Prof. Gianluca Marletta
Darwinismo: le ragioni di una crisi.
gennaio 2003
 
 

La crisi del darwinismo, di fatto, è soprattutto la crisi di quei paradigmi filosofici che ne hanno permesso il successo... Sorge spontanea la domanda: per quale motivo, a fronte dei suoi fallimenti, il darwinismo continua a rimanere un'ipotesi generalmente accettata e diffusa a livello di divulgazione scientifica?

Non c'è modo migliore, per misurare lo stato di crisi dell'evoluzionismo darwiniano, che riprendere le affermazioni, o "confessioni", dei darwinisti stessi. Confessioni come quelle di Francis Crick, scopritore con Watson della struttura del DNA: "un uomo onesto, armato soltanto della conoscenza a noi disponibile, potrebbe affermare soltanto che, in un certo senso, l'origine della vita appare al momento piuttosto un miracolo"(1). O, come quelle, più recenti, di Harold Hurey, discepolo di quello Stanley Miller passato alla storia per il tentativo (fallito) di ricreare la vita in laboratorio a partire dal cosiddetto "brodo primordiale: "tutti noi che abbiamo studiato le origini della vita riteniamo che più ci si addentri in essa, più si senta che è troppo complessa per essersi in qualche modo evoluta" (2).

Queste ed altre testimonianze, unite alle sempre nuove scoperte della ricerca in campo biologico e paleontologico, non fanno che ribadire un dato di fatto: la critica del darwinismo non è più mero argomento di polemica e di cieca contrapposizione fra darwinisti "ortodossi" e fondamentalisti religiosi, essa appartiene pienamente ai nuovi orizzonti della scienza.

La crisi del darwinismo, di fatto, è soprattutto la crisi di quei paradigmi filosofici che ne hanno permesso il successo. Non si può capire infatti l'origine di questa dottrina senza risalire al clima culturale del "positivismo trionfante". A cavallo tra il XIX° ed il XX° secolo, le ipotesi di Darwin - e più ancora quelle dei suoi successori - costituirono in realtà una meravigliosa occasione per rinsaldare quella visione positivistica del mondo che all'epoca si andava affermando. Il darwinismo rappresentò la provvidenziale ancora di salvezza per trapiantare, nel campo biologico, quei paradigmi meccanicistici e materialistici già imposti alle scienze sociali; così che anche l'origine della vita e delle specie poteva, anzi doveva, essere la risultante del cieco combinarsi di caso e necessità, senza alcun intervento "trascendente". In tal modo, tuttavia, le ragioni del successo storico del darwinismo -ovvero la sua coerenza con l'ideologia positivista- sono anche le stesse che, al giorno d'oggi, hanno portato questa ipotesi ad una crisi che sembra irreversibile. Le categorie del caso e della necessità, infatti, non sembrano più reggere di fronte ai sempre nuovi avanzamenti della ricerca. Com'è possibile credere all'onnipotenza del caso di fronte all'irriducibile complessità anche del più arcaico dei batteri? In tal senso, così si esprime, fra gli altri, il docente di matematica applicata dell'University College di Cardiff, Prof. Chandra Wickramasinghe: "la probabilità di una formazione della vita dalla materia inanimata è pari a 1 seguito da 40000 zeri…E' abbastanza grande da seppellire Darwin e l'intera teoria dell'evoluzione" (3). E gli stessi darwinisti, sempre più di frequente, si vedono costretti anch'essi a riconoscere, in tutta franchezza, l'apparente irrisolvibilità del mistero dell'origine della vita. Così, ad esempio, ha "confessato" l'evoluzionista americano W.H. Thorpe: "il più elementare tipo di cellula costituisce un 'meccanismo' più complesso di qualsiasi macchina che sia stata fino ad ora pensata, per non dire costruita, dall'uomo" (4).

Se l'origine della prima forma vivente sembra essere un mistero insolubile per il darwinismo, non di meno lo è, alla luce di più di un secolo di ricerche e di scoperte, anche il problema dell'origine delle specie. "L'origine delle specie" si chiamava anzi il testo di Darwin che lanciò l'evoluzionismo verso il suo successo; eppure, proprio dalle pagine di questo storico saggio, il naturalista inglese riconosceva: "perché se le specie derivano da altre specie attraverso impercettibili graduazioni, non vediamo ovunque innumerevoli forme di transizione? (…)dal momento che queste forme di transizione devono essere esistite, perché non le troviamo sepolte in numero infinito nella crosta terrestre?" (5) . E' il problema questo degli "anelli di congiunzione", chimera irraggiungibile dei ricercatori darwinisti, problema fondamentale rimasto tale anche dopo più di un secolo di scoperte di fossili, come riconosce anche il paleontologo evoluzionista Mark Czarnecky: "un importante problema incontrato nel tentativo di provare la teoria è stato quello delle testimonianze fossili (…). Questa testimonianza non ha mai rivelato tracce delle ipotetiche varianti intermedie di Darwin - al contrario, le specie appaiono e scompaiono improvvisamente" (6) . D'altro canto, è lo stesso modello "progressista", che vedeva nelle specie il risultato di continue modificazioni positive sotto l'azione della selezione naturale, a segnare il passo alla luce delle scoperte della genetica. Come afferma il genetista B.G. Ranghanattan, "un cambiamento casuale in un organismo altamente specializzato può essere insufficiente o dannoso. Un cambiamento accidentale in un orologio non potrà migliorarlo (…). Un terremoto non migliora una città, la distrugge" (7).

Alla luce di questi ed altri dati, pertanto, sorge spontanea la domanda: per quale motivo, a fronte dei suoi fallimenti, il darwinismo continua a rimanere un'ipotesi generalmente accettata e diffusa a livello di divulgazione scientifica? Una risposta sta proprio nel legame fra darwinismo ed ideologia positivistica: molti, cioè, temono che la caduta del darwinismo possa trascinarsi dietro tutta la visione positivistica del mondo; ovvero, per dirla con Fred Hoyle, "le ragioni sono psicologiche piuttosto che scientifiche" (8). Riconoscere completamente che il darwinismo ha fatto il suo tempo "rischierebbe" di riportare alla ribalta problematiche che una certa vulgata pensava di aver definitivamente eliminato: esiste un progetto intelligente nella natura? Esiste una "trascendenza"? Queste remore "psicologiche", tuttavia, hanno avuto, come unico effetto concreto, quello di dissociare la scienza vera - fatta di ricerca e di critica - dalla scienza "divulgata" -quella delle trasmissioni televisive o dell'insegnamento scolastico - ancora del tutto chiusa in un immobilismo acritico e conformista. Sarebbe auspicabile, dunque, che questo iato venisse al più presto colmato, soprattutto a livello di insegnamento scolastico ed universitario, dove un migliore e più oggettivo confronto fra le varie proposte culturali è necessario al fine di formare coscienze critiche e capaci di discernimento e di libera scelta.

  1. F.Crick, Life Itself: It's Origin and Nature, New York 1981, Simon & Schuster, p. 88
  2. Cit. in W.R.Bird, The Revisited, Nashville 1991Origin of Species, Thomas Nelson Co., p. 325
  3. F.Hoyle/C.Wickramasinghe, Evolution from Space, New York 1984, Simon & Schuster, p. 148
  4. Cit. in W.R.Bird, The Origin of Species Revisited, cit., p. 298
  5. C.Darwin, The Origin of Species: A Facsimile of the First Edition, Harvard 1964, University Press, p. 179
  6. M.Czarnecki, "The Revival of the Creationist Crusade", in "MacLean's", January 19, 1981, p. 56
  7. B.G.Ranganathan, Origins?, Pennsylvania: The Banner Of Truth Trust, 1988
  8. F.Hoyle/C.Wickramasinghe, Evolution from Space, cit., p. 130

 




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