Caes Ryn
Conservatori Usa, i nuovi giacobini dell'interventismo
 
Avvenire, martedì 30 aprile 2002

Secondo l'analisi del politologo svedese Caes Ryn, la destra statunitense sta stravolgendo i principi liberali in politica estera

Le grandi linee della riforma dell'apparato militare americano che Donald Rumsfeld ha tracciato in Foreing Affaire, trovano la loro origine remota nella dottrina che era stata delineata dal suo attuale vice, Paul Woyowitz, quando nella amministrazione di Bush padre presiedeva uno speciale comitato del Pentagono incaricato di rivederne ruolo e funzionamento nel nuovo quadro geostrategico sorto dalla fine della guerra fredda.

Al centro di quella dottrina vi era, allora come ora, la concezione dei neoconservatori - molti dei quali discepoli di Leo Strauss - secondo la quale una schiacciante superiorità militare americana avrebbe non soltanto vanificato le velleità di ogni altro Paese di contrastarne gli interessi globali, ma avrebbe anche favorito la diffusione nel mondo della democrazia e dunque la egemonia degli Stati Uniti.

Claes Ryn, svedese, professore di teoria politica alla Catholic University of America" ed al Pentagono, consulente dell'Accademia svedese per la attribuzione dei premi Nobel in letteratura, presidente della Philadelphia Society ed uno dei grandi esperti della filosofia di Benedetto Croce non ha dubbi. Molti neoconservatori sono i giacobini del nostro tempo, come sostiene nel suo più recente libro Unità attraverso la diversità che raccoglie le lezioni tenute lo scorso anno all'Università di Pechino. Essi ignorano le "specificità culturali) prodotte dalla storia fino al punto da non esitare ad intervenire politicamente e militarmente nella vita degli altri Paesi.

I conservatori americani tradizionali erano per un governo costituzionale limitato e per una società decentralizzata, credevano nel valore costitutivo del principio di sussidiarietà ed auspicavano una politica estera al servizio di interessi americani circoscritti. Non volevano l'America coinvolta in ogni angolo del mondo. Non così i neo?conservatori. Anche essi non amano un governo centralizzato, ma non vogliono ridurlo. Vedono nella costituzione americana non un documento che è andato arricchendosi negli anni per adattarsi alle nuove circostanze ma un nuovo punto di partenza per costruire il futuro sulla base di principi universali astratti...

I neo, conservatori sono dunque dei neo-giacobini e, come questi ultimi, vogliono una politica estera assertiva. Come le armate di Napoleone marciando, attraverso l'Europa cercavano di diffondere la libertà, l'uguaglianza e la fraternità della rivoluzione francese non in nome della Francia ma della umanità e "rompevano la schiena" delle società tradizionali, così i neo-conservatori americani vogliono un forte apparato militare per guidare il mondo verso una "new age". Non era questo il liberalismo di Benedetto Croce. Le funzioni del governo, secondo il filosofo napoletano, non potevano essere definite a priori, ma dipendevano dalle circostanze storiche.

Qualcosa di simile al fenomeno neo?conservatore americano si manifesta anche in alcune tendenze del processo dell'integrazione europea dove la burocrazia comunitaria chiede la deregolamentazione nelle soci nazionali soltanto per sostituirle con un regolamentazione unica dal centro. Una burocrazia superficialmente cosmopolita (apatride et irresponsable come aveva detto De Gaulle) che non ha la stoffa morale e politica dei leaders che aprirono la strada alla integrazione dell'Europa e che sacrifica, anche senza volerlo, le identità locali o nazionali sull'altare di una astratta unità. Una unità poveramente definita, tecnocratica ed amministrativa. Non una unità che "sgorghi dall'interno".

Il cancelliere tedesco Konrad Adenauer era un leader profondamente radicato nella sua storia. Trovò, per questa ragione una sua affinità con i francesi e finanche con il generale De Gaulle, nel quale vedeva la versione francese di se stesso. Croce ci ricorda anche oggi che soltanto coltivando responsabilmente i loro retaggi culturali i Paesi europei potranno andare avanti verso l'unità del continente, contribuendovi ciascuno la propria "distinta identità".

La responsabilità delle culture locali diventa così un concetto centrale nella analisi di Ryn. Dall'uso responsabile delle specificità nazionali dipende il successo del passaggio della frammentazione all'unità, dal locale al globale, dal particolare all'univerale.
Una difesa delle culture nazionali senza riguardo verso obiettivi più alti per alimentare quelle spinte verso la
Depravazione sempre latenti nell'animo umano.
Coltivando il "locale" e le nostre specificità culturali non come un fine in se stesso ma come responsabile di più intensa comunicazione transfontabliera potremmo avanzare senza inutili traumi verso quel "globale" che lo sviluppo delle comunicazioni, le continuamente mutevoli condizioni della produzione, gli sviluppi scientifici rendono ormai inevitabile. Nel futuro, la pace nel mondo e le stesse prospettive dell'unità europea dipenderanno largamente dalla maniera, inclusiva, col la quale difenderanno il nostro passato.

 




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