre 3000 che servono decine di migliaia di famiglie. L’esempio degli Stati Uniti ha contribuito ad ispirare un movimento CSA nel Regno Unito, che ha ottenuto il supporto del governo locale. Movimenti simili si sono sviluppati anche in Giappone ed altrove. Altre iniziative di crescente rilevanza sono i mercati dei produttori agricoli in città, aumentati del 79% nel corso degli ultimi otto anni soltanto negli Stati Uniti. Questi hanno permesso agli agricoltori locali di vendere i propri prodotti direttamente al pubblico senza necessità di ricorrere a costosi intermediari. Si stanno diffondendo anche orti familiari e scolastici – dagli orti “da cucina” in Kenya ai bambini che a scuola coltivano il proprio cibo. Il diritto ad un cibo di qualità diviene un diritto del cittadino Anche se 22 paesi hanno incastonato il diritto al cibo nella propria costituzione, Belo Horizonte, la quarta città in Brasile, fa di più. Nel 1993, il suo governo ha dichiarato che il cibo non è più soltanto un bene di consumo, ma un diritto del cittadino. Questo cambiamento non ha prodotto l’avvio di massicce distribuzioni di cibo, ma ha incentivato dozzine di iniziative innovative che hanno iniziato a porre fine alla fame. Appezzamenti di terreno coltivabile, di proprietà della città, sono ora disponibili a bassi costi di affitto agli agricoltori locali, purché questi a loro volta mantengano dei prezzi alla portata dei poveri; la città ridistribuisce i 13 cents forniti dal governo federale per il pasto di ogni bambino in età scolare dai prodotti industriali per destinarli all’acquisto dei prodotti biologici locali. Ciò si traduce in una migliore alimentazione. Per far sì che il mercato funzioni meglio, la città collabora con i ricercatori universitari che affiggono settimanalmente i prezzi più bassi di 45 prodotti alimentari base alle fermate degli autobus e li trasmettono via radio. Queste sono soltanto alcune delle iniziative, che utilizzano appena l’uno percento del bilancio comunale. Altri funzionari di città brasiliane si sono recati a Belo per studiare i provvedimenti adottati. L’agricoltura ecologica e biologica si sta diffondendo. L’agricoltura.biologica ed i terreni da pascolo sono in rapido aumento ed attualmente occupano 23 milioni di ettari certificati come biologici a livello mondiale, con in testa Australia, Argentina e Italia. I sostenitori dell’approccio industriale e chimico all’agricoltura sostengono che l’agricoltura organica non può funzionare, ma milioni di persone che praticano l’agricoltura sostenibile dimostrano che hanno torto. Una recente ricerca ha preso in esame oltre 200 progetti di agricoltura sostenibile in 52 paesi, comprendendo circa 30 milioni di ettari di terreno coltivabile e 9 milioni di famiglie rurali. Da quest’indagine, sponsorizzata da istituti universitari, è emerso che le pratiche sostenibili “possono condurre a sostanziali aumenti” della produzione. Alcuni produttori di base hanno realizzato guadagni per una percentuale pari al 150 percento utilizzando metodi di agricoltura sostenibile. Con costi che ovviamente sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli della produzione convenzionale, gli agricoltori biologici ottengono spesso maggiori profitti, anche nei rari casi in cui la “resa” è leggermente inferiore. (In generale, i rendimenti dell’agricoltura biologica si sono dimostrati maggiori se misurati “per unità di superficie”. I sistemi industriali prendono erroneamente come parametro di efficienza la resa per unità di lavoro, ma nei sistemi industriali la maggior parte del lavoro umano è sostituita da macchinari e sostanze chimiche, che fanno apparire come efficiente un sistema che in realtà non lo è. La distorsione dei risultati della produzione industriale è ancora più ingrandita dall’incapacità di definire i costi “esterni” [sovvenzionati] derivanti dal danno ambientale alla terra, al suolo ed alla salute dei cittadini). I governi forniscono sempre più sostegno diretto agli agricoltori biologici ed a quelli che si stanno convertendo all’agricoltura biologica, per far fronte alla domanda crescente dei consumatori a vantaggio dell’ambiente o per altri motivi. Nel 1987, la Danimarca è stato il primo paese ad introdurre questa forma di sostegno; subito dopo la Germania ha iniziato a finanziare la conversione all’agricoltura biologica. Nel 1996 tutti gli stati membri dell’UE (Unione Europea), tranne il Lussemburgo, avevano introdotto politiche di sostegno all’agricoltura biologica. La Regione Toscana, in Italia, ha preso una netta posizione nei confronti dell’introduzione delle sementi transgeniche, e sta assumendo un ruolo guida nelle politiche che promuovono le piccole aziende agricole, l’agricoltura ecologica ed il consumo locale. Austria e Svizzera hanno entrambe un 10% di produzione agricola biologica, mentre la Svezia ha una percentuale del 15%. Un Cantone Svizzero ha una quota del 50% di produzione biologica, ed il Ministro tedesco dell’Agricoltura ha scelto l’obiettivo del 20% entro il 2010. Protezione della biodiversità. A livello internazionale, la Convenzione per la Diversità Biologica
conta ora 187 contraenti e 168 firmatari. Il Protocollo di Cartagena sulla
Biosicurezza conta 48 contraenti ed è stato firmato da 103 stati.
Mentre le multinazionali hanno diffuso le monoculture di pochi semi commerciali,
ora transgenici, un movimento di cittadini diffuso in tutto il mondo,
che collabora con i governi sensibili, mostra come proteggere la diversità
dei semi. Campagne di educazione del cittadino, per esempio, condotte
da Greenpeace ed altri movimenti, hanno fondamentalmente limitato gli
OGM a quattro paesi, soprattutto del Nord America. Il Movimento Internazionale
Slow Food, al quale aderiscono ora 80.000 membri di 45 paesi, sta recuperando
con successo culture agroalimentari locali attraverso meccanismi di collaborazione,
educazione e assistenza tecnica a comunità rurali con l’obbiettivo
di valorizzare i prodotti alimentari che rappresentano la loro identità
(Progetto Praesidia e Fondazione Slow Food per la Biodiversità).
Il farro, tanto per fare un esempio, il cereale più antico, coltivato
in Italia fin dall’età del bronzo, ma soppiantato da cereali
più adatti all’attività commerciale su larga scala,
sta riguadagnando il favore dei consumatori. Allo stesso tempo, nel Sud
del mondo, crescono i movimenti delle popolazioni indigene a protezione
della biodiversità, in opposizione all’uso di semi transgenici
ed al rilascio di brevetti sugli esseri viventi. A Nayakrishi, in Bangladesh,
un movimento al quale aderiscono 50.000 agricoltori sta rivitalizzando
i raccolti tradizionali mettendo da parte, conservando e distribuendo
i semi che gli agricoltori riproducono diligentemente come base della
sicurezza alimentare della famiglia. In India, a Navdanya, un Progetto
della Fondazione per la Ricerca scientifica, tecnologica ed ecologica,
ha aiutato 100.000 agricoltori a tornare ai metodi tradizionali di agricoltura
biologica nei villaggi ora denominati “zone della libertà”.
La Fondazione e la sua rete hanno combattuto con successo i semi transgenici
ed il rilascio di brevetti su specie e varietà che incorporano
il sapere indigeno. In gran parte per gli sforzi compiuti dalla Fondazione,
i funzionari di Governo indiani hanno recentemente rifiutato di accettare
che il cotone Bt (biotecnologico) fosse venduto nel Punjab ed in altri
stati del Nord dopo che agricoltori dell’India del Sud erano stati
danneggiati dalla sua adozione.
Un movimento per il commercio equo, che si sta sviluppando su scala mondiale, dimostra che il sistema dominante non è quello del “libero commercio” e che un commercio equo è possibile. Il movimento per il commercio equo è nato in Europa negli anni ’80 ed ha preso piede in 47 paesi. Il sistema si riferisce a 12 prodotti – in misura maggiore il caffè, dal quale dipendono 20 milioni di famiglie. Il commercio equo stabilisce una soglia minima (attualmente 1,26 $) per il prezzo che i coltivatori di caffè percepiscono indipendentemente dalle fluttuazioni del mercato mondiale. Il marchio di “certificazione di commercio equo” attesta che il caffè soddisfa determinati requisiti, quale quello, per esempio, che è prodotto da piccoli coltivatori organizzati secondo un criterio democratico e perfettamente a conoscenza dei prezzi di mercato. Nel giro di quattro anni, negli Stati Uniti, la domanda di caffè del commercio equo si è quadruplicata raggiungendo 10 milioni di sterline. Il commercio equo a livello internazionale, seppur nel suo breve corso, è riuscito a ridistribuire 18 milioni di dollari a favore delle famiglie dei produttori. L’importanza del commercio equo non può essere sottovalutata in un’economia mondiale nella quale, in soli dieci anni, la quota del valore complessivo di caffè rimanente nei paesi produttori è diminuita, passando da un terzo ad un tredicesimo. Gli agricoltori fanno inoltre ricorso alle cooperative per ottenere redditi più equi. Le cooperative casearie in Italia offrono una vasta gamma di prodotti. Attualmente, in India, 75.000 cooperative di prodotti caseari costellano il paese, con 10 milioni di iscritti. Tra le principali imprese lattiero-casearie, le prime tre sono cooperative. Tra queste troviamo la Cooperativa dei Produttori di Latte del Kaira District, nata nel 1946 in risposta al monopolio della distribuzione e ad una distribuzione del valore prodotto svantaggiosa per i produttori. Analogamente, negli Stati Uniti, Organic Valley, lanciata soltanto 15 anni fa’ da un piccolo numero di agricoltori, conta attualmente 519 membri ed un fatturato di oltre 125 milioni di dollari. Nell’Autunno scorso, ai membri di Organic Valley in Wisconsin è stato corrisposto quasi il doppio del prezzo medio per il proprio latte. Responsabilizzare le società nei confronti della democrazia. Alcuni distretti scolastici degli Stati Uniti rifiutano l’invasione dei cibi prodotti industrialmente o dei fast food commerciali, causa di obesità infantile e di diabete in quel paese. In modo simile, varie località del mondo si oppongono alla mercificazione dell’acqua. La nuova agricoltura emergente - oltre il fondamentalismo del
mercato.
Il presente Paragrafo fornisce principi e suggerimenti specifici per apportare cambiamenti alle disposizioni dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), e far sì che le stesse siano in armonia con gli obiettivi della Commissione. Le attuali disposizioni commerciali del WTO hanno imposto la continua riduzione delle tariffe e barriere doganali a tutela dell’economia nazionale degli Stati Membri. Quest’apertura di confini si è tradotta in condizioni sociali ed economiche svantaggiose per la maggioranza, ma vantaggiose per le grandi imprese multinazionali. Per conseguire gli obiettivi della Commissione, chiediamo che queste regole del WTO siano sostituite da nuove regole, per raggiungere i seguenti obiettivi: 1) Autorizzare tariffe e quote sulle importazioni che promuovano il principio di sussidiarietà. Attualmente, la maggior parte delle disposizioni commerciali internazionali
favoriscono le produzioni per l’esportazione e le multinazionali
che ne controllano la produzione e il commercio. Nuove regole devono autorizzare
l’utilizzo delle tariffe commerciali e delle quote sulle importazioni
per regolare l’importazione dei prodotti alimentari che possono
essere prodotti localmente. Queste regole devono garantire il sostegno
alla produzione locale, l’autosufficienza e una reale sicurezza
alimentare. 2) Capovolgere le attuali disposizioni sulla Proprietà Intellettuale e sui Brevetti L’Organizzazione Mondiale per il Commercio tenta di imporre il modello statunitense della tutela dei diritti di proprietà intellettuale in tutti i paesi del mondo. Questo modello sostiene ampiamente il diritto delle multinazionali di imporre brevetti sulle piante medicinali, sui semi agricoli e su altri aspetti della biodiversità, anche nei casi in cui il materiale biologico è stato coltivato e sviluppato dalle popolazioni indigene o da comunità di agricoltori per millenni. Per tradizione, molte di queste comunità hanno considerato dette piante e detti semi come parte dei beni della comunità, non soggetto alla proprietà ed ai pagamenti imposti da imprese esterne. Queste disposizioni del WTO sulla proprietà intellettuale dovrebbero essere abbandonate per consentire il ripristino di regole che soddisfino le esigenze delle comunità locali e nazionali e la tutela delle innovazioni e delle conoscenze acquisite nel corso dei secoli, oltre che per far fronte alle crisi nel campo della salute dei cittadini. 3) Regionalizzare i Regolamenti e gli Standard alimentari Sotto il falso pretesto di provvedere alla sicurezza alimentare, molte disposizioni internazionali, quali l’Accordo del WTO per l’Applicazione degli Standard Sanitari e Fitosanitari (SPS) ed il Codex Alimentarius, hanno prescritto modalità di lavorazione industriale dei generi alimentari che agiscono direttamente contro i produttori artigianali e locali, favorendo i colossi industriali del settore alimentare. Tra le altre cose, queste modalità impongono l’irradiazione, la pastorizzazione o il confezionamento sottovuoto di alcuni prodotti caseari. Simili regole fanno lievitare i costi per i piccoli produttori e incidono negativamente anche sul gusto e qualità dei prodotti. Di fatto, le maggiori minacce alla sicurezza alimentare e alla salute pubblica non provengono dai piccoli produttori, bensì dalle grandi aziende agricole industriali e dai grandi distributori. Le loro pratiche hanno accelerato l’incidenza di patologie quali la salmonella, l’Escherichia Coli ed altri batteri nei generi alimentari, così come il Morbo della Mucca Pazza e l’Afta Epizootica. L’obiettivo primario dell’estensione di questi standard a livello globale consiste nell’apportare vantaggi alle imprese globali. Noi sosteniamo normative e standard di produzione alimentare locali, che permettano ad ogni paese di definire alti standard di sicurezza alimentare. 4) Consentire le organizzazioni di coordinamento dell’offerta e del commercio da parte dei produttori Attualmente non consentite dal WTO dal NAFTA (North Athlantic Free Trade Agreement –Trattato Nord Atlantico per il Libero Commercio), le regole sul controllo dell’offerta consentono agli agricoltori di negoziare i prezzi collettivi con gli acquirenti a livello nazionale e all’estero, per far sì che si percepisca un prezzo equo per i propri prodotti. Dopo meno di due anni dall’entrata in vigore del NAFTA, i prezzi interni dei cereali in Messico erano già diminuiti del 48% in seguito ad un enorme afflusso di cereali provenienti dagli Stati Uniti. Le Agenzie Governative per la regolamentazione dei prezzi, smantellate dal NAFTA, avrebbero consentito la stabilizzazione dei prezzi e dell’offerta per i produttori locali di cereali in Messico. Senza queste Agenzie, migliaia di agricoltori sono stati costretti a vendere i propri terreni. Le regole per il commercio dovranno permettere il ripristino di queste Agenzie. 5) Eliminare le sovvenzioni ed i pagamenti diretti alle Multinazionali Nonostante il WTO abbia abolito i sussidi diretti per la maggior parte dei piccoli agricoltori, esso continua a permettere le sovvenzioni alle esportazioni alle imprese dell’agroindustria multinazionale. Per esempio, l’Associazione Americana per gli Investimenti Privati d’oltreoceano, finanziata dai contribuenti degli Stati Uniti, fornisce un’assicurazione vitale alle società statunitensi che investono oltreoceano. Perfino i prestiti dell’IMF (International Monetary Fund – Fondo Monetario Internazionale) ai Paesi del Terzo Mondo sono stati incanalati in sovvenzioni alle esportazioni per le aziende agricole statunitensi. Queste sovvenzioni aiutano le società multinazionali a dominare le aziende più piccole, sia negli USA che all’estero. Tutte le politiche di sovvenzione delle esportazioni dovrebbero essere abolite. Ma i programmi che permettono ed incoraggiano i prestiti a basso interesse ai piccoli agricoltori, la creazione di banche del seme interne e meccanismi di emergenza per l’approvvigionamento dei generi alimentari dovrebbero essere invece permessi. 6) Riconoscere ed eliminare gli effetti negativi delle Regole di Accesso al Mercato stabilite dal WTO Le sovvenzioni alle esportazioni dal Nord ai paesi poveri hanno distrutto le comunità rurali del Sud e l’autosufficienza coi loro mezzi di sussistenza . Molte persone che attualmente lavorano, per esempio, per stipendi da fame presso la Nike o altri sottocontraenti globali, sono profughi di regioni agricole prima autosufficienti. Questo modello di produzione orientata alle esportazioni distrugge l’agricoltura tradizionale di base autosufficiente. La teoria prevalente, secondo la quale l’esportazione dei prodotti dal Sud al Nord è una via potenziale allo sviluppo, ignora l’inevitabilità di una dannosa competizione tra i paesi poveri per l’esportazione verso questi ricchi mercati, e lo stravolgimento delle priorità nazionali nel perseguimento della competitività delle esportazioni. Un altro elemento a svantaggio dei paesi poveri sono le cattive condizioni lavorative ed ambientali imposte dalle imprese che dominano il commercio globale di generi alimentari. Per capovolgere questa tendenza, le nazioni devono disporre di nuove regole internazionali per il commercio che consentano loro di ripristinare limiti e controlli sulle importazioni e sulle esportazioni. 7) Promuovere la Riforma agraria
Il fine ultimo delle disposizioni commerciali globali specificamente proposte e qui sotto riportate, consiste nel promuovere un sistema economico più sostenibile ed equo attraverso il rafforzamento del controllo democratico del commercio e lo stimolo ai sistemi alimentari ed agricoli, alle industrie ed ai servizi che apportano vantaggi alle comunità rurali, e provvedono alla diversificazione delle economie locali e nazionali. Barriere protettive dovrebbero essere introdotte per consentire alle nazioni di raggiungere la massima autosufficienza alimentare, ove possibile, e concentrare il commercio a lunga distanza sugli alimenti non disponibili a livello nazionale o regionale. Devono essere autorizzabili restrizioni quantitative, che limitano o
impongono controlli sulle esportazioni o importazioni attraverso quote
o divietii. Per i prodotti importati, si dovrebbe dare la preferenza ai
generi alimentari, ai prodotti e servizi destinati o/ provenienti da altri
stati che nel processo di produzione, distribuzione e commercio, rispettino
i diritti umani, trattino equamente i lavoratori e proteggano l’ambiente. Allo scopo di rafforzare il perseguimento dello sviluppo sostenibile, gli Stati dovrebbero selezionare cibo ed altri prodotti da importare sulla base del modo in cui sono prodotti. Le restrizioni al commercio devono contribuire a raggiungere una vasta gamma di obiettivi che sostengano ulteriormente lo sviluppo, ad esempio sanzioni contro la violazione dei diritti umani, tariffe per il mantenimento degli standard per il benessere ambientale, alimentare, relativo alla salute animale, l’applicazione di trattati per i diritti dell’ambiente e del lavoro. Tutte le leggi e tutte le regole internazionali, in materia di alimenti
e sicurezza alimentare, e tutti gli standard sociali dovrebbero essere
presi in considerazione come soglia minima per il governo dei rapporti
commerciali tra i Paesi. Qualsiasi paese con livelli più elevati
dovrebbe godere di una discriminazione positiva. I paesi più poveri,
per i quali gli standard minimi fossero attualmente troppo costosi, dovrebbero
ricevere un supporto finanziario per consentire loro di migliorare i propri
standard, ed una volta stabilita una possibile data per l’attuazione
di questi miglioramenti, godere di discriminazione positiva in termini
commerciali. I diritti per il rilascio di brevetti globali non devono scavalcare i diritti delle comunità indigene alle risorse genetiche e biologiche di cui sono depositarie. Per quanto attiene al cibo ed altri prodotti, dovrebbe essere possibile un tipo di brevetto in grado di coprire i costi di sviluppo e consentire ragionevoli margini di profitto, ma i diritti di brevetto dovrebbero avere un limite nel tempo e dovrebbero indennizzare totalmente i soggetti che avessero contribuito con l’apporto della propria conoscenza alla definizione dell’entità brevettata. Nessun singolo investitore può invocare meccanismi internazionali di applicazione della legge contrari alle regole nazionali. L’attuazione delle norme nazionali in materia di investimenti non dovrà essere vincolata dalle regole sul commercio, purché le prime migliorino le regole sociali ed ambientali interne e promuovano il progresso su questi aspetti nelle relazioni commerciali con l’esterno.
Vandana Shiva, Presidente Hanno partecipato alla redazione: |
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