A cura della Commissione Internazionale per il Futuro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura
Bozza: Manifesto sul futuro del cibo - (Revisione del 14/07/03)
San Rossore, Italia - 15 Luglio 2003
 
 

Parte Prima: Introduzione. Fallimento del modello agricolo industriale

Parte Seconda: Principi per il passaggio ad un sistema agricolo e alimentare ecologicamente e socialmente sostenibile

Parte Terza: Alternative già esistenti all’agricoltura industriale

Parte quarta: Regolamenti commerciali necessari per raggiungere gli obiettivi della commissione internazionale sul futuro del cibo e dell’agricoltura

Conclusioni: Sintesi degli Emendamenti alle Regole Commerciali per un mondo sostenibile e più equo

Parte Prima

INTRODUZIONE: FALLIMENTO DEL MODELLO AGRICOLO INDUSTRIALE

La spinta crescente verso l’industrializzazione e la globalizzazione del mondo agricolo e dell’approvvigionamento alimentare mette in pericolo il futuro dell’umanità e il mondo naturale. Efficienti sistemi agricoli costruiti dalle comunità indigene locali hanno alimentato gran parte del mondo per millenni, mantenendo l’integrità ecologica e continuano a farlo in molte parti del pianeta. Ma oggi vengono rapidamente sostituiti da sistemi di monocolture e tecnologie controllati dalle multinazionali e orientate alle esportazioni. Questi sistemi di gestione a distanza incidono negativamente sulla salute pubblica, sulla qualità alimentare e nutritiva, sulle forme tradizionali di sussistenza (sia agricole che artigianali) e sulle culture indigene e locali, accelerando l’indebitamento di milioni di agricoltori e la loro separazione dalle terre che hanno tradizionalmente nutrito intere popolazioni, comunità e famiglie. Questa transizione aumenta la fame, i senza tetto, la disperazione ed i suicidi fra i contadini. Nel contempo degrada anche i processi su cui si basa la vita sul pianeta ed aumenta l’alienazione della gente dalla natura e dai legami storici, culturali e naturali degli agricoltori e di tutti gli altri con le fonti di cibo e sussistenza. Contribuisce, infine, a distruggere le basi economiche e culturali delle società, minaccia la sicurezza e la pace e crea un ambiente che favorisce la disintegrazione sociale e la violenza.

Gli interventi tecnologici, venduti dalle multinazionali, come panacea per la soluzione di tutti i problemi di “inefficienza della produzione su piccola scala”, e presumibilmente come rimedio alla fame nel mondo, hanno avuto esattamente l’effetto opposto. Dalla Rivoluzione Verde, alla Rivoluzione Biotecnologica, all’attuale spinta all’irradiazione degli alimenti, le intrusioni della tecnologia industriale nei sistemi tradizionali e naturali di produzione locale hanno aumentato la vulnerabilità degli ecosistemi. Hanno prodotto l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo e stanno diffondendo un nuovo tipo di inquinamento genetico, da organismi geneticamente modificati. Queste tecnologie e monocolture sostenute e volute dalle multinazionali inaspriscono gravemente i cambiamenti climatici sul pianeta con la loro forte dipendenza dai carburanti fossili e l’emissione di gas nocivi ed altre sostanze. Quest’ultimo fenomeno da solo – il cambiamento del clima - rischia di mettere a repentaglio l’intero fondamento naturale delle produzioni agro-alimentari, ponendo le basi di conseguenze catastrofiche nel prossimo futuro. In più, se si contano i costi sociali ed ecologici e le immense sovvenzioni necessarie, i sistemi di agricoltura industriale non hanno certo aumentato l’efficienza della produzione. E non hanno nemmeno ridotto la fame: al contrario. Hanno comunque stimolato la crescita e concentrazione di pochi colossi multinazionali agrofinanziari che controllano la produzione globale, a danno dei produttori locali di alimenti, della disponibilità di cibo e della sua qualità, oltreché della capacità di comunità e nazioni di arrivare all’autosufficienza negli alimenti strategici.

Le tendenze negative della seconda metà del secolo scorso sono state accelerate dai recenti regolamenti commerciali e finanziari redatti da burocrazie globali di istituzioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale ed il Codex Alimentarius, tra gli altri. Queste istituzioni hanno trasformato in leggi le politiche finalizzate a servire gli interessi delle multinazionali agricole facendo prevalere questi interessi su tutti gli altri, abolendo i diritti degli agricoltori e dei consumatori e riducendo in maniera drastica i poteri degli stati di regolamentare il commercio internazionale sulle loro frontiere, applicando le restrizioni adeguate alle proprie comunità. Per esempio, le norme dell’Accordo sui Diritti di Proprietà Intellettuale relativi al Commercio del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), hanno consentito alle multinazionali agricole di impadronirsi di gran parte delle risorse primarie di semi, alimenti e terreni agricoli a livello mondiale. La globalizzazione dei regimi di brevetto compiacenti con gli interessi delle multinazionali ha anche direttamente intaccato gli specialissimi diritti, originari e tradizionali, degli agricoltori, per esempio, di conservare i propri semi e proteggere le varietà indigene che le popolazioni rurali hanno sviluppato nei millenni. Altre norme del WTO incoraggiano, attraverso sovvenzioni statali, il dumping delle esportazioni di prodotti agricoli dai paesi industrializzati, aumentando dunque le immense difficoltà dei piccoli produttori agricoli dei paesi poveri a sopravvivere economicamente. L’esplosione del commercio a distanza di prodotti alimentari, generato dal sostegno alle produzioni per l’esportazione, ha un legame diretto con l’incremento del consumo di carburanti fossili per i trasporti, e contribuisce ulteriormente a cambiare il clima e ad espandere infrastrutture ecologicamente devastanti nelle aree indigene e naturali, con gravi conseguenze ambientali.

L’intero processo di conversione dalla produzione alimentare su piccola scala per le comunità locali, alla produzione specializzata su larga scala per l’esportazione, ha portato anche al declino di tradizioni, culture, piaceri, e moltissime forme di collaborazione e convivialità, collegate per secoli ai circuiti locali di produzione e mercati comunitari. Ciò ha ristretto molto l’esperienza della produzione alimentare diretta e le gioie, a lungo celebrate, di condividere gli alimenti prodotti a livello locale su terre locali.

Nonostante le considerazioni di cui sopra, c’è un numero crescente di motivi per essere ottimisti. Migliaia di nuove iniziative stanno fiorendo nel mondo per promuovere l’agricoltura ecologica, la difesa dei piccoli agricoltori, la produzione di alimenti sani, sicuri, culturalmente diversificati e la regionalizzazione della distribuzione, del commercio e della vendita. Una migliore agricoltura non solo è possibile ma si sta già realizzando.

Per tutti questi motivi, ed altri ancora, dichiariamo la nostra ferma opposizione alla industrializzazione e globalizzazione della produzione alimentare ed il nostro impegno a sostenere il passaggio a tutte le alternative di produzioni sostenibili, appropriate alle specificità locali e su piccola scala in armonia con i principi che seguono.




Parte Seconda

PRINCIPI PER IL PASSAGGIO A UN SISTEMA AGRICOLO E ALIMENTARE ECOLOGICAMENTE E SOCIALMENTE SOSTENIBILE

1) Obbiettivo finale
La soluzione definitiva ai problemi sociali, economici ed ecologici sopra citati consiste nel passaggio ad un’agricoltura biologica ed ecologica più decentrata, democratica e cooperativa, non controllata dalle multinazionali e su piccola scala, così come praticata dalle comunità agricole tradizionali, dagli agroecologi e dalle popolazioni indigene per millenni. Queste comunità hanno esercitato un’agricoltura sostenibile basata sui principi della diversità, della sinergia e del riciclaggio. Tutte le norme e tutte le politiche ad ogni livello di governo dovrebbero essere orientate ad incoraggiare questo tipo di soluzioni e i cambiamenti in altri settori della società per accentuare la sostenibilità.

2) Il cibo è un diritto umano
Tutti gli esseri umani sul pianeta hanno il diritto fondamentale all’accesso e/o alla produzione di cibo in quantità sufficiente al sostentamento proprio e della comunità di cui fanno parte. Tutte le norme e politiche dovrebbero essere allineate nel riconoscimento di questo diritto fondamentale. Ogni governo – locale, regionale, nazionale ed internazionale - ha l’obbligo di garantire questo diritto, insieme a tutte le misure di sostegno necessarie ad esercitarlo. Esso non può essere negato in nome degli interessi del commercio internazionale o per qualsiasi altro motivo. Laddove gli enti locali non siano in grado di adempiere i propri obblighi, a causa di catastrofi naturali o altro, tutti gli altri paesi dovranno provvedere a fornire su richiesta tutto l’aiuto necessario.

3) L’agricoltura decentrata è efficente e produttiva
Rifiutiamo la nozione secondo la quale la globalizzazione dell’agricoltura tecnologica-industriale e l’omogeneizzazione delle aziende agricole porta a una maggiore efficienza rispetto alle forme di agricoltura locale diversificata e tradizionale profondamente radicata nelle identità locali. Né, tanto meno, l’agricoltura industriale può ridurre la fame nel mondo. Innumerevoli esperienze e studi dimostrano il contrario, perché il sistema della monocultura industriale allontana i contadini dalla propria terra, produce spaventosi costi esterni per l’ambiente e le comunità rurali e oltretutto è altamente vulnerabile agli attacchi parassitari ed una miriade di altri problemi. La maggior parte degli strumenti di rilevazione hanno dimostrato che le piccole aziende ad alta biodiversità sono produttive almeno quanto quelle industriali. Tutte le politiche, ad ogni livello, dovrebbero favorire le piccole aziende agricole ed i principi dell’agroecologia, onde aumentare la sicurezza alimentare e garantire economie rurali solide e vitali.



4) Persone e non multinazionali nelle campagne
Poiché la scomparsa dei piccoli proprietari contadini e il passaggio del controllo della terra nelle mani di grandi proprietari e di società multinazionali è una delle cause principali della fame e della miseria, sosteniamo tutte le misure in grado di aiutare le persone a rimanere o tornare alla propria terra. Laddove persone e comunità siano state spossessate delle terre a loro appartenute per tradizione e dell’abilità di produrre i propri alimenti, o vivere in modo autosufficiente, sosteniamo con forza una riforma agraria capace di far tornare la gente alla propria terra, e il rafforzamento della capacità delle comunità locali a controllare le condizioni della loro sussistenza.

5) Sovranità alimentare
Sosteniamo il principio fondamentale della sovranità alimentare a livello nazionale, regionale e comunitario. Tutti gli organismi e le comunità locali, nazionali e regionali hanno il fondamentale diritto e obbligo a proteggere, sostenere e supportare tutte le condizioni necessarie ad incoraggiare una produzione alimentare abbondante, sana, accessibile a tutti e tale da conservare la terra, l’acqua e l’integrità ecologica dei luoghi in cui viene prodotta, rispettando e sostenendo i mezzi di sussistenza dei produttori. Nessun organismo internazionale o impresa multinazionale ha il diritto di alterare questa priorità. E per nessun motivo un’organizzazione internazionale ha il diritto di pretendere che una nazione si faccia imporre delle importazioni contro il proprio volere.

6) Applicazione del Principio di precauzione
Tutti gli esseri umani hanno diritto al cibo sano e nutriente. Non si deve autorizzare nessuna nuova tecnologia nella produzione alimentare se non è provata la sua conformità con le regole locali di sicurezza, proprietà nutritive, salute e sostenibilità. Il principio di precauzione vige in ogni campo.

7) Alcune tecnologie diminuiscono la sicurezza alimentare
Alcune tecnologie, come l’ingegneria genetica, i pesticidi di sintesi, i fertilizzanti di sintesi, l’irradiazione dei prodotti alimentari, non sono compatibili con la sicurezza alimentare o ambientale. Queste tecnologie costituiscono una grave minaccia per la salute pubblica, hanno un impatto ambientale irreversibile e/o costituiscono una violazione del diritto intrinseco degli agricoltori di proteggere i propri campi e località dagli agenti inquinanti. Come tali, il loro uso non è compatibile con l’agricoltura sostenibile. Nessun organismo internazionale ha il diritto di emanare regolamenti che impongano ad un paese qualsiasi di accettare alle sue frontiere un prodotto alimentare o altri prodotti agricoli d’importazione, che siano stati manipolati con queste tecnologie, o che il paese stesso considera nocivi per la salute pubblica, per l’ambiente, l’agricoltura locale, le tradizioni culturali, o per qualsiasi altro motivo.



8) Obbligo di proteggere la biodiversità e la salute dell’ecosistema
Tutti i sistemi alimentari ed agricoli sono dipendenti dalla protezione del mondo naturale, con tutta la sua intatta biodiversità. Questa protezione deve essere una priorità per ogni governo e comunità. Le norme devono essere allineate a questo obiettivo, anche quando ciò comporta dei cambiamenti del diritto di proprietà e della dimensione delle aziende agricole. Nessuna ragione commerciale o di altro genere e valore può superare questo principio. I principi di riduzione delle “distanze alimentari” (dal campo al piatto), di aumento di produzione e consumo locale e regionale di alimenti, quello della riduzione di interventi industriali con alta presenza di tecnologia, derivano tutti dal più ampio obiettivo della salute ambientale e della vitalità dei sistemi naturali.

9) Diritto all’Identità Culturale e Indigena
L’agricoltura ed i sistemi tradizionali di produzione alimentare sono parte integrante dell’identità culturale ed indigena. In effetti, l’agrobiodiversità dipende in gran parte dalla diversità culturale. Tutte le comunità umane hanno diritto di mantenere, sviluppare ed arricchire la propria specifica identità culturale, secondo la forma e pratica tradizionale trasmessa di generazione in generazione. Nessun organismo internazionale o nazionale ha il diritto di alterare queste pratiche e valori o di cercare di cambiarli.

10) Trattamento umano degli animali
Le “fabbriche agricole” industrializzate e altri sistemi simili di produzione di carne di manzo, maiale, pollo o altri animali, sono noti per le condizioni disumane e le tragiche conseguenze ecologiche e di salute pubblica. La produzione su larga scala per l’esportazione aumenta l gravità dei problemi e comporta l’uso delle radiazioni ionizzanti e l’uso di antibiotici per tentare di bloccare i problemi intrinseci di malattia. Tutte queste pratiche devono essere bandite e tutti i regolamenti globali e nazionali che incentivano queste tecniche produttive devono essere attivamente combattuti a qualsiasi livello della società.

11) Diritto di controllare ed godere del patrimonio di conoscenza locale
Tutte le comunità, popolazioni indigene e realtà nazionali hanno il diritto e l’obbligo effettivo di mantenere la propria diversità biologica, il proprio patrimonio ereditario di conoscenze locali relative al cibo ed alla produzione alimentare ed godere dei benefici di questa diversità e conoscenza senza interventi esterni. Queste conoscenze sono la chiave per mantenere un’agricoltura sostenibile. Tutti i popoli hanno anche il diritto di definire i loro obiettivi di ricerca e sviluppo, utilizzando modelli locali. A nessun accordo globale sul commercio o sui diritti di proprietà intellettuale può essere consentito di pretendere che le comunità locali si adeguino a qualsiasi obbligo in queste materie, che non siano i propri. Nessun regolamento commerciale globale o nessuna multinazionale deve essere autorizzata a violare i diritti degli agricoltori e delle comunità locali ai propri semi indigeni, all’innovazione e conoscenza collettiva o a promuovere la “biopirateria”, vale a dire il furto delle conoscenze locali e della diversità genetica per fini commerciali. I diritti degli agricoltori di salvare, migliorare e scambiare i semi sono inalienabili.



12) Rapporto fondamentale tra Agricoltori e Ambiente
Riconosciamo, sosteniamo e celebriamo il ruolo dei piccoli agricoltori tradizionali ed indigeni come la fonte primaria della conoscenza e saggezza relativamente al giusto rapporto tra gli esseri umani, la terra e il sostentamento a lungo termine. La loro esperienza diretta delle varie sfumature dell’interazione tra piante, suolo, clima ed altre condizioni ed il loro rapporto cruciale con le loro comunità, devono essere salvaguardati, sostenuti e, ove necessario, ripristinati. Questo compito storico non deve più essere minacciato o interrotto dai grandi meccanismi delle imprese multinazionali gestiti da proprietà astratte e lontane dalla terra, che operano secondo modelli che ignorano le condizioni locali, sostituendole con formule dannose a “una dimensione” uguali per tutti.

13) Diritto di conoscere e scegliere
Tutti gli individui, tutte le comunità e tutte le realtà nazionali hanno il diritto fondamentale di disporre di ogni principale informazione sugli alimenti che consumano, i processi che li hanno prodotti e la loro origine. Ciò comporta il riconoscimento del diritto sovrano della gente di fare delle scelte informate sui rischi che intendono correre relativamente alla sicurezza e alla salute, sia in termini di benessere umano che di salute ambientale. Questi diritti si applicano particolarmente ai prodotti alimentari sottoposti ad interventi tecnici, quali i pesticidi, altre sostanze chimiche, le biotecnologie e l’irradiazione degli alimenti. Nessuna istituzione governativa o organismo internazionale, ha il diritto di nascondere informazioni o negare l’etichettatura obbligatoria o altre notizie su tutti i rischi, compresi quelli della malnutrizione. La negazione di questi diritti deve essere perseguita penalmente come un crimine.

14) Commercio volontario, equo e sostenibile
Sosteniamo le molte nuove iniziative commerciali di vario genere fra e nelle comunità, che non sono imposte dall’alto, ma giuste, sostenibili, reciprocamente vantaggiose per i consumatori e i produttori e con le quali le comunità volontariamente scambiano beni e servizi per liberi accordi tra le parti e sulla base dei loro modelli e criteri. Nessun organismo internazionale ha il diritto di pretendere che qualsiasi paese o comunità sia costretta a consentire investimenti o scambi commerciali attraverso le sue frontiere, o distruggere le priorità locali. Ogni occasione commerciale deve essere valutata solamente dalle parti interessate unicamente sulla base dei propri specifici meriti.

15) Divieto di brevetto o monopolio sugli esseri viventi
Ci opponiamo ai brevetti commerciali e/o ai monopoli sulle forme di vita. Tutte le leggi nazionali o internazionali che permettono queste pratiche costituiscono una violazione della dignità e “santità” di tutte le forme di vita, il principio di biodiversità, e della legittima eredità delle popolazioni indigene e degli agricoltori del mondo. Ciò vale per tutti gli esseri viventi vegetali, animali e umani.



16) Parzialità del WTO, del Codex e altri a favore delle multinazionali
Le parzialità tipiche degli organismi legislativi internazionali, come il WTO e il Codex Alimentarius, a favore delle produzioni agricole industriali, le monocolture su larga scala per l’esportazione, e le altre forme simili di produzione, è la causa diretta della dislocazione sociale, della devastazione ambientale e della concentrazione non democratica del potere nelle mani delle multinazionali globali a scapito delle comunità in ogni parte del mondo. Tutti questi regolamenti dovrebbero essere immediatamente abrogati e rovesciati a favore di sistemi sostenibili, produzioni e controlli locali sulla distribuzione. Se non consentono questi cambiamenti, gli organismi devono essere abbandonati in quanto distruttivi per i sistemi sostenibili. Gli organismi internazionali (come le Nazioni Unite) devono essere incoraggiate a creare nuovi sistemi legislativi che operino come efficaci strumenti internazionali “antitrust” o anti-multinazionali, nel tentativo di ridurre il dominio delle multinazionali ed i suoi effetti nocivi.

17) Promozione del principio di sussidiarietà: parzialità a favore delle realtà locali
Le tariffe doganali, le quote di importazioni ed altri strumenti con i quali i paesi tentano di aumentare la propria autosufficienza - molti dei quali sono stati resi illegali o annullati dalle burocrazie globali– devono essere ripristinati per aiutare ristabilire produzioni locali, un’autosufficienza locale e una sicurezza alimentare strategica . Si deve applicare il principio di sussidiarietà. Ogni volta che si possono ottenere produzioni locali da agricoltori locali, utilizzando le risorse locali per un consumo locale, tutte le norme ed gli aiuti devono favorire questa scelta. Il commercio continuerà ad esistere ma dovrebbe essere costituito soprattutto da generi di prima necessità che non possono essere prodotti localmente, o che hanno un fascino unico non disponibile a livello locale. Il commercio a distanza deve sempre essere un’opzione possibile, ma non la ragion d’essere del sistema. Una importante riduzione del commercio a distanza, soprattutto della distanza tra produttore alimentare e consumatore (distanza alimentare) , con la corrispondente riduzione dei danni sociali ed ecologici, è un obiettivo inderogabile.

18) Condizioni minime e non tetto massimo per gli standard di sicurezza
Tutte le leggi e normative in materia alimentare, stabilite dagli accordi bilaterali/multilaterali tra le nazioni, devono capovolgere le priorità del WTO definendo una base minima, piuttosto che un tetto massimo, per gli standard di sicurezza. Nessun organismo internazionale deve redigere regolamenti che impongano a qualsiasi nazione o comunità di abbassare i propri standard per motivi commerciali, o per qualsiasi altra ragione. Simili standards devono poter comprendere controlli sulle importazioni ed esportazioni, etichettature, certificazioni e altre materie. Qualsiasi paese o comunità, che abbia degli standard più alti di quelli concordati dagli organismi internazionali dovrebbe essere oggetto di discriminazione positiva in termini commerciali. I paesi più poveri, per i quali questi standard sono attualmente troppo costosi, dovrebbero ricevere gli aiuti finanziari necessari al miglioramento dei propri standard.

19) Protezione dal Dumping commerciale
Il diritto di regolamentare le importazioni per impedire il dumping, proteggere gli agricoltori locali, garantire un equo profitto al lavoro dei campi e contribuire alla sicurezza alimentare, è una parte fondamentale delle regole per un commercio giusto ed equo. Ciò capovolge le precedenti regole del WTO che consentono ed incoraggiano il dumping da parte delle grandi nazioni.



20) Cambiamenti compatibili
Riconosciamo che i tipi di riforma suggeriti sopra possono essere raggiunti più velocemente come parte di un ventaglio più ampio di cambiamenti nelle concezioni prevalenti nel mondo e nelle pratiche sistemiche, in modo che i sistemi ecologicamente e socialmente sostenibili possano avere la priorità sugli interessi delle multinazionali. Può essere necessario apportare cambiamenti compatibili anche ad altri sistemi operativi della società, dal globale al regionale, dal multinazionale al comunitario. I sistemi energetici, di trasporto e produzione, per esempio, devono essere analizzati e riformati contemporaneamente al recupero in agricoltura della scala ridotta, localmente realizzabile. E tutto ciò deve avvenire nel contesto dei principi di sussidiarietà che riportano il potere politico dal globale verso il governo locale e regionale appropriato .

21) Adozione di questi principi
Invitiamo con urgenza tutte le comunità, i comuni, le contee, le province, gli stati, le nazioni e le organizzazioni internazionali ad adottare i principi sopra elencati ed a collaborare per una loro attuazione.

Le parti che seguono illustrano esempi di attività positive in corso, che applicano già alcuni di questi principi, e proposte specifiche di nuove regole di governo commerciale in armonia con questi obiettivi.

 

Parte Terza

ALTERNATIVE GIA’ OPERATIVE ALL’AGRICOLTURA INDUSTRIALE

In ogni continente, le comunità stanno richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica sugli effetti devastanti dei sistemi alimentari ed agricoli controllati dalle grandi imprese multinazionali, che hanno trasformato l’agricoltura in industria di estrazione ed il cibo in un grande rischio per la salute. Stanno emergendo movimenti – molti dei quali in più paesi e tra loro collegati – che ristabiliscono i legami storici tra cibo, agricoltura e valori collettivi. Questi movimenti riportano il cibo e la sua produzione a riprendere il giusto posto nella cultura e nella natura – dopo una devastante estraniazione che emerge come aberrazione dell’esperienza umana.

Qui disponiamo soltanto dello spazio per accennare alla svolta che questi movimenti hanno apportato negli ultimi decenni. Il fatto che ben poche di queste novità sarebbe stato possibile prevederle dovrebbe far esitare chiunque sostiene che l’agricoltura industriale costituisce l’inevitabile futuro. Il cambiamento – un cambiamento molto rapido – è possibile. Per l’esattezza, è già in corso. Quelli che seguono sono alcuni esempi delle aree in cui le cose stanno rapidamente cambiando:

Democratizzazione dell’accesso alla terra.

Per tanto tempo si è riconosciuto che l’accesso alla terra della popolazione rurale povera del mondo fosse la chiave per porre fine alla fame e alla povertà, ma molti credevano che la riforma fosse politicamente impossibile. Questo accadeva in Brasile, dove meno del due percento dei proprietari terrieri possedeva metà del terreno coltivabile (la maggior parte del quale lasciato inutilizzato), dove anche piccole assemblee venivano proibite e i tentativi di cambiamento puniti con la violenza. Oggi, tuttavia, questo Paese è alla guida del processo di democratizzazione dell’accesso alla terra. Negli ultimi 20 anni, il Movimento dei Lavoratori senza Terra, definito con la sigla portoghese MST, ha contribuito all’insediamento di un quarto di milione di famiglie, già senza terra, su 8 milioni di ettari in quasi tutti gli stati del Brasile. Sfruttando una clausola della nuova costituzione che dà mandato al governo di ridistribuire le terre inutilizzate, l’MST si è servito della disobbedienza civile per far rispettare questo mandato.

Le quasi 3000 nuove comunità che aderiscono al MST stanno creando migliaia di nuove attività economiche e di scuole. I benefici della riforma agraria possono essere misurati in termini di reddito annuale dei nuovi coloni, che è pari a quasi quattro volte lo stipendio minimo, mentre i braccianti senza terra percepiscono attualmente soltanto il 70% dello stipendio minimo. La mortalità infantile tra le famiglie destinatarie della riforma agraria è diminuita ad appena la metà della media nazionale. Le stime di costo per la creazione di un posto di lavoro nel settore commerciale in Brasile superano da due a venti volte il costo che si dovrebbe sostenere per insediare una famiglia disoccupata sulla terra con la riforma agraria. Il processo di democratizzazione per garantire l’accesso alla terra funziona.
Per assicurare la vitalità a lungo termine delle riforme agrarie in contesti sia del Nord che del Sud, la riforma agraria può essere utilmente accompagnata da programmi di educazione alle pratiche agricole sostenibili.



Democratizzare l’accesso al credito.

Per molto tempo i banchieri hanno sostenuto che i poveri rappresentano un rischio inaccettabile di insolvenza. Ma questa barriera sta per crollare. Vent’anni fa, in Bangladesh, la Grameen Bank ha messo a punto un sistema di credito rurale non basato sulla garanzia patrimoniale, ma sulla responsabilità congiunta di piccoli gruppi. Il programma di microcredito della Grameen Bank, destinato a 2,5 milioni di persone in villaggi rurali, per lo più donne, è stato adottato in 58 paesi. Con un tasso di restituzione del prestito di gran lunga superiore alle banche tradizionali, il processo di democratizzazione per garantire l’accesso alle risorse d’investimento si sta dimostrando possibile.

Il ripristino del legame tra città e campagna, consumatore e produttore.

In ogni continente sono in corso misure pratiche per rendere possibile la produzione locale per uso locale. Le campagne di “acquisto dei prodotti locali” affascinano i consumatori in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Un’importante innovazione è rappresentata dal movimento per un’agricoltura sostenuta dalla comunità (CSA), nel quale agricoltori e consumatori si collegano tra loro e condividono i rischi. I consumatori acquistano una “quota” all’inizio della stagione, che dà loro il diritto di usufruire dei frutti del lavoro degli agricoltori. I movimenti CSA sono nati a metà degli anni ’60 in Germania, Svizzera e Giappone. Diciassette anni fa, non vi era alcun CSA negli Stati Uniti; attualmente ce ne sono oltre 3000 che servono decine di migliaia di famiglie. L’esempio degli Stati Uniti ha contribuito ad ispirare un movimento CSA nel Regno Unito, che ha ottenuto il supporto del governo locale. Movimenti simili si sono sviluppati anche in Giappone ed altrove.

Altre iniziative di crescente rilevanza sono i mercati dei produttori agricoli in città, aumentati del 79% nel corso degli ultimi otto anni soltanto negli Stati Uniti. Questi hanno permesso agli agricoltori locali di vendere i propri prodotti direttamente al pubblico senza necessità di ricorrere a costosi intermediari. Si stanno diffondendo anche orti familiari e scolastici – dagli orti “da cucina” in Kenya ai bambini che a scuola coltivano il proprio cibo.

Il diritto ad un cibo di qualità diviene un diritto del cittadino

Anche se 22 paesi hanno incastonato il diritto al cibo nella propria costituzione, Belo Horizonte, la quarta città in Brasile, fa di più. Nel 1993, il suo governo ha dichiarato che il cibo non è più soltanto un bene di consumo, ma un diritto del cittadino. Questo cambiamento non ha prodotto l’avvio di massicce distribuzioni di cibo, ma ha incentivato dozzine di iniziative innovative che hanno iniziato a porre fine alla fame. Appezzamenti di terreno coltivabile, di proprietà della città, sono ora disponibili a bassi costi di affitto agli agricoltori locali, purché questi a loro volta mantengano dei prezzi alla portata dei poveri; la città ridistribuisce i 13 cents forniti dal governo federale per il pasto di ogni bambino in età scolare dai prodotti industriali per destinarli all’acquisto dei prodotti biologici locali. Ciò si traduce in una migliore alimentazione. Per far sì che il mercato funzioni meglio, la città collabora con i ricercatori universitari che affiggono settimanalmente i prezzi più bassi di 45 prodotti alimentari base alle fermate degli autobus e li trasmettono via radio. Queste sono soltanto alcune delle iniziative, che utilizzano appena l’uno percento del bilancio comunale. Altri funzionari di città brasiliane si sono recati a Belo per studiare i provvedimenti adottati.



L’agricoltura ecologica e biologica si sta diffondendo.

L’agricoltura.biologica ed i terreni da pascolo sono in rapido aumento ed attualmente occupano 23 milioni di ettari certificati come biologici a livello mondiale, con in testa Australia, Argentina e Italia. I sostenitori dell’approccio industriale e chimico all’agricoltura sostengono che l’agricoltura organica non può funzionare, ma milioni di persone che praticano l’agricoltura sostenibile dimostrano che hanno torto. Una recente ricerca ha preso in esame oltre 200 progetti di agricoltura sostenibile in 52 paesi, comprendendo circa 30 milioni di ettari di terreno coltivabile e 9 milioni di famiglie rurali. Da quest’indagine, sponsorizzata da istituti universitari, è emerso che le pratiche sostenibili “possono condurre a sostanziali aumenti” della produzione. Alcuni produttori di base hanno realizzato guadagni per una percentuale pari al 150 percento utilizzando metodi di agricoltura sostenibile. Con costi che ovviamente sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli della produzione convenzionale, gli agricoltori biologici ottengono spesso maggiori profitti, anche nei rari casi in cui la “resa” è leggermente inferiore.

(In generale, i rendimenti dell’agricoltura biologica si sono dimostrati maggiori se misurati “per unità di superficie”. I sistemi industriali prendono erroneamente come parametro di efficienza la resa per unità di lavoro, ma nei sistemi industriali la maggior parte del lavoro umano è sostituita da macchinari e sostanze chimiche, che fanno apparire come efficiente un sistema che in realtà non lo è. La distorsione dei risultati della produzione industriale è ancora più ingrandita dall’incapacità di definire i costi “esterni” [sovvenzionati] derivanti dal danno ambientale alla terra, al suolo ed alla salute dei cittadini).

I governi forniscono sempre più sostegno diretto agli agricoltori biologici ed a quelli che si stanno convertendo all’agricoltura biologica, per far fronte alla domanda crescente dei consumatori a vantaggio dell’ambiente o per altri motivi.

Nel 1987, la Danimarca è stato il primo paese ad introdurre questa forma di sostegno; subito dopo la Germania ha iniziato a finanziare la conversione all’agricoltura biologica. Nel 1996 tutti gli stati membri dell’UE (Unione Europea), tranne il Lussemburgo, avevano introdotto politiche di sostegno all’agricoltura biologica. La Regione Toscana, in Italia, ha preso una netta posizione nei confronti dell’introduzione delle sementi transgeniche, e sta assumendo un ruolo guida nelle politiche che promuovono le piccole aziende agricole, l’agricoltura ecologica ed il consumo locale. Austria e Svizzera hanno entrambe un 10% di produzione agricola biologica, mentre la Svezia ha una percentuale del 15%. Un Cantone Svizzero ha una quota del 50% di produzione biologica, ed il Ministro tedesco dell’Agricoltura ha scelto l’obiettivo del 20% entro il 2010.



Protezione della biodiversità.

A livello internazionale, la Convenzione per la Diversità Biologica conta ora 187 contraenti e 168 firmatari. Il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza conta 48 contraenti ed è stato firmato da 103 stati. Mentre le multinazionali hanno diffuso le monoculture di pochi semi commerciali, ora transgenici, un movimento di cittadini diffuso in tutto il mondo, che collabora con i governi sensibili, mostra come proteggere la diversità dei semi. Campagne di educazione del cittadino, per esempio, condotte da Greenpeace ed altri movimenti, hanno fondamentalmente limitato gli OGM a quattro paesi, soprattutto del Nord America. Il Movimento Internazionale Slow Food, al quale aderiscono ora 80.000 membri di 45 paesi, sta recuperando con successo culture agroalimentari locali attraverso meccanismi di collaborazione, educazione e assistenza tecnica a comunità rurali con l’obbiettivo di valorizzare i prodotti alimentari che rappresentano la loro identità (Progetto Praesidia e Fondazione Slow Food per la Biodiversità). Il farro, tanto per fare un esempio, il cereale più antico, coltivato in Italia fin dall’età del bronzo, ma soppiantato da cereali più adatti all’attività commerciale su larga scala, sta riguadagnando il favore dei consumatori. Allo stesso tempo, nel Sud del mondo, crescono i movimenti delle popolazioni indigene a protezione della biodiversità, in opposizione all’uso di semi transgenici ed al rilascio di brevetti sugli esseri viventi. A Nayakrishi, in Bangladesh, un movimento al quale aderiscono 50.000 agricoltori sta rivitalizzando i raccolti tradizionali mettendo da parte, conservando e distribuendo i semi che gli agricoltori riproducono diligentemente come base della sicurezza alimentare della famiglia. In India, a Navdanya, un Progetto della Fondazione per la Ricerca scientifica, tecnologica ed ecologica, ha aiutato 100.000 agricoltori a tornare ai metodi tradizionali di agricoltura biologica nei villaggi ora denominati “zone della libertà”. La Fondazione e la sua rete hanno combattuto con successo i semi transgenici ed il rilascio di brevetti su specie e varietà che incorporano il sapere indigeno. In gran parte per gli sforzi compiuti dalla Fondazione, i funzionari di Governo indiani hanno recentemente rifiutato di accettare che il cotone Bt (biotecnologico) fosse venduto nel Punjab ed in altri stati del Nord dopo che agricoltori dell’India del Sud erano stati danneggiati dalla sua adozione.


Garantire prezzi equi per i produttori.

Un movimento per il commercio equo, che si sta sviluppando su scala mondiale, dimostra che il sistema dominante non è quello del “libero commercio” e che un commercio equo è possibile.

Il movimento per il commercio equo è nato in Europa negli anni ’80 ed ha preso piede in 47 paesi. Il sistema si riferisce a 12 prodotti – in misura maggiore il caffè, dal quale dipendono 20 milioni di famiglie. Il commercio equo stabilisce una soglia minima (attualmente 1,26 $) per il prezzo che i coltivatori di caffè percepiscono indipendentemente dalle fluttuazioni del mercato mondiale. Il marchio di “certificazione di commercio equo” attesta che il caffè soddisfa determinati requisiti, quale quello, per esempio, che è prodotto da piccoli coltivatori organizzati secondo un criterio democratico e perfettamente a conoscenza dei prezzi di mercato. Nel giro di quattro anni, negli Stati Uniti, la domanda di caffè del commercio equo si è quadruplicata raggiungendo 10 milioni di sterline. Il commercio equo a livello internazionale, seppur nel suo breve corso, è riuscito a ridistribuire 18 milioni di dollari a favore delle famiglie dei produttori. L’importanza del commercio equo non può essere sottovalutata in un’economia mondiale nella quale, in soli dieci anni, la quota del valore complessivo di caffè rimanente nei paesi produttori è diminuita, passando da un terzo ad un tredicesimo.

Gli agricoltori fanno inoltre ricorso alle cooperative per ottenere redditi più equi. Le cooperative casearie in Italia offrono una vasta gamma di prodotti. Attualmente, in India, 75.000 cooperative di prodotti caseari costellano il paese, con 10 milioni di iscritti. Tra le principali imprese lattiero-casearie, le prime tre sono cooperative. Tra queste troviamo la Cooperativa dei Produttori di Latte del Kaira District, nata nel 1946 in risposta al monopolio della distribuzione e ad una distribuzione del valore prodotto svantaggiosa per i produttori. Analogamente, negli Stati Uniti, Organic Valley, lanciata soltanto 15 anni fa’ da un piccolo numero di agricoltori, conta attualmente 519 membri ed un fatturato di oltre 125 milioni di dollari. Nell’Autunno scorso, ai membri di Organic Valley in Wisconsin è stato corrisposto quasi il doppio del prezzo medio per il proprio latte.

Responsabilizzare le società nei confronti della democrazia.

Attualmente, i cittadini di tutto il mondo riconoscono che le grandi multinazionali, che dispongono di risorse superiori alla maggior parte dei governi, funzionano essenzialmente come organi pubblici non eletti. E’ necessario che esse siano poste sotto il controllo di un governo democratico, ed esistono importanti tendenze in questa direzione. Per fare un esempio, la maggior parte dei governi del mondo si è opposta alla commercializzazione dei semi geneticamente modificati. Perfino negli Stati Uniti, in cui il peso delle grandi imprese è molto forte, nove stati, e due distretti della Pennsylvania, vietano alle aziende non familiari di possedere aziende agricole o occuparsi di agricoltura. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, sta nascendo un movimento che si oppone al concetto di “corporate personhood” (personalità d’impresa), che ha permesso di conferire alle multinazionali diritti costituzionali prevalenti su quelli individuali e collettivi. Sensibilizzati dagli spaventosi effetti dell’attività di produzione su larga scala di suini, due municipalità della Pennsylvania, USA, hanno emanato ordinanze che negano alle imprese una simile tutela costituzionale.

Alcuni distretti scolastici degli Stati Uniti rifiutano l’invasione dei cibi prodotti industrialmente o dei fast food commerciali, causa di obesità infantile e di diabete in quel paese. In modo simile, varie località del mondo si oppongono alla mercificazione dell’acqua.

La nuova agricoltura emergente - oltre il fondamentalismo del mercato.

Tutti questi diversi cambiamenti, tra loro collegati, puntano oltre il “fondamentalismo del mercato”, a sviluppare il concetto secondo cui tutti gli aspetti della vita non dovrebbero essere subordinati alle considerazioni di mercato globale ed agli interessi delle multinazionali. Al loro posto propongono un più aperto percorso democratico: non fanno riferimento ad un nuovo dogma, bensì a quello che molti definiscono “democrazia vivente”, a significare che si deve tener conto del benessere di tutti gli esseri viventi. La democrazia attiva, rispettosa delle peculiarità di luogo e cultura, presuppone l’impegno dei cittadini nella ricerca di soluzioni comuni e nella disponibilità a cambiare sulla base delle lezioni apprese.



Parte quarta


REGOLAMENTI COMMERCIALI NECESSARI PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI DELLA COMMISSIONE SUL FUTURO DEL CIBO

Il presente Paragrafo fornisce principi e suggerimenti specifici per apportare cambiamenti alle disposizioni dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), e far sì che le stesse siano in armonia con gli obiettivi della Commissione.

Le attuali disposizioni commerciali del WTO hanno imposto la continua riduzione delle tariffe e barriere doganali a tutela dell’economia nazionale degli Stati Membri. Quest’apertura di confini si è tradotta in condizioni sociali ed economiche svantaggiose per la maggioranza, ma vantaggiose per le grandi imprese multinazionali. Per conseguire gli obiettivi della Commissione, chiediamo che queste regole del WTO siano sostituite da nuove regole, per raggiungere i seguenti obiettivi:

1) Autorizzare tariffe e quote sulle importazioni che promuovano il principio di sussidiarietà.

Attualmente, la maggior parte delle disposizioni commerciali internazionali favoriscono le produzioni per l’esportazione e le multinazionali che ne controllano la produzione e il commercio. Nuove regole devono autorizzare l’utilizzo delle tariffe commerciali e delle quote sulle importazioni per regolare l’importazione dei prodotti alimentari che possono essere prodotti localmente. Queste regole devono garantire il sostegno alla produzione locale, l’autosufficienza e una reale sicurezza alimentare.
Ciò significa applicare il principio di sussidiarietà: qualora la produzione può essere raggiunta da produttori locali, con risorse locali per un consumo locale, tutte le norme e i benefici dovrebbero favorire detta opzione, riducendo così la distanza tra produzione e consumo. Ciò non per suggerire che non dovrebbe esistere un commercio internazionale di generi alimentari. Piuttosto, che il commercio dovrebbe limitarsi all’approvvigionamento dei beni non disponibili a livello locale, invece che contare sulle esportazioni come forza trainante della produzione e distribuzione.

2) Capovolgere le attuali disposizioni sulla Proprietà Intellettuale e sui Brevetti

L’Organizzazione Mondiale per il Commercio tenta di imporre il modello statunitense della tutela dei diritti di proprietà intellettuale in tutti i paesi del mondo. Questo modello sostiene ampiamente il diritto delle multinazionali di imporre brevetti sulle piante medicinali, sui semi agricoli e su altri aspetti della biodiversità, anche nei casi in cui il materiale biologico è stato coltivato e sviluppato dalle popolazioni indigene o da comunità di agricoltori per millenni. Per tradizione, molte di queste comunità hanno considerato dette piante e detti semi come parte dei beni della comunità, non soggetto alla proprietà ed ai pagamenti imposti da imprese esterne.

Queste disposizioni del WTO sulla proprietà intellettuale dovrebbero essere abbandonate per consentire il ripristino di regole che soddisfino le esigenze delle comunità locali e nazionali e la tutela delle innovazioni e delle conoscenze acquisite nel corso dei secoli, oltre che per far fronte alle crisi nel campo della salute dei cittadini.

3) Regionalizzare i Regolamenti e gli Standard alimentari

Sotto il falso pretesto di provvedere alla sicurezza alimentare, molte disposizioni internazionali, quali l’Accordo del WTO per l’Applicazione degli Standard Sanitari e Fitosanitari (SPS) ed il Codex Alimentarius, hanno prescritto modalità di lavorazione industriale dei generi alimentari che agiscono direttamente contro i produttori artigianali e locali, favorendo i colossi industriali del settore alimentare. Tra le altre cose, queste modalità impongono l’irradiazione, la pastorizzazione o il confezionamento sottovuoto di alcuni prodotti caseari.

Simili regole fanno lievitare i costi per i piccoli produttori e incidono negativamente anche sul gusto e qualità dei prodotti. Di fatto, le maggiori minacce alla sicurezza alimentare e alla salute pubblica non provengono dai piccoli produttori, bensì dalle grandi aziende agricole industriali e dai grandi distributori. Le loro pratiche hanno accelerato l’incidenza di patologie quali la salmonella, l’Escherichia Coli ed altri batteri nei generi alimentari, così come il Morbo della Mucca Pazza e l’Afta Epizootica. L’obiettivo primario dell’estensione di questi standard a livello globale consiste nell’apportare vantaggi alle imprese globali. Noi sosteniamo normative e standard di produzione alimentare locali, che permettano ad ogni paese di definire alti standard di sicurezza alimentare.

4) Consentire le organizzazioni di coordinamento dell’offerta e del commercio da parte dei produttori

Attualmente non consentite dal WTO dal NAFTA (North Athlantic Free Trade Agreement –Trattato Nord Atlantico per il Libero Commercio), le regole sul controllo dell’offerta consentono agli agricoltori di negoziare i prezzi collettivi con gli acquirenti a livello nazionale e all’estero, per far sì che si percepisca un prezzo equo per i propri prodotti. Dopo meno di due anni dall’entrata in vigore del NAFTA, i prezzi interni dei cereali in Messico erano già diminuiti del 48% in seguito ad un enorme afflusso di cereali provenienti dagli Stati Uniti. Le Agenzie Governative per la regolamentazione dei prezzi, smantellate dal NAFTA, avrebbero consentito la stabilizzazione dei prezzi e dell’offerta per i produttori locali di cereali in Messico. Senza queste Agenzie, migliaia di agricoltori sono stati costretti a vendere i propri terreni. Le regole per il commercio dovranno permettere il ripristino di queste Agenzie.

5) Eliminare le sovvenzioni ed i pagamenti diretti alle Multinazionali

Nonostante il WTO abbia abolito i sussidi diretti per la maggior parte dei piccoli agricoltori, esso continua a permettere le sovvenzioni alle esportazioni alle imprese dell’agroindustria multinazionale. Per esempio, l’Associazione Americana per gli Investimenti Privati d’oltreoceano, finanziata dai contribuenti degli Stati Uniti, fornisce un’assicurazione vitale alle società statunitensi che investono oltreoceano. Perfino i prestiti dell’IMF (International Monetary Fund – Fondo Monetario Internazionale) ai Paesi del Terzo Mondo sono stati incanalati in sovvenzioni alle esportazioni per le aziende agricole statunitensi. Queste sovvenzioni aiutano le società multinazionali a dominare le aziende più piccole, sia negli USA che all’estero. Tutte le politiche di sovvenzione delle esportazioni dovrebbero essere abolite. Ma i programmi che permettono ed incoraggiano i prestiti a basso interesse ai piccoli agricoltori, la creazione di banche del seme interne e meccanismi di emergenza per l’approvvigionamento dei generi alimentari dovrebbero essere invece permessi.

6) Riconoscere ed eliminare gli effetti negativi delle Regole di Accesso al Mercato stabilite dal WTO

Le sovvenzioni alle esportazioni dal Nord ai paesi poveri hanno distrutto le comunità rurali del Sud e l’autosufficienza coi loro mezzi di sussistenza . Molte persone che attualmente lavorano, per esempio, per stipendi da fame presso la Nike o altri sottocontraenti globali, sono profughi di regioni agricole prima autosufficienti.

Questo modello di produzione orientata alle esportazioni distrugge l’agricoltura tradizionale di base autosufficiente. La teoria prevalente, secondo la quale l’esportazione dei prodotti dal Sud al Nord è una via potenziale allo sviluppo, ignora l’inevitabilità di una dannosa competizione tra i paesi poveri per l’esportazione verso questi ricchi mercati, e lo stravolgimento delle priorità nazionali nel perseguimento della competitività delle esportazioni. Un altro elemento a svantaggio dei paesi poveri sono le cattive condizioni lavorative ed ambientali imposte dalle imprese che dominano il commercio globale di generi alimentari. Per capovolgere questa tendenza, le nazioni devono disporre di nuove regole internazionali per il commercio che consentano loro di ripristinare limiti e controlli sulle importazioni e sulle esportazioni.

7) Promuovere la Riforma agraria


Anche se si tratta essenzialmente di una decisione interna, affinché i suddetti cambiamenti nelle regole sul commercio apportino vantaggi alla maggior parte delle persone di una regione, la ridistribuzione della terra alle famiglie rurali povere e senza terra deve essere una priorità. E’ stato dimostrato varie volte che questo è un efficace strumento per il miglioramento del benessere rurale in Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Cina. Molte ricerche dimostrano inoltre che i piccoli coltivatori sono più produttivi ed efficienti, e contribuiscono più delle grandi aziende allo sviluppo regionale. Garantita loro la sicurezza della proprietà, i piccoli agricoltori possono anche essere di gran lunga migliori amministratori delle risorse naturali, che proteggono la produttività del proprio terreno e conservano la biodiversità a lungo termine.
Una riforma agraria in grado di operare una vera redistribuzione della terra produce i suoi frutti laddove le riforme siano pienamente sostenute dalle politiche di governo. Tra queste troviamo le concessioni della terra da parte del governo, senza imposizione di un debito, il pieno riconoscimento del diritto di proprietà e dell’utilizzo della terra per le donne, la redistribuzione soltanto di terreni di buona qualità e la facilitazione dell’accesso ai mercati, soprattutto locali. Inoltre, si deve agire per ridurre il potere delle elite rurali ed applicare le riforme alla maggioranza della popolazione rurale povera, in modo che essi possano avere la consistenza numerica necessaria per avere una forza politicamente efficace. Ci deve essere un quadro di politiche fortemente orientate al sostegno della riforma, condizioni di credito ragionevoli ed una buona infrastruttura per sane tecnologie ambientali locali.




Conclusione: Sintesi degli Emendamenti alle Regole Commerciali per un mondo sostenibile e più equo

Il fine ultimo delle disposizioni commerciali globali specificamente proposte e qui sotto riportate, consiste nel promuovere un sistema economico più sostenibile ed equo attraverso il rafforzamento del controllo democratico del commercio e lo stimolo ai sistemi alimentari ed agricoli, alle industrie ed ai servizi che apportano vantaggi alle comunità rurali, e provvedono alla diversificazione delle economie locali e nazionali.

Barriere protettive dovrebbero essere introdotte per consentire alle nazioni di raggiungere la massima autosufficienza alimentare, ove possibile, e concentrare il commercio a lunga distanza sugli alimenti non disponibili a livello nazionale o regionale.

Devono essere autorizzabili restrizioni quantitative, che limitano o impongono controlli sulle esportazioni o importazioni attraverso quote o divietii. Per i prodotti importati, si dovrebbe dare la preferenza ai generi alimentari, ai prodotti e servizi destinati o/ provenienti da altri stati che nel processo di produzione, distribuzione e commercio, rispettino i diritti umani, trattino equamente i lavoratori e proteggano l’ambiente.
Le restrizioni al commercio che generano aumento dell’occupazione locale e stipendi adeguati, aumentano la protezione dell’ambiente, assicurano un’adeguata concorrenza e protezione dei consumatori, migliorando allo stesso tempo la qualità di vita, dovrebbero essere incoraggiati. Esortiamo gli Stati ad un trattamento favorevole nei confronti degli alimenti, dei prodotti e dei servizi locali che sostengono meglio questi obiettivi.

Allo scopo di rafforzare il perseguimento dello sviluppo sostenibile, gli Stati dovrebbero selezionare cibo ed altri prodotti da importare sulla base del modo in cui sono prodotti.

Le restrizioni al commercio devono contribuire a raggiungere una vasta gamma di obiettivi che sostengano ulteriormente lo sviluppo, ad esempio sanzioni contro la violazione dei diritti umani, tariffe per il mantenimento degli standard per il benessere ambientale, alimentare, relativo alla salute animale, l’applicazione di trattati per i diritti dell’ambiente e del lavoro.

Tutte le leggi e tutte le regole internazionali, in materia di alimenti e sicurezza alimentare, e tutti gli standard sociali dovrebbero essere presi in considerazione come soglia minima per il governo dei rapporti commerciali tra i Paesi. Qualsiasi paese con livelli più elevati dovrebbe godere di una discriminazione positiva. I paesi più poveri, per i quali gli standard minimi fossero attualmente troppo costosi, dovrebbero ricevere un supporto finanziario per consentire loro di migliorare i propri standard, ed una volta stabilita una possibile data per l’attuazione di questi miglioramenti, godere di discriminazione positiva in termini commerciali.

Il “principio di precauzione” è una valida base giuridica sulla quale stabilire restrizioni al commercio quando i rischi giustificano l’azione, anche di fronte all’incertezza scientifica sulla portata e la natura dei potenziali impatti.

I diritti per il rilascio di brevetti globali non devono scavalcare i diritti delle comunità indigene alle risorse genetiche e biologiche di cui sono depositarie. Per quanto attiene al cibo ed altri prodotti, dovrebbe essere possibile un tipo di brevetto in grado di coprire i costi di sviluppo e consentire ragionevoli margini di profitto, ma i diritti di brevetto dovrebbero avere un limite nel tempo e dovrebbero indennizzare totalmente i soggetti che avessero contribuito con l’apporto della propria conoscenza alla definizione dell’entità brevettata.

Nessun singolo investitore può invocare meccanismi internazionali di applicazione della legge contrari alle regole nazionali. L’attuazione delle norme nazionali in materia di investimenti non dovrà essere vincolata dalle regole sul commercio, purché le prime migliorino le regole sociali ed ambientali interne e promuovano il progresso su questi aspetti nelle relazioni commerciali con l’esterno.




Indirizzo
Commissione Internazionale per il Futuro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura

Vandana Shiva, Presidente

Hanno partecipato alla redazione:
Miguel Altieri, Professore, Dipartimento di Scienza, politica e gestione dell’ambiente, Università della California Berkeley
Debi Barker, Co-direttore e presidente della commissione agricola dell’International Social Forum on globalization (IFG)
Wendell Berry, ambientalista, agricoltore, autore e poeta
Marcello Buiatti, Consulente sui problemi OGM per la Toscana, Professore all’Università di Firenze
Peter Einarsson, Associazione svedese degli agricoltori ecologici
Elena Gagliasso, Coordinatore scientifico per Legambiente, Professore all’Università di Roma
Bernward Geier, direttore, Federazione internazionale dell’agricoltura biologica (IFOAM)
Edward Goldsmith, autore, fondatore ed editore dell’Ecologist
Benny Haerlin, Fondazione di Future Farming, Germania, ex coordinatore internazionale della campagna OGM di Greenpeace
Colin Hines, autore di Localizzazione: un manifesto globale, membro dell’IFG
Vicky Hird, Direttore politico di Sustain: L’alleanza per un cibo e un’agricoltura migliori
Andrew Kimbrell, Presidente, Centro internazionale per la valutazione delle tecnologice
Tim Lang, Professore di Politica alimentare, Institute of Health Science, City University, London
Frances Moore Lappe, Autore, fondatore del Small Planet Institute
Caroline Lucas, Membro del Parlamento Europeo, Green Party UK
Jerry Mander, presidente del Consiglio direttivo dell’IFG
Helena Norberg-Hodge, International Society for Ecology and Culture
Carlo Petrini, Slow food, Italia
Raj Patel, Food First, USA
Sandra Sumane, Sociologa, Università della Lettonia, Riga
Percy Schmeiser, Agricoltore e attivista contro gli OGM




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