Ai
credenti è chiesto di farsi all'interno dell'attuale società
coscienza critica e testimonianza concreta del vero senso della legalità...
1. La Chiesa ha affrontato il tema della legalità in alcune
storiche occasioni negli anni novanta.
1.1. Il 10 novembre 1990, a Napoli, Papa Giovanni Paolo II affermò:
"Non c'è chi non veda l'urgenza di un grande recupero di
moralità personale e sociale, di legalità. Sì, urge
un recupero di legalità!".
1.2. Le parole profetiche del Papa furono subito raccolte dalla
Conferenza dei Vescovi, che emanò il 4 ottobre 1991 una nota pastorale
intitolata "Educare alla legalità - Per una cultura della
legalità nel nostro Paese".
1.3. Il 4 settembre 1993, a Chicago, 250 leaders religiosi di tutto
il mondo emanarono un documento intitolato "Verso un'etica globale",
nel quale si affermò tra l'altro che "con etica globale
intendiamo un consenso fondamentale su norme ineludibili ed atteggiamenti
personali. Senza un tale fondamentale consenso su un'etica, prima o poi
una comunità sarà minacciata dal caos e dalla dittatura
e gli individui cadranno nella disperazione".
2. Nello stesso periodo anche la scuola italiana si pose il problema
e il Ministero dell'Istruzione pubblica fece diramare una circolare
(la n. 302 del 1993) nella quale si faceva un espresso richiamo alla necessità
di insegnare agli studenti il culto della legalità. Era
la stagione delle stragi mafiose del 1992-1993.
Così come la Chiesa, anche la scuola italiana non ha più
emanato documenti ufficiali sul tema negli anni successivi.
3. Vorrei cercare di capire se il silenzio serbato negli anni successivi
al 1993 ed il silenzio che si continua a serbare oggi siano giustificati,
se la mancanza di stragi mafiose ci possa far dormire sonni tranquilli
nel senso che si possa concludere per una diffusa cultura della legalità
nel nostro Paese, cultura che non abbisogna di nuovi innesti o di nuovi
richiami.
Per far ciò prendo le mosse dal documento dei Vescovi italiani
che ho sopra ricordato, documento dal quale si apprende innanzitutto la
stretta connessione esistente tra il tema della legalità e quello
della pace: nell'introduzione infatti i Vescovi affermano che la caduta
del senso della moralità e della legalità nelle coscienze
e nei comportamenti di molti italiani è fattore che mette a rischio
la giustizia e la pace nel nostro Paese. Non c'è che dire,
quanto ad attualità del messaggio.
I Vescovi dunque accostano moralità e legalità, parlano
di formazione delle coscienze al rispetto di questi due valori e di scelte
comportamentali conseguenti; paventano la carenza di pace e giustizia
quale conseguenza del mancato rispetto di questo imperativo.
3.1. Ma cos'è, secondo i presuli, la legalità?
I Vescovi dicono che, essendo l'uomo destinato a vivere in una società,
è indispensabile che la vita sociale sia regolata da leggi (secondo
l'antico brocardo: ubi societas ibi ius): se tali regole mancano
oppure se non sono rispettate, la forza prevale sulla giustizia. La legalità
viene perciò definita come il rispetto e la pratica delle leggi
e viene considerata condizione fondamentale perché vi siano
libertà, giustizia e pace tra gli uomini.
3.2. Se poi si aggiunge il riferimento della Rivelazione all'origine
divina del potere umano (Gesù dice a Pilato che egli non avrebbe
alcun potere se non gli fosse stato dato dall'alto, San Paolo scrive che
non esiste autorità se non proviene da Dio ed esorta all'obbedienza
anche con riguardo alle tasse) si comprende come il rispetto della legalità
sia, secondo i Vescovi, non un atto formale ma un gesto personale che
trova la sua giustificazione nell'ordine morale.
3.3. Dunque ed infine, se cade il senso di legalità, ciò
può essere dovuto a due fattori fondamentali:
- il modo di gestire il potere e di formulare le leggi;
- il modificato senso di solidarietà tra gli uomini e la loro
moralità.
Quanto al primo aspetto, è chiaro che la responsabilità
ricade sugli uomini delle istituzioni; quanto al secondo, è compito
di ogni cittadino nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità
coltivare e promuovere il senso di legalità. In questa direzione
deve andare anche quella fondamentale aggregazione di cittadini che è
la Chiesa italiana in tutte le sue articolazioni, a partire dalla Parrocchia.
4. Partiamo dunque dal primo aspetto. Cosa deve fare il potere politico
per promuovere un autentico senso di legalità, per educare alla
legalità (posto che, pur non essendo per definizione lo Stato
democratico uno Stato etico, è inevitabile che la legge abbia un
valore educativo giacché rappresenta la "consacrazione"
di un sistema di valori fatto proprio dal Legislatore del tempo)? Deve
tra l'altro, secondo i Vescovi, assicurare il rispetto di alcune condizioni
(pag. 7 della nota citata):
- l'esistenza di chiare e legittime regole di comportamento che temperando
gli istintivi egoismi individuali o di gruppo antepongano il bene comune
agli interessi particolari;
- la correttezza e la trasparenza dei procedimenti che portano alla
scelta delle norme e alla loro applicazione, in modo che siano controllabili
le ragioni, gli scopi e i meccanismi che le producono;
- la stabilità delle leggi che regolano la convivenza civile;
- l'applicazione anche coattiva di queste regole nei confronti di tutti,
evitando che siano solo i deboli e gli onesti ad adeguarvisi, mentre
i forti e i furbi tranquillamente le disattendono.
Nella società del 1991 i Vescovi denunciarono il difetto di questi
requisiti minimi, evidenziando in particolare che:
- lo Stato è divenuto sempre più debole: affiora l'immagine
di un insorgente neo-feudalesimo, in cui corporazioni e lobbies manovrano
la vita pubblica, influenzano il contenuto stesso delle leggi, decise
a ritagliare per il proprio tornaconto un sempre maggiore spazio di
privilegio;
- le leggi, che dovrebbero nascere come espressione di giustizia, e
dunque di difesa e di promozione dei diritti della persona, e da una
superiore sintesi degli interessi comuni, sono spesso il frutto di una
contrattazione con quelle parti sociali più forti che hanno il
potere di sedersi, palesemente o meno, al tavolo delle trattative, dove
esercitano anche il potere di veto. Tutto ciò ha portato ad elevare
al massimo il potere ricattatorio di chi ha una particolare forza di
contrattazione, ad aumentare il numero delle leggi "particolaristiche"
(cioè in favore di qualcuno) e di ridurre invece drasticamente
le leggi "generali", vanificando così le istanze di
chi non ha voce né forza;
- le violazioni della legge non hanno spesso un'effettiva sanzione
o perché sono carenti le strutture di accertamento delle violazioni,
o perché le sanzioni arrivano in ritardo, rendendo in tal modo
conveniente il comportamento illecito. Anche la classe politica, con
il suo frequente ricorso alle amnistie e ai condoni, a scadenze quasi
fisse, annulla reati e sanzioni e favorisce nei cittadini l'opinione
che si può disobbedire alle leggi dello Stato. Chi si è
invece comportato in maniera onesta può sentirsi giudicato poco
accorto per non aver fatto il proprio comodo come gli altri, che vedono
impunita o persino premiata la loro trasgressione della legge.
C'è da chiedersi, dunque, se nel 2003 sia cambiato qualcosa con
riferimento all'esistenza delle condizioni minime appena menzionate.
Con riguardo agli interessi perseguiti da alcune leggi dello Stato, il
tema è di scottante attualità ed è stato abbondantemente
dibattuto.
Quanto agli altri aspetti, dicevano i Vescovi, come si è visto,
che il sistema deve garantire mezzi e risorse perché si accertino
e si sanzionino gli illeciti e che non si dovrebbe fare ricorso ai condoni,
che producono un abbassamento della cultura di legalità perché
premiano i furbi e scanzonano gli onesti.
Sulla prima questione basta ricordare il tema delle risorse riservate
all'amministrazione della giustizia, mentre, con riferimento al secondo
aspetto, basterà rammentare quanti condoni sono stati promulgati
dal 1991 ad oggi.
5. Se dunque oggi, nel 2003, nulla è cambiato rispetto
al 1991, è il caso di passare al secondo punto sul quale sin dall'introduzione
della loro nota dodici anni fa i Vescovi posero attenzione, cioè
alla necessità che siano i cittadini stessi, ed in primis i
cristiani, a formarsi una coscienza attenta al rispetto della legge.
In altre parole, il rispetto della legge deve oggi più che mai
essere assicurato da un'opera di educazione svolta dalle nostre comunità,
dalla base.
Di fronte all'eclissi della legalità (l'espressione forte
fu utilizzata nella stessa nota che si commenta) è necessario promuovere
moralità e legalità, la prima intesa come "libera
accoglienza interiore ed esteriore di ogni giusta norma" e la
seconda quale "comportamento in linea con la normativa vigente,
qualunque essa sia"; è necessario tener presente quanto
diceva il Concilio Vaticano II sul punto: "Sacro sia per tutti
includere tra i doveri principali dell'uomo moderno, e osservare, gli
obblighi sociali" (Gaudium et spes n. 30).
In questo discorso si inserisce, ovviamente, la c.d. obiezione di coscienza.
Se è vero che moralità e legalità sono
strettamente connesse ma non sono la stessa cosa, si capisce come il cristiano
possa anche trovarsi moralmente in conflitto insanabile con una legge
dello Stato.
La prima osservazione che sorge spontanea è le seguente: il cristiano
obbedirà alla propria coscienza, come fece Gesù Cristo che
morì in croce ed accettò le sanzioni previste da leggi che
non condivideva; similmente, il cristiano non cercherà condoni,
scappatoie o compromessi, ma pagherà di persona la propria consapevole
disobbedienza, accettando di buon grado le sanzioni previste.
Va però aggiunto il riferimento testuale a quanto autorevolmente
enunciato dai Vescovi nella nota del 4.10.1991: "L'ordinamento
giuridico deve essere vigilante e scoraggiare chi, ricorrendo all'obiezione,
tende in realtà non a salvaguardare la coscienza ed i suoi valori,
ma solo a tutelare la propria comodità o, peggio ancora, interessi
di casta o di corporazione. Solo l'obiezione di coscienza rettamente intesa
e sollevata, e talvolta anche riconosciuta dall'ordinamento giuridico,
proprio perché è rispettosa dei fondamentali valori morali
della persona, non diminuisce ma rafforza il senso della legalità".
Insomma, concludono i Vescovi ("conclusione" della nota
4.10.1991): "ai credenti è chiesto di farsi all'interno
dell'attuale società coscienza critica e testimonianza concreta
del vero senso della legalità".
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