Europa, identità e globalizzazione
18 novembre 2003

Siamo lieti di presentare sul sito di Identità Europea il testo inedito del discorso che S.A.I.R. Walburga von Habsburg, Segretaria Generale dell’Unione Paneuropea Internazionale, ha tenuto a Gorizia il 18 novembre 2003 nell’ambito di un incontro Paneuropeo. I temi trattati in questo discorso ed i riferimenti alla gestione del semestre italiano di presidenza dell’UE costituiscono motivi di grande interesse per tutti gli europei consapevoli delle difficoltà del momento presente.

Care amiche e cari amici, cari paneuropei,

è per me un grande piacere essere qui tra voi nella bella città di Gorizia, tanto ricca di ricordi storici. Se da un punto di vista dell'Italia, il paese della cui geografia politica fa parte, Gorizia è ai lontani confini nord-orientali, dal punto della storia politica, essa si trova invece nel cuore dell'Europa, in quella Mitteleuropa che è stata per alcuni secoli l'elemento ordinatore ed equilibratore del nostro continente.

Dico questo perché senza dubbio oggi uno dei problemi più sentiti è proprio quello della definizione dell'Europa. Siamo una nazione marginale, collocata cioè ai confini dell'Occidente, il cui centro principale si trova tra America e Inghilterra, o siamo invece il centro di una civiltà e di un sistema economico indipendente?

Se la risposta è: l'Europa ha indubbiamente una sua fisionomia indipendente, dovuta non solo a confini geografici, ma anche a una volontà di essere nazione, dobbiamo allora chiederci quale è il ruolo che questa Europa esercita nel contesto internazionale. In altre parole, l'Europa è oggi una potenza, una superpotenza oppure una colonia?

Per rispondere a questa domanda, fondamentale per il nostro futuro, dobbiamo ricordarci che ogni agglomerato forte di nazioni, ogni impero, nel senso che la parola aveva originariamente di struttura ordinata e composita, comunque governata da un centro nel quale tutti i cittadini si riconoscevano, ogni impero, dicevo, nasce grazie alla forza di una idealità, e cioè di una comune fede che serve da cemento per tenere uniti, come i componenti diversi di una casa, la struttura imperiale.

Ebbene, l'antica Roma, come l'Islam, come l'Europa nata in età moderna con l'impero di Carlo V, avevano come cemento la comune fede religiosa, nella quale tutti i diversi componenti, di razza e lingue diverse, si riconoscevano.

Eppure, nel corso della storia, anche altre forme di impero si sono sviluppate, che sembravano negare completamente la bontà dell'idea imperiale basata su una scelta di civiltà. L'ultimo di questi imperi in negativo, per fortuna crollato, è stato quello sovietico. Nell'Unione sovietica non solo la libertà individuale era scomparsa, ma anche la stessa dignità umana. L'Unione sovietica aveva creato un dominio che si estendeva a metà Europa, senza alcun rispetto per le specificità e le ambizioni dei popoli che aveva obbligato a farne parte. Il comunismo, alla lotta contro il quale sono felice di aver dedicato molti degli anni della mia gioventù, sembrava essere eterno, nella sua monolitica durezza e crudeltà. Invece è caduto.

Non sta a me, che non sono una storica di professione, dire come ciò sia accaduto, ma non posso non pensare, da persona di fede, che ci sia stato un sostanziale e sostanzioso aiuto da parte del Signore, magari con la mediazione di un pontefice eccezionale, uno dei più grandi eroi della nostra epoca, papa Giovanni Paolo secondo. Permettetemi di dirvi che io credo all'aiuto divino e al suo intervento nella storia degli uomini. E per questo motivo considero il simbolo di Paneuropa, che contiene la croce cristiana, come il più adatto ad esprimere la storia, la tradizione e la cultura del nostro continente.

Nutro grande amicizia e stima nei confronti di Giscard Valery d'Estaing, ma non posso nascondere la mia grande delusione, e la delusione di Paneuropa, per non aver voluto inserire in quel famoso preambolo della costituzione europea il riferimento alle tradizioni cristiane del nostro continente. Questo riferimento ci avrebbe ricordato non una componente fideistica del nostro passato e del nostro presente, ma l'essenza stessa della nostra identità. L'identità nasce infatti dal riconoscimento di radici, esperienze, sensibilità ed interessi comuni. Ebbene nulla meglio del cristianesimo esprime tutto questo per gli europei. Ma si badi bene, il privilegiare la dimensione cristiana non significa affatto emarginare o sminuire l'apporto di altre fedi religiose, che noi rispettiamo totalmente come parte integrante, ma non portante, della nostra identità.

Siamo dunque orgogliosi di avere nel corpo dell'Europa anche cellule che vengono dal vicino Oriente, come quelle islamiche e giudaiche, che è vero, non sono europee nel senso pieno del termine, dato che nacquero e si svilupparono al di fuori dell'Europa, ma poi in essa si inserirono, contribuendo a rafforzare quella splendida cultura veramente universale che fu la civiltà del medioevo europeo.

Ecco perché dobbiamo difendere la religione cristiana, proprio perché in un mondo in cui si stanno rafforzando, fino a farle diventare aggressive, identità come quella islamica, o americana, e presto dovremo confrontarci anche con la rinata identità russa e con la nascente cinese, in un mondo dicevo che sviluppa entità geopolitiche di imprevedibile potenzialità, è proprio una civiltà ispirata al cristianesimo che può dare l'esempio di umanità, pace e giustizia.

La difesa dei valori cristiani non è quindi soltanto un compito che spetta alle gerarchie delle Chiese cattolica, luterana ed ortodossa, ma è demandata anche a noi laici, a noi politici, a noi intellettuali, a noi produttori di lavoro. Viviamo certo in un tempo di desacralizzazione e chi, come me, ha un figlio che si avvia all'età adulta, non può non essere spaventata difronte ai pericoli che si aprono davanti a lui. Droga, perversione, materialismo.

Ecco, ancora una volta, la funzione della nostra concezione imperiale, se posso ancora usare questo termine, dandogli però un significato nuovo. E cioè un significato di ritorno a una concezione della vita basata sui valori, come era nelle strutture imperiali dei secoli passati, e non sull'edonismo come è invece oggi.

Ma il mio caro amico Giscard Valery d'Estaing ha invece voluto parlare nel suo documento di illuminismo, come del valore più alto raggiunto dalla nostra civiltà. Ma ecco davanti a noi gli effetti di quell'illuminismo: la nascita di egoismi locali, di uno sterile razionalismo che ha distrutto le antiche cattedrali senza costruire nulla al loro posto, se non il dubbio e lo scetticismo.

Anche le ideologie hanno dei padri e dei nonni. E l'avo del comunismo è il leggiadro illuminismo che tanto piace al mio amico Gerard. Ma non solo del comunismo, ma anche del fascismo e del nazismo, cioè dei totalitarismi che hanno causato non solo distruzioni immani, ma soprattutto la morte proprio di quel continente in cui pretendevano di dominare, l'Europa.



La grande tragedia dei totalitarismi è infatti stata la sconfitta dell'Europa in due guerre di immani proporzioni. Il vuoto che Austria-Ungheria, Germania, Francia, Inghilterra, la stessa Italia hanno lasciato nella politica mondiale è stato subito riempito da potenze che, seppur avevano radici europee, non avevano alcun interesse ad identificarsi con l'antica madre.
La Russia sovietica e gli Stati Uniti hanno dunque volto a loro vantaggio la disfatta dell'Europa, facendola diventare una loro immensa colonia.

Ecco quindi che abbiamo risposto alla domanda che ci eravamo posti all'inizio, e la risposta è, no, l'Europa non è né una superpotenza né una potenza, ma una povera, triste colonia.

Certo esiste una Unione Europea, ma ad ogni momento critico della storia planetaria essa non riesce a rispondere con una volontà comune. L'equivoco di fondo: e cioè se guardare ad ovest o ad est, che ci divideva durante la guerra fredda, è ancora operante.

Ma noi non dobbiamo guardare né a Washington, né a Mosca, dobbiamo guardare invece al centro del nostro continente. Dobbiamo guardare a Roma e alla sua Chiesa, l'ultima struttura esistente che ancora contiene la forza di una tradizione millenaria. Dobbiamo guardare alle cattedrali d'Europa, da Santiago a Trondheim, che quella civiltà ci ricordano e ripetono in mille varianti di arte e di architettura.

E invece che cosa fanno molti degli europei di oggi? guardano alle banche di New York e ai mercati nuovi di Mosca, e nella speranza di fare buoni affari vendono la dignità di tanti popoli maltrattati e oppressi e non ascoltano il messaggio di chi è stato ed è sottoposto a brutale colonizzazione.

E' vero, caro primo ministro Silvio Berlusconi, in Cecenia si uccide, si distrugge, si annulla l'individualità di un popolo. Ed è anche vero, caro primo ministro Silvio Berlusconi, che in Irak non si sta combattendo una battaglia per la libertà di un popolo ma per la difesa di interessi politici e petroliferi che non sono affatto quelli di noi europei, che però dobbiamo pagare il costo di una guerra non voluta dalle Nazioni Unite, né dall'Unione Europea.

E'indubbiamente vero, esistono delle esigenze planetarie, ad esempio quella della lotta al terrorismo. Ma questa globalizzazione di problemi reali, ricordiamo anche la povertà, la fame, le malattie, per risolvere i quali è necessaria una strategia planetaria, questa globalizzazione richiede anche l'applicazione del concetto di diversità. Ogni nazione, o blocco di nazioni, come siamo noi europei, deve avere pari dignità. Non esistono modelli da imporre a chi quei modelli non li vuole o a chi essi sono per cultura e tradizione estranei. Con tutto l'amore del cristianesimo che noi portiamo, non faremmo mai della nostra chiesa uno strumento di conquista coloniale. Con tutto l'amore che portiamo per l'Europa, non la faremmo mai diventare strumento di conquista territoriale o di imperialismo economico. Il dialogo migliore, l'unico dialogo possibile, è quello tra pari ed eguali. Così possiamo rispettarci gli uni con gli altri, e dal rispetto reciproco nasce la comprensione e dalla comprensione la pace.

San Francesco andò in Terrasanta. Incontrò il califfo e gli parlò, da uomo santo a uomo santo. Questa è la forza della nostra civiltà europea, amare i diversi, per essere noi stessi amati da loro.

 




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