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Vorrei porre qualche premessa al tema che tratterò in queste pagine. In primo luogo, sia chiaro che non sono un uomo politico, né un economista, né un esperto dei "grandi sistemi". Sono innanzitutto un vescovo, un pastore di una grande porzione dei popolo di Dio in una delle più grandi megalopoli contemporanee, Città del Messico, con più di venti milioni di abitanti. Che cosa sarebbe di me se non mi affidassi veramente, alla Provvidenza e alla grazia di Dio, se non contassi sulla intercessione di Nostra Signora di Guadalupe, se non avessi tanti devoti e generosi collaboratori, se non fossi grato, fiero e al tempo stesso responsabile della straordinaria ricchezza umana e cristiana del mio popolo. Il fatto di essere pastore in questa megalopoli costituisce però
una buona preparazione per le considerazioni che svilupperò, giacché
nel Messico e nella sua capitale si rendono evidenti le contraddizioni
che il processo di globalizzazione porta con sé. Sono come uno
spaccato delle sue potenzialità e fragilità. li Messico
condivide con tutti gli altri Paesi latino - americani una storia segnata
da gravi disuguaglianze e povertà, ma forse più che tutti
gli altri Paesi latino - americani vive lo slancio, le trasformazioni
e le lacerazioni dell'intenso suo inserimento nel processo di globalizzazione
tramite la partecipazione come socio (insieme agli Stati Uniti e al Canada)
all'arca di libero commercio che unisce strettamente le economie di questi
Paesi (Nafta). Negli ultimi anni il Messico è cresciuto economicamente
con un forte ritmo, del quattro - cinque per cento annuo. Nel trattare il temoa della globalizzazione e delle nuove povertà sono inoltre incoraggiato dallo stesso Santo Padre, il,quale ha scritto riflessioni importanti al riguardo nell'Esortazione apostolica Ecclesia in America (1998), che raccoglie le raccornandazioni dei Sinodo dei vescovi di tutte le Americhe. Non posso non ricordare che il Santo Padre depose questo importante documento ai piedi della Madonna di Guadalupe, nel suo santuario a Città dei Messico, nel quinto viaggio apostolico nel nostro Paese. Non invano, Ella è patrona dell'intero continente americano e la sua solenne festività è stata recenteniente inserita nel calendario della Chiesa universale il 12 dicembre. Non mancano negli ultimi anni altri e incisivi interventi di Giovanni Paolo Il in merito alla globalizzazione. Inoltre, il Consiglio episcopale latino - americano (Celam), l'organisino di collaborazione collegiale delle Conferenze episcopali dei Paesi latinoamericani, sta già redigendo la quarta stesura di un documento che avrà come titolo: "Le sfide della giobalizzazione alla nuova evangelizzazione in Arnerica Latina". Infine, sono vescovo della Chiesa cattolica che è presente in rnezzo a tutti i popoli e nazioni, che è protagonista globale e detiene responsabilità globali. Ciò deriva dalla sua stessa natura e inissione di "sacraniento dell'unità del genere umano", come la Chiesa viene definita nella costituzione Lumen gentium dei Concilio Vaticano li. "Cattolico" significa etimologicamente apertura a tutto e a tutti nella carità; vuoi dire essere portatori di un messaggio di salvezza per ogni uomo. L'intrinseca cattolicità della Chiesa è vissuta nelle due indissociabili dimensioni di soggetto universale e di concrete sue localizzazioni - le Chiese locali - , cosi che essa riesce a evitare i cortocircuiti tra il cosmopolitisnio tecnocratico astratto e il particolarismo frammentario. Ogni vescovo porta con sé la responsabilità di questa sollecitudine cattolica, facendo parte dei Collegio universale dei vescovi presieduto dal Papa. Come si vede, vi sono buoni titoli e motivi per parlare della globalizzazione. La globalizzazione è certamente un segno dei nostri tempi. È
una parola che si sarebbe cercata invano nei più raccomandati dizionari
di qualche anno fa. Essa ha fato irruzione nel nostro linguaggio, si è
imposta fino a diventare onnipresente nel suo uso e abuso, non lascia
indifferenti, suscitando subiot atteggiamenti contrastanti, spesso pregiudizievoli,
di entusiasmo o di rifiuto. Tutto cioò è segno che la parola
corrisponde a una realtà. In termini molto generici possiamo per
il momento dire che la globalizzazione fa riferimento al fatto, al processo,
alla tendenza di un'accresciuta e accelerata interdipendenza economica,
sociale, politica, culturale e religiosa a livello del mondo intero; interdipendenza
intessuta di scambi, di istituzioni e di questioni di portata mondiale,
tali da coinvolgere tutti i popoli e nazioni, tutta la famiglia umana.
Il mercato globale non è d'altronde una realtà che comincia
alle nostre frontiere, ma nelle nostre case. Renato Ruggiero, già
Direttore dell'Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), offriva, con
qualche ironia e tanto realismo, l'esempio seguente: Ci svegliamo al mattino
col suono di una radio di marca giapponese prodotta in Malesia. Il nostro
vestito è fatto probabilmente con lana australiana e il caffè
che beviamo, mentre guardiamo qualche programma della Cnn alla televisione,
è verosimilmente colonibiano. Quale che sia la nostra auto, una
parte grandissima dei componenti è prodotta in diversi Paesi dei
mondo e, se è una "500", essa è stata montata
in Polonia. Con essa andiamo in ufficio e, se lavoriamo in una multinazionale,
è probabile che il nostro quartiere generale si trovi in un diverso
continente, mentre i nostri strurnenti di lavoro provengono, oltre che
da Ivrea, dalla Corea dei Sud, da Taiwan, dagli Stati Uniti o da altri
Paesi europei (...). Sempre più facciamo colazione in un ristorante,
la cui cucina trova origine in continenti lontani, e non è escluso
che finiamo la giornata in una sauna finlandese con una spremuta di arance
provenienti dal Brasile". Questa è, e sempre di più
sarà, la nostra realtà ordinaria, quotidiana. La seconda fase della globalizzazione si attua approssimativamente tra
l'ultirno quarto del XIX secolo e la prinia guerra mondiale. É
l'epoca di diffusione della "rivoluzione industriale" e della
forniazione dei mercato niondiale del capitalismo. Come l'età delle
grandi scoperte geografiche fu resa possibile per le notevoli innovazioni
apportate nell'arte della navigazione, cosi anche questa fase di mondializzazione
divenne possibile per i grandissimi progressi nei trasporti e nelle comunicazioni
(che provocarono, tra l'altro, l'emigrazione di oltre sessanta milioni
di europei). Basta leggere il Manifesto comunista di Karl Marx, scritto
nel 1848, nel quale elogio dell'epopea della borghesia, capace di superare
i limiti e gli orizzonti stretti del villaggio, dell'artigianato e delle
corporazioni, e di promuovere lo sviluppo delle forze produttive a livello
mondiale. Mondializzazione anche culturale Preferisco parlare di globalizzazione e mondializzazione, come sinonimi,
anche se globalizzazione rinvia soprattutto all'economia, mentre mondializzazione
meglio si applica all'interdipendenza crescente sul piano della politica,
della società, della cultura e della religione. Segnalo brevemente
come a un nuovo ordine economico mondiale corrisponda una mondializzazione
politica. Gli Stati nazionali continuano a essere i soggetti principali
della vita internazionale. La disgregazione dell'Unione Sovietica e della
Iugoslavia è legata anche al processo traumatico provocato dalle
rivendicazionio delle nazionalità oppresse. Mai come oggi sono
stati cosi numerosi gli Stati nazionali rappresentati nelle Nazioni Unite.
Ma sebbene gli Stati siano spesso troppo grandi per rappresentare e soddisfare
radicate modalità di identificazione culturale e regionale, essi
si dimostrano troppo piccoli per gli odierni tempi della globalizzazione
economica. Henry Kissinger afferma che siamo entrati nella fase degli
Stati continentali, o Stati continenti, cioè gli Stati uniti, L'unione
Sovietica (quando esisteva come tale), la Cina e l'India, costituitisi
come mega-ercati in età di intensa competitività internazionale.
Gli Stati-nazione isolati rischiano la marginalità. In questi ltimi
dieci ani si sono altresi moltiplicate a livello internazionale le Organizzazioni
non governative (ong). Si è ancora alla ricerca di un'architettura
politica internazionale, di una governabilità mondiale, essendo
questione più urgente che mai quella della riforma delle Nazioni
Unite. Consideriamo in primo luogo alcuni pregi e vantaggi della globalizzazione. La giobalizzazione ha ampliato gli spazi di libertà. Ha travolto i muri, le frontiere politiche e ideologiche a difesa dei totalitarismo e di molte dittature. C'è nel mondo un numero più grande che mai di Paesi con regimi di democrazia liberale (più o meno riuscita). Si registra un allargamento della libertà d'iniziativa economica e imprenditoriale, di contro alle degenerazioni burocratiche, clientelari e assistenziali delle amministrazioni pubbliche. La liberalizzazione e intensificazione dei flussi commerciali hanno favorito la crescita economica mondiale. I Paesi che hanno saputo inserirsi efficacemente nel mercato globale hanno partecipato con profitto a questa crescita. Tra il 1980 e il 1994, i quindici Paesi più dinamici nella partecipazione al sistema commerciale mondiale sono stati tutti Paesi in via di sviluppo. L'accelerata modernizzazione tecnologica e industriale dei "dragoni" e delle "tigri" d'Asia, l'aumento impressionante delle esportazioni e la loro crescita economica (nonostante il crollo delle banche e delle valute nel 1997 - 98) hanno inserito nello sviluppo milioni di esseri umani. Il fatto che la quota dei Paesi emergenti nella produzione mondiale passi dal 25% del decennio '60 al 48% previsto per il 2005, e la partecipazione nelle esportazioni di manufatti a livello mondiale sia cresciuta dal 5% del 1973 a quasi il 25% degli anni '90, indica che quei Paesi non sono necessariamente votati all'arretratezza e alla marginalità. Si aggiunga ancora che, nonostante le grandi concentrazioni di potere mediatico, esistono maggiori possibilità di libero accesso all'informazione. I livelli mondiali di alfabetismo e di scolarità, cosi come la speranza inedia di vita, hanno registrato forti progressi negli ultimi venti anni. Anche i gravi problemi dell'umanità e le grandi cause per la dignità dell'uomo, la libertà e la solidarietà trovano un'eco e una dimensione globali. Tutto bene, dunque? Purtroppo, non è cosi. Già non rimangono quasi tracce di quella euforia illusoriamente ottimistica che animava George Bush senior quando, poco dopo il crollo dei regimi comunisti, annunciava un "nuovo ordine internazionale" di pace, prosperità, libertà e democrazia per tutti. Che cosa resta della "fine della storia", proclamata nell'omonimo libro di Francis Fukujama, il quale non intravedeva alcuna altenativa sistematica e praticabile all'econornia di mercato e alla democrazia liberale, il cui indissociabile sviluppo costituirebbe la linea necessaria del progresso umano? La rinascita del liberalismo vittorioso suscitava allora la riproposta dell'utopia dei mercato autoregolatore, cioè l'opera della "mano invisibile" dei mercato tramite la legge dell'offerta e della domanda, che porterebbe ineluttabilmente ad accrescere insieme il bene individuale e il bene comune, il bene di ogni Paese e la prosperità e il progresso dei popoli dei mondo. Se ieri è crollata l'utopia dei comunismo - i paradisi promessi si sono rivelati reali inferni - , comincia oggi a mostrare tutti i suoi limiti e le congenite contraddizioni l'utopia del mercato autoregolatore. Forse gli attentati terroristici dell'11 settembre scorso pongono in maggiore evidenza l'apertura di una nuova fase congiunturale. Un'invadente e totalizzante economicismo, cioè l'assolutizzazione dell'economia, come se il mondo fosse retto solo da meccanismi e forze di concorrenza, vede l'irruzione della politica e della geopolitica, un più deciso e necessario intervento dello Stato nell'economia, l'attenta considerazione della cultura, delle civiltà, delle religioni. Alla crescita economica dell'ultimo decennio - che negli Stati Uniti conobbe uno straordinario ciclo virtuoso, il più lungo di tutta la loro storia, operando come locomotiva della crescita mondiale - non ha corrisposto una più equa distribuzione dei progressi tecnologici e dei frutti del benessere mondiale, Non ha funzionato la teoria dello diffusione della ricchezza prodotta e accumulata in un prima fase, la quale, in un momento successivo, avrebbe arrecato beneficio a più vasti strati di popolazione. La tesi neoliberale del graduale riequilibrio economico - sociale provocato dall'afflusso di capitali nei Paesi e nelle regioni di maggiori vantaggi comparativi, non sembra avere funzionato. Lo rilevava già il Papa nell'Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in America: "Se la globalizzazione si sviluppa secondo le sole leggi del mercato applicate secondo gli interessi dei potenti, porta conseguenze negative". Certo, secondo le statistiche delle Nazioni Unite il numero dei poveri si è assai ridotto, sebbene ne restino sempre molte centinaia di milioni. In Cina la povertà si è dimezzata da quando essa ha accolto elementi di economia di mercato. Probabiliriente tutti (mediamente) stanno un poco meglio, ma chi stava già niolto bene ha visto ancora aumentare enormemiente il proprio benessere. Le disuguaglianze sono cresciute all'interno dei Paesi e a livello internazionale. C'è un divario sempre più largo tra quanti partecipano all'economia e alla cultura "globalizzate" e coloro che non riescono ad accedere al mercato, che rimangono sempre più ai margini della società, dell'economia e della cultura, che vivono nella povertà assoluta. Questa disuguaglianza è cresciuta negli ultimi dieci anni anche negli Stati Uniti, nonostante la loro sorprendente crescita economica e la creazione di milioni di posti di lavoro.I Paesi latino - americani, in generale, fanno parte della "classe media" delle nazioni nel concerto internazionale, ma le disuguaglianze all'interno sono le più grandi a livello mondiale. Globalizzazione della solidarietà Il fitto più grave è l'ampliarsi dei fossato che separa
sempre più le società tecnocratiche e consumistiche dell'ipersviluppo
- sebbene abbiano anch'esse grossi problerni interni di povertà
- e i paesi assoggettati alla marginalità miserabile e violenta.
La parte del reddito mondiale detenuto dal 20%, più povero del
mondo è passata dal 2,3% all'1,4%, tra il 1960 e il 1995, mentre
la parte del 20% più ricco è passata dal 70% all'85%. Impressiona
constatare che il patrimonio dei tre uomini più ricchi risulta
oggi più elevato del Prodotto interno lordo complessivo dei quarantotto
paesi meno sviluppati. La tragica marginalità sofferta attualmente
dall'Africa, senza che ci sia un sussulto di fattiva solidarietà
nella coscienza mondiale, è questione di irresponsabilità
scandalosa. Questioni fondamentali di quella che il Papa chiama "globalizzazione
della solidarietà" non sono state ancora affrontate con la
volontà politica, l'impegno culturale ed etico e la condivisione
economica da esse richieste. Il debito esterno è una tremenda ipoteca
che pesa sulle possibilità di sviluppo di interi popoli e nazioni.
Non è possibile devolvere tutto o gran parte di ciò che
si ricava con le esportazioni per pagare non già i capitali prestati,
ma semplicemente gli interessi. La questione è stata assunta e
gestita irresponsabilmente dai ceti politici locali, col risultato di
ledere e rendere peggiori le condizioni di vita di vasti strati popolari,
che soffrono la continua fiduzione della spesa pubblica nei settori igienicosanitario,
scolastico e dell'assistenza ai poveri. Noti si può pretendere
che i Paesi poveri o in difficoltà facciano cadere tutte le barriere
doganali per favorire il libero commercio, mentre i Paesi altamente sviluppati
le mantengono elevate, talvolta in modo assurdo e iniquo, come nel caso
della "politica agricola europea". I Paesi in via di sviluppo
hanno bisogno di certi livelli di protezione per la crescita delle loro
produzioni e industrie strategiche, per favorire la possibilità
di portarle a livello competitivo sul mercato internazionale. Non possono
continuare a essere solo produttori ed esportatori di prodotti agricoli
e minerali, in uno scambio ineguale con i Paesi che esportano soprattutto
macchine e beni di capitale. I nostri Paesi hanno bisogno urgente di accedere
ai grandi mercati dei Paesi ricchi: abbattere le loro barriere protezionistiche
sarebbe molto più importante che l'assai misera cooperazione internazionale.
I Paesi poveri o in via di sviluppo hanno beneficiato del maggiore afflusso
di capitali esteri disponibili durante il decennio degli anni '90; ne
continuano ad avere bisogno per la loro crescita e nodernizzazione econornica.
Ciò che importa, però, è che siano soprattutto capitali
di investimento, che portino innovazioni tecnologiche, collaborino nell'accrescere
la ricchezza e aumentino l'occupazione, piuttosto che capitali rondine,
a breve scadenza, di natura speculativa, sempre pronti a volare verso
altri cieli finanziari appena si intravede qualche difficoltà o
un luogo di più alto rendimento immenediato. L'alleanza mondiale
che si è formata per isolare e colpire le reti del terrorismo -
compito certamente urgente e necessario contro la barbarie di una violenza
disumana deve essere accompagnata da un serio ripensarnento sulle lacerazioni,
gli squilibri e le situazioni esplosive del mondo contemporaneo per affrontarli
cori un rinnovato contratto di solidarietà internazionale, aprendo
cosi quella che il Papa, nel recentissimo discorso al nuovo amibasciatore
degli Stati Uniti presso la Santa Sede, ha chiamato una "nuova èra
di cooperazione" per la costruzione della pace, della giustizia e
della solidarietà. Nell'odierno processo di globalizzazione la formazione culturale e professionale,
nonché le capacità tecniche, sono divenute risorse fondamentali
per il mondo dell'econornia e del lavoro. La tecnologia è il fattore
più propulsivo della crescita economica. Non esistono dunque investimenti
più lungimiranti, capitali più redditizi, ricchezza più
valevole di quelli derivanti da un'autentica opera educativa, dall'universale
alfabetizzazione, da sempre più alti livelli, qualità e
rendimenti di scolarità, dalla preparazione scientifica e tecnica,
all'interno di una ipotesi di "senso" e di valori in grado di
affrontare e assumere tutta la realtà. Vale soprattutto ciò
che sa unire scienza e saggezza, che sa padroneggiare le tecnologie per
finalità veramente umane, che riesce a conibinare la specializzazione
con l'aggiornarnento, la flessibilità con il discernimento culturale:
una grande opera di formazione in una crescita integrale di umanità. Tutto questo ci porta per mano a un'ulteriore povertà, d'altro
tipo, ma non meno preoccupante, non meno grave: la povertà umana
della persona. Non è retorica quando a volte si dice che i Paesi
poveri hanno molte ricchezze umane, sempre più rare in alcuni Paesi
ricchi. Alla luce della mia esperienza emssicana, potrei parlare a lungo
di tanti poveri che hanno grande consapevolezza della propria dignità,
che testimoniano una saggezza profonda di vita, che sono lieti e pieni
di speranza nonostante le loro durissime condizioni di esistenza. La cultura
dominante agli inizi del terzo millennio tende però a diffondere
ovunque, capillarmente, un'aura che banalizza la coscienza e l'esperienza
dell'umano, così da promuovere l'adeguamento conformistico alla
società del consumo e dello spettacolo. Questa funziona come una
gigantesca macchina di censura degliinterrogativi più fondamentali
dell'esistenza umana: Da dove vengo, chi sono, qual è il mio destino,
quale il senso della sofferenza nella vita? La vita tutta è cammino
verso il nulla? Su quale speranza fondare la propria vita? La ricerca
della felicità piena è solo illusione ? Tutto ciò
che amiamo, che amiamo è destinato alla morte? Vengono altresì
censurati e offuscati nella coscienza delle persone e enla cultura dei
popoli i desideri e le atttese connaturali al "cuore" dell'uomo,
quelli che definiscono la sua natura razionale, che mantengono viva l'umanità
dell'uomo: i desideri e le attese di libertà, di verità
(cioè il senso della propria vita e l'intelligenza di tutta la
realtà), di felicità che non deluda, di belllezza e giustizia,
di piena realizzazione di sé. Chi elude quelle domande e chi lascia
atrofizzare quei desideri soffre di una radicale povertà nell'affrontare
la propria vita. Il suo "io" deventa solamente una fasio di
reazioni e di sensazioni frammentarie, dipendenti dalla propria istintività
o dalle influenze del potere. Non percepisce la grandezza e la bellezza
dell'essere. Non cerca risposte e a quelle domande insopprimibili, ineludibili.
Rimane senza criteri veramente umani per fronteggiare tutta la realtà.
Vive in superficie. Si tratta infatti di un vivere alla giornata, senza
riconoscere le fondamenta su cui poggiare, senza criteri oggettivi di
bene e di verità, senza un significato e grandi ideali per la propria
vita, senza passione per il proprio destino e per quello degli altri.
La crisi delle istituzioni che dovrebbero essere educative, come la famiglia
e la scuola (in certe situazioni
anche la Chiesa) lasciano le persone
sole, con profondi scompensi affettivi, orfani indifesi in mezzo alla
gigantesca crisi culturale dell'Occidente. È questa una terribile
forma di povertà per l'uomo, che si diffonde tramite un imperante
relativismo culturale e, più ancora, mediante un nichilismo di
massa, che risulta essere all'apparenza tranquillo, gaio e confortevole
nel segno del panem e t circenses proprio della società del consumo
e dello spettacolo (ma finisce spesso nella noia, nel malessere che porta
alla droga, nella violenza irrazionale, nella solitudine angosciosa),
e tuttavia anche anarchico per coloro che soffrono e temono la globalizzazione
e, nella confusione, reagiscono con la vilneza. Se Dio non esiste siamo inutili Infine, vi è una povertà umana sempre più diffusa
legata al processo di scristianizzazione che l'individualismo, il relativismo
e il nichilismo dell'odierna cultura dorninante non fanno che esprimere
e alimentare. E la povertà di chi non riconosce il motivo più
radicale ed eccelso della propria dignità umana. Se non esiste
Dio, tutto è permesso, poneva in bocca a uno dei fratelli Kararnazov
il geniale scrittore russo. Se non esiste Dio, cade il fondamento e la
garanzia di un disegno buono per l'uomo, di ogni seperanza umana. Se non
esiste Dio, non vi è vera risposta ai desideri di pienezza di verità
e di felicità del cuore dell'uomo. Se non c'è Dio, non c'è
amore per sempre. Se non c'è Dio, tutto è votato alla decomposizione,
al nulla. Se non c'è Dio, l'avventura umana è per certo,
come affermava Jean-Paul Sartre, "una passione inutile". C'è bisogno di una "globalizzazione della solidarietà"
insiste il Papa, risoluta ad affrontare le grandi questioni della giustizia,
della pace, dei diritti umani, della salvaguardia del creato, dello sviluppo
solidale delle nazionim della governabilità mondiale. È
difficile che si riesca ad affrontare in radice qusti importanti problemi,
se non da una rinascita di energie morali e religiose, cristiane, che
muovano l'intelligenza e la libertà nella ricerca realistica, appassionata,
creativa, di forme nuove di vita per l'uomo intero e per tutti gli uomini.
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