Intervista da L'AVVENIRE
Europa, non sei più un Impero
Lo storico tedesco Ernst Nolte e il futuro del Vecchio continente.
 
domenica 23 luglio 2000

"Noi occidentali abbiamo un debito verso i Paesi dell'Est e quelli baltici. L'allargamento è inevitabilte".
"S'apre un'epoca nuova dopo il tramonto dei totalitarismi".

Ernst Nolte è uno dei maggiori esponenti del cosiddetto "revisionismo storico", termine peraltro contestato, innanzitutto da coloro che vengono in questa categoria inclusi. Egli, tuttavia, è stato certamente tra coloro che più hanno animato, negli ultimi due decenni, il dibattito sul Novecento europeo. E ancora di recente, l'attribuzione che gli è stata fatta del premio Konrad Adenauer per la ricerca storica, ha suscitato in Germania aspre polemiche. Con lui però, oggi, non parliamo del passato dell'Europa ma del suo futuro.

Professor Nolte: quo vadis Europa? É una domanda che sempre più ci rivolgiamo. Qual è, a suo giudizio, il destino politico, prevedibile e auspicabile, del nostro Continente?

"In generale direi una cosa molto semplice: l'Europa deve rimanere molteplice, non deve farsi governare come uno Stato centrale, sotto qualsiasi nome o titolo esso si presenti".

In vista di ciò, oggi si deve secondo lei frenare o accelerare sulla via dell'unione politica?

"Dipende. Se si pensa che obiettivo dell'Unione sia uno Stato federale vero e proprio, è auspicabile un rallentamento e anche un'opposizione; se invece la tendenza è a non oltrepassare una pura federazione di Stati, allora si dovrebbe accelerare".

Lei dunque non condivide l'ipotesi prospettata dal ministro degli esteri del suo Paese, Fischer, quella di un'Europa federale guidata da un presidente eletto direttamente.

"Quel presidente assomiglierebbe molto agli imperatori tedeschi del Medioevo e dell'inizio dell'etá moderna, i quali non riuscirono mai durevolmente ad andare oltre un ruolo di sovrano nominale. Aggiungo solo che se a quegli imperatori fosse viceversa riuscito di realizzare una graduale concentrazione del potere, come è successo ai re di Francia e Inghilterra, l'Europa di oggi sarebbe probabilmente un Impero tedesco"

Non crede, peraltro, che il discorso sulla forma politica dell'unione non possa prescindere dalla sua estensione? Un conto è infatti pensare all'Europa. di Maastricht, omogenea per storia, istituzioni,interessi, un altro ragionare sull'Europa allargata a est. A due realtà diverse non dovrebbero corrispondere discorsi istituzionali diversi?

"Diciamo anzitutto che l'Unione ha un obbligo morale nei confronti dei Paesi dell'est europeo e ancor più di quelli baltici; e questo, perché, prima del 1989, essa ha dato ben scarso sostegno alle forze non comuniste che oggi sono al governo in quell'area. D'altra parte è vero che si deve tener conto delle concrete differenze sociali ed economiche. Una più lunga fase di transizione mi sembra inevitabile, in particolare considerando il tema della libertà di immigrazione".

Ma insomma, in vista dell'allargamento per alcuni è necessaria una unità politica più forte, per altri è vero il contrario. E secondo lei?

"Io credo che, per un certo periodo, si dovrebbe poter distinguere, all'interno di un'Europa unita, tra una parte "più vecehia" e una "più giovane". Il legarne politico di quest'ultima dovrebbe essere meno stretto, anche se crescente, rispetto a quello che stringe gli Stati della "vecchia" Europa".

A proposito di allargamento, fin dove dovrebbe spingersi? Sino alla Turchia, e, in futuro, anche alla Russia?

."Chi pensa di includere, come membri a pieno titolo dell'Unione, la Turchia o anche la Russia, difficilmente potrà poi resistere alla tentazione dì accettare anche il Marocco o la Siria. E però. Persino se si volesse sostenere che tra le tradizioni e gli stili di vita europei e quelli di un Paese islamico non c'è nes suna differenza essenziale, si dovrebbe dare atto che il trend demografico della Turchia è completamente diverso dal nostro. Una entrata a pieno titolo della Turchia nell'Unione potrebbe avere come conseguenza una invasione, per quanto pacifica, del la Germania e forse dell'intera Europa. Quanto alla Russia, il problema è invece che è troppo grande. Perciò sono contrario all'idea che quei Paesi divengano membri a pieno titolo dell'Ue"

Torniamo alle istituzioni europee. C'è chi chiede una Costituzione per il Continente. Chi obietta che una Costituzione presuppone un popolo, mentre in Europa ci sono dei popoli. E chi replica che un popolo europeo si sta formando e che può maturare proprio in riferimento a un patriottismo costituzionale.

"Esiste, è vero, un popolo americano formatosi col concorso di immigrati inglesi irlandesi, tedeschi, italiani e via dicendo. Di solito chi parla di popolo europeo guarda lì. Chiediamoci però: se tutti gli inglesi si fossero a suo tempo stanziati nello Stato di New York, tutti i tedeschi in Pennsylvania, gli irlandesi nel Vermont e gli italiani nel Maine, si sarebbe potuti giungere a quell'amalgama? Trasferiamo tale riflessione in Europa. Rispondere al quesito sul "popolo" o sui "popoli" europei diventa facile".



Veniamo ora alle culture politiche. Quali a suo avviso sono più attrezzate a rispondere alla sfida europea?

"L'Europa è stata la culla ed è tuttora l'espressione più spiccata del "sisterna liberale", vale a dire di una struttura politica e spirituale caratterizzata da partiti che hanno radici in una lunga storia e non sono puramente politico - elettorali, che si sono formati attraverso un processo ricco di conflitti in cui però sostanzialmente si alternano fasi di pacifica contrapposizione e 'di collaborazione. In questa dialettica di collaborazione e contrapposizione ci sono passi avanti e indietro, guadagni e perdite di infiusso e di potere ora da parte degli uni ora degli altri. Ma non c'è la volontà di annientamento caratteristica dei movimenti e dei regimi bolscevico e fascisti del ventesimo secolo. Quel che deve esser durevole è questa dialettica, quanto a chi prevarrà, oggi sembra affermarsi la tendenza socialdemocratica ma i sostenitori neoliberali della globalizzazione considerano tale indirizzo "reazionario" o "conservatore". Solo un profeta può prevedere, come potrà configurarsi la sintesi migliore e più tempestiva".

A proposito di conflitti, lei vede nell'Europa contemporanea possibili pericoli interni? Rischi inquietanti?

"Trovo molto inquietante il comportamento dei 14 Stati dell'Unione nei confronti dell'Austria. Non so molto di Haider e sicuramente non mi troverei a mio agio in una delle sue manifestazioni di massa. Ma i biasimi che con ripetitività infinita gli vengono rivolti mi sembrano non persuasivi e anche ipocriti".

Perché non persuasivi e ipocriti?

"Vediamo. Una cosa che gli viene rimproverata è l'affermazione secondo cui i nazionalsocialisti hanno attuato una politica dell'occupazione regolata": ebbene, essa non è, in sé, storicamente falsa. Quanto alle Ss: che un tempo potessero esservi al suo interno individui personalmente rispettabili è senz'altro possibile: escluderlo significa proporre una nuova e biasimevole forma di "razzismo". Sulle accuse di xenofobia: che un popolo abbia il diritto di discutere e di decidere il modo e il numero di stranieri con i quali vuole stabilmente convivere, e cioè quale tasso di immigrazione accetta, dovrebbe essere evidente. Chi contesta questo diritto o ne vuole impedire l'esercizio è un antidemocratico, per quante belle parole egli possa spendere sulla democrazia medesima".

Qui vede ripocrisia?

"Quel che temo è che il bersaglio dei 14 governi, nei quali quelli di centro - sinistra sono nettamente preponderanti, non sia fondamentalmente Haider. Temo che l'obiettivo sia quello di impedire l'affermarsi di governi di centro destra in Europa e innanzitutto in Italia. IMa voler eliminare la possibilità di un'alternanza tra centro destra, centro e centro sinistra, è un colpo pesante assestato allo spirito del "sistema liberale". Seguendo questa via la democrazia liberale viene sostituita dalla "democrazia antifascista" e da una nuova forma, "rnorbida", di totalitarismo".




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