Giannozzo Pucci
Per un nuovo ordine internazionale
 
novembre 2001

E' essenziale infatti rendere più autorevole e solida possibile la guida del mondo, così necessaria e ciò non si può fare solo annuendo alle scelte dell'amministrazione USA...

Prima della caduta del muro di Berlino l'equilibrio internazionale si reggeva su due blocchi contrapposti. Quando gli USA erano schierati da una parte, l'altra tendeva a cercare appoggi in URSS e viceversa, ma ambedue le superpotenze si muovevano con circospezione, per non provocare reazioni che avvantaggiassero l'avversario. A quell'epoca che l'America parteggiasse per Israele, che desse la precedenza ai propri interessi nazionali, di cui tutti i paesi occidentali si sentivano partecipi, era ovvio, l'URSS faceva altrettanto.

Dopo il 1989 gli USA sono rimasti la sola superpotenza ma la scomparsa dell'URSS ha lasciato un vuoto di potere che l'America non ha ancora colmato.
Infatti il ruolo guida di uno solo è completamente diverso: mentre prima bastava la bandiera della libertà, della democrazia rappresentativa, del benessere, adesso le possibilità e i traguardi sono più ampi e complessi.
Un solo capo, per esser tale, deve esserlo di tutti, deve interagire col mondo come una comunità di popoli, comportandosi da buon padre di famiglia, con un occhio di riguardo ai figli più sfavoriti, e la comprensione che i popoli hanno diritto di seguire percorsi diversi dal suo, cioè dall'industrializzazione e dal progresso occidentale.
Quando l'unica superpotenza non riesce a mettere a fuoco la nuova era di ordine pacifico finalmente possibile, coniugando libertà e benessere con la giustizia e un uso costruttivo del pianeta, allora il vuoto di potere aumenta, al vecchio equilibrio bipolare, fondato sulla minaccia atomica, non se ne sostituisce un altro e nella storia può aprirsi un'ansa di violenze anarchiche, che rischia di diffondere un disastro di civiltà a livello planetario.

L'America ha raggiunto dei grandi traguardi in molti campi, ma bisogna guardare ora a quei limiti che le rendono difficile assolvere al meglio il compito di "caput mundi": è essenziale infatti rendere più autorevole e solida possibile la guida del mondo, così necessaria e ciò non si può fare solo annuendo alle scelte dell'amministrazione USA.
La storia americana è legata strettamente all'Europa anche se il paese è stato costruito soprattutto sull'etica protestante e sulle utopie illuministe, le quali rappresentano la rottura con le radici della tradizione europea classica ed ebraico-cristiana. Proprio questa rottura, sia fisica che culturale, dei padri pellegrini con il continente d'origine ha aperto una delle due bocche perennemente affamate dell'America: quella per le sue radici tagliate, per le opere dell'arte, dell'architettura, della filosofia europea, per il rinascimento.
L'altra bocca affamata dell'America è quella per la Frontiera e la conquista.
E' impossibile ignorare la somiglianza fra la storia della Terra Promessa del popolo d'Israele e il movimento verso ovest della Frontiera americana. Nella terra di Canaàn come in America i conquistatori agirono con la concezione più ampia possibile di idolatria e con l'idea più ottusa di giustizia, conquistando con la stessa ferocia e volontà genocida, ma con un'importante differenza. Là dove la cupidigia e violenza della frontiera americana ha prodotto un'etica dell'avidità che ha giustificato l'industrializzazione, la ferocia della conquista di Canaàn fu accompagnata fin dall'inizio dall'elaborazione di un sistema morale antitetico ad essa, il quale si fonda sull'idea della terra come dono non meritato, vincolato a rigorose condizioni. Gli uomini non devono assumere un'autorità divina e usare il mondo come se lo avessero creato loro, altrimenti li aspettano terribili conseguenze.
In buona parte la modernità si è costruita sul rifiuto di quelle condizioni, sulla libertà individuale illuminista e sull'assunzione, come modello, del successo e della felicità individuali.

La guida americana ha posto al vertice dell'occidente la retorica patriottica dei "conquistadores", con quel misto di cupidigia e utopia che ha accompagnato il movimento di invasione di terre straniere verso ovest in cerca dell'oro, fino alla conquista del petrolio, dell'atomo, della luna, del DNA. La stessa potenza occidentale si basa da almeno 60 anni su un'economia di consumo esasperato, cioè di distruzione, cioè di guerra.
La teoria keynesiana che è stata il detonatore del sogno americano sostiene che quando la gente compra più beni di consumo, aumenta i profitti e fa espandere le imprese. L'espansione industriale fa crescere l'occupazione e la circolazione della moneta aumenta il potere d'acquisto della gente, il che provoca un'ulteriore espansione dei profitti, degli investimenti, dei posti di lavoro e avanti così. All'uomo della strada questa teoria dei benefici del consumismo sembra solida, ma per chi ha un po' di studi di economia essa nasconde tre principali debolezze.
La prima debolezza è che in un mondo limitato l'espansione dei consumi e della crescita non può durare all'infinito, a un certo punto i bisogni umani dovranno piegarsi al rispetto dei limiti delle risorse, alla stabilità economica, alla pace, e prima lo faranno e meglio sarà per tutti.
La seconda è che in un libero mercato la crescita continua aumenta la concentrazione dei capitali, cioè la distanza fra ricchi e poveri.
La terza è che le concentrazioni finanziarie diventano così potenti (la globalizzazione) da superare la capacità di governo degli stati e perciò tendono a far saltare i benefici dell'economia keynesiana che si esplicano al meglio in presenza di frontiere nazionali, con l'intervento dello stato e per fronteggiare le necessità di una ricostruzione postbellica o del passaggio da un ordine economico ad un altro.
La Grande Depressione del '29, provocata dalla prima economia di guerra mondiale, in realtà non è mai finita, è stata sommersa dalla seconda guerra mondiale che creò nuovi posti di lavoro e una nuova espansione della produttività industriale, e successivamente da un'immensa utopia pubblicitaria: il nuovo stile di vita americano fondato sulle vendite a rate, sul consumismo, sull'espansione continua.
Ciò ha posto le basi di una forma più virulenta della vecchia depressione che rischia di trascinare l'intero occidente in una spirale il cui trionfo coincide con la sua catastrofe.



Il Nuovo Mondo è stato fin dalle origini un mercato in continua espansione, cioè in guerra di conquista, con cui è riuscito ad invadere ed aggregare a se stesso il sistema industriale europeo e ad estendere lo sfruttamento tecnologico della natura al di là di sempre nuove frontiere materiali. Ciò ha determinato in occidente cambiamenti così veloci da impedire che la cultura li adeguasse ai suoi valori. E ogni corruzione culturale produce crolli morali, di integrità comunitaria e di personalità. Lo sviluppo ha prodotto una società senza etica, dove la crescita del benessere materiale e dell'innovazione tecnologica, proprio nelle società più opulente, travolge qualsiasi argine morale o materiale.
Alla fine della seconda guerra mondiale agli occhi delle popolazioni italiane, cresciute, anche negli strati più ricchi, con l'etica della parsimonia, lo spettacolo degli americani dediti a manifestazioni di abbondanza materiale (un esempio fra mille: mandare le fortezze volanti B29 in alta quota per raffreddare la birra per gli ufficiali) assolutamente inconcepibili in un'economia di rispetto delle risorse limitate della terra, ha prodotto un generale inginocchiamento adorante verso simile sovrabbondnza e una perdita di identità del nostro paese che non ha avuto eguali in nessuna invasione precedente.
Da prima di Annibale fino a dopo Napoleone, ogni popolo invasore è stato sempre o più povero di noi o come noi, anche se più forte militarmente. Gli americani per primi hanno portato una disponibilità materiale e uno stile di spreco di cui l'unico precedente erano le fiabe medioevali sul paese di cuccagna. L'invasione è stata più economico-culturale che militare, e il romanticismo materialista dei film e delle musiche d'oltreoceano accompagnato dall'instaurarsi della società dei consumi ha, in pochi decenni, fatto piazza pulita di millenarie virtù personali e comunitarie e delle loro difese nella chiesa cattolica.
Anche la laicissima Fallaci, nella sua rappresentazione dell'identità italiana, girando e rigirando fra Omero e la minigonna alla ricerca del punto chiave, non può fare a meno di posarsi lì: il paesaggio di chiese, il suono delle nostre campane, i santi, le madonne, i monasteri, i conventi, le nostre cattedrali, il "puzzo dell'incenso", la minuscola cappella. E' la parte commovente del suo articolo, in cui sembra di percepire l'eco lontana delle parole dell'ispirato sindaco di Firenze Giorgio La Pira "La rivelazione cristiana e la teologia cristiana hanno avuto in Firenze la trascrizione urbanistica, culturale e storica in certo modo più alta, più omogenea e più ordinata". "Ma l'Italia di oggi, godereccia, furbetta e volgare" "senz'anima", "vigliacca" non è anche quello che ne resta dopo l'invasione consumista, dopo l'invasione laicista, dopo il suo identificarsi con una provincia dell'America? Non c'era proprio altro modo per eliminare la fame e la miseria nel nostro paese?

Quattro giorni prima dell'attentato alle Torri Gemelle di New York i giornali riportavano le dichiarazioni del primate cattolico d'Inghilterra, cardinale Murphy - O'Connor, secondo cui "Nei paesi occidentali il cristianesimo, inteso come una sorta di fondale alla vita e alle decisioni morali della gente, nonché al governo e alla società, è stato quasi sconfitto".
Questa sconfitta non è dovuta a una sorta di ubriacatura tecnologica di libertà individuali, a un'orgia collettiva di benessere e di libero mercato che ha fatto perdere ogni legame con la civiltà europea e ci ha resi concause della fame nel mondo e della devastazione ecologica del pianeta?
Un popolo italiano grasso che non fa più figli perché "costano troppo", che ha abbandonato l'intelligenza, le virtù e abilità dei mestieri artigiani e contadini da cui sono usciti gran parte dei più grandi geni di cui andiamo fieri, che sa solo sentirsi indietro rispetto all'impero americano, come fa a esprimersi con onore davanti all'invasione dei diseredati, come fa a tessere adeguatamente il disegno di civiltà che gli compete e a non diventare razzista, avendo perso il senso della propria identità, avendo sviluppato il complesso d'inferiorità rispetto ai potenti della terra? Ricorderò sempre il caso, raro ma emblematico, di quel padre di famiglia albanese che, venuto in Italia a cercare lavoro, davanti alla degradazione morale incontrata nella nostra società, preferì tornarsene a casa.
Eppure mai come ora l'occidente, alla ricerca di un nuovo ordine, ha bisogno di ritrovare le radici della tradizione europea che ha nel rinascimento il suo apogeo. E a questo proposito non si può solo sciorinare, come guide turistiche, i nomi di Giotto, Masaccio, Botticelli, Leonardo o Michelangelo, bisogna arrivare all'essenza della ricerca che li ha animati.

Il "De hominis dignitate" di Pico della Mirandola è considerato unanimemente il Manifesto del Rinascimento, perché in esso ha trovato l'espressione più alta l'idea vertice dell'identità occidentale: che la dignità umana non sta nel dominio del cosmo, né in una libertà indifferenziata, ma consiste in un compito che dall'assenza di identità, passa attraverso la contemplazione di molte immagini per arrivare alla identità con Colui che sta al di là di ogni cosa creata.
Questo itinerario giustifica l'asserzione su cui convergono sia la tradizione ellenistica sia quella arabo islamica: "grande miracolo è l'uomo". La libertà umana non è licenza indifferenziata, ma cresce se orientata al divino. Tale visione sfociò a Firenze nella profezia di Savonarola e nella ricerca di un'ordine socio-politico orientato, attraverso la bellezza e il servizio ai più deboli, alla contemplazione delle verità ultraterrene.
La morte del "profeta disarmato di Firenze" è la rappresentazione del rifiuto a riformare la società e la Chiesa secondo l'architettura etica del Rinascimento, rifiuto che ha poi prodotto la separazione protestante e la moderna società materialista.
L'attentato di New York interroga l'occidente in profondità su tutti i piani: religioso, culturale, politico, economico, militare, e lo sollecita a tornare a meditare sui propri errori e sulle radici represse della sua storia, in particolare sulla profezia del Rinascimento.
E' ovvio che bisogna rispondere al terrorismo, come alla delinquenza, ma rispondere al terrorismo politico con la guerra tecnologica, al di là dell'apparente dimostrazione di potenza, è un atto di debolezza che mette a repentaglio la cultura e i valori fondanti dell'occidente.
Militarmente è come contrapporre a David con la fionda, Golia con la spada. Senza contare che l'occidente e in particolare l'America, avendo favorito al massimo le libertà individuali contro quelle comunitarie, sono pieni anche di altre tendenze terroristiche, di altre follie individuali, e dipendenti da grandi protesi tecnologiche che rendono il sistema tanto più fragile quanto più centralizzato.
La caduta delle Torri Gemelle di New York potrebbe rappresentare per il liberismo occidentale quello che la caduta del muro di Berlino ha rappresentato per il marxismo dell'est.
L'altissima vulnerabilità della società tecnologica, già sottolineata da Sartori negli anni '70, è stata uno degli argomenti avanzati, nell'ultimo decennio, dai critici più lucidi della globalizzazione specie dei prodotti agricoli strategici.
L'attentato sta dimostrando a tutto il mondo l'impraticabilità delle concezioni liberiste fondate esclusivamente sul dominio tecnologico e l'importanza del ruolo tradizionale di governo per la tutela dei più deboli cioè del bene comune. Al terrorismo che mira a diffondere il terrore, si risponde diffondendo sicurezza in tutto il mondo, anche se per farlo occorre rivoluzionare il sistema. Perciò credo sarebbe necessario convocare in ogni campo (dall'energia, all'agricoltura, all'edilizia, ai trasporti, all'inquinamento ecc.) i responsabili delle esperienze più avanzate del pianeta per affrettare il più possibile la trasformazione.
Quanto ad assicurare alla giustizia la rete dei colpevoli dell'attentato specifico e di altri che potranno avvenire, vista l'amplissima solidarietà dimostratasi fra tanti paesi, non dovrebbe essere impossibile mettere in piedi una rete mondiale di provvedimenti finanziari e di intelligence che possa arrivare a dei risultati, prendendosi il tempo necessario, mentre contribuire consistentemente all'alleanza del nord dell'Afganistan ha un senso diverso dai bombardamenti di questi giorni che di intelligente rischiano di avere solo il nome.
La fretta di trovare un colpevole ed eliminarlo potrebbe essere nutrita dall'illusione che, una volta raggiunto l'obbiettivo, tutto possa tornare come prima…

Caduti i fascismi, il marxismo, il liberismo, dove possiamo ispirarci per costruire un nuovo ordine politico-sociale che avvii a soluzione il problema della fame con il rispetto della sovranità alimentare e culturale delle popolazioni, che sostituisca lo sviluppo e la crescita con un'economia della stabilità, che ponga fine alla guerra contro la natura e le sue risorse e orienti la ricerca scientifica alle grandi trasformazioni che questi nuovi obbiettivi comportano?
Le radici del futuro sono sempre nel passato: l'etica delle arti medioevali e rinascimentali offre indicazioni importanti per la modernizzazione di una società fondata sulla rinascita del lavoro indipendente, non proletarizzato, ma con limiti di mercato che armonizzino i bisogni con le risorse rinnovabili.
Giorgio La Pira, in un'intervista a La Stampa nel gennaio 1959 diceva "Come si può pensare di risolvere la questione di Israele e dei popoli arabi con le piccole tattiche del petrolio? I problemi umani sono assai più vasti. Venti anni fa' gli arabi non avevano peso: è bastata la creazione dello stato di Israele per risvegliare il nazionalismo arabo e spostare l'equilibrio del mondo". Oggi al problema della Palestina si è aggiunto quello dei soldati americani in terra araba e della popolazione innocente dell'Irak. Avviare a soluzione questi problemi può essere più difficile ma anche infinitamente più efficace contro il continuo rinascere del terrorismo islamico degli inutili e tragici bombardamenti sull'Afganistan.
Nella stessa intervista La Pira diceva ancora: "I popoli affacciati sul Mediterraneo possono trovare la via dell'accordo incontrandosi su un punto di comune credenza religiosa e gli arabi avranno un peso determinante nell'equilibrio del mondo perché sanno ancora pregare e non si può ignorare l'efficacia ella preghiera". Il che suona da monito per l'occidente di oggi a ritrovare la via della sua coscienza spirituale.

 




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