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Dichiarazioni
di Marco Tarchi su "Avvenire" di sabato 12 gennaio ("Agorà",
pagine culturali, pag. 24) Qualche settimana fa una tv saudita ha mandato in onda una serie di spot che mettevano in scena una caricatura di Sharon intento a bere il sangue di bambini. E i Protocolli dei Savi di Sion, manifesto dell'antisemitismo, sembrano conoscere un revival all'interno di alcuni Paesi arabi: in Siria il volumetto è stato recentemente ristampato mentre - faceva notare allarmato Paolo Mieli alcuni giorni fa sul Corriere della sera rispondendo a un lettore- c'è chi ha pensato a perverse attualizzazioni: "Come è possibile - si chiedeva - che una tv saudita decida di trasmettere una serie tratta dal più celebre libello antisemita e la notizia cada nell'indifferenza dei più?". È davvero in corso una nuova stagione di odio antiebraico, una stagione di diffidenza che divampa nei Paesi arabi ma che si riflette anche nell'opinione pubblica occidentale ed europea? "Lo spot diffuso dalla tv araba evoca uno degli stereotipi più crudeli e duri a morire contro gli ebrei, stereotipi che si credevano ormai superati", commenta la scrittrice Elena Loewenthal, secondo cui anche all'interno delle società occidentali assistiamo a un atteggiamento ambiguo: "Si usano due pesi e due misure: quando da parte israeliana spiccano posizioni avvertite come offensive del mondo arabo ci si scandalizza, cosa che non avviene nel caso opposto". E dopo l'11 settembre gli equilibri sono stati ulteriormente rivoluzionati: "Io mi aspettavo - continua Loewenthal - che l'Occidente avrebbe reagito allo shock con una sorta di immedesimazione nei confronti della situazione ebraica e delle istanze della sicurezza contro il terrorismo. Invece ho la netta sensazione che sia avvenuto proprio il contrario: forse per un'esigenza di prendere le distanze da un male tanto spaventoso, l'opinione pubblica ha risposto al dolore con un certo fastidio e distacco nei confronti di Israele e degli ebrei in generale, quasi con una consapevolezza fasulla che "gli ebrei portano guai". In questo atteggiamento intravedo la speranza, illusoria, che se Israele si ritirasse dai Territori immediatamente il terrorismo scomparirebbe. Purtroppo la questione non è così semplice". E cosa ne dice di quegli intellettuali ebrei, da Amos Oz a Abraham Yehoshua, da sempre sostenitori del dialogo e che oggi hanno rivisto le loro posizioni? "Non penso che si siano tirati indietro ma capisco il loro grande sgomento, che riflette quello presente nella società israeliana: si è avvertito il fallimento della disponibilità al dialogo, e ora c'è stordimento e disillusione". Per il politologo Marco Tarchi, animatore della "nuova destra" italiana, le prese di posizione antiebraiche nel mondo arabo "vanno tuttavia paragonate ad analoghe correnti di fondamentalismo israeliano ferocemente antiarabo, correnti per fortuna minoritarie ma pericolose". Ma nel nostro Paese assistiamo a un fenomeno grave e peculiare: "Esiste uno sbilanciamento culturale dell'Italia, dove non vengono tradotti e quindi non sono presentati all'opinione pubblica alcuni libri di intellettuali ebrei moderati, critici nei confronti di una certa politica israeliana. Ma questa sorta di autocensura è controproducente: c'è bisogno di un dibattito onesto". Un dibattito che secondo Tarchi viene messo in pericolo anche da inutili allarmismi su un ritorno dell'antisemitismo: "La trovo una strumentalizzazione inaccettabile e rischiosa, perché crea la sensazione di voler vietare ogni tipo di confronto, con l'effetto di isolare e rafforzare sempre di più le opposte posizioni". Lo storico Franco Cardini concorda sul fatto che "troppo allarmismo sortisce un effetto contrario, non solo per l'ambiguità di forme di "iper-difesa", ma anche perché evocando eccessivamente un male oscuro c'è il rischio di renderlo affascinante agli occhi delle frange meno equilibrate della società". Ma in Europa è in corso oppure no una nuova stagione di antisemitismo? Conseguente alla nuova Intifada? Che si parli di Medio Oriente o di Europa, secondo lo scrittore Piero Stefani la complessità del problema deriva da un'ambiguità di fondo, "quella che permette la sovrapposizione di ebrei, anche quelli della diaspora, e Stato di Israele. Ma naturalmente unificare le due entità crea forti equivoci e strumentalizzazioni". Per esempio? "Se qui in Europa le manifestazioni di solidarietà con lo Stato di Israele vengono organizzate non di fronte a un'ambasciata ma nelle sinagoghe, allora si capisce come le sinagoghe stesse finiscano per rappresentare un obiettivo "lecito" per le manifestazioni di chi si oppone al governo israeliano. Naturalmente questo non giustifica alcun genere di strumentalizzazione, ma ignorare tali dinamiche di identificazione tra religione e politica impedisce di analizzare i fatti". Anche per quanto riguarda il nostro Paese: "In Italia mi risulta che le prese di distanza da parte di esponenti
della comunità ebraica nei confronti della politica di Sharon siano
state davvero poche. E gli intellettuali ebrei, per esempio Elie Wiesel,
sono stati molto duri verso i palestinesi".
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